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mio padre in una scatola da scarpe

Quindi ritorno a scuola

CAVALLIPadre18Mi ha stupito sapere che già adesso ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ sia diventato il “libro che ci hanno dato da leggere a scuola”. E mi emoziona forse perché da anni, girovagando di scuola in scuola (gratis, se non recito, ovviamente) ho imparato ad apprezzare la cura con cui molti professori ponderano ogni passo da proporre ai propri studenti. E pensare che non li ho amati nemmeno, i professori, da studente, e mi sarebbe bastato intravedere quello che ho visto solo dopo. Anche in questo il libro si è già rivelato migliore di me.

«La fragilità mi ha aiutato più delle scorte». Un’intervista.

DSC_7754__«Capita a tutti l’occasione di essere giusti». E’ ciò che racconta Giulio Cavalli nel suo romanzo Mio padre in una scatola da scarpe, edito da Rizzoli. Pagine scritte con impeto senza la consueta sete d’inchiesta, ma solo per narrare quello che accade a molti degli eroi dei giorni nostri tra umanità, omertà e bullismo.

Com’è nato quest’ultimo lavoro?
«E’ partito tutto quando ho conosciuto la figlia di Michele Landa la persona da cui nasce il racconto. Michele era un metronotte di Mondragone al quale è capitato di scontrarsi con una realtà come l’omertà che vale per il suo paese e per tutta Italia, contrariamente alla teoria che il buon padre di famiglia non deve infilarsi in situazioni pericolose. Michele è stato ritrovato ucciso nella sua auto, a pochi giorni dalla pensione. Lui è una vittima come ce ne sono tante altre, ma questa morte assume un significato simbolico enorme».

Quale?
«A tutti noi capita l’occasione di essere giusti nella vita. Lui ha scelto di essere giusto nella sua straordinaria normalità. Io penso che questo sia un paese che ha bisogno di innamorarsi dei fragili e bisogna ricominciare a capire che le persone hanno il diritto di avere paura».

Che cos’ha di diverso rispetto a tante storie che hai raccontato in passato?
«La differenza è che su questa non abbiamo scopi giornalistici, non ci interessa dire come sia stato ucciso o altro, questo è un romanzo, quello che avrei voluto e dovuto scrivere dieci anni fa. Invece ci sono state le minacce in una città come Milano e quindi io ho dovuto difendermi e nell’eccesso di difesa mi sono incattivito e adesso è come se avessi deciso di tornare al mio mestiere, non fare l’inchiesta ma prendere le temperature emotive della gente».

Il bavaglio andrebbe abolito fin dalla tenera età?
«Questo libro parla di mafia, ma anche di prevaricazione. Il fatto che ci siano ragazzi così giovani che sappiano, anche meglio di un pezzo di classe dirigente italiana, che le prevaricazioni sono quotidiane soprattutto nei luoghi dove si fa socialità, penso sia un motivo per essere ottimisti».

Quindi c’è speranza per il futuro?
«Da una parte c’è la cronaca abbastanza desolante, dall’altra penso che questo sia un Paese ricchissimo di valore umano. Dobbiamo uscire da questa cultura distorta degli ultimi dieci anni, di cui anch’io magari sono stato causa, uscire dalla logica che ogni battaglia abbia bisogno di paladini senza macchie. Alla fine abbiamo lasciato indietro le cose importanti. Io ho conosciuto fragilità meravigliose che in realtà mi hanno aiutato più delle scorte armate».

Manuela Sicuro (fonte)

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo booksblog.it

(L’articolo originale è qui)

“Michele aveva cominciato a picchiare con tutta la voglia che aveva accumulato negli ultimi anni, come si immaginava si potesse picchiare solo prima di morire. E non menava solo quei tre cuccioli d’avvoltoio, no, picchava i ricchi sempre gonfi alla domenica mattina; picchiava quelli che gridano scemo a Massimiliano che piangeva come i magri anche se è grasso come un tacchino, e picchiava anche per lo scemo di troppo che gli dava quando anche lui esagerava con lo scherzo; picchiava per i vecchi così vecchi che fuori dalla chiesa sembra che ci manchi solo ceh se li porti via il vento o li sciolga questo sole unto”.

