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La preghiera dell’odio

Un parroco in un paese della Puglia ha organizzato una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. E la sindaca si è ribellata

Siamo a Lizzano, paese in provincia di Taranto, dove il parroco, don Giuseppe, ha pensato bene di organizzare una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia (il disegno di legge Zan è già stato approvato in Commissione Giustizia) che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. L’oscurantismo del resto va molto di moda tra alcuni leader politici e figurarsi se non prende piede anche tra i parroci di provincia dove con un arzigogolato ragionamento si riesce a mettere insieme la famiglia con l’odio verso i gay: sono quei pensieri deboli e cortissimi che prendono molto piede dove l’ignoranza regna sovrana. Evidentemente per don Giuseppe il suo dio vuole che si continui a odiare e discriminare perché le famigliole possano stare tranquille. Contento lui.

Il punto che conta però è che in molti (per fortuna) si sono ribellati a questa pessima iniziativa e soprattutto la sindaca del paese, la dott.ssa Antonietta D’Oria, pediatra di famiglia, mamma di quattro figli che lavora a Lizzano da trent’anni ed è impegnata in varie associazioni di ambito sociale, ambientale e culturale decide di prendere carta e penna e di rispondere. Potrebbe essere la solita diatriba tra parroco e sindaca ma di questi tempi le parole sono preziose. Ecco la risposta:

“È notizia ormai rimbalzata su tutti i social media che il parroco di Lizzano, il parroco della nostra Comunità, il nostro parroco ha organizzato un incontro di preghiera contro le insidie che minacciano la famiglia, tra cui, prima fra tutte, cita la legge contro l’omotransfobia.
Ecco, noi da questa iniziativa prendiamo, fermamente, le distanze.
Certo non sta a noi dire quello per cui si deve o non si deve pregare, ma anche in una visione estremamente laica quale è quella che connota la attuale Amministrazione Comunale, la chiesa è madre e nessuna madre pregherebbe mai contro i propri figli.
Qualunque sia il loro, legittimo, orientamento sessuale.
Perché, come ha scritto meglio di come potremmo fare noi, padre Alex Zanotelli, quando ha raccontato la propria esperienza missionaria nella discarica di Corogocho, la Chiesa è la madre di tutti, soprattutto di quelli che vengono discriminati, come purtroppo è accaduto, e ancora accade, per la comunità LGBT.
A nostro modestissimo parere e con la più grande umiltà, ci pare che altre siano le minacce che incombono sulla famiglia per le quali, sì, sarebbe necessario chiedere l’intervento della Divina Misericordia.
Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine?
Perché non celebrare una messa in suffragio per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo?
Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi?
Ecco, senza voler fare polemica, ma con il cuore gonfio di tristezza, tanti altri sono i motivi per cui raccogliere una comunità in preghiera.
Certo non contro chi non ha peccato alcuno se non quello di avere il coraggio di amare.
E chi ama non commette mai peccato, perché l’amore, di qualunque colore sia, innalza sempre l’animo umano ed è una minaccia solo per chi questa cosa non la comprende”.

Che bella quando prende posizione, la politica.

Come dice la scrittrice Francesca Cavallo: «iniziative come questa non devono passare sotto silenzio, per il bene di tutti quegli adolescenti che leggono di un’iniziativa come questa e pensano di essere sbagliati. Io sarei potuta essere tra loro».

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La storia di Adnan, il ‘George Floyd italiano’ ucciso a coltellate in silenzio

Adnan Siddique è stato ucciso la sera del 3 giugno nel suo appartamento, in via San Cataldo a Caltanissetta. Viveva in Pakistan, a Lahore, una cittadina di 11mila abitanti con suo padre, sua madre e i suoi 9 fratelli. Adnan era la punta di diamante su cui la sua famiglia aveva investito tutto, tutto quel poco che ha, perché trovasse fortuna. Aveva 32 anni e in Italia lavorava come manutentore di macchine tessili. Era molto conosciuto in città, tutte le mattine passava al bar Lumiere per un caffè e i gestori del locale lo raccontano come un ragazzo pieno di sogni e di preoccupazioni. Quali preoccupazioni? Avere cercato giustizia per un gruppo di connazionali che lavoravano nelle campagne da sfruttati come capita in tutta Italia, da nord e sud. Adnan si era messo in testa di liberare i suoi amici dallo sfruttamento e aveva addirittura accompagnato uno di loro a sporgere denuncia. Troppo, per qualcuno che evidentemente continua a credere che la schiavitù sia qualcosa di cui scrivere e parlare solo quando si svolge lontano da noi. Era stato minacciato più volte e non era tranquillo. Aveva anche denunciato le minacce ma evidentemente non è bastato.

