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Lavoro

Non siamo scarti

Massimo Gramellini consiglia il video Non siamo scarti e dice bene. A volte sembra di combattere una guerra silenziosa, senza morti e feriti apparenti, ma dove cadono di continuo la dignità e il rispetto per se stessi. Del racconto di quei cinquantenni l’aspetto più terribile non è la sofferenza economica, che pure esiste. E’ la sofferenza morale. Quel sentirsi inutili, rifiutati, sconfitti. Mi piacerebbe abbracciarli a uno a uno e urlare loro «non permettete a nessuno di uccidere i vostri sogni», ma le mie sono solo parole increspate da un’emozione. Qui invece servono un progetto a lungo termine, una visione solidale, dei leader credibili. Serve un’idea forte di società.

Intanto si muore sul lavoro

Mentre l’Italia si perde nelle mutande di Berlusconi una lettera scritta con il cuore ci ricorda la più grande strage del Paese: i caduti sul lavoro. A farlo una madre che non accetta il silenzio, come spesso succede sono i sopravvissuti a dover raccontare i propri famigliari.

di GRAZIELLA MAROTA
Ecco la lettera  che Graziella Marota 1, madre di Andrea Gagliardoni, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook

Andrea aveva 23 anni quando, il 20 giugno 2006, è rimasto con il cranio schiacciato da una macchina tampografica non a norma. Andrea voleva imparare a suonare la tromba, come se la chitarra da sola gli andasse stretta. Perché a quell’età la taglia dei desideri si allarga e non stai più nei tuoi panni dalla voglia di metterti alla prova, conoscere, guardare avanti. Da li a quattro giorni pure la metratura della sua vita sarebbe lievitata di colpo: dalla sua camera da ragazzo, in casa dei genitori, a un mini appartamento, acquistato dai suoi con un mutuo, a metà strada tra Porto Sant’Elpidio e la fabbrica Asoplast di Ortezzano, dove aveva trovato lavoro come precario per 900 euro al mese.

Andrea voleva imparare a suonare la tromba, ma non ha fatto in tempo: una tromba che, rimasta la dov’era in camera sua, suona un silenzio assordante. E neppure l’appartamento è riuscito ad abitare: doveva entrare nella nuova casa sabato 24 giugno 2006, se ne è andato il 20 giugno di 4 anni fa. Oggi Andrea avrebbe 28 anni ma è morto in fabbrica alle sei e dieci dell’ultimo mattino di primavera. E suonerebbe ancora la chitarra con i Nervous Breakdwn e non darebbe il suo nome a una borsa di studio. Sarebbe la gioia di sua mamma Graziella e non la ragione della sua battaglia da neo cavaliere della Repubblica, per cultura sulla sicurezza. Una battaglia finita con una sconfitta dolorosa: nel nome del figlio e a nome dei tanti caduti sul lavoro, senza giustizia: Umbria-Oli, Molfetta, Thyssenkrupp, Mineo…. Sono solo le stazioni più raccontate di una via Crucis quotidiana, che per un po’ chiama a raccolta l’indignazione italiana, che poi guarda altrove.

Le morti si fanno sentire, ma le sentenze molto meno, quando passano sotto silenzio anche per una sorta di disagio nell’accettarle e comunicarle. I responsabili di questa orrenda morte sono stati condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena, anche se il Procuratore generale del tribunale di Fermo aveva parlato “di un chiaro segnale perché questi reati vengano repressi con la massima severità”. Andrea è stato ucciso per la seconda volta. La tragedia è finita nel dimenticatoio, con alcune frasi fatte e disfatte, tipo non deve più accadere, basta con queste stragi, lavoreremo per migliorare la sicurezza. Parole piene di buone intenzioni, che lo spillo della smemoratezza buca in un momento. Parole al vento!