Schermata 2015-09-29 alle 22.25.39Si sfoga  così, per almeno due pagine, la rabbia di Michele Landa contro tutti gli oppressori e gli oppressi, contro se stesso e la sua famiglia, contro gli ignavi, contro le ingiustizie. Michele, Michele Landa, è il protagonista di “Mio padre in una scatola da scarpe”, romanzo di Giulio Cavalli edito da Rizzoli.

Un romanzo di mafia, ma senza essere troppo plateali. Nessuna coppola o lupara, ma gente normale, gente che per sopravvivere serenamente nel posto in cui vive è costretto alla fine a chinare la tesa, ad arrendersi, a diventare anonimo e invisibile.“Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li”. Un insegnamento che in molte zone del nostro paese viene dato appena incominci a camminare: se vuoi campare, pensa ai fatti tuoi. Resta una persona perbene ma a chi sta sopra di te non dare mai fastidio, non opporti, non alzare la voce. Un insegnamento che viene impartito anche a Michele Landa, un metronotte di Mondragone. Un uomo che tutto ciò che desidera nella sua vita è arrivare alla pensione e godersi i suoi affetti, il suo orto, svegliarsi la mattina e non avere paura di non avere il coraggio di guardarsi allo specchio. Ma qui, a Mondragone, il coraggio è necessario: serve anche per vivere tranquilli, per non farsi sopraffare dalla tracotanza e le minacce dei Torre e dall’omertà dei compaesani. Michele lo sa che non bisogna alzare la testa, ma nonostante tutto sa che le cose, se si vuole, possono cambiare.

Tratto da una storia vera, quella di Michele Landa, ucciso e bruciato a Mondragone la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006. Una storia ancora oggi avvolta nel mistero e dimenticata, come le tante storie di mafia e di camorra. “Mio padre ha lavorato in molti posti brutti, ma Pescopagano lo spaventava: puttane, spacciatori, camorristi, criminali nigeriani, là ci sta tutto meno che lo Stato”, diceva ai media suo figlio Antonio.
E’proprio da una frase agghiacciante di suo figlio che Giulio Cavalli prende spunto per il titolo del romanzo: “La scientifica ha ripulito la macchina, ma siamo andati lo stesso nel deposito giudiziario. Abbiamo trovato un femore, la fibbia della cintura di papà, le chiavi di casa e altre ossa. Ce lo siamo portati via in una scatola di scarpe”.

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo ‘Liberi di scrivere’

(Recensione di Irma Loredana Galgano, l’originale è qui)

Schermata 2015-09-27 alle 17.16.31Il 17 di questo mese è uscito per Rizzoli “Mio padre in una scatola da scarpe” di Giulio Cavalli.

Ci sono dei cantanti che hanno una voce talmente melodiosa che ti cattura appena la senti.
Ci sono dei musicisti talmente dotati che ti fanno piacere la loro musica fin dalle prime note.
E poi ci sono quegli scrittori così bravi che ‘rapiscono’ il lettore fin dalle prime battute.
Giulio Cavalli appartiene senza dubbio alcuno a questa categoria.

Mio padre in una scatola da scarpe” racconta la storia semplice di Michele, cresciuto dove «non esistono carabinieri o polizia; qui a Mondragone ci sono le guardie e i ladri, bianco e nero e tutto in mezzo gli altri che sono altri per il tempo che serve a decidere se nella vita vuoi essere bianco o nero, guardia o ladro», in una città che può trovarsi dove si trova, in provincia di Caserta, o in qualsiasi altro posto del mondo perché «Mondragone si sveglia rotonda tutte le mattine, per poi sformarsi attraverso i suoi abitanti».

Una vita sospesa, quella degli “altri”, soprattutto quando propendono per il bianco, in quanto «questa è una terra che va abitata in punta di piedi, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili». Cercava di spiegare suo nonno a un giovanissimo Michele, che non capiva… non riusciva a capacitarsi, esattamente come quarantanni più tardi non ci riuscirà Andrea, suo figlio.
Perché una persona che vuole solo coltivare il proprio amore, formare una famiglia, lavorare, pagare le tasse e trascorrere del tempo con i propri figli e nipoti deve vivere terrorizzato da ciò che può accadere a lui, o peggio a propri famigliari, anche solo come conseguenza per aver rifiutato o accettato un caffè?
Perché un cittadino deve essere costretto a subire l’indifferenza delle forze dell’ordine soggiogate al male peggio dei “neri”?
Perché un uomo o una donna non possono formulare queste domande a voce alta senza rischiare gravi conseguenze e ritorsioni?