Adnan è stato ucciso con cinque coltellate: due alle gambe, una alla schiena, una alla spalla e una al costato. Quella al costato, secondo la perizia sul cadavere, gli è stata fatale. Sono bastate poche ore anche per trovare l’arma, un coltello di circa 30 centimetri. Ci sono anche quattro pakistani fermati per l’omicidio, un quinto è accusato di favoreggiamento. «Una volta è stato pure in ospedale – racconta la famiglia Di Giugno, titolare del bar frequentato da Adnan – lo avevano picchiato». Jaral Shehryar, pakistano di 32 anni, titolare di una bancarella di frutta e verdura, racconta: «Era bravissimo, gentile, quelli che lo hanno ucciso no. Si ubriacavano spesso. Qualche volta andavano a lavorare nelle campagne ma poi passavano il tempo ad ubriacarsi e fare baldoria». Anche suo cugino Ahmed Raheel, che vive in Pakistan e con cui Adnan Siddique si era confidato, sembra avere le idee chiare: «Aveva difeso una persona e lo minacciavano per questo motivo – riferisce all’Ansa – Voleva tornare in Pakistan per la prima volta dopo tanti anni per una breve vacanza ma non lo rivedremo mai più. Adesso non sappiamo neanche come fare tornare la salma in Pakistan. Noi siamo gente povera, chiediamo solo che venga fatta giustizia».

Il presidente dell’Arci di Caltanissetta Giuseppe Montemagno chiede che «si faccia piena luce sui motivi alla base dell’omicidio di Adnan Siddique e sulla diffusione dello sfruttamento dei braccianti agricoli nelle campagne tra le provincie di Caltanissetta ed Agrigento. Oltre ai responsabili materiali – chiede il presidente dell’Arci – dell’atroce delitto chiediamo agli inquirenti di accertare quali siano le proporzioni del fenomeno del caporalato nel territorio nisseno ed individuare eventuali altri responsabili». Perché la storia di Adnan, al di là di quello che accerterà l’autorità giudiziaria sta tutta nelle pieghe di un caporalato che sembra non avere paura di nessuno, che continua a cavalcare impunito interi settori dell’agroalimentare e che tratta gli stranieri in braccia. Tutti sono solo le loro braccia: le braccia per raccogliere la frutta e la verdura e le braccia da armare per punire un connazionale che ha deciso di alzare troppo la testa.

E in questi tempi in cui da lontano osserviamo gli Usa che si ribellano al razzismo forse sarebbe il caso di cominciare a osservare anche le profilazioni che avvengono qui da noi, dove l’essere pakistano ti relega al campo o sul cantiere senza il diritto di avere diritti, dove una storia di violenza che si trascina da tempo finisce per essere sottostimata dalle Forze dell’ordine e da certa stampa, dove un omicidio non merita nemmeno troppo di finire in pagina perché anche se parla un’altra lingua in fondo parla di noi. Parla tremendamente di quello che siamo.

L’articolo La storia di Adnan, il ‘George Floyd italiano’ ucciso a coltellate in silenzio proviene da Il Riformista.

Fonte

Ma non vi bastano nemmeno le minacce all’Anpi?

L’ultimo nemico del ministro dell’Interno è l’Anpi. Sì, sì avete capito bene: l’Associazione nazionale partigiani d’Italia è considerata nemica del popolo italiano, addirittura negazionista e, dice Salvini, non merita i generosi contributi dello Stato.

