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Nicola Gratteri

Calabria, tutti attaccano Morra: così, però, non si parla più dell’arresto di Tallini

Possiamo tornare al punto, gentilmente? Perché l’arresto di Mimmo Tallini e il quadro indiziario che emerge dall’ordinanza del gip Giulio De Gregorio (che ha accolto la richiesta della Direzione distruttale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri) disegna un contesto, al di là di quello che dirà l’eventuale processo, su cui varrebbe la pena riflettere. Perché ora sotto la lente dei Ros ci sono anche le comunali di Catanzaro del 2017, le politiche del 2018 e le elezioni regionali del 2020. Nelle carte di legge del Consorzio Farma Italia e della collegata Farmaeko che sono tenute in pugno dalla cosca Grande Aracri di Cutro, nate e subito fallite, come immagine di una regione in cui la malapianta continua a raccogliere frutti.

“Tutto ciò avverrà – scrive il gip De Gregorio – perché l’enorme profittabilità prospettata inizialmente non era riferita a particolari capacità imprenditoriali dei criminali che la dovevano governare, ma allo sfruttamento dei contatti con politica ed economia, all’accesso a risorse finanziarie illecite senza dover corrispondere interessi, alla sostanziale irregolarità delle condizioni di lavoro, ai metodi truffaldini di approvvigionamento”.

C’è un antennista vicino alla cosca come Domenico Scozzafava, legato a Grande Aracri ma anche a Pierino Mellea, il nuovo boss dei Gaglianesi, che votava e faceva votare Domenico Tallini: uno che andava in giro a piazzare bottiglie incendiarie con un pistola con matricola abrasa ed è diventato uomo vicino al presidente del consiglio regionale Tallini. Sono le solite commistioni che raccontano di funzionari in regione che se non eseguono gli ordini del politico di turno vengono rimossi in favore di qualcuno più accondiscendente. L’abbraccio perverso tra economia, politica e ‘ndrangheta è un tema che, al di là degli esiti giudiziari, esce con forza dal punto di vista etico.

Quindi, al di là del caso Morra e della sua infelice uscita, cosa hanno da dire su questo i leader del centrodestra? Oltre alle parole del grillino hanno qualcosa da dirci su un politico già segnalato dalla commissione antimafia diventato così facilmente presidente del consiglio regionale? Salvini che ora lo scarica sa che sono i suoi alleati con cui governa la Calabria? Giorgia Meloni, tutta ordine e disciplina, che ne pensa della fotografia che emerge? Perché tra poco in Calabria si vota e dalle parti del centrodestra qualcuno ha il coraggio di pensare al sindaco di Catanzaro Sergio Abramo come candidato, un uomo vicinissimo proprio a Mimmo Tallini.

Leggi anche: ‘Ndrangheta, arrestato presidente del Consiglio regionale della Calabria, Domenico Tallini

L’articolo proviene da TPI.it qui

“Avvocati, ingegneri e dirigenti: ecco come sono cambiati i figli dei boss”: un’intervista a Gratteri

(fonte)

Procuratore Gratteri, qual è lo stato di salute della ’ndrangheta al Nord?  

«Buona direi. In Piemonte è abbastanza diffusa, anche per motivi storici. Mi riferisco agli Anni Settanta, con una preminenza nel 1975. Sono gli anni in cui le inchieste della procura di Torino assestarono un colpo mortale al clan dei catanesi, provocando un vuoto criminale sul territorio. Vuoto subito colmato dalla ’ndrangheta che ha potuto espandersi e costruire i suoi “locali”, cioè le strutture criminali di base. Questo trend si è mantenuto inalterato».

 

Una presenza sfuggente?  

«La ’ndrangheta si manifesta in modi diversi. Certo prima sparava di più».

 

È più imprenditoriale.  

«Oggi le famiglie si dedicano di più agli affari, fanno investimenti. Comprano e vendono alberghi, ristoranti, negozi. Si dedicano al riciclaggio dei profitti del narcotraffico».

 

La droga resta il core business.  

«Sono i detentori della vendita all’ingrosso. Il dettaglio lo lasciano ai nigeriani e ad altri. La ’ndrangheta ha quasi il monopolio. Da decenni vende cocaina a Cosa Nostra e alla Camorra. Da sempre i grandi importatori di cocaina sono gli ‘ndranghetisti della zona ionica e della fascia tirrenica».