Alcuni soggetti afferenti alla malavita organizzata si ritengono dei soldati, arruolati in un diverso esercito certo ma comunque ligi a un codice di regolamentazione che una volta arruolati si sceglie di seguire e rispettare. Va bene. Ma chi non compie questa scelta perché è costretto a subirne comunque le conseguenze?

« Se è mafioso solo chi ammazza allora la mafia non c’è davvero, qui. Quelli che hanno fatto finta di niente con il tuo amico morto ammazzato sono mafiosi. Tu ti ostini a pensare che siano solo cattivi o prepotenti o violenti, e invece sono mafiosi

Michele e Rosalba trascorrono la vita a cercare di diventare invisibili e soprattutto di far essere tale i propri figli e nipoti, coltivando il loro amore che è «un amore antico, se lo ripetono tutti i giorni, perché è tra persone che sono cresciute imparando ad aggiustare le cose senza buttarle». Ma certe cose o certe situazioni non si possono aggiustare, sono come la miccia di un mortaretto… una volta incendiato non resta che aspettare lo scoppio.
Andrea, Giovanni, Antonio e Angela questo scoppio se lo sentono scorrere nelle vene, anche più di Rosalba e decidono insieme di compiere il gesto più rivoluzionario della loro vita, varcando i limiti della legalità e lo fanno con il coraggio e la consapevolezza di doverlo fare, perché rappresenta per loro non solo una rivincita ma una vera e propria catarsi. E così, a modo loro, riescono a sconfiggerlo il Male che li voleva oppressi, immobili e silenti.

Mio padre in una scatola da scarpe” di Giulio Cavalli è il racconto semplice di una famiglia normale che cerca di coltivare i propri sogni in un mondo disumano, crudele e spietato nel quale l’amore e i sentimenti per vincere devono combattere quotidianamente contro colossi armati, contro il potere, la violenza e il potere della violenza.

« Nonostante tutto lei non tornerebbe indietro, no, non rinuncerebbe a nessuno dei momenti vissuto fino a qui, dolori inclusi, perché la sua famiglia è un’opera titanica e artistica che la riempie di fierezza e di orgoglio.»

Le botte in piazza

Schermata 2015-09-27 alle 08.42.20Gli amici di Nazione Indiana pubblicano uno stralcio di ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘.

La mattina presto. Per Michele può esserci il caldo più unto, il freddo più buio o la pioggia più fitta, ma il mattino va rispettato: l’alba è l’inizio. Cose semplici. Sono due anni che la scuola è finita e tutto il giorno ha già la forma del callo sulle mani, che ti sfregano ruvide la faccia quando ti lavi.

Lavorare rende liberi.

Michele era stato studente diligente e poco curioso, ma questa cosa del lavoro e della libertà non gli era mai andata giù. I vecchi dicono: “Tocca per farsi una famiglia ed essere una persona per bene”, ma la libertà proprio non c’entra. Ci sono città del mondo in cui il lavoro è un canale che bisogna navigare per stare a galla e sopravvivere, mentre qui a Mondragone si lavora per non dovere niente a nessuno e perché nessuno ti debba niente, per questo Michele ama la fatica: la fatica infatti ha una faccia sola, è meccanica senza viti, acido lattico senza sentimento. La fatica non ha bisogno di merletti. Sono le sei e Michele si alza come si alza il mattino: sale in fretta per scaldarsi.

«Si fatica principalmente per non sentire tutto il resto» dice sempre quello scemo di Massimiliano.

Caffè amaro. Le scarpe che si scollano. Una camicia spessa come pelo di topo, a quadrettoni, con i gomiti quasi trasparenti. Guardandosi allo specchio si osserva. Non è un bel vedere, no, ma tutta questa stoffa è l’armatura per la fatica al magazzino. La porticina del cortile di casa cigola come il portone di un castello abbandonato. Fuori, Mondragone è odore di caglio e case che si sbriciolano.

«Buongiorno e ben alzato, Michè!» La signora di fronte sta già bollendo la salsa. È cieca e sorda come la salsa ma saluta da orologio svizzero tutte le mattine alla stessa ora.

