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Lavoro

Vitalizi: si continua

Direi che ci siamo. Con tutte le forzature e gli isterismi che racconta bene Agostino Riitano nel suo chiarissimo articolo (nonostante l’aggettivo vendoliano). E continuiamo a stare sul pezzo perché avvenga da questa legislatura (la spinta da diverse parti è forte e potrebbe funzionare). L’avevo detto un anno fa e finalmente comincia a succedere. Vedranno i colleghi consiglieri che poi quando ci si ritrova a parlare di lavoro e pensioni il beneficio di sensibile aumento di credibilità sarà una bella sensazione.

Crisi lavoro: le nostre proposte

L’ordine del giorno sottoscritto dalla minoranza.

ORDINE DEL GIORNO

“ESAME DEI PROBLEMI INERENTI LA SITUAZIONE INDUSTRIALE REGIONALE”

Il Consiglio regionale

Premesso che

in Lombardia permane una situazione pesante sul piano occupazionale, nonostante una flessione del 33% nell’utilizzo della cassa integrazione, ed una leggera inversione di tendenza nelle assunzioni di giovani;

la disoccupazione coinvolge ancora più di centomila lavoratori; aumentano i licenziamenti e gli inserimenti nelle liste di mobilità; interi settori sono coinvolti nella crisi industriali, in particolare l’high tech;

nell’attuale congiuntura necessitano interventi sul piano degli ammortizzatori sociali, ma sopratutto una politica industriale capace di favorire la ripresa utilizzando tutti gli strumenti a disposizione della Regione, a partire dalla legge1/2007 e da quei settori propri della Regione: sanità, trasporti, energia, banda larga, ecc;

Fare squadra, fare rete, significa ripristinare e rinvigorire i tavoli regionali funzionali a politiche attive del lavoro e all’intervento coordinato fra sistema delle imprese, Istituzioni e sistema bancario;

la Lombardia si caratterizza come Regione a forte vocazione industriale e manifatturiera, deve uscire da una fase di progressivo declino per dare prova concreta della sua vocazione per riprendere a crescere: attivando tutte le sedi opportune, e gli strumenti legislativi necessari, per porsi alla testa di una politica industriale funzionale alla ripresa occupazionale e produttiva.

il Consiglio Regionale impegna la Giunta ad:

 

  1. Attivarsi per prolungare gli ammortizzatori sociali nel 2012;
  2. Rimettere in campo strumenti capaci di far incontrare domanda ed offerta di lavori, recuperando politiche formative utili alle domande che una timida ripresa sembra prospettare, attivando un proficuo rapporto con le parti sociali e gli strumenti della bilateralità;
  3. Incentivare i contratti di solidarietà dando loro più forza e favorendone l’applicazione;
  4. Utilizzare gli strumenti che la Regione ha a disposizione, in particolare Raid, concordando con le parti sociali percorsi necessari per consolidare occupazione e vocazione manifatturiera della Lombardia;
  5. Istituire presso Arifl una cabina di regia con le parti sociali, per monitorare i problemi più acuti del tessuto produttivo lombardo, individuando interventi tempestivi ed efficaci;
  6. Vincolare i bandi della regione, dallo start up all’innovazione, a valorizzare chi con gli stessi bandi crea occupazione aggiuntiva, facendo dell’occupazione un punteggio premiante;

 

  1. Definire le norme applicative in grado di attivare da subito le legge sulle varie forme di apprendistato, sia in rapporto alle università che ai diversi mercati del lavoro. Contestualmente va riportata alle sue origini la norma applicativa degli stage e dei tirocini;
  2. Attivare interventi sul mercato del lavoro più fragile: giovani, donne, over 45; agevolando la stabilizzazione dei rapporti di lavoro in particolare per giovani e donne, sperimentando percorsi di flessibilità positive sul versante della conciliazione lavoro- famiglia e favorendo modalità di lavoro, fra cui il part time anche nella PA, ed il telelavoro, tutelando maggiormente le lavoratrici madri;
  3. Incrementare l’occupazione giovanile attraverso gli strumenti dell’apprendistato e dei tirocini, favorendo la stabilizzazione del lavoro dei giovani; sperimentare adeguati percorsi di reinserimento attraverso specifiche opportunità formative per over 45;
  4. a governare le aree dismesse per favorire insediamenti produttivi disincentivando le attività di carattere immobiliare;
  5. sostegno dei distretti e settori che rappresentano il Made in Italy: settore moda e ricerca;
  6. politiche di sostegno al credito per le imprese;
  7. a verificare la sussistenza delle condizioni per l’individuazione delle aree di crisi industriale complesse, in particolare per il settore dell’high tech al fine di poter attivare le misure previste dal DM 24 marzo 2010;