 

Perché questa specializzazione?  

«In quelle zone la ’ndrangheta, a partire dagli Anni Settanta e Ottanta, si era specializzata nei sequestri di persona. Molti avvenuti in Piemonte e in Lombardia. Con i soldi dei riscatti costruivano case e compravano belle auto. Il resto è finito investito in cocaina».

 

E poi si è sviluppato il business del mattone, con il boom dell’edilizia. L’altra faccia dei clan?  

«Nel mondo dell’edilizia le ’ndrine sono sempre state molto presenti: offrendo manodopera a basso costo, garantendo lo smaltimento dei rifiuti, rifornendo cemento depotenziato. Gli imprenditori del Nord che si sono adeguati, oggi non possono dire di non sapere o di non aver capito. Spiego: se per anni i tuoi fornitori ti offrono un materiale a 100 e i nuovi arrivati te lo danno a 60, c’è qualcosa che non va. È evidente».

 

Alla fine il gioco si fa pericoloso.  

«I nuovi “partner” in genere entrano in società con quote di minoranza, poi finiscono per comandare, per prendere in mano l’azienda».

 

Molte inchieste hanno svelato l’esistenza di rituali di affiliazione più o meno stravaganti. Tutto ciò non è un po’ ridicolo?  

«Tutt’altro. I rituali sono fondamentali. Sarebbe sciocco ritenerli arcaici e superati. Il rito è l’ortodossia, un punto di forza. Le regole sono l’elemento cardine che affascina tutti i sodali. Un collante che permette a tutti di rimanere avviluppati all’organizzazione. È il suo perpetuarsi. Sono le regole a renderla più forte rispetto ad altre strutture criminali».

 

In che senso?  

«La Camorra è sempre più simile al gangsterismo: agisce senza controllo. Non ha disciplina. La Camorra è la prima mafia sorta in Italia ma sarà la prima a finire perché al suo interno non c’è più rigore. Nella ’ndrangheta no: qui le regole sono forma e sostanza. I rituali consentono di entrare a farne parte, di scalarne le gerarchie, ottenendo quelle che in gergo si chiamano “doti superiori”. L’inosservanza delle regole fa scattare le sanzioni».

 

Di che genere?  

«Sono varie. Non è detto che sia sempre la morte. Basta arrivare in ritardo ad un appuntamento perché sia comminata una sanzione, per mancanza di rispetto. Si può essere degradati, esclusi dalle riunioni che contano, sospesi».

 

Sembra una giustizia efficiente.  

«C’è un solo grado di giudizio e le sentenze sono immediatamente esecutive».

 

Come si inseriscono le faide?  

«Sono fasi autodistruttive tra blocchi di famiglie. Sono violazioni. Le faide sono momenti di instabilità. Ecco perché le famiglie cercano di superarle con i matrimoni. Nel matrimonio si suggella la pace con il sangue dei giovani rampolli».

 

Suona come una cosa medievale, in realtà la ’ndrangheta guarda al futuro.  

«È un’organizzazione vivace, capace di costanti mutamenti. Si muove con il mutare della società, cammina con noi, non è un’entità estranea. Si nutre di consensi e sfrutta le nostre relazioni per esistere».

 

Qual è l’identikit delle giovani leve?  

«I figli di ’ndrangheta sono colti, laureati, fanno gli avvocati, i medici, gli ingegneri. Sono nella pubblica amministrazione. Ma rispondono sempre alle stesse regole. A quel metodo mafioso che non possono rinnegare».

 

Malgrado questa espansione radicale, si può ancora scardinare?  

«Ci proviamo con tutte le forze».

”I gattopardi che hanno affondato Falcone son quelli che oggi salgono sui palchi per commemorarlo”: parola di Gratteri

(di Paolo Casalini, fonte)

Graffiante e senza peli sulla lingua. Così il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, nel dibattito a due voci con Rosy Bindi presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, nella sede vescovile di Arezzo. Moderatore Stefano Mendicino.