Lui risponde, anzi ci prova. Meglio, alza la mano e scatta con la testa, gli viene male: cade come da un lato, inciampa, sorride, rialza la mano, ride, no forse non se ne è nemmeno accorta e allora stinge il sorriso e niente, come se non fosse successo niente. «’Ngiorno.» Che fatica.

Mentre la strada scende vuota verso lo stop Michele prova a ripensare alla serata appena passata e a quelle voci che lo rivolevano in piedi: non è facile portare addosso le botte a mezza faccia facendo finta di essere elegante, tu che elegante poi non lo sei stato nemmeno al battesimo o alla comunione.

Erano in tre e Michele li aveva notati già da giorni per quelle smorfie da guappi che qui vengono ammaestrati in serie, seduti arrampicati sul muretto in piazza. Ieri sera erano nella solita posa, di quelli che vorrebbero essere falchi ma sono solo una nidiata di avvoltoi. Ieri aveva anche deciso di bersi una bottiglia in compagnia e festeggiare l’assunzione che era diventata ufficiale per tutti, al magazzino. Adulti a tempo indeterminato con il libretto di lavoro in tasca. Ci avevano promesso anche un po’ di malattia e ferie, non proprio tutte quelle che c’erano scritte nel contratto – che per sicurezza avevano fatto leggere a Giulio, che si era trasferito su a Milano e aveva imparato l’italiano meglio di come si impara un po’ sgarruppato nella scuola di Mondragone, e anche Giulio aveva esultato per un contratto che in fondo anche a parole era simile a quello che c’era scritto. Per questo avevano deciso di prendersi il vino, mica quello più buono, ma la qualità subito sotto, ben distante dal vino schifoso e lunghissimo che si bevevano di solito a pranzo. La locanda li conosceva per nome e cognome e si era fidata anche a dargli quattro bicchieri di vetro da portare fino in mezzo alla piazza con la bottiglia impolverata, perché c’è da fidarsi di Michele e quegli altri colleghi suoi, che non creano mai problemi.

Stavano appena stappando il tappo a vite come quello della spuma e ridevano pensando che poi magari un giorno qualcuno sarebbe diventato capoturno, poi magari un giorno, ridevano, avrebbe comprato un vino con il tappo quello vero.

Era stato un attimo e gli altri tre guappi erano già in mezzo. Dammi. No. Forza, dài qua. Ma che vuoi. Festeggiamo anche noi. Facciamo da soli grazie. Lo decidiamo noi chi festeggia qui in piazza. Non ci penso nemmeno…

Ed è stata subito una paranza di botte che facevano più rumore dei bicchieri che rotolavano sui sassi. Tonfi secchi sulle parti molli e il fruscio dei rami secchi quando si pestano con le scarpe, solo che questi erano in faccia, sulla mandibola e sotto gli occhi. Roba forte.

(continua qui)

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo Eleonora Cocola

Recensione a cura di Eleonora Cocola (link)
Schermata del 2015-09-24 16:14:26Quella di Michele, nato e cresciuto a Mondragone, non è una vita facile: orfano di genitori alcolisti che gli hanno regalato un’infanzia tormentata, l’unica famiglia che gli è rimasta è suo Nonno. Oltre, naturalmente, alla famiglia che Michele formerà da sé: nonostante le sofferenze che ha subito è un ragazzo a posto, che desidera solo essere felice, condurre una vita onesta e creare una famiglia buona. Tutte cose che a Mondragone sono tutt’altro che scontate.

Dove regna la camorra, che qui ha il nome della famiglia Torre, anche chi non è in cerca di guai deve vivere come se camminasse sulle uova, stando attento a ogni passo, a ogni parola, a ogni sguardo; imparando a far finta di non vedere, a non ribellarsi, a scomparire. È una vita che il nonno glielo ripete a Michele, che deve stare tranquillo e farsi gli affari suoi, e lui alla fine ha imparato: per colpa della famiglia Torre ha perso il lavoro, ha visto tanti amici morire, e ha dovuto trovare un difficile equilibrio tra silenzio e omertà. La sua convinzione che anche a Mondragone sia possibile vivere una vita pulita e felice non si è scalfita: soprattutto grazie all’amore, quello della ragazza che è diventata sua moglie, Rosalba “la silenziosa”: insieme hanno formato una famiglia numerosa con cui Michele non vede l’ora di godersi la vecchiaia.