Alla fine anche Andrea si è perso tra i morti da stabilimento e da cantiere: martiri del lavoro che fanno notizia il tempo di commuovere, che non promuovono ronde per la sicurezza, spesso rimossi pure nei processi. Tragedie quotidianamente dimenticate da un Paese ignavo e incurante, La tromba silente di Andrea a suonare la sua ritirata. Questo è quanto accade a tutti i morti sul lavoro; di loro restano solo dolore e angoscia dei familiari ma giustamente questo non fa notizia: una mamma che piange tutti i giorni, che guarda sempre la porta di casa aspettando che il suo Andrea rientri perché spera che tutta la sofferenza che sta vivendo sia solo un brutto sogno….. Ma tutto ciò non importa a nessuno!

Questa è la tragica realtà, di chi rimane e si rende conto di essere emarginato e dimenticato da tutti. Forse ciò che gli altri non conoscono è la realtà del “dopo” di queste tragedie… La vita per i familiari viene stravolta dal dolore e dalla mancanza della persona cara, ti ritrovi a lottare giorno per giorno per sopravvivere e se sei forte riesci in qualche modo a risollevare la testa da quel baratro di depressione in cui sei caduta, altrimenti sprofondi sempre di più! Ti accorgi che sei lasciato solo a te stesso…. manca il sostegno psicologico, sono assenti tutte le istituzioni e nessuno è disposto ad ascoltare il tuo dolore perché il dolore fa paura a tutti! Speri nella giustizia ma questa si prende beffa di te perché otto mesi e sospensione della pena per chi ha ucciso tuo figlio mi sembra una vergogna per un paese che si definisce civile…..

E vogliamo parlare dell’Inail, questo ente che ogni anno incassa milioni di euro? Ebbene la morte di Andrea è stata calcolata 1.600 euro e cioè rimborso spese funerarie, allora mi chiedo ma la vita di mio figlio che è stato ucciso a soli 23 anni, per la società non valeva nulla? Eppure io quel figlio l’ho partorito, l’ho amato , curato e protetto per 23 anni, era il mio orgoglio e la mia felicità e quindi tutto diventa assurdo e inaccettabile. Nemmeno l’assicurazione vuole pagare il risarcimento e a distanza di 4 anni e mezzo dovrò subire ancora violenze psicologiche tornando di nuovo in tribunale e ripercorrere ancora una volta questa tragedia…. descrivere come è morto Andrea, come lo hanno trovato i colleghi di lavoro, come ho vissuto dopo e come continuo a vivere oggi… Credetemi una pressione che non riesco a sopportare più.

Per terminare anche l’amministrazione comunale di Porto Sant’Elpidio si rifiuta di dare una definitiva sepoltura al mio angelo. Allora mi chiedo e lo chiedo a voi: la vita di un operaio vale così poco? E’ un essere umano come tutti e se per i soldati morti in “ missione di pace” si fanno funerali di Stato, per i 1300 operai che muoiono ogni anno per la mancanza di sicurezza, cosa viene fatto? Nulla perché non sappiamo nemmeno nome e cognome… sono solo numeri che fanno parte di una statistica.

Termino questa lettera con un appello disperato: fermiamo questa strage che serve solo a far arricchire gli imprenditori e a distruggere le famiglie. Ogni essere umano ha diritto alla propria vita e non si può perderla per 900 euro al mese.

Il caso Fiat visto dal genio di Fo

A volte leggi alcuni suoi lampi e credi proprio che non ci sia altro da aggiungere.