Hanno commemorato Giovanni Falcone, a 25 anni dalla sua scomparsa. Hanno ricordato la sequenza dell’orrore: Chinnici, La Torre, Mattarella ed infine Borsellino. Hanno fatto rivivere la stagione stragista di via dei Georgofili, del Velabro e di Milano

Gratteri ha ricordato Falcone, tratteggiando con precisione l’ambiente in cui il giudice assassinato si muoveva. Ha ricordato che i primi a farlo affondare, i primi a lasciarlo solo, prima dei politici, prima delle istituzioni, sono stati gli altri magistrati. Falcone ha sofferto le loro invide e le loro maldicenze. Ha sofferto infine il rapporto con il CSM e con la commissione Antimafia.

Ha concluso il suo intervento con un messaggio di speranza, quello che viene dai tanti giovani che a Palermo ancora onorano la sua memoria, pur essendo nati dopo la sua morte, ma anche con una brutale osservazione: i gattopardi che lo hanno fatto affondare sono gli stessi che oggi salgono sui palchi per commemorarlo!

Sulla morte di Borsellino una tagliente domanda della presidente della Commissione Parlamentare Antimafia: “Ancora mi chiedo, a 25 anni dalla sua morte, perché la Procura di Caltanisetta, dopo che il giudice aveva dichiarato di aver cose da raccontare ai colleghi, ha atteso 57 giorni per convocarlo e soprattutto perchè al 56esimo sia saltato in aria”.

Domande pesanti, a cui forse neppure la storia potrà dare una risposta. Intanto il CSM ha desecretato il fascicolo sul magistrato Falcone: un passo avanti notevole verso la conoscenza storica, ha dichiarato Gratteri.

Il lavoro di Falcone è stato un successo tale che solo a distanza di anni possiamo valutarne la portata – ha stigmatizzato la Bindi – Di fatto Cosa Nostra è stata decapitata, sconfitta, annientata. Questo è uno dei grandi meriti degli uomini che hanno dato la vita per questo risultato.

Contemporaneamente – ha spiegato il magistrato – mentre Cosa Nostra perdeva molti dei suoi tentacoli, avanzava in silenzio e senza clamori la ‘Ndrangheta. Non cercava confronti con la politica nazionale, si limitava ad infiltrarsi in quella locale. Controllava elezioni, consigli comunali, sindaci. Tutt’oggi è in grado di spostare qualcosa come il 15% della forza elettorale, decidendo così chi vincerà e chi no. Non si fa mai problema di posizione politica: destra, centro o sinistra non ha alcuna rilevanza. Rileva solo che non sbaglia mai cavallo.

E questa Ndrangheta, ha spiegato Gratteri, si è molto allargata. Al Centro, al Nord e poi sempre piu’ lontano, fuori dai confini del paese. Dove non esistono reati specifici contro l’associazione mafiosa, dove non si confiscano i beni delle cosche come ad Anghiari, dove le forze di polizia non sanno neppure come fare per fronteggiare il fenomeno ed è quindi molto piu’ semplice negarne l’esistenza. Non è vero che all’estero ci sia meno corruzione, è vero invece che all’estero si preferisce far finta che non ci sia. Parole sferzanti, sostenute dal racconto fatto dallo stesso magistrato, di quando è andato oltralpe a spiegare i rischi delle infiltrazioni e si è sentito prima deridere e poi prendere a pesci in faccia.

La declinazione di questa vicenda tuttavia, avrebbe avuto bisogno di un contradditorio qualificato almeno nella sua visione istituzionale: la differenza fondamentale secondo Gratteri, sta infatti nella rappresentazione del pubblico ministero, che in Italia (e quasi solo in Italia) è anche un magistrato ed è sottoposto all’obbligatorietà della azione penale. E’ un richiamo diretto alla iniziativa delle Camere Penali Nazionali che hanno promosso la raccolta firme per la legge popolare sulla separazione delle carriere. Secondo il magistrato calabrese, un errore madornale, che finirebbe per porre i PM sotto il controllo dell’esecutivo, sostenuto in questa tesi in pieno anche dalla Bindi.

Ironia della sorte e della storia, perchè contrario certamente a Gratteri e alla Bindi invece sarebbe stato proprio Giovanni Falcone che testualmente scrisse:

“Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para- giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti.

Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo. E’ veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm con questioni istituzionali totalmente distinte”

Forse una vocina in grado di confutare le sue tesi durante la stessa serata, non ci sarebbe stata male. Ma pazienza, nei prossimi giorni cercheremo di approfondire.