A colpire l’Anpi, oltre a Salvini, ci pensa ovviamente Il Giornale che titola “Partigiani con i soldi pubblici: ecco gli incassi di Anpi & Co.” e si lancia in un delirante articolo in cui racconta di «Un’ambiguità che rende comprensibile le ire della Lega e dell’intero centrodestra: mentre l’assessore veneto Elena Donazzan chiede a Mattarella di “valutare lo scioglimento” dell’Anpi, il Carroccio punta a togliergli i (generosi) finanziamenti statali. “È necessario rivedere i contributi alle associazioni che negano le stragi fatte dai comunisti nel dopoguerra”, ha detto il ministro dell’Interno. Apriti cielo».

E non solo: nella migliore tradizione di rimestamento di feci scambiato per giornalismo ci tiene a fare i conti in tasca alle associazioni antifasciste (del resto, non avete mai notato quanti ex partigiani sfrecciano per le nostre città con Ferrari e Rolex al polso?) parlando di «una galassia antifascista davvero variegata». Come se non fosse la Costituzione stessa, antifascista. Come se non fosse la nostra democrazia, antifascista. Come se non fosse, da sempre che il contrario del fascismo che vorrebbero restaurare non sia il comunismo ma piuttosto la democrazia.

Ora ci sarà qualcuno che ci spiegherà che la polemica con l’Anpi è un semplice diverbio. Cercheranno di minimizzare ben sapendo che i topi usciti dalle fogne invece in questi giorni stanno assistendo alla realizzazione dei loro sogni più reconditi.

Il 25 aprile 2016 il presidente Anpi disse: La Resistenza è stata sogno, sacrificio, utopie, vittorie, sconfitte, perdite; giorni belli e giorni difficili. Ma abbiamo resistito e abbiamo vinto. Dunque, vincere si può, anche approfittando di un giorno di festa, per trovare la gioia di stare insieme e provare, insieme, a costruire un futuro migliore: una società più giusta ed equa, dove ci sia più libertà, più uguaglianza, più lavoro, più dignità, per tutti. È un sogno? Ma i sogni si avverano se si sanno compiere le scelte e se si sa gettare tutti se stessi verso l’obiettivo. In fondo, è ciò che volevano i Resistenti, è ciò che volevano i nostri caduti. In loro nome e per i nostri giovani, prendiamo in mano il nostro futuro e rinnoviamo l’Italia, diffondiamo l’idea della pace, della solidarietà; e questo sarà il frutto migliore di un giorno come questo.

Ma non vi bastano nemmeno le minacce all’Anpi per accorgervi di questo tanfo?

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/02/06/ma-non-vi-bastano-nemmeno-le-minacce-allanpi/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Faccio il lavoro più bello del mondo. E non sopporto lo sventolio della scorta.

Anche stasera. A San Didero, che è un comune a forma di gioiello pendente appeso al collo della Val di Susa. Qui dove la montagna è una religione laica da indossare con un certa fierezza. Essere montanari significa avere a cuore la propria terra, qui. La questione TAV non è una disquisizione tra tifosi, qui ti mangia il giardino e, se ti va male, la casa, anche.

Siamo andati in scena con Mafie Maschere e Cornuti davanti a un pubblico che non si aspettava mica uno spettacolo che schiaffasse in faccia quello che non vediamo per stare tranquilli. Qui, anche qui, si aspettavano di vedere “l’animale minacciato”, un tipico esemplare di personaggio televisivo che facesse il triste. E invece no.

In fondo, ci pensavo adesso che sto andando a dormire, faccio il lavoro più bello del mondo: racconto storie e mi diverto nell’appoggiarle in modo inaspettato. Dall’inaspettato, se siamo bravi, si accende la sorpresa e poi la sorpresa partorisce la meraviglia.

Non so dire bene quando mi sono messo intesta di smetterla di fare “l’uomo lupo”, prodotto circense da portare in tournée per sfruttare il filone degli scortati.

Io sono io. Non sono le mie minacce (ho provato a raccontarlo in Santamamma). E ogni volta che qualcuno, sorpreso, mi dice che lo spettacolo è stato un bello spettacolo e che lo spettacolo non ero io mentre lo recitavo mi convinco di avere reso onore al privilegio che mi è capitato: raccontare storie.

E niente. Ve ne sono grato. Ecco. E fanculo le minacce e la scorta. Tutto qui.

