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maschera

Ma cos’è stata Sant’Anna di Stazzema?

Lo racconta un superstite. Enio Mancini aveva 6 anni.

Non avevo ancora compiuto sette anni all’alba di quello splendido sabato estivo; niente faceva presagire ai circa quattrocento abitanti di Sant’Anna e agli oltre mille sfollati che si trattasse di un cupo giorno di terrore e di morte, il giorno del massacro di cinquecentosessanta vittime innocenti, delle quali circa centocinquanta erano bambini sotto i quattordici anni.

Mio padre aveva scorto le colonne naziste che scendevano dai passi montani sui borghi di Sant’Anna.

Prima di andare a nascondersi con gli altri uomini nel bosco, ci sveglio’ e ci invito’ a mettere in salvo la nostra “roba”.

Pensavamo si trattasse di un rastrellamento e temevamo l’incendio delle nostre case, come era avvenuto nel vicino paese di Farnocchia.

Nessuno immaginava che donne, vecchi e bambini avessero a subire violenze.

Poco dopo ecco entrare in casa un gruppetto di S.S., indossavano la tuta mimetica, erano armati fino ai denti e portavano l’elmetto sul capo; notammo che due nascondevano il volto con una specie di maschera e parlavano come noi.

Ci buttarono letteralmente fuori, non permettendoci di prendere nemmeno gli zoccoli e, mentre alcuni con strani attrezzi che lanciavano lunghe lingue d fuoco incendiavano la casa, altri ci condussero sull’aia che dominava il borgo di Sennari.

Li’ trovammo gia’ molte persone, ci addossarono contro un muro di una casa e iniziarono ad installare, su un poggio sovrastante, degli strani attrezzi, tipo treppiedi.

Qualcuno comincio’ a piangere e ad implorare per la disperazione; una vecchina, forse per ingenuita’ o per sdrammatizzare il momento, disse di non preoccuparci che forse stavano per farci una fotografia.

Quando anche la mitragliatrice fu montata e lo sgomento e la paura erano ormai generali, arrivo’ nell’aia un ufficiale tedesco, forse un generale, che imparti’ degli ordini in tedesco: “Raus… Valdicastello”, ripeteva.

Le spregevoli belve con il volto mascherato tradussero: l’ordine era quello di scendere verso Valdicastello.

Al nostro nucleo familiare si erano aggiunti la nonna materna, la zia e gli altri.

Scendendo, passammo davanti alle nostre case, ormai quasi completamente incendiate (si udiva ancora il muggito della mucca rimasta intrappolata nella stalla).

Decidemmo di non ubbidire all’ordine di scendere a Valdicastello, ma di nasconderci nei pressi, con la speranza di poter fare presto ritorno alle nostre case per salvare il salvabile.

Ci nascondemmo in un anfratto naturale che si trovava nella selva, duecento metri sotto casa.

Dopo circa mezz’ora si udirono quelle voci gutturali che si avvicinavano al nostro nascondiglio; lo sgomento fu totale, ci videro, erano una decina, alzammo le mani in segno di resa.

Ci incolonnarono e ci spintonarono lungo il sentiero che portava verso il centro del paese, verso la chiesa di Sant’Anna.

Malgrado le pedate e i colpi coi calci dei fucili nella schiena, si riusciva a procedere molto lentamente.

Alcuni, infatti, erano scalzi ed il sentiero era pieno di rovi e ricci di castagno.

Ad un certo punto decisero di proseguire (sembrava avessero molta fretta), lasciando di guardia un solo soldato che, nel frattempo, si era tolto l’elmetto dal capo; era molto giovane, quasi un adolescente e non ci faceva piu’ tanta paura.

Quando il gruppo dei tedeschi scomparve dalla nostra vista, il giovane soldato comincio’ ad impartirci degli ordini, che non capivamo, ma ci faceva anche dei gesti eloquenti.

Questi si’ erano facilmente intuibili: ci diceva di tornare velocemente indietro.

Salimmo il ripido pendio, si udi’ una scarica di arma automatica che ci fece trasalire, ci girammo di scatto temendo che ci stesse sparando addosso ed invece imbracciava il fucile verso l’alto e sparava verso le fronde dei castagni.

Si continuo’ a salire verso Sennari, mentre sul versante opposto, verso la chiesa, si udivano in un frastuono generale crepitio di spari, scoppi di bombe, tetti di case che crollavano, lamenti di animali che stavano bruciando vivi nelle stalle e poi si scorgeva il fuoco ed il fumo nero che proveniva da ogni direzione, da ogni borgo del paese.

Non ci rendevamo pero’ conto di tutto quello che realmente stava accadendo.