Anomalie di bilancio: i dipendenti regionali

Il 28 Luglio di quest’anno il Consiglio Regionale (su proposta dell’Ufficio di Presidenza) ha disposto la seconda variazione di bilancio disponendo alcune modifiche alle spese per il personale di Consiglio. Di quella seduta rimane la “voglia di mare” generalizzata e una votazione in fretta e furia prima si rompere le righe e darsi a sdraio e ombrelloni. In quei giorni si è parlato (e scritto) molto della “caccia in deroga” che (anche in virtù delle partenze programmate) eravamo riusciti a bloccare per la prima volta. Quel giorno si è votata la variazione di bilancio che ha sancito un + 314.000 euro per il trattamento economico del personale delle categorie (art. 401), un + 251.000 euro per il trattamento economico dei dirigenti (art. 402) e +125.000 euro per le posizioni organizzative (art. 414). E’ rimasto invece invariato l’articolo 412 riservato al salario accessorio di personale in posizioni non organizzative. In poche parole: adeguamento salariale per tutti tranne che per i lavoratori “di base”. I lavoratori che sostengono il lavoro del consiglio nell’ombra ma con la stessa quotidianità e con la stessa professionalità delle posizioni organizzative. Per dirla in numeri 125 mila euro in più per una trentina di persone e niente per 240 famiglie. In quell’occasione ho votato (unico in aula) contro, prendendo una posizione diversa anche dal resto del mio gruppo consiliare (che si è comunque astenuto). Essere portatori di voto “unico” in tutto il Consiglio è una sensazione di solitudine intellettuale. Una sensazione di essere neo di cui, oggi, mi sento ancora più fiero. E’ bastato poco infatti per accorgersi che la diseguaglianza di trattamento ha acceso un malcontento organizzato tra i lavoratori che è sfociato in riunioni, documenti di disapprovazione e raccolta firme. L’equità è un valore di democrazia e buon governo che dovrebbe essere (molto, molto teoricamente) molto vicino ai valori “solidali” (si, lo so, è detto in modo molto ironico) di Don Giussani e Comunione e Liberazione. Non dovrebbero esserci dipendenti un po’ più uguali degli altri. E allora (nel passo breve delle mie possibilità) ho pensato di riproporre il tema. Con fiducia e con la consapevolezza che è nella mia formazione politica (e culturale) essere dalla parte di lavoratori. Tutti. Con un ordine del giorno che dovrebbe sancire buon senso. Vedremo.

ORDINE DEL GIORNO AL PDA 11 BILANCIO DI PREVISIONE PER IL FUNZIONAMENTO DEL CONSIGLIO PER L’ANNO 2011

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

PREMESSO CHE

Il 28 luglio 2010, sulla base dell’autorizzazione legislativa di cui all’art. 7, comma 5, della l.r. 13/2010, il Consiglio regionale, su proposta dell’UdP, ha disposto la seconda variazione al bilancio di previsione 2010 disponendo, in particolare, le seguenti modifiche al Capitolo 400 (Spese per il personale del Consiglio):

  • – Art. 401 (Trattamento economico del personale delle categorie): + 314.000 euro;
  • – Art. 402 (Trattamento economico dei dirigenti): + 251.000 euro;
  • – Art. 414 (Fondo per la retribuzione di posizione e risultato dei responsabili posizioni organizzative): + 125.000 euro.

PREMESSO INOLTRE CHE

Non è stato invece toccato l’art. 412 (Risorse decentrate per il personale delle categorie), con cui viene finanziato il salario accessorio del personale non titolare di Posizione organizzativa.

ATTESO CHE

Il Consiglio regionale ha perciò aumentato stabilmente, di 125 mila euro, le risorse per il trattamento economico accessorio di poco più di una trentina di titolari di Posizione organizzativa, mentre niente è stato aggiunto alle risorse stabili per il salario accessorio di circa 240 dipendenti non titolari di P.O.

ATTESO INOLTRE CHE

Tale iniqua decisione del Consiglio regionale ha suscitato un grande malcontento tra il personale, che si è mobilitato in vari modi (tra cui assemblee e raccolte di firme), soprattutto perché l’art. 9, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, congela per un triennio il trattamento economico complessivo goduto dai singoli dipendenti pubblici nell’anno 2010.

CONSIDERATO CHE

Proprio in virtù di tale vincolo legislativo nazionale, l’ufficio di presidenza dovrà verosimilmente disporre l’aumento del trattamento dei titolari di P.O. entro la fine dell’anno, forse proprio nella seduta del 13 dicembre.

CONSIDERATO INOLTRE CHE

Ragioni di equità suggerirebbero invece di utilizzare i 125 mila euro reperiti con la variazione di bilancio di luglio per finanziare non soltanto il trattamento delle P.O. ma anche il salario accessorio di tutti gli altri dipendenti.

