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minacce

Eppure “ammazzare” è una parola di uso fin troppo frequente.

Scrive Enrico Colaiacovo nel suo blog:

Non so se la intenda così, ma a me sembra che tutti noi possiamo dare un duplice contributo alla sua sicurezza (e spero anche alla sua serenità) e alla continuazione del prezioso lavoro che sta facendo. Da una parte far capire a chi deve capire che colpire lui significa colpire un’intera comunità. Dall’altra propagare e amplificare lo spirito di #scassaminchia che anima la sua arte e la sua passione civile, cioè la ragione dell’odio che la criminalità gli riversa contro.

Sì la intendo proprio così, Enrico.

Non dire mai grazie

Stamattina mi sono alzato con la voglia di ringraziarvi. Non si usa, anzi si usa poco, di solito a fine serata per gli sponsor o qualcosa del genere ma quando questa mattina ho aperto gli occhi, nel letto, pensando a quanto sono riuscito a stare leggero (per niente a galla, ma con il timone saldo, direi, piuttosto) in questi giorni, ecco, ho pensato che di solito non mi prendo mai il tempo e il modo di ringraziare. È una deformazione professionale, forse, che mi fa rincorrere i “cattivi” e vorrebbe convincermi a sospettare anche di tutti i “buoni”. Ho sempre fatto fatica a togliermelo il vizio, del resto. Voglio ringraziare quelli che mi stanno scrivendo, voglio ringraziare amici che mi hanno sostenuto con preoccupazione e azione, soprattutto facendo quello che per ora si può fare aspettando i riscontri, la magistratura e tutto il resto. Voglio ringraziare le associazioni, i comitati e i politici (sì i politici, tu pensa, eh) che stanno interrogando le istituzioni e voglio ringraziare i ragazzi della mia scorta che dividono questa aria pesante che non si affetta ma purtroppo si moltiplica per le persone che la devono respirare in giro. Voglio ringraziare il mio lavoro (il palco e la penna) che sono il mio porto con le sponde sempre alte e voglio ringraziare chi mi sta vicino che mi divide (lei sì, senza moltiplicazioni) il peso. Ed è più facile.
Sarebbe bello che tornasse di moda la gratitudine, sarebbe un mondo terribilmente solidale, con meno isole, meno solitudini e molto più forte. Anche contro le mafie.

Sono risalito subito a cavallo

BRF4iu5CIAEqXtkCome quel proverbio che si ripete dopo la caduta. E allora ieri sera sono risalito immediatamente sul meraviglioso palco del Festival dei Tacchi degli amici di Cada Die Teatro. E mi ci sono sentito benissimo perché è la mia casa, il posto dove voglio stare, la parola in cui mi riconosco e mentre ascoltavo il religioso silenzio del pubblico che sorrideva delle bassezze, delle brutture e degli ebetismi di questa mafia che sarebbe così patetica se fosse isolata mi sono sentito bene.

Non mi lascio schiacciare dal fastidio, non accetto di imbruttirmi in questa cattiveria che mi continua a bussare offrendosi di difendermi.

(la foto è di Michela Murgia)

‘Ecco come mi uccideranno’: il mio pezzo per L’Espresso

da L’ESPRESSO

All’inizio arriva lo straniamento. E’ questione di qualche secondo. Sentirsi estraneo al resto del mondo, apolide, anaffettivo per difesa, come per ingoiare tutto senza lasciare briciole che possano ferire quelli che ti stanno vicino. Poi aspetti che si posi la povere. E arriva tutto il resto: cerchi che si chiudono, densi come lava.

Sono anni che so che qualcuno mi vuole male, anzi, sono anni che so bene che qualcuno mi vedrebbe volentieri morto. Lo so io, lo sanno quelli che mi accompagnano con la pistola in tasca e non avrebbero mai pensato di farlo in un impolverato camerino teatrale e lo sanno quelli che ci vivono, bene o male, con me.