 

Buongiorni e eroi (del giorno)

Gli appuntamenti quotidiani per la mia combriccola di lettori diventano due. Oltre al buongiorno per Left (che è qui e viene sfornato tutte le mattine dal lunedì al venerdì) ci si trova anche nel tardo pomeriggio con ‘L’eroe del giorno‘ su Fanpage (più o meno qui).

Oggi si parla di FC Dolo 1909 e la dignità di un presidente.

Per il resto ci si ritrova qui. Giusto il tempo di scrollarsi di dosso le solite minacce e le litanie troppo sapienti che questa volta non permetteremo nemmeno che si accendano.

Buona lettura.

A Corsico in Consiglio Comunale urlano i servetti della ‘ndrangheta

Guardate questo video:

A parlare è Maria Ferrucci, ex sindaco di Corsico, da sempre in prima linea nella lotta alla ‘Ndrangheta. Tra Corsico e Buccinasco la cosca Barbaro-Papalia da anni infesta il territorio e tutti sparpagliati operano i loro piccoli soldati che vigliacchi provano a interferire nel tessuto imprenditoriale, politico e sociale. Nella seduta di consiglio comunale si discute un’interpellanza urgente presentata dalla minoranza (di cui la Ferrucci fa parte) per chiedere lumi al sindaco Filippo Ferrante sulla “sagra dello stocco di Mammola” che un consorzio calabrese avrebbe voluto celebrare in piazza con tanto di patrocinio del comune: sul manifesto della manifestazione oltre ai nomi del sindaco e di un suo assessore compare un referente per informazioni e prenotazioni, Vincenzo Musitano. Peccato che (come scrive bene Davide Milosa qui) «Vincenzo Musitano sia il marito di Elisabetta Perre, figlia di Giuseppe Perre detto ‘u Maistru, padrino della ’ndrangheta di Platì. A questo va aggiunto che il fratello di Vincenzo, Antonio Musitano ha alle spalle 18 anni di carcere per i suoi legami con la coscaBarbaro-Papalia insediata nei comuni di Corsico e Buccinasco. Oggi la Perre è titolare del negozio Musipane, distributore ufficiale dello stocco di Mammola. Qui al 12 di via Montello fino al 2006 c’era un circolo di caccia e pesca definito dalla Procura l’ufficio della ’ndrangheta nel Nord Italia.»

Il sindaco (pensa te) si è distratto e non se n’è accorto e così quando la stampa locale (e poi nazionale) ha cominciato a rumoreggiare lui si è limitato a balbettare qualche flaccida scusa per poi sospendere l’iniziativa. Arriviamo quindi alla seduta comunale in cui le opposizioni chiedono conto di un patrocinio piuttosto inopportuno: la Ferrucci comincia a leggere il testo dell’interpellanza fino al punto in cui dichiara (lo dicono le Procure) che Corsico è “città infiltrata dalla ‘ndrangheta”. Scoppia il pandemonio. Gente che urla, minacce, insulti. Il presidente del Consiglio Comunale è costretto a interrompere la seduta e chiede ai vigili di allontanare alcune persone, qualcuno dai banchi della minoranza chiede che vengano identificati i disturbatori e l’ex sindaca chiede che vengano chiamati i carabinieri. Scrive sempre Milosa: «Chi è tra il pubblico resta scioccato. È il caso di M.R. che spiega: “Due persone adulte stavano dietro di me, e rivolte alla Ferrucci hanno detto: quella va bruciata con la benzina”. E ancora: “Un’altra persona faceva il segno del tagliare la gola”. Gli amici dei boss in aula si sono portati anche la claque costituita da un gruppo di minorenni.»

Sembra di ripiombare negli anni più neri della Lombardia quando prima dell’operazione Crimine Infinito che con centinaia di arresti certificò la presenza mafiosa si aggiravano indisturbati negazionisti (e mafiosi) a urlare sconcertati contro chiunque provasse a parlare del pericolo ‘ndranghetista. Sembra di ascoltare in lontananza gli stessi unti guappi di cartone che credevano di poter irrompere a un convegno (o a uno spettacolo teatrale) puntando il dito contro chi provasse a raccontare la verità.