Non è una storia qualunque quella di Michele Landa: è la storia di un uomo assassinato a colpi di pistola nel settembre del 2006; di un delitto i cui colpevoli sono ancora ignoti. Il romanzo di Giulio Cavalli riporta alla luce questa storia dimenticata, raccontando di una categoria di persone che non sono né con la mafia né propriamente contro di essa: gli invisibili. Quelli che, come Michele, in nome di una vita tranquilla sono costretti a fare violenza su stessi, soffocando la ribellione contro le ingiustizie e le morti di cui sono testimoni. È il Nonno del protagonista il primo portavoce di questa posizione: «Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li».

Con una scrittura intensa e uno stile avvolgente, in grado di catapultare il lettore dritto nella testa dei personaggi, il romanzo di Cavalli insegna che anche diventare invisibili richiede una certa dose di coraggio, e ricorda che purtroppo non sempre basta per salvarsi. Il protagonista Michele e la sua amata Rosalba sono disarmanti per la loro semplicità: dalla purezza del loro sentimento e dalla genuina integrità dei loro valori deriva la forza di questi due personaggi, tanto che quello che accade intorno a loro assume contorni quasi sfocati. La storia minuta, quella di chi subisce i grandi fenomeni senza giocarvi un ruolo di primo piano, viene portata alla luce, rendendo giustizia a tutte quelle vittime della mafia che troppo facilmente cadono nell’oblio.

«Mi interessa la grandezza “ordinaria”»: una mia intervista prima di partire per Ravenna

Intervista di Veronika Rinasti a Giulio Cavalli. L’intervista è stata pubblicata sul numero di Ravenna&Dintorni del 17 settembre. Qui l’inserto completo in pdf)

Cavalli con il nuovo spettacolo su Dell’Utri e il romanzo su Michele Landa: «L’ho scritto pensando ai miei figli»

giulio_cavalli_2012_foto_emiliano_boga_alta_ris-2Giulio Cavalli sarà ospite del Grido 2015 sabato 26 settembre con un doppio appuntamento. , romanzo edito da Rizzoli e in uscita il 17 settembre. Alle 21,00 sarà la volta dello spettacolo teatrale in anteprima nazionale L’amico degli eroi, monologo di Giulio Cavalli con musiche di Cisco Bellotti su Marcello Dell’Utri.

Nell’ultimo anno hai scritto un romanzo, uno spettacolo teatrale e hai iniziato a collaborare con Left. Scrittore, attore, giornalista. Hai deciso cosa fare da grande?

In realtà no! Negli ultimi due anni sono finito a fare il giornalista molto spesso, rispetto agli altri miei lavori. Il mio sogno rimane quello di fare lo scrittore e basta. Non per trasmettere alti pensieri o filosofie illuminanti, sono una persona che adora l’ozio e quindi la scrittura è semplicemente la forma più compatibile con me stesso. Mi capita di cambiare metodo a volte, ma questo dipende dal fatto che a seconda del tema trattato, mi sembrano più utili forme diverse. La storia di Michele Landa, ad esempio (il protagonista del romanzo Mio padre in una scatola da scarpe), è talmente umana che sento di non avere la cifra stilistica o la bravura per portarla su un palco. Mi viene più facile raccontarla in un libro.

Nel romanzo hai lavorato molto sulle parole, raccontando nel dettaglio i personaggi e ambientazioni. Quanto sei legato a questo libro?

Mio padre in una scatola da scarpe è il libro che mi rappresenta di più. Negli ultimi anni ho avuto la sensazione di dovermi sempre difendere. Con questo romanzo ho voluto scrollarmi di dosso l’etichetta di quello che si “merita” le minacce. Il processo di delegittimazione ti porta l’ansia di dare un certo tipo di risposta anche quando la delegittimazione in realtà non esiste. Il mio habitat è quello del racconto che non ha bisogno di fatti eclatanti, ma è legato alle piccole cose e forse questo romanzo è il mio lavoro più libero.

Quella di Michele Landa è una storia di cui si è parlato poco a livello nazionale. Perché hai scelto di parlare proprio di lui?