Sempre sulle camere penali, che hanno indetto uno sciopero a oltranza per opporsi alla riforma proposta dalla commissione Gratteri (era presidente), il Procuratore ha difeso la sua creatura, spiegando che il concetto di fondo della riforma è quello di cercare di rendere piu’ snello il processo informatizzandolo. Non serve allungare o interrompere i tempi della prescrizione, serve invece mettere i tribunali nella condizione di accellerare, restando così nei limiti stabiliti dalla legge per il giudizio. Facendo prima di tutto in modo che i fascicoli non poltriscano per 4 o 5 anni negli armadi delle procure.

Una giustizia – dice Gratteri – non piu’ fondata sui difetti di notifica, che favoriscono imputati che possono permettersi avvocati scaltri e ben pagati, ma sui processi fatti in aula e le Camere Penali, invece che andare in battaglia contro i mulini a vento, dovrebbero finalmente pretendere una riforma del CSM, per liberarlo dalle correnti.

Il dibattito sarà trasmesso da TSD nei prossimi giorni e sarebbe molto interessante avere un parere opposto, per stabilire una sorta di contradditorio virtuale.

«Secretare l’avviso di garanzia? Solo una scorciatoia»: parla Gratteri

“Intervenire sull’avviso di garanzia, secretandolo, è una scorciatoia: per evitare la gogna mediatica, ci sono altre modifiche da fare. La prima riguarda la stesura delle ordinanze di custodia cautelare e le informative, che non devono contenere nulla che non sia strettamente legato col reato e nulla che abbia a che fare con la vita privata delle persone”. E’ l’opinione di Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, in merito all’appello lanciato da Stefano Graziano, ex parlamentare Pd, che dal Lingotto, dove è in corso la convention di Renzi, ha chiesto una legge che imponga di mantenere segreto l’avviso di garanzia fino al rinvio a giudizio. Graziando fu indagato per concorso esterno alla camorra e poi le accuse furono archiviate.

“Si devono evitare – aggiunge Gratteri, che tra l’altro fu indicato come possibile ministro della Giustizia, nella fase di formazione del governo Renzi, a elaborato una sua proposta in materia di giustizia – provvedimenti che intervengono solo su singoli punti, per cui ogni volta che c’è un problema si cambia la norma: quando c’è un problema con l’avviso di garanzia si chiede un intervento su questo aspetto, quando si prescrive un processo importante si chiede a gran voce di modificare la prescrizione. Così non va. Alla giustizia, quando la politica avrà la voglia e la libertà di farlo, serve invece, e innanzitutto, un intervento complessivo e strutturale che informatizzi i passaggi e abbatta tempi e costi”.

Parla l’ex assessore di Delrio: «La magistratura non ha saputo vedere e la politica non ha voluto vedere»

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Un’intervista illuminante a Angelo Malagoli, tra il 1995 e il 2004 assessore all’urbanistica per il Pds, Partito democratico della sinistra.

Ma allora che cosa è successo a Reggio?
La magistratura non ha saputo vedere, come ha detto Nicola Gratteri, e la politica non ha voluto vedere. E invece si è pensato di usare questi fenomeni contro di noi, contro l’amministrazione precedente.

Mi spieghi.
Delrio fa un po’ come Renzi, ha bisogno di un nemico al giorno. Quando nel 2004 diventò sindaco il suo atteggiamento politico era quello di dire: “Noi possiamo sbagliare, ma siamo migliori di quelli di prima”. Obiettivo della nuova amministrazione era sostanzialmente demolire quella precedente. Invece io mi chiedo: nel momento in cui in quegli anni si vide che il mercato immobiliare era drogato da denaro che non si sapeva da dove venisse, non ci si doveva preoccupare? Oppure bisognava prendersela con il nostro Prg? È colpa del Prg se a Reggio arriva del denaro da riciclare?

Conosce Maria Sergio, per anni dirigente dell’Urbanistica voluta da Delrio?
Sì ed è professionalmente molto valida. Ha lavorato con me negli anni in cui si scriveva il Prg e poi sono stato io a celebrare il suo matrimonio con Luca Vecchi, credo fosse il 2003.