 

da mandato alla Commissione competente di sottoporre al 

Consiglio una specifica risoluzione con la quale si individuino:

 

  1. gli elementi normativi e programmatori necessari per un rilancio del settore industriale, con particolare riferimento ai settori tessile, edile, meccanico e high tech, coinvolgendo le parti sociali e il mondo accademico per individuare le azioni necessarie per la ripresa produttiva e occupazionale;
  2. le modalità per far evolvere l’attuale iniziativa RAID in una vera e propria cabina di regia, cui partecipino anche le parti sociali, dotata di una struttura tecnica di adeguato profilo professionale, con il compito di monitorare l’andamento di settori e aziende, studiare le tendenze dei mercati, predisporre piani di sostegno finanziario, collegare ai processi di spin off e di trasferimento tecnologico, facilitare e favorire l’intervento di nuove iniziative industriali e imprenditoriali;
  3. uno scenario per gli interventi pubblici sulla banda larga;
  4. lo sviluppo della filiera della green economy;
  5. scenari di regolamentazione e sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili;
  6. quadro normativo e sostegni finanziari, e ipotesi di sostegno e riconversione di specifici casi aziendali o comparti in difficoltà con l’obbiettivo del rilancio della produzione, mantenimento delle aziende e dell’occupazione sul territorio;
  7. quadro della semplificazione normativa e assetto delle infrastrutture e qualità territoriale per favorire l’attrattività produttiva.

 

Milano, 25 ottobre 2011

Il fallimento della tenuta sociale

A inizio settimana è stato presentato l’annuale rapporto della Caritas sulle povertà nel nostro paese. Dalla lettura ermerge chiaramente un dato: le politiche di sostegno economico in campo sociale non aiutano le famiglie, che si trovano ad affrontare il tema dell’assistenza agli anziani, con questi fondi dovrebbero essere creati e implementati i servizi sociali presenti nel territorio. Questi servizi porterebbero, inoltre, nuova occupazione. Il rapporto dimostra come sia necessaria una svolta nel campo della gestione del welfare italiano. In sintesi quale federalismo è possibile,senza tenuta sociale? Con buona pace di qualsiasi leghista di ogni ordine e grado. Gli stessi leghisti che avevano fatto della “devolution” il loro Must. La stessa Lombardia di oggi, dove operai metalmeccanici rigorosamente padani,che fuori il Pirellone la sede di Regione Lombardia, hanno accolto a suon di uova e insulti il trota, che è sembrato decisamente un pesce fuor d’acqua, per dare risposte dall’alto dello scranno che si trova a ricoprire, sembrando un criceto a bordo di un transatlantico. L’unica cosa che sembra crescere in Italia, sempre la febbre delle scommesse, per la gioia dei monopoli di stato. Per non parlare della gestione dilettantesca dell’emergenza profughi, a Lampedusa, Manduria e nella stessea Pieve Emanuele alle porte di Milano, dove se per ora la bomba ad orologeria sta tenendo è solo merito degli operatori di croce rossa e protezione civile, che da buoni tecnici gestiscono come possono questa situazione,dove centinaia di profughi si ritrovano a vivere nell’ozio di un residence, in un limbo eterno, senza poter nemmeno mettersi sul mercato, e riscattare una situazione che non hanno voluto nemmeno loro, trovandosi parcheggiati in un paese terzo senza voce in capitolo. Ce lo racconta Christian Condemi.

Non lotta di classe: diritto alla decenza

Macelleria sociale, attuazione del piano del venerabile Gelli, iniquità al potere, disuguaglianza per decreto: la manovra estiva del governicchio in castigo è riuscita ad allargare (se ancora fosse possibile) il vocabolario dello sdegno. Eppure oltre la questione finanziaria questo conato estivo per scansare il fallimento ha aperto l’oscenità di una cultura dell’impunità che passa non solo dalle aule giudiziarie ma anche (e soprattutto) dalle ipotesi indecenti e intollerabili che ci vengono propinate con la postura dei buoni padri di famiglia.

La notizia arriva da Venezia e ha come protagonista il presidente di Confindustria Veneto, nonché Presidente di Lotto Sport Italia Spa, Andrea Tolmat che propone una ricetta per uscire dalla crisi semplice semplice: i lavoratori rinuncino alle ferie per aiutare l’economia. Testualmente: «regalando cinque giorni lavorativi all’anno per un periodo limitato, diciamo cinque anni» perché, ci dice, «non bisogna guardare alla singola azienda ma al sistema. Cinque giornate lavorative consentirebbero di aumentare la produttività e la competitività per le imprese, si riuscirebbe ad abbassare i costi dei prodotti, anche ad ampliare le possibilità di aumentare le assunzioni».