Mi piace molto raccontare la grandezza “ordinaria” delle persone normali. Sono assolutamente contrario alla mitizzazione della mafia e dell’antimafia. Molto spesso l’incontro con la criminalità organizzata si verifica per cause banali, come trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, come è successo a Michele Landa. Secondo me c’è un insegnamento molto più umano nella sua vicenda, che nelle storie ormai famose e abusate. La sua storia mi è stata raccontata durante un pranzo, quello di cui parlo alla fine del libro. Mentre scrivevo non mi sono sentito un giornalista, volevo soltanto raccontare la profonda umanità di questa famiglia che si era sempre tenuta fuori dalla criminalità organizzata, dichiarandosi anche ignorante su questo argomento.

Hai pensato ad un lettore ideale mentre scrivevi il romanzo?

Mi piacerebbe riuscire a creare una cultura dell’etica e della legalità che si appassionasse anche alle storie minori. Mi capita spesso di incontrare studenti nelle scuole e cerco sempre di contrastare questa bolsa retorica dell’antimafia, come se Falcone e Borsellino fossero il sussidiario della criminalità organizzata quando nella realtà esistono infinite sfumature di persone. Ho pensato ai miei figli e a quando, da grandi, mi chiederanno il perché di una vita così movimentata. Ecco, questo libro sarà la risposta.

Dopo la presentazione del libro, avremo in anteprima nazionale, anche “L’amico degli eroi”, spettacolo teatrale realizzato con il crowdfounding. In questo caso il progetto sociale è stato un obbligo o una scelta?

Innanzitutto trovo deliranti i bandi per ottenere fondi pubblici. Quindi abbandono per principio tutto quello che mi sembra illogico. E poi non mi avrebbero permesso di farlo. Gli unici spettacoli che ho realizzato con piccoli contributi pubblici sono L’innocenza di Giulio e bambini a dondolo, in cui parlo di turismo sessuale. Ma l’aiuto si limita alla fase di produzione. Gli spettacoli vengono scritti ma non venduti, e in questo modo l’ente compra il “perdono” attraverso il finanziamento.
Per il resto, io mi ritengo una persona fortunata. Ho molte persone che mi seguono, che sono miei lettori e sostenitori…e molto spesso sono anche le mie fonti. Ho pensato perché non provare a metterle insieme, cercando di creare anche un rapporto diretto. Tutto questo mi permette di esprimere anche giudizi etici sul dell’utrismo, cosa che probabilmente con un produttore privato non avrei potuto fare. L’amico degli eroi non è lo spettacolo che ti spiega solo perché Dell’Utri è mafioso, andiamo oltre. Raccontiamo che Dell’Utri, ovvero il siciliano che sogna di essere borghese, incontra il milanese che sogna di poter essere prepotente nelle modalità siciliane, si crea un mix talmente forte da arrivare a governare il paese.

Se dovessi descrivere Dell’Utri in due parole?

Mah…io lo trovo molto simile ad Andreotti. Dell’Utri è il sottovuoto spinto travestito da eroicità, a volte anche da intellettuale. Dell’Utri rimane l’opera d’arte di Silvio Berlusconi che, dopo aver imparato a vendere qualsiasi prodotto, ha venduto alla Lombardia leghista e antiterrona un nuovo modello di siciliano buono e potabile.

Come si articola lo spettacolo?

La prima parte è una narrazione di fatti realmente accaduti della vita di Marcello Dell’Utri. È il “Cavalli che non ti aspetti” perché non ci sono scoop. La seconda parte è in video. È uno spettacolo teatrale con una sorta di cinegiornale all’interno.

AntimafiaDuemila su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Schermata del 2015-09-23 15:00:52Giulio Cavalli racconta la vita di Michele Landa, metronotte ucciso nel 2006
di Miriam Cuccu
Ci sono luoghi in cui la differenza tra il bianco e il nero è così netta, che basta uno sguardo alla persona sbagliata per vivere o morire. Luoghi in cui le pozzanghere non sono d’acqua ma “a forma di punizione di dio”, dove le accuse si “incagliano sulla strada” e “le brave persone finiscono per diventare eroi, in mezzo ai nani”.
Succede questo nella Mondragone descritta da Giulio Cavalli nel suo libro “Mio padre in una scatola da scarpe” (frase da linkare a recensione in sezione Libri) (Rizzoli). Attore, scrittore e regista, Cavalli racconta la storia romanzata di Michele Landa, metronotte ucciso tra il 5 e il 6 settembre 2006. Una storia a lungo rimasta coperta dalla polvere, che deve essere raccontata. Michele non era un magistrato, nè un giornalista, non gridava in piazza ma conduceva una vita onesta, che in certi posti equivale a diventare estraneo all’interno del proprio paese. Dove tutto diventa compromesso, e le giornate si consumano dietro a un lavoro che non rende liberi perché costruito sul silenzio e sul non sapere. Sul non voler sapere, soprattutto.

