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minacce

Il multilevel marketing della mafia

Eh niente, Francesco in questi giorni è più lucido di me:

Bene.
Veniamo ad oggi, per spiegare terra terra due cose e per dare, a chi non conoscesse queste situazioni, una misura il più possibile aderente alla realtà di quello che succede.

Innanzitutto si è portati a pensare che in questo mondo, quello di mafia, antimafia, scorte e minacciati, ci sia una bella distinzione netta, tipo bianco e nero, o (meglio) buoni e cattivi.

In Italia niente è netto, tutto è sfumato, soprattutto questo.

Le Mafie, come scrissi proprio con Giulio in uno spettacolo di tanti anni fa, è un “multilevel marketing”. Ma dove generalmente questa forma di lavoro è una fregatura per chi viene tirato dentro a “vendere”, in questo caso la fregatura è per noi che ne siamo fuori. Orgogliosamente fuori, aggiungo.

Il post (da leggere) è qui.

Vorrebbero sparare con il dubbio ma non ne sono capaci

La delegittimazione è l’arma del duemila, buona per ogni evenienza e applicata nelle sue due modalità: urlata o sotto traccia. “Mascariare” diceva Totò Riina, isolare, insinuare, rendere poco comprensibile, mescolare e coltivare il dubbio.

Starci dentro all’inizio è poco salutare: imbruttisce. Io mi sono incattivito e imbruttito moltissime volte in questi miei ultimi anni, ho ascoltato antimafiosi più mafiosi dei mafiosi, ho visto politici dal profilo accattivante impaurirsi per il terrore dell’inopportunità, ho conosciuto (e conosco) “buoni” che invece di nascosto parlano con i cattivi, cronisti d’inchiesta con invidie da sciantose e vezzi da vecchie suocere, ho incrociato abili banalizzatori e analisti fallimentari. C’è di tutto nella delegittimazione, quasi ti rincuora che almeno i cattivi di sicuro sono cattivi.

Le parole del pentito Bonaventura non sono ancora state riscontrate in nessuna Procura. Anzi, le parole del pentito Bonaventura erano già state dette e mai approfondite. E forse (udite, udite) non è nemmeno il solo a sapere. Pensa che sorpresa.

I puntini che Bonaventura mette insieme (che sia vero o no, che me lo dicano chi di dovere senza bisbigliarlo a nostra insaputa alla macchinetta del caffè della Redazione) sono fatti che comunque ho vissuto: pezzi di questo Stato sono in contatto con la criminalità organizzata. O abbiamo il coraggio di partire da qui o lasciatemi stare perché voi state giocando ad un altro gioco: il monopoli degli antimafiosi allo sbaraglio che scoperchiano gli esecutori e mai i mandanti.

Io so.

So che la gravità di questa situazione non è l’allarme di Bonaventura ma il mio diritto calpestato di subirne l’effetto senza che nessuno dia una risposta garantita.

So che pezzi istituzionali (so i nomi, so i cognomi) stanno giocando sulla “non credibilità” del pentito senza avere il coraggio di metterlo per iscritto.

So che gli informatori che servono alle mafie stanno informando come vorrebbero le mafie. E così escono particolari appena accennati su eventuali miei “errori” che non vengono mai raccontati. Per infilare il dubbio con un’informazione che teme i dubbi quasi più dei fatti. So chi sono, so perché lo fanno e so qual è il gioco “grande” che ci sta dietro.

So che piccole persone dall’animo piccolo si rotolano in tutta questa polvere per piccole vendette personali e non hanno nemmeno la faccia di non sorridermi quando mi incrociano.

So chi sono i pezzi della “classe dirigente” istituzionale e militare che stanno tremando per eventuali approfondimenti. So bene chi sono i politici che potrebbero essere collegati a questa storia, li tengo sempre a mente sulla punta delle dita.

So che le mafie sono un problema politico. L’ho imparato fin da piccolo. E che la politica ci è dentro fino al collo nelle responsabilità di considerare scassaminchia qualcuno convergendo (pur con altri stili) con i cattivi che almeno non fingono di non essere cattivi.

Io so che alcuni particolari svelati dal pentito Bonaventura erano di mia conoscenza già da mesi. Lo so io, lo sa chi ha verbalizzato e anche quelli che hanno finto di farlo e poi nascosto tutto. Anzi, adesso lo sanno anche loro.

