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L’appello di LIBERA per la confisca ai corrotti

Una firma importante per un appello fondamentale.

La corruzione minaccia il prestigio e la credibilità delle istituzioni, inquina e distorce gravemente l’economia, sottrae risorse destinate al bene della comunità, corrode il senso civico e la stessa cultura democratica. Per questo motivo raccoglieremo un milione e mezzo di cartoline da inviare al Presidente Napolitano per chiedergli di intervenire, nelle forme e nei modi che riterrà più opportuni, affinché il governo e il Parlamento ratifichino quanto prima e diano concreta attuazione ai trattati, alle convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie in materia di lotta alla corruzione nonché alle norme, introdotte con la legge Finanziaria del 2007, per la confisca e l’uso sociale dei beni sottratti ai corrotti.

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Rassegna stampa

Legge quadro antimafia: sia un comitato di responsabilità

Ha il sapore buono della responsabilità la decisione di oggi in Regione Lombardia di istituire un comitato (di cui faccio parte) che in tempi stretti possa scrivere una proposta di legge quadro sulla questione della criminalità organizzata. Innanzitutto perché nasce da un’idea fresca e senza tatticismi intorno ad un tavolo di prima mattina con i buoni consigli di LIBERA LOMBARDIA e si trasforma in metodo operativo in meno di un’ora nella II Commissione; e poi perché è una visione ancora più ambiziosa del punto di partenza (la nostra proposta di legge 12 presentata il 18 maggio di quest’anno).

Oggi, almeno questo è ottenuto, la mafia in Lombardia esiste e la Lombardia vuole parlarne. I “negazionisti” si avviano, finalmente, ad essere un’ingiustificabile razza in estinzione e sul tema non c’è più possibilità di non parlarne come copertura: una proposta di legge diventa, nei suoi passaggi in Commissione e Consiglio, un percorso obbligato di sì o di no, di dichiarazioni di voto e discussioni a viso aperto. Uno spiffero di consapevolezza e responsabilità sotto gli occhi di tutti.

Eppure questo è il primo passo di un cammino che non sarà né facile né banale: qualcuno giocherà a fare il più antimafioso degli altri, qualcun altro potrebbe essere sospettosamente garantista, qualcuno vorrà allargare tanto perché alla fine non se ne faccia niente oppure potrebbe sbucare all’ultimo momento l’artifizio di qualche leguleio che affossa il passo. Oggi il passo è di quelli che contano: dimenticare (tutti) la casacca di partito e vestire la maglietta della responsabilità.

Strozzi, strozzini e querele antimafia. A 100 PASSI DAL DUOMO comincia il valzer delle carte bollate.

100passi70100Leggo su LA PROVINCIA di domenica 29 novembre l’articolo Show antimafia in tribunale “Assurdo, li denunciamo” (che trovate qui in pdf e riportato in calce) in cui i compagni di partito (PDL) Paolo Galli e Massimilano Carioni parlano di diffamazione perpetrata nei loro confronti con lo spettacolo A 100 PASSI DAL DUOMO scritto da me e Gianni Barbacetto e portato in scena proprio a Varese non molti giorni fa,  promettendo strali e querele.

Ammetto che la buona novella (a cui ormai evidentemente abbiamo esercitato una certa abitudine) mi arriva proprio mentre rimiravo le parole del Presidente del Consiglio che promette “strozzi” a chiunque parli di mafia in Italia senza il bollino di certificazione del Ministero della Cultura Popolare che già negli anni ’30 gestiva la censura teatrale per gli spettacolini di piazza. Quindi oltre a non stupirmi mi deprime per banalità.

Senza entrare nel merito legale della vicenda (che lascio ai miei legali ripromettendomi di esercitare il mio diritto professionale di aggiungere eventualmente una nuova scena allo spettacolo) ci tengo comunque a sottolineare un paio di punti che devo non tanto a me stesso o a Gianni Barbacetto quanto all’onestà intellettuale dello spettacolo e al numerosissimo pubblico che l’ha seguito e continua a seguirlo.

Carioni dice “è assurdo, non siamo mai stati né inquisiti né indagati, nessun magistrato ci ha mai contattato”; e infatti dice bene. Nella messa in scena (che evidentemente non hanno avuto il piacere o il dispiacere di vedere) non si fa riferimento a nessun procedimento giudiziario se non ai “rumors” di un’azione della procura di Busto Arsizio dove il pm Valentina Margio aveva avviato una indagine per droga, che aveva portato a seguire una traccia giudicata molto interessante, tanto da arrivare fino a un imminente interessamento della Direzione Investigativa Antimafia: incontri riservati, che avrebbero potuto configurare un tentativo di infiltrazione malavitoso per appalti. Avrebbero, appunto, perché le verifiche erano in corso e solo con un’indagine approfondita si sarebbe potuti arrivare a un risultato investigativo. Ma l’indagine è apparsa “bruciata” sul nascere da alcune fughe di notizie tanto che, come riportato dall’articolo di VareseNews del 16/09/2008, si ipotizzava addirittura un’inchiesta per rivelazione del segreto d’ufficio, e non è escluso che gli investigatori vogliano andare fino in fondo.