Si dice che le persone che cambiano il mondo sono quelle che non se ne lasciano avvelenare. Michele è così, e il suo antidoto al veleno di Mondragone lo trova in Rosalba, “la silenziosa”. Quarant’anni dopo il loro amore sarà ancora nuovo eppure antico, di quelli che sanno aggiustare le cose e le persone. E poi c’è il Nonno, una vita passata in punta di piedi per amore della tranquillità. “Questa città e questo tempo chiedono agli uomini di essere furbi, di non trovarsi nel posto sbagliato e di essere intelligenti nel non ascoltare le cose che non si devono ascoltare” ripete sempre al nipote, ma Michele non capisce, non si adegua, non prova orgoglio per questa terra che “ci vorrebbe una pioggia di due anni che lavi via tutto per bene”. Michele sa bene dove vuole stare, e non è dalla stessa parte dei Torre (famiglia di Camorra nel romanzo) che si fanno le regole su misura nella complicità degli abitanti, del brigadiere e del prete. E Michele sceglie di restarci, in quel paese, per dimostrare a tutti che anche qui si può vivere da onesti, si può crescere figli e nipoti insegnando loro ad amare la bellezza delle cose giuste. Sembra niente, eppure ci sono luoghi in cui anche vivere diversamente diventa uno sgarro da punire.
Cavalli, con minuziosa attenzione ai particolari, ci porta dentro una Mondragone che si trascina faticosamente in avanti senza domandarsi perché, un mondo di regole capovolte che non ci siamo mai totalmente scrollati di dosso, per ignoranza o convenienza. Ci ricorda che non sono tanto i singoli eroi a fare la differenza, ma il tempo, la cura e la fatica per far nascere nuovi semi. La storia di Michele non è lotta ed eroismo, ma coraggio di confermare ogni giorno le proprie scelte contro la “desertitudine”. E’ la dimostrazione che sono le persone a fare i posti, che se le persone cambiano possono accadere

(fonte)

Un’intervista. Fuori dal teatro.

Schermata del 2015-09-22 09:04:05(di Daniele Ceccherini, fonte)
Genova 

In occasione della rassegna “Bellezza dell’arte al cinema” durante la quale c’è stata l’intitolazione dell’Arena nei giardini E.Guerra a Peppino Impastato, abbiamo intervistato Giulio Cavalli che allAlbatros di via Rogerrone (Genova, Rivarolo).’ è andato in scena con il suo spettacolo teatrale “Nomi, Cognomi e Infami“.

Giulio Cavalli scrittore e autore teatrale è noto per il suo impegno con spettacoli e monologhi teatrali di denuncia alla criminalità organizzata. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta tra cui recentemente Mio padre in una scatola di scarpe.

Nomi, Cognomi e Infami è il mio spettacolo più longevo, è del 2006, è il tentativo di raccontare che la risata contro la mafia funziona… Mi dispiace che in questo paese l’antimafia culturale sia demandata tutta ad una sorta di volontariato e non ci sia un progetto istituzionale, io credo che il teatro sia il metodo migliore perché non ci sono mediazioni… Nel giornalismo ho usato l’inchiesta per cercare di capire cosa mi stava accadendo e per dare delle spiegazioni, perché per non essere delegittimato bisogna avere dei dati dietro, il teatro è l’occasione di poter parlare di alcuni angoli nascosti mettendoci la faccia. Il teatro civile in Italia è sempre molto strano, perché il teatro civile nasce come movimento culturale per poter riaprire processi che si sono archiviati, in Italia invece è quasi sempre un funerale laico molto tranquillo… L’ultimo libro Mio padre in una scatola di scarpe, è una storia vera di una famiglia di Mondragone convinta che basti non avere a che fare con la mafia per non avere problemi e invece proprio in quella famiglia c’è una vittima che è il padre. In questo paese secondo me ci siamo affezionati tantissimo ai paladini dell’antimafia, all’eroe senza macchia e ci siamo dimenticati di sapere che abbiamo il dovere di affezionarsi anche al diritto ad avere paura… Mi fanno più paura alcuni pezzi delle istituzioni che i mafiosi. I mafiosi che sono riusciti a ripulirsi e diventare istituzioni più che paura sono una preoccupazione più che per me per il bene di questo paese.”