Verrebbe da chiederai cosa ne pensano i sindacati (o i lavoratori, meglio, di questi tempi) ma Tolmat ha la risposta ad eventuali critiche: «Teniamo presente che già oggi c’è un numero elevato di giorni di ferie – sottolinea – da 25 potrebbero passare a 20 con sacrificio: non se ne accorgerebbe nessuno». E i sacrifici delle aziende? «Le aziende pagano già il 60 per cento di imposte»: capitolo chiuso.

Agosto 2011, Italia: Giuliano Amato disse nel 1992 “in Italia le misure si riescono a prendere solo quando è crollato il soffitto”, oggi, sotto le macerie (già appaltate), la vera lotta di classe è una resistenza all’indecenza.

Pubblicato anche su IL FATTO QUOTIDIANO

Morti sul lavoro in “sensibile calo”? Magari.

Un bel pezzo di Carmine Tomeo su Agoravox per leggere più a fondo i dati di tutti gli indegnamente troppi morti che non meritano un funerale di Stato e (nemmeno) un’attenzione legislativa. L’Italia delle morti bianche quasi tutte in nero.

Come sempre accade, il rapporto annuale dell’Inail sollecita facili entusiami. Anche quest’anno. Ma non ci sono le giustificazioni reali. Una lettura critica dei dati dimostra che non ci sono stati reali miglioramenti nel 2010, rispetto all’anno precedente.

Come sempre accade, il rapporto annuale dell’Inail sollecita facili entusiasmi. Quest’anno non è andata diversamente. Enfaticamente Marco Fabio Sartori, presidente dell’Inail, ha dichiarato che «per la prima volta dal dopoguerra, nel 2010, la soglia dei morti sul lavoro è scesa sotto i mille casi-anno».

Addirittura il ministro Sacconi ha parlato di «dati incoraggianti», dovuti al fatto che «cresce la cultura della prevenzione malgrado il pressing della competizione». Un modo come un altro per raccontare la favola che si possono aumentare i ritmi di lavoro e ridurre i diritti dei lavoratori, senza causare danni alla loro salute e senza rischi per la loro incolumità.

Ma cosa dice, in sintesi, il rapporto annuale Inail? Mostrerebbe, dati alla mano, un calo degli infortuni sul lavoro e delle morti ipocritamente definite bianche. E’ segnalato nel 2010, rispetto all’anno precedente, un calo degli infortuni di oltre 14mila casi (nel 2009 erano 790.112) e conta 980 morti sul lavoro (contro i 1053 del 2009). A Sartoni e Sacconi pare sufficiente per fare intendere che la strada intrapresa contro gli infortuni è quella giusta. Vediamo se ci sono le giustificazioni.

Intanto sarà appena il caso di citare lo stesso rapporto Inail, il quale precisa che “i dati potranno considerarsi definitivi solo con l’aggiornamento al 31 ottobre dell’anno in corso” e che i 980 morti sul lavoro sono frutto di “stime previsionali”.

Il motivo è che considerando i decessi avvenuti entro 180 giorni dall’infortunio, “le statistiche relative ai casi mortali del 2010 non sono ancora complete”. Ma proviamo ad entrare nel merito dei numeri.

Il “sensibile calo” del numero degli infortuni e delle morti sul lavoro, non ha senso se mostrato solo nei suoi valori assoluti. Trascuriamo in questa occasione il discorso del lavoro nero, una piaga sociale che causa un elevatissimo numero di infortuni e morti sul lavoro: le cifre sono solo stimabili e si può dire che difficilmente potrebbero entrare in un rapporto ufficiale.

Sappiamo però che la crisi economica ha prodotto migliaia di disoccupati e molte migliaia di ore lavorate in meno. Questo dato non può essere lasciato da parte. Come utilizzarlo? Come richiesto da standard riconosciuti, e cioè considerando quanti infortuni sono avvenuti per milione di ore lavorate e quanti per ogni mille lavoratori. Si ha così un dato realmente raffrontabile. Eseguendo questo semplice rapporto, si nota come quei facili entusiasmi di cui si diceva non abbiano ragion d’essere.

Considerando i dati dell’Istat su ore lavorate e numero di lavoratori dipendenti, la fredda statistica racconta che il 2010 ha fatto registrare 25,6 infortuni ogni milione di ore lavorate, praticamente come il 2009 (quando erano stati 25,9). I dati infortunistici non migliorano se messi in rapporto con il numero di lavoratori, per cui,ogni 100mila dipendenti si sono infortunati in 41 nel 2010, come nel 2009. E per ogni 100mila dipendenti, nel 2010 sono morte sul lavoro poco più di 5 persone (5,5 è il rapporto nel 2009). E stiamo prendendo in considerazione i soli dati Inail.

