Vai al contenuto

mio padre in una scatola da scarpe

Parla che ti passa

GIULIO1Mi avevano avvertito: quando scrivi un romanzo non succede mica come succede con gli spettacoli teatrali e le inchieste, perché il romanzo va. Parte per strade impensabili, ha delle regie di lettura che ti sorprendono.

Così, ieri, mentre ci si apparecchiava per l’uscita in tutte le librerie del mio romanzo ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ vedere cosa hanno pensato i ragazzi di diverse scuole per urlare il proprio no contro l’omertà e il silenzio è stata una sorpresa piacevolissima. Eccoli qui:

La mia intervista a Radio24 sull’uscita del mio romanzo “Mio padre in una scatola da scarpe”

CAVALLIGiulio Cavalli è un attore e uno scrittore che combatte le mafie attraverso l’utilizzo della forma artistica e delle parole.
Vive sotto scorta da molti anni, ma tira dritto e non demorde.
E’ partito con uno spettacolo su Genova 2001 e la morte di Carlo Giuliani. Ha poi messo in scena la narrazione sulla strage all’aeroporto di Linate, ha raccontato storie di bambini comprati e sfruttati. Poi è passato alle mafie al Nord, al processo Andreotti.
Il suo prossimo spettacolo sarà su Marcello Dell’Utri.
Proprio in questi giorni pubblica “Mio padre in una scatola di scarpe”, un romanzo ispirato alla vera storia di Michele Landa.

Cose belle intorno a un libro

Giovedì, mezz’ora prima della presentazione del mio nuovo romanzo a Milano presso il Circolo della Stampa (info qui) la Onlus Pepita ha deciso di lanciare un flash mob contro le prevaricazioni. Tutte.

Sono le quotidiane magie che le storie ci permettono di annodare.

11990643_10207736612762381_8216853974399910047_n

Ci aveva anche provato, Michele

“…Ci aveva anche provato, Michele, a spiegare al Nonno che tra l’essere improvvido e omertoso c’è una linea che è fin troppo sottile (non aveva usato la parola omertoso, certo, altrimenti il Nonno sarebbe andato alle scintille) e gli aveva anche detto che non sapere è una soluzione e non concede opportunità, ma il Nonno non sentiva e non sente; bisogna essere responsabili verso le persone che si amano, dice, e così il discorso è chiuso”.

(tratto dal tredicesimo capitolo del libro Mio padre in una scatola da scarpe, che esce il 17 settembre)

CAVALLI

Se il racconto è un liquido

CAVALLIQuando sono capitato a Mondragone per incontrare Angela, la figlia di Michele Landa, ricordo prima di tutto il resto il caldo. Un caldo fisico, materiale, appiccicato addosso come una bava. Ci sono posti e giorni in cui il caldo è una pioggia al contrario che esce dall’asfalto e ti si arrampica addosso come un’edera.

Quando Angela mi ha raccontato la storia di suo padre, che è poi anche la sua, io che la storia l’avevo già ascoltata da un giornalista e un amico, Sergio Nazzaro, ora però che la ascoltavo in diretta, così, al tavolo come quando ci si siede al tavolo con gli assicuratori, ho avuto la sensazione che colasse. Non c’era niente di più da estrarre o da spulciare, sarebbe bastato un contenitore.

Ecco, forse questo libro è la pinta di quella storia. Che vi giuro aveva già tutti i sapori. Così.

In libreria dal 17 settembre. Poi caracollando in giro per l’Italia, con me.

Un libro non succede. Sgorga.

CAVALLIChe bello accorgersi di condividere l’attesa. Un libro in uscita è un “sabato del villaggio” di qualche settimana e succede che per chi l’ha scritto, credo che succeda a tutti ma di sicuro succede a me, adesso, in fondo è un libro finito: la differenza tra il mio fare teatro e un libro, che è una differenza che amo percorrere, è che se uno spettacolo non sale sul palco, nel senso che salga con me e io con lui, per farlo, uno spettacolo finché non sale su un palco non esiste, è solo un progetto mentre un libro prima che sia pubblico è già stato scritto.

Certo, si potrebbe dire che anche lo spettacolo è pronto perché finito, finito pronto per andare in scena ma per la mia esperienza, che è un’esperienza solipsistica facendo solo monologhi, cioè per quello che è sempre successo a me, uno spettacolo cambia per il pubblico, cresce con il pubblico e diventa spettacolo quando ormai ha tutti gli ingranaggi oliati dalle volte che è andato in scena. E io sono lì, a cambiare con lui.

Invece un libro quando finisce di essere scritto poi se ne va da solo. Si sistema in libreria, finisce in borsa, in tasca oppure spillato in digitale. Come se io gli servissi poco o niente. Forse magari non sono nemmeno io che lo faccio succedere, un libro, mica come un monologo. Sgorga.

(Ah: esce il 17 settembre, eh.)

E ho pensato che è una fortuna bellissima quella di imparare ancora.

CAVALLIAbituato per lavoro a scrivere inchieste, articoli e spettacoli (così profondamente giornalistici, del resto) quando mi sono messo a scrivere Mio padre in una scatola da scarpe ho vissuto la bellezza dello spaesamento di chi si ritrova di fronte a così tanto spazio. Una certa agorafobia tra la testa e le dita. Una cosa così.

Ma la differenza principale mai vissuta prima è il potersi dedicare alla parola giusta, anzi il doversi dedicare alla parola giusta come se quella pagina, quella frase o quel paragrafo debba per forza avere una parola che è quella parola lì. Come se non esistessero differenti opzioni.

Poi mi succede magari che mi avvicino, la rigiro ma so che il senso è quello ma non la parola, come se parola e senso fossero la mano destra e la sinistra di un tronco che deve stare in piedi, diritto, in equilibrio.

Quando studiavo teatro, ero giovane, premuroso per lo studio e il suo senso, quando facevamo gli esercizi da attori giovani, ci dicevano sempre, cioè cercavano di insegnarci, che l’equilibrio di tutti noi sul palco, per sentirlo e abitarlo bene, funzionava se ci immaginavamo che il palco fosse la zattera e tutti noi dovessimo tenere “in bilico” la zattera.

Ecco. Mentre scrivevo il libro, che si faceva scrivere, ho avuto la stessa sensazione, lo stesso strenuo tentativo di raggiungere l’equilibrio, come se le frasi fossimo noi, giovani, premurosi di abitare nel modo più professionale possibile lo spazio di lavoro.

E ho pensato che è una fortuna bellissima quella di imparare ancora. Dopo tutti questi anni.