So quali prefetture, quali altri graduati non avranno risposte convincenti su domande che galleggiano da anni. E che ora sono tema d’indagine.

So che minimizzare superficialmente è ciò che di meglio la mafia si aspetta e puntualmente arriva.

So, non è nemmeno difficile, capire la linea che porta dai De Stefano nella lontana Calabria a Buccinasco, Corsico, EXPO e qualche ex assessore. L’ho recitato e scritto. E’ tutto lì e continuerò a parlarne ancora più forte.

So anche che chi doveva raccogliere il mio invito lo sta facendo (i buoni) e ora vale la pena preparare il racconto di chi sembra zitto e invece parla con chi non dovrebbe.

E so che un pezzo non condizionabile di questo Paese ha il cuore pulito e la voglia di rialzare la testa.

Lavoriamo sodo, lavoriamo fitto.

(Qui la petizione, se avete un minuto, eh)

I grazie convenienti

Avvertenza: è un post politico.

Mi dicono che si dovrebbero ringraziare solo i nomi che convengono. Omioddio. Che stortura.

In questo mese ho sentito:

Pina Picierno che si è attivata in Prefettura e al Ministero.

Lele Fiano che mi ha chiamato rubando tempo anche alla sua vacanza per la situazione.

Pippo Civati, come sempre, ma Pippo prima di tutto è un amico.

Gian Antonio Girelli, Presidente della Commissione Antimafia (?!) del Consiglio Regionale della Lombardia.

Oltre (ovviamente) agli amici di sempre come Sonia Alfano, Luigi De Magistris.

L’associazione TILT ha rilanciato in rete l’allarme.

Gianmarco Corbetta del M5S (è tra i commenti).

Poi molti altri, ovvio, che sicuramente dimentico. Ma che sono stati chiamati piuttosto che chiamare (oddio come sono puntiglioso).

Ah: forse siamo vicini alla soluzione finale grazie al pressing di Ivan Scalfarotto.

Ora rileggete con calma i nomi di chi mi ha dato una mano e ponetevi un quesito, politico.

(Dimenticavo: Fare Fermare il Declino, gli amici di Fiumicino,  si stanno dannando. Il quesito s’ingrossa.)

Chiedere qualcosa di normale

Francesco spiega in due parole. Non avrei potuto farlo meglio:

Quando una petizione online può essere utile?
Secondo me quando non si insegue una chimera, ma si ha un obiettivo normale.
L’obiettivo è quello di pensare di vivere in un Paese dove se un boss pentito e collaboratore di Giustizia rilascia ben due interviste dove dice che le cosche ‘ndranghetiste, con la complicità anche di una parte di politica lombarda, tramano per l’annullamento della scorta e l’eliminazione di un uomo di Cultura, le istituzioni diano una risposta immediata.
Le parole di Bonaventura vanno verificate, questo dovrebbe essere normale e penso che sia normale chiederlo.

La petizione è qui:

http://www.avaaz.org/it/petition/Risposte_immediate_sulla_sicurezza_di_Giulio_Cavalli/

Basta parole: ora salvatemi

Il mio intervento per L’Espresso:

Questa mattina mi sono svegliato leggendomi nelle parole del pentito Luigi Bonaventura che parla di politici lombardi informati del piano che avrebbe dovuto uccidermi.

Un’altra volta: un mese fa sempre l’ex boss della cosca Vrenna-Bonaventura di Crotone aveva descritto minuziosamente il piano che avrebbe dovuto uccidermi.

Un mese fa mi era scoppiata in mano la paura, pensavo di esserci abituato e invece no: la paura ti scoppia in faccia ogni volta con una forma diversa e non riesci proprio ad abituartici, forse meglio così.

Ma leggendo le parole di Bonaventura oggi (e ascoltandolo) mi si accende la rabbia. Rabbia vera, rabbia da scassaminchia nella rilettura di questo ultimo mese di solidarietà come popcorn mentre si proietta il nulla.

Luigi Bonaventura è un collaboratore di giustizia ritenuto “altamente affidabile” dalle Procure di mezza Italia. Ora decide di svelare un disegno che è mafioso ma anche politico per l’eliminazione di qualcuno (lasciamo perdere che sia io, non è importante, ora) e richiama dati, persone e luoghi che sono facilmente riscontrabili davanti ad un magistrato.

Oggi Bonaventura ha anche dichiarato di essere pronto a giocarsi la propria credibilità con queste sue affermazioni e si dichiara disponibile ad uscire dal programma di protezione nel caso in cui non siano riconosciute veritiere.