No, non si tratta semplicemente, come prova a dire qualcuno, di intemperanze: pezzi di mafia godono ancora di un tale grado di impunità da poter interrompere un momento democratico nell’amministrazione di un comune. Quelli sono i servetti della ‘ndrangheta che credono ancora di poter alzare la voce, sono i fiancheggiatori 2.0 di una mafia vigliacca che silenziosa continua a tenere in mano sacche di Lombardia. Ma soprattutto esistono città (e Corsico non è certo un retrogrado paesino di campagna) che concedono a questi picciotti vigliacchetti la sensazione di poter comandare.

Ed è fango, pelo, paura che mi riporta indietro ai miei periodi più neri. Per questo credo valga la pena di stare vicino a Maria e ai suoi compagni. Ma davvero.

Vicino a Paolo

Foto dal sito www.laspia.it
Foto dal sito www.laspia.it

Finalmente arrestato il mafioso Gionbattista Ventura (detto u zu Titta o Titta u marmararu) autore, tra le altre cose, di continue minacce al giornalista Paolo Borrometi. Ed è una bella notizia. Per tutti.

I patetici skin e le loro minacce di cartone

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(il mio buongiorno di questa mattina per Left)

Hanno pensato bene di mettere delle sagome cartonate (come il loro coraggio), immagini funebri e qualche epigrafe contro lo “ius soli” per condannare “il favoreggiamento di un’invasione pianificata di orde di immigrati extracomunitarie”, il tutto in un’operazione notturna (come i vigliacchi che hanno sempre bisogno delle tenebre) davanti alle sedi Caritas di Como, Brescia, Crema, Lodi, Reggio Emilia, Piacenza, Trento, Mestre, Vicenza e Treviso.

L’azione è stata rivendicata dal “Veneto Fronte Skinheads” sul proprio sito in un comunicato stampa che profuma di un fascismo che galleggia tra la tenerezza che si prova per gli idioti e lo sdegno per la latente pericolosità degli stupidi:

(continua qui)

Un paio di considerazioni (cattive) sulle minacce ad Alfano

angelino-alfanoÈ inevitabile che le minacce ad Angelino Alfano creino un’onda di vicinanza così trasversale: in questa Italia del grande partito della nazione con tutti dentro sia da destra che da sinistra ormai anche le reazioni hanno un senso unico maggioritario. Ed è un’ottima notizia l’arresto di alcuni componenti di Cosa Nostra, per di più nella significativa Corleone e con vicino l’ologramma di Totò Riina che certamente conferiscono alla notizia tutta quella bella potabilità internazionale per meritarsi qualche riga anche sui media stranieri.

Andiamo con ordine: l’operazione dei Carabinieri “Grande Passo 3” ha portato all’arresto di 6 persone a Corleone, ritenuti gli “eredi” dello storico boss Totò Riina e “guidati” da Rosario Lo Bue, fratello de più fidato fiancheggiatore di Bernardo Provenzano. Come scrive più ampiamente qui Biagio Chiarello, gli arrestati avrebbero avuto in mente un piano che prevedeva l’eliminazione fisica del Ministro dell’Interno Angelino Alfano da attuarsi duranti uno dei suoi viaggi elettorali in Sicilia.

Fin qui tutto bene. Ma, dicono le carte della Procura, Angelino Alfano doveva essere ammazzato sì perché ha inasprito le condizioni di detenzione al 41 bis, ma anche perché, dice Pietro Masaracchia “chi minchia glielo ha portato allora qua con i voti di tutti… degli amici… è andato a finire là… insieme a Berlusconi ed ora si sono dimenticati di tutti…”. Non bisogna ordire complicate interpretazioni per capire che gli uomini di Cosa Nostra si sentano più traditi che perseguitati. Insomma, in un Paese normale, oltre che la normale vicinanza e solidarietà si assisterebbe per lo meno a qualche balzello simulato dei componenti di Governo leggendo che i presunti (e poco credibili) capi di Cosa Nostra esigerebbero un credito dall’attuale Ministro dell’Interno della repubblica Italiana. Non è forse questa la notizia che stordisce più di tutto il resto? Delle due l’una: o i picciotti cortonesi sono dei mitomani millantatori (e questo è un bene per la sicurezza del Ministro) oppure sono credibili in tutte le parti dei loro discorsi (e questo è un male per il Paese). Tertium non datur.

(continua qui)