Una informativa dei carabinieri del 2013 che riporta fonti dei servizi segreti, finita nelle carte dell’inchiesta Aemilia, parla di presunti contatti della dirigente anche con persone considerate dai pm vicine a uomini della ‘ndrangheta. Sergio, cutrese di origine, davanti ai pm racconta però di non avere molto a che fare nel suo lavoro con ditte cutresi. Lei Malagoli, che cosa pensa?
Di sicuro a Maria Sergio è stato dato un grande potere: aveva potere anche sull’edilizia privata. In comune a Reggio si diceva che i cutresi andassero tutti da lei e non più negli uffici dell’edilizia privata. La cosa all’epoca non mi scandalizzò, anche perché lei aveva molto potere.

Che cosa intende dicendo che aveva potere “anche” sull’edilizia privata?
Io non darei mai edilizia privata e urbanistica a una stessa persona (come successe per quasi un anno tra il 2009 e il 2010 a Maria Sergio, ndr). È una cosa che non sta né in cielo né in terra, se parliamo di trasparenza della pubblica amministrazione. E anche in seguito quando venne la nuova dirigente, la Sergio mantenne una specie di supervisione sull’edilizia privata.

Graziano Delrio, sentito dai pm come persona informata sui fatti nell’inchiesta Aemilia nel 2012, dice di non sapere che la Sergio era nata a Cutro e che i parenti della dirigente erano tutti nel mondo dell’edilizia.
Che non lo sapesse mi sembra inverosimile. La Sergio aveva rapporto diretto con lui. Quando Delrio diventa sindaco arrivano in comune alcuni assessori, un dirigente suo parente (di Delrio, ndr) e poi Maria Sergio: tutti fanno parte di un cerchio molto ristretto. Persone che agivano in sinergia.

(l’intervista è qui)

I funerali ai boss si possono evitare. Parla Gratteri.

In questi giorni si legge di tutto e il contrario di tutto. Normale, forse, in un Paese in cui la strumentalizzazione in cerca della polemica falcia le analisi, la memoria e ogni tanto anche la verità. Tra le difese più patetiche di questi ultimi giorni vedo che ha preso molto piede chi dice che “i funerali non si possono vietare”. Falso.

A proposito vale la pena riprendere ciò che ha dichiarato a RaiNews il magistrato Nicola Gratteri:

«Quando si ritiene che una famiglia sia mafiosa viene monitorata e si deve sapere quello che si sta organizzando. Noi in Calabria si decide, per motivi di sicurezza e di ordine pubblico, di vietare i funerali».

Appunto.

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Le parole (sante) di Gratteri: basta soldi alle associazioni antimafia

Non ha peli sulla lingua, Gratteri, e ogni volta che parla vale la pena tenere bene a mente ciò che dice:

Tabularasa-2014-Gratteri-5-360x240«Ai ragazzi nelle scuole faccio esempi, parlo della non convenienza a delinquere. Spiego cosa rischia un corriere della droga, cosa accade in carcere o cosa accade ai familiari. Ho scelto da tempo di andare negli istituti di pomeriggio e non di mattina perché le ore di lezione sono diminuite a causa dei progetti, in particolare quelli sulla legalità. Spesso si fa entrare nelle scuole gente improbabile, che nasce dal nulla inventandosi un profilo da persona che combatte la mafia, magari dopo aver fatto da maggiordomo a qualche magistrato, facendosi vedere con lui per un paio di mesi. Iniziando a girare per le scuole si intrufola, si inventa un mestiere e comincia a chiedere dei soldi. Da un po’ di anni dico: nelle scuole andiamo di pomeriggio. E ai politici, regionali, provinciali e comunali dico di non dare soldi alle associazioni antimafia: mettetevi in rete, create un fondo comune, fate dei protocolli con i provveditori agli studi e predisponete delle graduatorie degli insegnanti precari. Durante le ore pomeridiane fate in modo che si ricominci a parlare con i ragazzi, riaccompagnandoli nel mondo reale. Mi si dice che per far questo c’è bisogno di soldi. Ma i soldi ci sono, so di progetti costati 250.000 euro. Non è etico, non è morale, non è giusto. In nome di gente che è morta, che è stata uccisa, non è giusto che si spendano 250.000 euro per una manifestazione antimafia. Ogni cosa deve avere una proporzione, un limite, un senso. Immaginate con tali cifre quanti insegnanti precari avremmo potuto assumere. Dobbiamo cercare di essere più seri e più presenti e contestare queste cose. Personalmente mi sono rifiutato di partecipare a certi convegni e a certe manifestazioni antimafia perché avevo capito anni prima che c’era qualcosa che non andava. Mi piacerebbe che la gente interagisse di più con il potere politico. La vera lotta alla mafia passa dalla formazione dei ragazzini delle elementari e delle medie. La manifestazione antimafia va fatta, certo, ma deve essere spontanea e a costo zero: per camminare con una candela non mi servono 50.000 euro».