In un Paese normale (ma noi non siamo un Paese normale) in questo ultimo mese l’ex boss sarebbe stato trascinato davanti ad un magistrato per dire tutto quello che sa (e tutto in un colpo solo, magari) e ci avrebbero già detto se è folle, sincero, manovrato o coraggiosissimo. In un Paese normale, certo: in questo ultimo mese ho incassato solidarietà, tanta, come se piovesse, e più di qualcuno mi dice che dovrebbe bastarmi così.

E invece no, grazie, grazie no, la solidarietà non è affar di Stato ma è movimento di società civile che pretende risposte: rivendermela come una risposta che mi dovrebbe bastare è un gioco da pacchisti di altri tempi.

Non me ne frega più niente a questo punto della solidarietà, non mi serve più avere le pacche sulla spalla come un frate missionario che ha fatto voto di ‘pericolo’ e va rispettato anche solo per questo, basta, no, grazie: ora voglio sapere se il ministro Alfano, la destra, la sinistra, il Movimento 5 Stelle, il governatore Maroni, il ‘lombardo’ Ambrosoli e tutti quelli che hanno ruolo politico in terre interessate da questa storia hanno intenzione di fare qualcosa.

Qualcosa di più di una telefonata perché quella no, non mi protegge dagli attentati.

Vorrei capire se ancora non abbiamo capito che il silenzio è il foyer perfetto per la tragedia e davvero non abbiamo imparato che il silenzio è complice.

Se succederà qualcosa sarà colpa dei silenti. Se Bonaventura arriverà in ritardo con l’appuntamento dei riscontri dovuti o se dovrò perderci la testa dietro a questa paura.

Ditemi che rischio e mi difendete o che il pentito è un bugiardo: il resto è per i ciarlatani.

Non mi interessa essere un eroe, mi interessa riconoscere uno Stato organizzato, non solo organizzata la criminalità.

E’ troppo?

Per me, i miei famigliari e i miei figli è il minimo indispensabile. “Agibilità sociale”, direi, se serve un buon titolo per i giornali.

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Da LINKIESTA: Giulio Cavalli e gli «amici politici» delle cosche

L’articolo di Luca Rinaldi per LINKIESTA:

Le parole dei collaboratori di giustizia, per quanto dichiarati affidabili dalla magistratura, sono sempre da prendere con le molle. Il passo da fare è quello di verificarle e di chiedere conto a coloro che sono tirati in ballo dalla dichiarazioni dei cosiddetti “pentiti”. Ecco, appurato che verificare i riscontri alle parole dei collaboratori è in primis un compito che spetta a magistratura e investigatori, chissà cosa avrà da dire la politica lombarda sulle ultime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura.

Bonaventura non si è mai fatto mancare l’aspetto mediatico sulla sua vita da pentito “usato, abbandonato e sotto tiro” e l’attendibilità delle sue dichiarazioni è stata più volte riscontrata. Nelle ultime settimane il collaboratore di giustizia affiliato alla cosca Vrenna di Crotone ha rilasciato più di una intervista al sito Fanpage in cui la ‘ndrangheta avrebbe progettato di far tacere in qualche modo l’attore, regista e autore teatrale, nonchè ex consigliere regionale della Lombardia Giulio Cavalli. Uno che di mafia in Lombardia parlava nei suoi spettacoli quando il tema era ancora tabù e che per questo motivo finì sotto scorta nel 2009.

Insomma, Giulio Cavalli, come ripete anche Bonaventura era uno “scassaminchia” e come tale minacce e intimidazioni erano per lui diventate compagne terribili. Nel 2010 si candida alla Regione Lombardia e viene eletto come consigliere regionale, negli stessi periodi in cui i cittadini lombardi (ri)scoprono di avere la mafia in casa e anche in politica. Una politica che non disdegna di elemosinare voti agli appartenenti alle organizzazioni criminali, che di certo non ce l’hanno scritti in fronte, ma che, per citare Ilda Boccassini, basterebbe fare una ricerca su Internet per avere notizie sul loro conto.

Nelle intervista rilasciate a Fanpage Bonaventura parla prima di un progetto per mettere Cavalli a tacere da parte del clan dei De Stefano, tra i clan che comandano in Calabria e anche in Lombardia, e in ultimo lo stesso collaboratore di giustizia aggiunge che «la politica lombarda sosteneva la ‘Ndrangheta». Frase un po’ ad effetto, che non condita da nomi e cognomi dice tutto e niente. «Questa qui è anche la volontà di amici nostri politici», riferisce Bonaventura usando le parole dei De Stefano.