Ma le parole del pentito Bonaventura hanno uno scatto in più: scrivono la sceneggiatura di ciò che sospettavi, fissano i luoghi, i dialoghi, i tempi e i modi; come se da anni sapessi di fare parte dello spettacolo, e in ritardo solo ieri mi è arrivato il copione e la sceneggiatura non mi piace per niente.

Delegittimato prima che ucciso: questo è il comandamento laico che dovremmo tenere a mente. Totò Riina ai suoi diceva che “quello lì deve finire mascariato” quando si doveva togliere di mezzo un nemico scomodo.

Mascariato, delegittimato, isolato, sospettato per essere lasciato senza le difese delle relazioni oltre che delle scorte, è il metodo che in questa italietta sempre più prepotente si usa nell’antimafia ma anche nel lavoro, nella politica e nelle relazioni sociali.

Un’esibizione di prepotenza scambiata per potere che funziona grazie al mito della durezza e alle convergenze inconsapevoli degli utili idioti: così diventa facile essere intolleranti con le fragilità e al servizio del signorotto di turno.

Non mi sembra solo questione di mafia, qua, no, per niente: è il federalismo delle responsabilità che ha voluto insegnarci che la solidarietà è un vezzo troppo democratico che non possiamo permetterci per non mettere in pericolo le nostre posizioni di rendita e il futuro dei nostri figli.

Dietro la delegittimazione che avrebbe dovuto ammazzarmi prima di ammazzarmi c’è un vizio sociale, mica solo mafioso, e per questo alle mafie funziona perfettamente. L’ho vissuta in tutti questi miei ultimi anni, la delegittimazione, ogni mattina, che ti arriva insieme alla colazione, nel ruolo del minacciato: esposto al cannibalismo perché dovrebbe fare parte dei giochi, mi dicono.

Ma forse varrebbe la pena, forse, al di là del film che in questi giorni mi hanno cucito addosso, riflettere sul metodo che prende piede solo perché intanto stiamo perdendo la capacità della critica, di costruire una chiave di lettura collettiva, di darci da fare per un’alfabetizzazione sociale sulle mafie che non stanno più al sud o lì dove ce le hanno sempre raccontate e non hanno i capi che ci propinano in tivvù ma sono nello scontrino del nostro caffè al bar sotto casa che continua a cambiare gestione, sono nella verdura degli ipermercati così vicini che non hanno abbastanza clienti eppure stanno in piedi lo stesso, stanno nel miracolo dei rifiuti che hanno trasformato la merda in oro e sono il banchetto più ricercato, stanno nelle case incessantemente costruite e desolatamente invendute che trasformano le periferie in cimiteri senza elefanti, stanno in un mercato in cui qualcuno vince sempre perché non ha bisogno di guadagnare soldi ma spenderne per ripulirli.

E così intanto a perdere sono il talento, lo studio, la meritocrazia e tutte quelle altre cose che giocano con le regole che non reggono più.

Poi c’è l’omicidio travestito da incidente. E anche a questo siamo abituati, no? Al Paese dei morti che sono stati suicidati e subito alla svelta tutti a chiudere il caso: come si impacchettano le verità qui da noi, nemmeno al ristorante con il pesce. L’omicidio è una conferma. Conferma dolorosa, sì, ma stava nell’aria.

Dicono i De Stefano, i Papalia e i Tegano che sono uno “scassaminchia”, pensa, succede che basti raccontare per scassare la minchia, così poco, sono talmente smutandati senza il loro solito silenzio tutto intorno per favorirne l’immersione che una parola dietro un sipario li rende subito stupidi e nervosi.

Uno scassaminchia, sarebbe da scrivere sulla carta d’identità come professione. Professione nel senso più antico e decoroso: prefessare ideali nel proprio lavoro e nella propria cittadinanza, lì nei doveri dove su certi temi non esistono contratti a progetto o precariato, anche se l’hanno capito ancora in troppo pochi.