Se considerassimo i dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti per infortuni sul lavoro, che ha contato non 980 infortuni mortali, ma ben 1080, la situazione sarebbe ben peggiore.

Un dato da non sottovalutare è quello delle malattie professionali, troppo spesso messe in secondo piano nelle analisi sulle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. In realtà si tratta di una piaga enorme, che ogni anno, per migliaia di persone significa inabilità permanente al lavoro.

Le malattie denunciate nel 2010 sono cresciute del 22% rispetto all’anno precedente e di queste il grosso (oltre il 60%) è rappresentato da disturbi muscolo-scheletrici riconducibili all’intensità dei ritmi di lavoro. Un dato che dovrebbe rappresentare un monito per i sindacati “complici” (come li definì Sacconi) che hanno firmato gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, che di fatto intensificano i carichi di lavoro e che l’accordo del 28 giugno con Confindustria (ed in questo caso anche Cgil) potrebbe estendere a tutto il mondo del lavoro.

E’ quindi facilmente intuibile che quegli accordi, mentre faranno accrescere le produttività aziendali, favoriranno anche la crescita delle patologie muscolo-scheletriche, creando un esercito di lavoratori con la salute compromessa e scartati spesso dal ciclo produttivo. I costi sociali sono già enormi (circa il 2% del PIL in Europa) e sono pagati dalla collettività.

Non solo: quella delle malattie professionali è una piaga che uccide. Solo per il 2010 l’Inail ha indennizzato 383 casi di morte per malattie professionali, ma “la ‘generazione completa’ di morti per patologie professionali denunciate nel 2010 è destinata, nel lungo periodo, ad attestarsi intorno alle 1.000 unità”, come ammette l’ente nel suo rapporto.

Insomma, «dati incoraggianti» possono essere letti solo con gli occhi di Sacconi, che nel 2008, quando ancora non era ministro, si era affrettato a dare giudizi negativi sul Testo Unico della sicurezza sul lavoro, tra le poche note positive del governo Prodi. La promessa conseguente di colui che sarebbe stato il ministro del Lavoro dell’attuale governo Berlusconi, è stata quella di ridiscutere quel testo normativo. Quella promessa fu mantenuta: il Testo unico sulla sicurezza lavoro è stato praticamente destrutturato nel 2009. Le conseguenze della riscrittura del Testo Unico stanno anche nei numeri che abbiamo citato.

MAVIB, piccole soddisfazioni

 Una mattinata lunga e complessa, che sostanzialmente ha sancito l’impegno dell’azienda a non avviare alcuna procedura di mobilità, mentre a partire dal mese di settembre verrà attivato un nuovo tavolo, sempre nella cornice di Palazzo Isimbardi, per valutare gli strumenti da utilizzare per affrontare il calo delle commesse. Nel nostro piccolo, con gli strumenti a disposizione, siamo riusciti ad ottenere un primo piccolo risultato.

Medioevo MaVib: la crisi la pagano solo le donne

L’azienda licenzia, ma solo donne. “Così possono stare a casa a curare i bambini”, dicono i dirigenti della MaVib di Inzago, produttrice di motori elettrici per impianti di condizionamento. “C’è una totale mancanza di rispetto nei confronti delle donne, che a ben vedere sono la vera forza lavoro di questa azienda – attacca una lavoratrice che vuole restare anonima – Abbiamo anche noi famiglie da mantenere e un mutuo da pagare, alcune di noi mantengono il marito perché disoccupato. Questa discriminazione è agghiacciante”. Ed è agghiacciante che lei abbia dovuto restare anonima.

Io non sono oltre le ideologie

Io sono di sinistra. Della sinistra che sta nell’idea che preserva il suolo, l’ambiente, l’acqua e l’aria come bene comune. Che crede nell’impegno dell’uguaglianza: uguaglianza di possibilità, uguaglianza sociale e uguaglianza nei diritti e nei doveri. Della sinistra che trova inaccettabile questo paese come laboratorio del totalitarismo moderno. Che crede nel valore della laicità e vigila sulla libera professione delle fedi, che coltiva la ricchezza delle differenze, che pretende dignità nel lavoro, che crede nelle leggi come opportunità di convivenza e di tutela, che condanna lo sfruttamento e il mercimonio e che ha una storia di persone e di valori. Così, tanto per chiarire.