VALUTATO CHE

Proprio per rimediare all’ingiustizia che ha colpito circa 8 lavoratori su 9, il gruppo IDV ha proposto, con un emendamento al pdl 59 (Collegato 2011), che le risorse stabili destinate al salario accessorio del personale del Consiglio regionale di tutte le categorie possano essere aumentate in misura pari all’aumento autorizzato, in favore dei soli titolari di Posizione organizzativa, dall’art. 7, comma 5, della l.r. 13/2010.

VALUTATO INOLTRE CHE

L’emendamento del gruppo IDV è formulato in piena analogia con il meccanismo di cui al comma 5 dell’articolo 7 della l.r. 13/2010: la norma proposta e quella esistente condividono perciò i medesimi presupposti di legittimità.

RITENUTO CHE

La scelta che abbiamo di fronte sulla questione della gestione del personale è quindi non di legittimità ma di pura opportunità.

RITENUTO INOLTRE CHE

La politica rischia infatti di risultare sempre meno credibile se, da un lato, chiede alla maggioranza dei dipendenti di fare dei sacrifici economici e, dall’altro, destina risorse aggiuntive a una minoranza, le P.O., che già beneficiano di un trattamento aggiuntivo di 14.750,00 euro annui.

Con l’ipotesi di accordo firmata dall’amministrazione con 7 membri delle RSU su 12 (probabilmente all’esame dell’UdP il 13 dicembre) sono state destinate al resto del personale, per il solo 2010, risorse estemporanee (quindi non stabili) derivanti dalla mancata copertura della dotazione organica dell’ente.

VERIFICATO CHE

Il bilancio di previsione proposto per il 2011:

  • – conferma la scelta di luglio in materia di trattamento delle P.O. (art. 414);
  • – conferma la non scelta sul resto del personale (art. 412);
  • – conferma l’aumento di 70 mila euro del “Fondo per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti” (art. 413) disposto con la prima variazione di bilancio, risalente al mese di giugno 2010.

VERIFICATO INOLTRE CHE

Rispetto al bilancio di previsione del 2010, quello proposto per il 2011, aumenta perciò di 195 mila euro le risorse destinate al trattamento di posizione e di risultato di dirigenti (art. 413) e P.O. (art. 414) e non aggiunge un solo centesimo a quelle per il trattamento accessorio di oltre 240 dipendenti (art. 412).

IMPEGNA L’UFFICIO DI PRESIDENZA DEL CONSIGLIO REGIONALE

Ad un reperimento di risorse stabili per finanziare il trattamento accessorio dei dipendenti del Consiglio non titolari di Posizioni Organizzative.

Milano, 16 dicembre 2010

Giulio Cavalli (IDV)

Francesco Patitucci (IDV)

Gabriele Sola (IDV)

Stefano Zamponi (IDV)

La Regione Lombardia si è “dimenticata” gli infortuni sul lavoro

Che in Italia la sicurezza sul lavoro sia considerato un fastidioso “costo” piuttosto che un civile investimento è sotto gli occhi di tutti. Solo in Lombardia negli ultimi mesi abbiamo assistito a tragedie come lo scoppio della Eureco di Paderno Dugnano che hanno provocato vittime e fiamme che, viste da fuori, sembrano un bollettino di guerra di un paese di confino. Le vittime sul lavoro non hanno né funerali di Stato né bare avvolte nelle bandiere. Spesso il cadavere è la prima e unica “emersione” ufficiale di una vita rimasta in nero per il fisco, per l’anagrafe e per la dignità. Nel bilancio regionale che andremo a discutere nelle sedute consiliari della prossima settimana non esiste nessuna voce che preveda fondi e investimenti sul tema della sicurezza all’interno delle fabbriche e dei cantieri: se ne sono dimenticati mentre pensavano ad altro. Almeno per provare a rimettere “le cose a posto” proveremo a ricordarglielo bisbigliandogli ad un orecchio un ordine del giorno.