Giungemmo a casa poco prima delle dieci e tutti ci adoperammo per salvare dal fuoco quella parte non ancora completamente distrutta.

Ci sembrava cosa gravissima aver perso gran parte della nostra roba e soprattutto la mucca che, in quel periodo, ci aveva permesso di sopravvivere.

Verso le cinque del pomeriggio, pero’, la tremenda notizia.

Un giovane della borgata, allontanatosi al mattino con gli altri uomini per nascondersi nei boschi e che, al ritorno, aveva attraversato il centro e gli altri borghi, arrivo’ a Sennari urlando, sembrava impazzito: “Una strage! Sono tutti morti! Sono bruciati!” ripeteva.

Lasciammo le nostre case che ancora fumavano per correre verso il centro, verso la chiesa.

Ogni gruppo andava la’ dove abitavano i propri congiunti, i propri parenti.

Passammo al “Colle”.

Ne avevano uccisi diciassette (una ragazza, ferita, ed un uomo anziano si erano miracolosamente salvati sotto il cumulo dei cadaveri).

Arrivammo alle “Case” dove abitavano i nostri parenti: cadaveri sparsi dappertutto, rovine, fuoco e i pochi sopravvissuti impietriti dal dolore.

In una casa, sventrata dal fuoco, su una trave che ancora ardeva – incastrata – una rete di un letto e sopra tre corpi quasi completamente consumati.

Al nero dei tessuti carbonizzati faceva contrasto il bianco dello scheletro; uno dei corpi era piccolo, il corpo di un bambino.

E poi l’odore acre, intenso, della carne arrostita.

Una nonna, per fortuna, riprese noi bambini per riportarci verso Sennari.

Avevamo visto molto, troppo per la nostra tenera eta’.

Una esperienza drammatica che segna per sempre un’esistenza, ma comunque meno tragica di altri giovani ragazzi sopravvissuti nell’eccidio che, feriti o incolumi, videro massacrare i propri cari.

Poi ci fu il dopo, ma quella e’ un’altra storia.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Così marcisce Serracchiani

Il buongiorno di oggi è un pessimo giorno. Debora Serracchiani (ve lo ricordate?) era quella che avrebbe dovuto ringiovanire il Pd, tempo addietro, con spirito fresco e nuovo. Ha raccolto migliaia di preferenze, stupendo tutti (chissà perché il “nuovo” è di per sé un valore, ma questo è un discorso lungo) e ci si aspettava che potesse davvero svecchiare le più vecchie liturgie. E invece no. Anzi: e invece peggio.

Ha cambiato davvero il corso del Pd, ma verso il dirupo della destra mascherata. Basta leggere le sue parole. Ecco qui. Comunicato stampa di ieri (è qui):

Udine, 10 maggio – “La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese”.

Lo ha affermato la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, commentando il tentativo di stupro subìto da una minorenne ieri sera a Trieste da parte di un cittadino iracheno richiedente asilo.

Per Serracchiani “in casi come questi riesco a capire il senso di rigetto che si può provare verso individui che commettono crimini così sordidi. Sono convinta che l’obbligo dell’accoglienza umanitaria non possa essere disgiunto da un altrettanto obbligatorio senso di giustizia, da esercitare contro chi rompe un patto di accoglienza. Per quanto mi riguarda, gesti come questo devono prevedere l’espulsione dal nostro Paese, ovviamente dopo assolta la pena. Se c’è un problema di legislazione carente in merito – ha aggiunto Serracchiani – bisogna rimediare”.

 

(continua su Left)

La mafia con il silicone

Spunti per uno spettacolo:

Una maschera in silicone per garantirsi la fuga. Antonino Messicati Vitale, il presunto boss di Villabate (Palermo), è stato fermato oggi dai carabinieri. Gli investigatori seguivano passo passo i movimenti dell’indagato, che ha sempre amato la bella vita e che i carabinieri bloccarono nel dicembre 2012 a Bali, in Indonesia, dove aveva trovato rifugio poco prima di essere colpito da un’ordinanza di custodia cautelare. Poi erano scaduti i termini e il presunto capomafia era tornato un uomo libero. Messicati Vitale aveva solo l’obbligo di dimora a Palermo, per il quale tra l’altro aveva fatto ricorso chiedendo il trasferimento a Portella di Mare, frazione di Misilmeri. Il provvedimento di fermo, disposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ipotizza i reati di associazione mafiosa ed estorsione.

Messicati Vitale si era dato alla latitanza qualche mese prima dell’aprile 2012, quando con l’operazione Sisma scattarono una serie di arresti nei confronti di appartenenti al mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno. Fu poi rintracciato il 7 dicembre 2012 in un villaggio turistico di Bali, grazie alla collaborazione dell’Interpol. Un anno dopo estradato in Italia e sottoposto all’obbligo di dimora nel comune di Ficarazzi (Palermo.