Ti vogliono ammazzare, Giulio. Mi arrivano i messaggi e la solidarietà. Le preoccupazioni, i rodimenti e gli auguri (che non si dovrebbero fare ad un attore). Hai paura? No, non rispondo, gli arlecchini non devono mai prendersi troppo sul serio. Mi investiranno? Impossibile: tutta questa gente intorno è la mia isola pedonale. Mi screditeranno? Possibile, ci divertiremo un sacco a sgretolare tutto questo onore che è solo una metastasi della paura.

E quindi? Quindi c’è un articolo della Costituzione (messa così male, ultimamente) che è l’articolo 4 e dice: Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Insomma non essere scassaminchia è anticostituzionale, eh.

#untweetpergiulio Grazie

Sono giorni piuttosto intensi per quello che succede, per quello che si scrive e per quello che si legge. Ora voglio ringraziarvi. Ma tutti. Con le braccia così aperte che non basterebbe nemmeno un palco a contenerle. E senza cadere nella malattia di puntualizzare e recriminare. Lo farò rispondendo a tutti. Uno per uno. L’importante ora è che si garantisca sicurezza a me e al collaboratore Luigi Bonaventura (che è la chiave di questa storia), poi aspettare i riscontri e magari riuscire a fare qualche passo decisivo sulle responsabilità. Perché lo sappiamo da tempo che qualcuno mi vuole male ma ora siamo vicini a capire “come”.

Voglio ringraziare quelli che sono scesi per strada con me e per me in tutti questi anni, quelli che lo stanno facendo oggi, il web che mi permette di sentirvi così vicini e voglio ringraziare quelli che vicini ora mi sono anche fisicamente e che stanno sopportando tutto questo e me in tutto questo (che già sono brontolone di natura e figuratevi in questi giorni). Voglio ringraziare gli amici che hanno corso per portarmi un bicchiere di vino senza nemmeno bisogno di parlarci e voglio ringraziare Miriana che mi ama fortificandomi e aiutandomi a non prendermi mai troppo sul serio.

Ora ci si mette al lavoro. Aspettiamo di sapere la reazione delle istituzioni. Si continua a raccontare come possiamo. Cerchiamo di unire i puntini. Ostinatamente. Come gli scassaminchia, eh.

‘Ndrangheta, Ingroia: “Per il pentito Bonaventura sia mantenuto un alto livello di protezione”

Giulio Cavalli sempre più nel mirino della ndrangheta. Lo ha rivelato, in una intervista esclusiva con Fanpage.it, il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura. E l’ex magistrato Antonio Ingroia commenta:
“Le organizzazioni mafiose hanno la memoria lunga, spesso è lo stato che ha la memoria corta. Bisogna tenere sempre la guardia molto alta, gli uomini esposti sono tanti, non solo nella magistratura ma anche nel mondo dell’informazione, della cultura e della politica. In una situazione del genere il pericolo si diffonde, si guarda anche chi denuncia e bisogna tenere in considerazione altri pericoli. Non sono a conoscenza delle modalità di protezione di Bonaventura, certo tocca alle autorità preposte farlo ed è bene che sia tenuto una alto livello di protezione”

Minacce ‘ndrangheta, Sonia Alfano: “Pericolo imminente, più protezione per Cavalli e Bonaventura”

La ‘ndrangheta voleva uccidere Giulio Cavalli, E’ quanto testimonia in esclusiva a Fanpage Luigi Bonaventura, pentito della cosca Vrenna-Bonaventura. Per l’europarlamentare Sonia Alfano il pericolo c’è ed è imminente: “Mi auguro che venga immediatamente verificato dalle autorità competenti quanto dichiarato da Bonaventura, e se corrisponde al vero innalzare il livello di protezione nei confronti di Giulio Cavalli, per il pericolo imminente per la vita di Giulio e per la vita della sua famiglia. Alla luce della spending review sarebbe opportuno tagliare la scorta a politici e giornalisti e altre personalità che godono di tutele sembra più per accompagnamento che
per motivi di sicurezza e darla o innalzarla, nel caso di Cavalli, a persone che rischiano. Le autorità competenti devono verificare immediatamente e agire anche nei confronti di Bonaventura”.