Resta il fatto che, dalle carte dell’inchiesta uscite sulla stampa nazionale, era emerso un primo quadro indiziario che tirava in ballo alcuni politici e un simpatizzante locale di Forza Italia: tra cui Paolo Galli, Massimiliano Carioni e Giovanni Cinque.

Ne parla il quotidiano LA STAMPA in un articolo di Guido Ruotolo del 15/09/2008, e in un pezzo del giorno successivo; ne parla il CORRIERE DELLA SERA in un pezzo a firma di Claudio Del Frate del 16 settembre 2008 e nell’articolo di Fiorenza Sarzanini  LA ‘NDRANGHETA PUNTA AGLI APPALTI DELL’EXPO del 15 settembre, dove tra l’altro si ha modo di leggere uno stralcio delle relazioni della Squadra Mobile di Milano durante gli appostamenti in cui si dice (citando testualmente dall’articolo) «Il primo incontro – scrivono nella relazione – avviene in un bar di Castronno. Con Cinque ci sono Paolo Galli, presidente del Consiglio di amministrazione dell’ Aler di Varese, l’ azienda che si occupa di Edilizia Residenziale e Francesco Salvatore, un imprenditore campano impegnato nel settore dell’ Edilizia e dell’ Informatica. Lo stesso contesto si è ripetuto altre tre volte, ma era presente anche Vincenzo Giudice, 50 anni, consigliere comunale eletto nella lista “Forza Italia Moratti sindaco”»; sarebbe noioso aggiungere il centinaio di siti e blog che sulla rete hanno dato conto della notizia. Certo rimane il fatto che le testate citate, le firme e le fonti non appaiono proprio giornaletti di parrocchia che alimentano malalinguismo.

Ma le fonti più accreditate sono proprio le parole del Carioni che ha dichiarato a proposito di Giovanni Cinque “io l’ho conosciuto a un incontro elettorale. Me lo ha presentato Paolo Galli, il presidente dell’Aler, e mi ha detto che era un sostenitore del Pdl, tutto qua. Poi l’ho visto in qualche occasione” e il suo compagno Paolo Galli che dice “abbiamo partecipato alle iniziative del partito, tutto qua. Gianni Cinque è un nostro sostenitore e il quadro che esce dai giornali, non posso credere sia vero”. Quindi la cena di cui nello spettacolo diamo conto (e non di altro) sembra proprio essere avvenuta. Così come mi appare evidente che debba essere la magistratura a dirci se Giovanni Cinque sia veramente un esponente di spicco della ‘ndrina degli Arena. Il teatro (e più in generale le parole e i fatti) espone al giudizio estetico e morale circostanze e sensazioni per la pancia e le orecchie di un pubblico che ha la propria coscienza e dignità per ascoltare e formare un giudizio senza bisogno di “spintarelle” basse da comizio o messaggini subliminali; probabilmente è proprio il pubblico il nemico numero uno da strozzare.

Il teatro va usato e osato; proprio come la Legge.

Mi lascia qualche dubbio, piuttosto, il fatto che proprio su uno spettacolo teatrale (e quindi sulla parola che entra in circolo e crea relazione) si concentrino le attenzioni legali di persone ripetutamente citate da quotidiani e fonti di informazione come se il giochetto pavido del martello sul chiodo più debole sia una consuetudine da giustificare per l’apparente facilità di esecuzione. Sono assolutamente a disposizione per eventuali azioni legali che potrebbero essere un’ottima occasione per fornire spiegazioni e (soprattutto) ascoltarne, abituato come sono da ormai parecchio tempo a pressioni ben meno civili di una querela che mi hanno portato in dono una vita sotto scorta.

Continuerò a custodire il valore della parola e dei fatti. In teatro e, se servisse, su tutti i campi in cui possa avere la forma di un’azione.

Giulio Cavalli

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la carovana nelle scuole/il caso varese
Show antimafia in tribunale
«Assurdo, li denunciamo»
Galli e Carioni citati sul palco: «Non siamo mai stati indagati»

«A cento passi dal Duomo» anche Varese. E lo spettacolo antimafia finisce in tribunale, con una richiesta di risarcimento danni per diffamazione presentata dal capogruppo del Pdl in consiglio provinciale Massimiliano Carioni e dal presidente di Aler (azienda per l’edilizia popolare del Varesotto) Paolo Galli. Entrambi citati all’interno del monologo sulla mafia al Nord interpretato dall’attore Giulio Cavalli che ne è anche coautore assieme al giornalista Gianni Barbacetto.