(fonte)

Lo dice anche Gratteri: “Quindi ogni volta ci si meraviglia, io invece mi meraviglio che la gente continui a meravigliarsi”

Gratteri-panorama-ditalia013-1000x600“Non posso dare valutazioni politiche, ogni volta che ci sono elezioni di qualsiasi genere c’è sempre ritornello su codice autoregolamentazione. Ma se chi fa le liste conosce chi ci mette, fa un calcolo cinico, mette pregiudicati o faccendieri e calcola che una fetta di elettorato comunque li voterà. Quindi ogni volta ci si meraviglia, io invece mi meraviglio che la gente continui a meravigliarsi”. Così si è espresso Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e con Antonio Nicaso autore di Oro bianco (Mondadori editore, 263 pagine, 18 euro), intervistato a Varese nella quarta tappa del tour di “Panorama d’Italia da Maurizio Tortorella, vicedirettore del settimanale.

“Un terzo delle banconote da 500 euro circolanti in Europa si trova in Spagna, che non a caso è il ventre molle europeo della lotta alle mafie. In Spagna” ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria “ci sono colonie di colombiani, e depositi ognuno da dieci tonnellate di cocaina. Abbiamo indagato su agenzie che chiedevamo il 5% di provvigione per fare arrivare soldi in Sudamerica e l’agenzia ricevente trattiene un altro 5%”, ha aggiunto Gratteri: “Solo il 9 per cento di questo denaro sporco torna in Sudamerica, il resto rimane in Europa, e questi narcotrafficanti stanno comprando di tutto in tutta Europa”.

Nel suo libro Oro bianco, Gratteri specifica che il 36% di tutto il valore monetario degli euro circolanti in Europa è in banconote da 500 euro, e che un milione di euro espresso con queste banconote pesa solo 2 chili e duecento grammi, mentre in dollari pesa undici chili. “Milano è la più grande piazza europea per il consumo di cocaina” ha detto. “Ma il business della cocaina”  ha aggiunto il magistrato “alimenta enormi interessi economici in tutta Europa”. E ha aggiunto: “Noi ci siamo interessati molto della elite della ’ndrangheta. Una grande ricchezza è in mano al 3-4% degli ‘ndranghetisti, gli altri sono utili idioti, portatori d’acqua al pozzo del capo locale. Avevamo un indagato il quale stava comprando due navi dall’Imi, acciaierie a San Pietroburgo. Quando la ‘ndrangheta va in Germania compra alberghi, ristoranti, pizzerie. Qual è il problema? Io quando vado a Strasburgo mi arrabbio e sono un po’ duro, perché vedo e dico che c’è un’Europa solo economica, che s’interessa solo dell’aspetto bancario e di finanza, di quote latte… Ma intanto che cosa  sta accadendo? In Europa non c’è cultura del controllo del territorio. L’Unione non è attrezzata per contrastare le mafie. La legislazione antimafia italiana è la più evoluta al mondo,e non basta, ma nel resto d’Europa è peggio. Nell’Ue centrale c’è il nulla, è piena di ‘ndranghetista e camorristi. Quando li vedete arrestare in qualche Paese del Centro Europa siamo noi, dall’Italia. Ad esempio: in Olanda non si possono fare provvedimenti di ritardato sequestro, appena si sa che c’è qualcuno ibn possesso di 2 chili di droga bisogna arrestarlo.  Figuratevi andare a parlare a Strasburgo di 416 bis: quando al Parlamento europeo ho detto che in Germania c’è la ‘ndrangheta c’erano dei parlamentari tedeschi che mi volevano mangiare, come in Svizzera”.