ORDINE DEL GIORNO AL PDL 61

BILANCIO DI PREVISIONE PER L’ESERCIZIO FINANZIARIO 2011 E BILANCIO PLURIENNALE 2011/2013 A LEGISLAZIONE VIGENTE E PROGRAMMATICO

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

PREMESSO CHE

Nei cantieri e nelle fabbriche avvengono oltre un milione di infortuni e più di mille morti ogni anno;

PRESO ATTO CHE

L’attuale governo in tema di sicurezza sul lavoro ha da tempo tagliato le necessarie risorse affinché in tale ambito vi possano essere i doverosi controlli da parte degli uffici a ciò preposti e la realizzazione di interventi formativi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei e nei luoghi di lavoro;

VERIFICATO CHE

Il bilancio di previsione del prossimo triennio 2011 – 2012 – 2013 non prevede per le voci sopra evidenziate appositi stanziamenti;

RILEVATO CHE

Controlli ed interventi formativi in materia di tutela della salute e della sicurezza appaiono strumenti fondamentali sia ai fini di una efficace prevenzione da infortuni e morti sul lavoro che di una loro reale ed efficace attuazione e appare quindi altresì necessario che anche da parte di Regione Lombardia vengano dedicate le necessarie risorse;

IMPEGNA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE

A porre in essere tutti gli strumenti più idonei affinché nel bilancio di previsione del prossimo triennio 2011 – 2012 – 2013 vengano predisposti appositi stanziamenti atti a garantire il finanziamento concernente gli interventi formativi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro.

Milano, 16 dicembre 2010

Giulio Cavalli (IDV)

Francesco Patitucci (IDV)

Gabriele Sola (IDV)

Stefano Zamponi (IDV)

Morti di lavoro

Alla fine due settimane di agonia non sono servite: Arun Zeqiri è morto durante la notte tra venerdì e sabato mentre fuori Milano si beveva il week end. Arun è uno degli operai albanesi rimasti feriti dopo lo scoppio alla Eureco di Paderno Dugnano. Operosa Padania: dove gli stranieri rubano e scippano sempre di più sui comunicati stampa che nelle statistiche, dove i migranti si arrampicano per elemosinare “sensibilità” istituzionale in mezzo al pantano di una legge indegna e nemmeno funzionale (la “Bossi-Fini”, dove Fini sta per quel nuovo eroe di “legalità e Costituzione” che vorrebbe darci a bere il suo nuovo grembiulino da vergine), e dove gli albanesi “legali” rimangono legalmente cotti dentro il proprio posto di lavoro.
Arun Zeqiri era ricoverato al Centro Traumatologico di Torino dove hanno cercato di spegnere le ustioni che avevano ricoperto l’80% del suo corpo. La sua morte si aggiunge a quella di Sergio Scapolan.
Le misure di sicurezza sul lavoro che funzionano più di tutte in Italia sono i moti di solidarietà post mortem: arrivano pochi secondi dopo il primo lancio dell’Ansa e durano per un paio di giorni. A Arun è andata peggio. Morire così tanti giorni dopo ti lascia galleggiare nell’oblio dove anche i comunicati stampa si sono affaticati. Eppure non è così lontana quella notte tra il 5 e 6 dicembre in cui sette operai vennero investiti (proprio come a Paderno) da olio bollente. Morirono tutti uno dopo l’altro. In molti urlarono << mai più Thyssen! >>. A vederlo da fuori veniva quasi voglia di crederci. Veniva quasi voglia di essere ottimisti che per davvero l’imprenditoria italiana avrebbe imparato che la sicurezza sul lavoro fosse l’investimento migliore per la propria azienda, lasciando da parte una volta per tutte quel vecchio adagio sicurezza=costo che sembrava un comandamento più degno di un clan che di uno Stato sociale. Avevamo partecipato alle tavole rotonde dove si chiedeva al Governo (di qualsiasi colore) che i controlli non fossero passerelle giusto per il tempo di emettere fattura quanto piuttosto l’esercizio severo della Responsabilità dello Stato verso i propri cittadini. Avevamo sentito (e auspicato) un’imprenditoria che voleva essere veramente “moderna” e “europea” nella visione di sicurezza, applicandosi più sui metodi che sulle carte messe a posto. Poi il dibattito piano piano sulla stampa e sulla televisione “di pancia” (quella che disinforma il 75% degli italiani) si è spento. Le morti sul lavoro sono continuate rispettando le più tetre statistiche, senza funerali di Stato o bandiere.
È rimasto soltanto l’eco di quel “mai più Thyssen!”: non ha fatto in tempo a spegnersi e la Thyssen è arrivata qui. A Paderno Dugnano.