Il fermo è motivato dagli inquirenti dalla “sua perdurante appartenenza a Cosa nostra, quale reggente della famiglia mafiosa di Villabate, e al pericolo di fuga”. E per gli investigatori è responsabile di un tentativo di estorsione in danno di un commerciante di carni della zona. Per i pm lo spessore del presunto boss è confermato da alcuni collaboratori di giustizia come Stefano Lo Verso, ex autista di Bernardo Provenzano, e Sergio Flamia. Nel 2011 Lo Verso dichiarava: “Nel 2010 durante la detenzione con Comparetto, dallo stesso ho appreso che ‘a Villabate si muoveva Tonino Messicati che era uscito da poco dal carcere e Tonino è un tipo che per il quale andare ad uccidere una persona è come comprare un pacchetto di sigarette…”.  Successivamente Flamia, pentito del clan di Bagheria (alcun suoi verbali sono confluiti nell’inchiesta sul protocollo Farfalla, ndr), ha definito Messicati Vitale “il vero capo del mandamento di Bagheria, un uomo d’onore della famiglia di Villabate molto influente e potente, addirittura sovraordinato a Zarcone Antonino”. Dichiarazioni che, per gli inquirenti, trovano conferme in quanto dichiarato dall’ultimo pentito del clan di Bagheria, Antonino Zarcone: “È uomo d’onore di Villabate. Dopo l’arresto di Giovanni D’Agati ha preso in mano la direzione della locale famiglia e ha anche favorito la latitanza di Gianni Nicchi”, sostiene il pentito, che aggiunge: “Nel 2011 io sono stato affiliato nella famiglia di Villabate anche se dovevo fare parte della famiglia di Bagheria, alla presenza dei fratelli Messicati Vitale, Tonino e Fabio, e Lauricella. Io, Gino Di Salvo e Tonino Vitale avevamo un ruolo direttivo nel mandamento di Bagheria; Nicola Greco era all’oscuro della nostra affiliazione”.

(fonte)

Cronache da Bengodi – Profeti senza vangelo

Dall’apocrifo di P.P.Pasolini
•    Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l’azione e l’utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo. (da Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Mondadori)
•    Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. (da Cos’è questo golpe? Io so, Corriere della sera, 14 novembre 1974)
•    Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù… (dai Dialoghi con Pasolini, settimanale Vie Nuove, n. 42, 28 ottobre 1961)
•    Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre. (dal Corriere della sera, 9 dicembre 1973)
•    Strano a dirsi: è vero che i potenti sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro potere clerico-fascista, ma anche gli uomini dell’opposizione sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro progressismo e la loro tolleranza.
Una nuova forma di potere economico (cioè la nuova, reale anima – se Moro permette – della democrazia cristiana, che non è più un partito clericale perché la Chiesa non c’è più) ha realizzato attraverso lo sviluppo una fittizia forma di progresso e tolleranza. I giovani che sono nati e si sono formati in questo periodo di falso progressismo e falsa tolleranza, stanno paganado questa falsità (il cinismo del nuovo potere che ha tutto distrutto) nel modo più atroce. (Fuori dal Palazzo: p. 96)
•    Chi si scandalizza è sempre banale: ma, aggiungo, è anche sempre male informato. (Processo anche a Donat Cattin: p. 139 LETTERE LUTERANE)
•    L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti.
•    Ho capito di colpo che cosa è oggi il Movimento Studentesco. Esso è un movimento politico la cui ascesi consiste nel fare. È qualcosa di più e di diverso dal pragmatismo talvolta ricattatorio sotto il cui segno il Movimento Studentesco è cominciato: pragmatismo che non trascendeva ancora se stesso in una specie di religione di se stesso: ma era un semplice dato, non privo, nei casi peggiori (il fanatismo per Che Guevara) di vecchia retorica piccolo borghese. Ora, per la prima volta, che io sappia, nella storia il Credere nasce dal Fare: mentre dal tempo della Bibbia, attraverso San Paolo fino ai giorni nostri, il Fare non era che l’altra faccia del Credere.
È da supporsi che un Credere (incondito, rimosso, non affrontato, spregiato) presieda a tutta questa operazione: e che non si tratti che di un ritorno adesso, attraverso la scoperta del Fare (dell’Organizzare). (6 dicembre 1969)
•    La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre: è uno dei canoni di condotta, anzi, il primo canone, della piccola borghesia! Come ci si può vantare della propria serietà? Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo! Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo! (20 dicembre 1969)