LO SPETTACOLO
«A cento passi dal Duomo» il titolo dello spettacolo che cita esplicitamente quello del fortunato film sulla vita di Peppino Impastato che misura in «cento passi» la distanza tra la propria casa e quella del boss Tano Badalamenti. Una distanza troppo breve per ignorare chi è e cosa fa l’esponente di Cosa Nostra. La stessa distanza che separa Palazzo Marino, sede del comune di Milano, vincitore per l’Expo 2015, dal Duomo (di qui il titolo) «e anche dai boss», dice l’attore sul palco, ricordando il pizzo che era costretta a pagare una gioielleria vicino alla Scala. «Mettete che i boss li hanno già fatti quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione», aggiunge Cavalli dal palco dopo aver ripercorso le diverse stagioni della malavita a Milano, dai sequestri di persona allo spaccio di eroina, poi cocaina, e infine i grandi affari nelle costruzioni e i morti ammazzati di Lonate Pozzolo. Ed è a questo punto che cita i varesini Carioni e Paolo Galli che, secondo un’inchiesta giudiziaria emersa nel 2008 e finita nel nulla, avrebbero avuto rapporti, nel senso di «cene elettorali, brindisi e incontri», recita il testo, con l’imprenditore Giovanni Cinque, «esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena».

DIFFAMAZIONE?
«É assurdo, non siamo mai stati né inquisiti né indagati, nessun magistrato ci ha mai contattato. Questa è diffamazione», commenta Carioni raccontando di aver già consegnato tutta la documentazione al suo avvocato di fiducia per chiedere i danni. «Tutto è cominciato da un articolo del Corriere della sera, pubblicato nella primavera del 2008, nel quale si denunciavano gli stralci di un’inchiesta giudiziaria infilando una serie di inesattezze, tra cui anche il coinvolgimento del mio nome – spiega Carioni ? da qui una serie di articoli usciti sulla stampa nazionale e poi lo spettacolo». C’è anche un libro «A Milano comanda la ‘ndrangheta», edito da Ponte alle grazie che cita questa ricostruzione. Ma Carioni si dice sereno: «Ho la massima fiducia nella magistratura, peccato solo che ci vorrà un po’ di tempo per arrivare a sentenza». E ha scelto le vie legali anche Paolo Galli, che sottoscrive quanto dichiarato dal suo compagno di partito e aggiunge: «Sono oggetto di una diffamazione allucinante, io che non ho mai avuto nulla a che fare con la magistratura». E poi aggiunge: «Da quando sono presidente di Aler non ho più avuto contatti con quella persona ? dice con riferimento a Giovanni Cinque ? ma ancora oggi non mi risulta sia mai stato condannato per reati di mafia».

LA CAMPAGNA DI LIBERA
Lo spettacolo «A cento passi dal duomo» dieci giorni fa è stato portato in scena anche a Varese, al cinema teatro Nuovo, inserito tra gli eventi della rassegna «Un posto nel mondo» e patrocinato dall’associazione «Libera – contro le mafie», che ha chiesto al pubblico di sottoscrivere l’appello pubblicato sul sito www.libera.it contro un emendamento alla Finanziaria che modifica la legge sulla confisca dei beni mafiosi, affiancando al riutilizzo sociale anche la possibilità di messa all’asta, con il rischio che siano i clan a riacquistarli, attraverso dei prestanome.
Lidia Romeo

La vendita dei beni confiscati e l'etica in insalata

Calpestare il senso più profondo della legge 109/96 è una vigliaccheria che piuttosto che finire con tante scuse nel lavandino in un momento di impunità (anche culturale) si è presa la briga di diventare legge.

Il riuso sociale dei beni confiscati alle mafie non è un particolare attuativo di un codicillo per collezionisti; quanto piuttosto il profumo fresco di una rapina a cuore armato compiuta ai danni del rapinatore. Se ci fosse la follia di pesare la bellezza in cui galleggiano le leggi, il riuso sociale delle porcilaie mafiose trasformate in castelli dagli stracci dei “guardiani del faro” che spolverano la vergogna sarebbe un fiore da tenere tra i capelli.

Monetizzare la bellezza è un rutto da papponi che mandano sul marciapiede la dignità di una nazione; è “mettere nel conto” il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine e riportare lo scontrino ai boss, coperto e pane incluso; è sedersi sulla tomba di Pio La Torre e bisbigliargli all’orecchio che è stato tutto uno scherzo; è ridurre la cura amorevole e dolorosa di un padre adottivo alle coordinate per un bonifico; è lasciare, ancora una volta, una legge di bellezza a marcire fuori dal frigo.

Ci dovrebbero raccontare perché, in un paese in cui la moralità si conta in biglietti da 100, i beni confiscati non dovrebbero rifinire nelle mani delle mafie. Ci dovrebbero spiegare quando si è deciso che l’etica dei modi e e dei mezzi sia stata abolita senza che ce ne siamo accorti.

Le mafie nella propria pochezza culturale sono sempre state le regine obese al ballo dei simboli e dei segnali; il maxi emendamento presentato dal governo alla Legge Finanziaria che l’Aula del Senato ha approvato a maggioranza il provvedimento che introduce la possibilità di vendere i beni confiscati alla criminalità mafiosa (Emendamento 2.3000, relatore Maurizio Saia, PDL) e che stabilisce che se trascorsi i 90 giorni che devono intercorrere tra la data della confisca e quella dell’assegnazione – previsti dalla legge 575/65 – i beni non sono stati assegnati, essi possono essere venduti è una polka di riapertura verso la criminalità.

Per apparecchiare una tavolata con meno prodotti di LIBERA TERRA, ma per secondo un bel piatto di etica in insalata.

FIRMA L’APPELLO

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