Medioevo Brescia

La vicenda di Brescia è una storia di lavoratori. Truffati. Che siano immigrati, migranti, extracomunitari o negri è solo sbobba buona per gli intestini molli e gli istinti leghisti. Gli operai che da giorni stanno appesi sopra ad una gru sono persone che hanno lavorato in un paese dalla solidarietà costituzionale regredita al peggiore Medioevo: c’è una legge (la Bossi-Fini) che oggi mostra violentemente tutta la sua inadeguatezza istituendo un reato che non esiste (quella clandestinità bollata come sciocchezza da un uomo certo non di sinistra come Mirko Tremaglia), le promesse truffaldine di un datore di lavoro che promette sotto pagamento un diritto che in Italia ha il sapore primitivo del privilegio (una truffa costosa e in piena regola degna dei pacchisti d’altri tempi) e una strategia di trattativa che gioca sul freddo e sulla fame. Da anni in Italia il lavoro è tema per lo scontro sociale con intanto la politica e un bel pezzo dei sindacati che imbarazzati osservano semi nascosti aspettando che si abbassi la polvere.

A Brescia si consuma la pochezza politica di questo tempo buio con la Lega che, dopo tanto abbaiare, non riesce a racimolare nemmeno qualche neurone per costruire una soluzione politica, il Ministro Maroni troppo impegnato a coprire le bagatelle pisellose del Presidente del Consiglio e il popolo razzista leghista che osserva e ride con la bava dello spettatore da rodeo. Se quei lavoratori sono stati illegali scendano dalla gru e si riprendano tutto quello che hanno costruito negli ultimi mesi di lavoro. Smontino i muri delle cucine che hanno impastato per le tranquille famigliole che sorridono indifferenti guardandoli al tg della sera, bussino alla cassa previdenziale per riprendersi i loro spicci, denuncino il proprio titolare per il fatturato dopato dalla “clandestinità” e si carichino tutto sul loro gommone: qualunque altro sia l’approdo troveranno un futuro più civile.

La politica smetta di cincischiare: da una parte chi è dalla parte dei truffati e dei lavoratori per la Costituzione (art. 3: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese) e dall’altra tutti gli altri.

Giù dalla gru si lasci respirare l’articolo 21 della Costituzione e la libertà di espressione. E soprattutto si smetta di governare con il manganello. “Ordine pubblico” è svolgimento lineare della democrazia, non desertificazione. Lo Stato che si atteggia a prepotente per l’imbarazzo di non sapere governare è un Re nudo d’altri tempi. Da Medioevo. Appunto.

Lavoro e ricatti: manifestazione per i lavoratori del 16 ottobre.

Il diritto di sciopero, sancito dalla nostra Carta Costituzionale all’art. 40, in questi ultimi mesi sta subendo affronti impensabili fino a pochi anni fa.

La progressiva delegittimazione del dissenso dei lavoratori è riuscita ad oscurare e, a volte, come nel caso del licenziamento dei tre operai della Fiat di Melfi, a cancellare il diritto di astensione dal lavoro per la difesa o la promozione di interessi collettivi, sia giuridici che economici.

Bisogna, del resto, soffermarsi sull’importanza fondamentale che assume il diritto di sciopero in una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art.1 Cost.) che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto (art.4 Cost.). Se è vero che ogni cittadino ha il diritto di avere un lavoro, è altrettanto certo che non può esistere in uno Stato di diritto la possibilità per alcuno, tantomeno per il datore di lavoro, di calpestare quei diritti che i lavoratori hanno ottenuto attraverso faticose lotte sindacali.