Circostanze dunque tutte da verificare, ma che non stupirebbero nemmeno poi più di tanto: il pentito glissa su nomi e area politica «su questa domanda preferisco non rispondere perché la mia posizione non è molto sicura. Preferisco riferire ai magistrati». Ancora nessuno però si è fatto vivo alla porta di Bonaventura da quando ha rilasciato queste dichiarazioni su Giulio Cavalli. Lo stesso si dice scioccato: «dal fatto che nessuno sia venuto a raccogliere queste informazioni che sto rivelando nessuno mi ha sentito su questa vicenda, dovrebbe essere il minimo ascoltarmi, mettere sotto protezione me e le informazioni. Sembra che mi stiano lasciando qua, aspettando cosa? Che io muoia e con me le informazioni? Oppure che venga spinto a ritrattare?».

L’augurio è quello che qualcuno tra i magistrati e gli investigatori si premuri di verificare le dichiarazioni di Bonaventura, e allo stesso modo, che se qualcuno al Pirellone, o tra gli ex del Pirellone ne sa qualcosa parli. Perché se «gli amici politici» dei De Stefano avevano intenzione di mettere a tacere Giulio Cavalli con l’aiuto della ‘ndrangheta sarebbe bene saperlo. Hanno qualcosa da dire in proposito? Qualcuno che è saltato sulla sedia credo ci sarà, altrimenti non avrei potuto raccogliere inchieste e reportage sulla mafia in Lombardia in questo eBook. Inutile dire intanto della vicinanza che va a Giulio Cavalli, anche e soprattutto, per non aver mai accettato quel comodo ruolo della vittima con i riflettori puntati addosso.

Non voglio imparare ad avere paura

Oggi a Roma c’era il caldo torrido. Il caldo torrido che entra di gran lena nella scena delle parole precostituite come fioreamore o pioggiatorrenziale o macabrascoperta. In realtà forse non era nemmeno torrido ma sono piuttosto abbastanza torrido io ogni volta che tiro la testa fuori dalla porta di casa con tutte queste notizie di morti ammazzati che mi dovrebbero ammazzare e alla fine non riesco nemmeno a farci il callo. Sarò pavido, o forse, semplicemente fatico a diventare abitudinario.

Ho percorso qualche metro, lo ammetto, qualche metro, dal confine della proprietà privata di me stesso e quel limite da cui poi devo consegnarmi alla protezione del mio stato. Roba da film russo, se ci pensate, scritto così. Ma a viverla non ha il sapore dello spionaggio, no, quanto piuttosto il peso dell’obbligo della lista della spesa: mi sento come uno di quei pensionati che ogni mercoledì esce con il foglietto scritto dalla moglie e non può fallire nemmeno un prodotto per sopravvivere, solo che c’è la mia vita, in fondo, nella mia lista della spesa, eh.

Ora vi racconto quanto gli spaventati cronici vedono l’epica nelle cose inutili. Almeno per togliersi di dosso il mito, che proprio mi è insopportabile per anarchia naturale, il mito. Oggi esco dal recinto naturale non bonificato e noto un’auto che avevo notato ieri, l’altro ieri, l’altro altro ieri e l’altro l’altro l’altro ieri: notare le auto parcheggiate fuori casa è una malattia. Una mania. Una stortura da perditempo con tanto tempo a disposizione per coltivare le storture. Lo scrivo senza poesia: avere paura ti trasforma in un maniaco dei particolari, in un ossessionato guardaspalle di te stesso e in un sospettoso cronico.

Rischio tutti i giorni di diventare una persona peggiore. Mi salvano i miei figli, i miei amori e l’obbligo di concimare l’orto dei miei sorrisi. Io non voglio imparare ad avere paura, non voglio convincermi che sia una convivenza forzata nella gioia e nel dolore, no. Non voglio nemmeno spendere centimetri di occhi per memorizzare i colori del parcheggio sotto casa. Voglio sorridere come questa sera in cui mi ripenso a centellinare le targhe come i brontoloni, quelli tutto il pomeriggio appesi alle reti dei cantieri. Sono vivo, smutandando il mito gonfiabile con incollata la mia faccia.