Ecco l’intervista video integrale a Giulio Cavalli:

Il Fatto Quotidiano scrive di “Mio padre in una scatola da scarpe”

Schermata del 2015-09-21 18:42:16

di Mario Portanova (fonte)

Parliamo tanto della mafia, ma poco delle sue vittime. Certo, non saltiamo un anniversario dei generali caduti sul campo, com’è giusto che sia, ma come in tutte le guerre muoiono anche i soldati, i civili che non c’entrano nulla. E poi ci sono i profughi. Quelli che sono costretti a lasciare la propria terra – non se la prenda ilpresidente Renzi, ma purtroppo succede – perché non vogliono sottostare a prepotenze e compromessi con i boss, e quelli che invece restano, seppellendosi però nella muta ribellione delle “brave persone” che per sopravvivere devono rendersi “invisibili”. Così descrive questi profughi stanziali Giulio Cavalli in “Mio padre in una scatola da scarpe“, appena pubblicato da Rizzoli (288 pagine, 19 euro).

Il libro romanza una storia vera e, appunto, dimenticatissima. Quella di Michele Landa, metronotte ucciso e bruciato aMondragone, in provincia di Caserta, la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006 mentre montava la guardia a una grande antenna per i telefoni cellulari a Pescopagano, in una zona di prostitute e spaccio. Gli mancava una manciata di giorni alla pensione e al sogno modesto di dedicarsi all’orto e ai nipoti. Ancora oggi non abbiamo neppure lo straccio di un indiziato, ma non è questo il cuore del libro di Cavalli, autore ed attore teatrale, ex consigliere regionale in Lombardia e finito sotto scorta per le pesanti minacce ricevute in seguito ai suoi spettacoli di denuncia antimafia. Cavalli scrive un romanzo d’amore e d’omertà, un giallo all’incontrario dove il delitto arriva alla fine ma l’assassino si svela fin dalle prime pagine. Michele Landa è appunto un profugo nella sua terra, un orfano dalla vita difficile che fin da piccolo ha dovuto ingoiare l’insegnamento del nonno: sii sempre onesto ma fatti i fatti tuoi, stai lontano dai mafiosi ma non provare mai a ribellarti se ha davvero a cuore i tuoi cari. Precetti che Michele osserva facendo violenza su se stesso, e che per giunta alla fine non lo salveranno. Di lui alla fine restano poche ossa carbonizzate dentro la scatola da scarpe che dà il titolo al libro.

Non sappiamo chi è l’esecutore materiale, come si leggerebbe in un atto giudiziario, ma sappiamo tutto del contesto in cui quel delitto è maturato. Un paese dove nessuno sente vede parla, dove la famiglia di camorra (nel romanzo, i Torre) può tutto, perché in grado di somministrare la morte ma anche la vita, dato che controllando le principali attività economiche può dispensare “il posto fisso” che caccia il fantasma della disoccupazione senza uscita. E lo Stato? E’ rappresentato da carabinieri indolenti e complici, così lontani dai famosi reparti speciali che firmano le grandi operazioni antimafia che finiscono su tutti i giornali. Allora ha ragione il presidente Renzi, è “macchiettistico” dire che in Italia la criminalità organizzata controlla “intere regioni”. Diciamo più correttamente che controlla parte della Campania, parte della Calabria, parte della Sicilia, parte della Puglia. E poi – in proporzione minore – parte dell’hinterland di Milano, parte della Brianza, parte del torinese, parte di alcuni quartieri romani… e sempre nella capitale, parte del Settore appalti. Molti profughi di questa lunga e sanguinosa guerra attendono di essere soccorsi.

LA FRASE. “Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li”.