In questo quadro, inoltre, si inserisce il grave problema del precariato. Sembra che la Costituzione sia stata cambiata sotto i nostri occhi e non ce ne siamo accorti. Mi colpisce molto il fatto che si continui a parlare di diritto al lavoro e poi si permetta di sfruttare i lavoratori con la minaccia di un contratto che non verrà mai rinnovato. La flessibilità, utilizzata spesso come scriminante di una forma contrattuale che si mostra come un insulto alla dignità dei lavoratori, è solo un concetto astratto che non ha alcun contatto con la realtà del mondo del lavoro. In un periodo di crisi economica e di disoccupazione non esiste flessibilità bensì solo instabilità e incertezza. Utilizzare come arma di ricatto un contratto a tempo determinato, che non assicura alcun futuro ai giovani e alcuna certezza a padri e madri di famiglia, è una concessione che una Repubblica realmente fondata sul lavoro non dovrebbe permettere.

Ritengo necessario manifestare il dissenso a una concezione aziendale del diritto al lavoro, a una continua denigrazione del diritto di sciopero ed a una costante offesa del lavoratore precario. Per questo aderisco alla manifestazione indetta dalla Fiom per il prossimo 16 ottobre a Roma. È giunto il momento che i lavoratori facciano sentire ancora la loro voce che in troppi ormai cercano di soffocare.

Si sfilaccia il Governo, fuori i contenuti

Abbiamo passato anni a sentirci dire che nel lato “democratico” del Paese era necessario (e utile) smussare gli angoli e democristianare gli animi per non rimanere schiacciati dal berlusconismo. E mentre tutti si esercitavano in un opposizione sempre più pia e a tratti reverenziale abbiamo reso possibile che un uomo come Mister B. e le sue cricche diventassero un “sistema” stabile, collaudato e proprietario delle istituzioni. In una lenta e nemmeno sotterranea OPA lanciata con successo alla res publica.

Alla mia generazione hanno detto di stare tranquilli, di non fare colpi di testa, di non scialacquare la nostra giovinezza in attesa di ottenere il certificato DOC dello spettatore prematuramente disarmato mentre vede e commenta i giochi di Palazzo. Ci hanno raccontato che non bisognava attaccarlo frontalmente ma giocare di sponda (chissà, forse per un attaccamento alle buone maniere) in un’opposizione che a guardarla oggi ha l’odore acre del “concorso interno”. Ci hanno fatto raccontato che erano tutti impegnati nell’esercitare la propria “vocazione maggioritaria” per costruire visioni e progetti per il paese e oggi, al primo spiraglio, balbettano Tremonti come neo statista salvifico e una coalizione “magna” (nel senso latino e romanesco del termine) con centristi adescatori di niente e neo legalitari con la firma in calce alle leggi-regalo alla mafia e al riciclaggio di questi ultimi anni.

Abusare della pazienza degli onesti è un gioco vile e codardo tanto quanto opprimerli e, ora, la misura è colma. Quello che stiamo vivendo non è né uno sfascio né una crisi: è un’opportunità. Il momento che si aspettava per esporre i modi e i contenuti. In poche parole per raccontare e illustrare la propria identità. E allora dica il PD se è voglioso di andare a braccetto con questo “nuovo” centro che cambia i simboli ma mai le facce, ci dicano i finiani quanto oltre a pentirsi sono disposti a correggere, scendano in campo i movimenti con il proprio diritto costituzionale a manifestare e (finalmente) anche a pretendere.
Con chiarezza, onestà intellettuale e senza remore. Ognuno con la fierezza della propria posizione, se serve. Ma non perdiamo l’occasione del riassestamento per pescare ancora una volta nelle zone d’ombra, ritrovandoci con una valigia di consenso che non possiamo e non vogliamo rappresentare. Il Governo bollito racconta la fine della strategia del grigio e della chiarezza ad intermittenza. Qui fuori c’è il partito più grande d’Italia, senza colonnelli né nominati: il Partito degli astensionisti. Costruiamo coerenza, concretezza e partecipazione e ripartiremo a discutere di lavoro, famiglia, scuola e salute. Con fuori tutti i corrotti e i corruttori di una mignottocrazia che oggi non interessa a nessuno.
È saltato il tappo, fuori i contenuti.