Come ministro cosa avrebbe fatto per prima cosa?  “Il 29 luglio 2014” ha risposto Gratteri “si è insediata la commissione da me presieduta, avevo accettato perché senza fini lucro e potevo sceglierne i componenti. Abbiamo presentato un articolato modificando 150 articoli di legge. Per fare questa riforma ci siamo dati delle regole: non abbassare il livello delle garanzie; applicare l’informatica al processo, dire basta alla carta. Usare posta elettronica, videoconferenze, lo scopo generale è quello dinon rendere conveniente delinquere. Alla fine del 2014 finiamo il lavoro, nel gennaio 2015 abbiamo presentato il nostro lavoro a premier e ministri. Ora sta al governo decidere se e cosa portare in Parlamento. A me basterebbe vedere approvato il 50 per cento delle nostre proposte. Sarebbe una rivoluzione”.

(clic)

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

Antimafia: la ricetta di Nicola Gratteri

Possiamo dire che finalmente abbiamo raggiunto il bivio: Gratteri ha consegnato le sue proposte per inasprire la lotta alle mafie ora sarà semplice seguire se diventeranno legge.

nicola-gratteriCarcere fino a 30 anni per i capimafia, confisca obbligatoria dei patrimoni, processi più snelli, una nuova agenzia nazionale per la gestione dei beni sottratti alle mafie guidata da un manager e intercettazioni anche all’estero. E ancora: la riforma della polizia penitenziaria, l’inasprimento delle pene per i reati ambientali e la possibilità di utilizzare agenti dei servizi per infiltrare le cosche. È questo il cuore della relazione di 266 pagine che Nicola Gratteri, coordinatore del gruppo di lavoro per la riforma delle norme contro la criminalità organizzata, ha consegnato al Governo.

Un testo che l’esecutivo è pronto a trasformare in un disegno di legge o addirittura in un decreto. Il documento, depositato all’Ufficio legislativo di Palazzo Chigi e consegnata al sottosegretario Graziano Delrio, ogni tema viene affrontato con alcune pagine di spiegazione generale a cui seguono delle vere e proprie schede operative divise in due parti.

Si parte con l’inasprimento delle pene per i reati previsti dal 416 bis che saranno superiori o equiparate a quelle previste per i narcotrafficanti, arrivando a punire chi dirige un clan, dunque i boss, con pene che vanno fino a 30 anni di reclusione. Aumentata anche la pena minima per gli affiliati semplici da punire con “non meno di 12 anni”.

La nuova norma prevede inoltre la confisca “obbligatoria” dei patrimoni frutto del malaffare, da estendere anche ad eventuali complici e soci. Novità anche sul fronte delle intercettazioni – che potranno essere fatte anche all’estero – e della polizia giudiziaria. In questo senso è previsto, oltre a una più stretta collaborazione con i servizi segreti, l’utilizzo di uomini delle forze dell’ordine da infiltrare nelle cosche con modalità operative nuove (c’è ad esempio la possibilità di portare armi con matricola abrasa).

Sul fronte dei processi, poi, sarà prevista l’uso delle videoconferenze: una novità che farà risparmiare circa 70 milioni l’anno, attualmente spesi per gli trasferimenti dei detenuti. Per snellire i processi la commissione pre- che, ad esempio, le eccezioni preliminari (che di solito occupano due o tre udienze) debbano essere presentate dalle difese una settimana prima della prima udienza in maniera tale da essere valutate per tempo da pm e giudici in anticipo rispetto all’inizio del procedimento.

Niente più carte per i difensori che potranno ritirare tutti gli atti del processo digitalizzati direttamente nelle cancellerie delle procure. La polizia penitenziaria, sgravata di alcune incombenze, avrà compiti nuovi. Dovrà infatti dotarsi di un ufficio scorte per la sicurezza dei palazzi a rischio (tribunali, procure, ecc.) e sarà chiamata ad occuparsi in via esclusiva di pentiti e collaboratori di giustizia.

Sarà riformata anche l’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati alle mafie che attualmente si trova a Reggio Calabria. Avrà una sede unica a Roma. Sarà guidata da un manager e dotata di personale selezionato con bandi e concorsi pubblici. Altro settore rivoluzionato sarà quello dei crimini contro l’ambiente, che saranno considerati tutti reati penali puniti con il carcere.

Novità anche sulle intercettazioni. La nuova norma mette sullo stesso piano le intercettazioni svolte per i reati ordinari e quelle per i reati di mafia prolungandone i decreti da 20 a 40 giorni. Ci sarà poi una stretta per la pubblicazione delle intercettazioni. Non sarà più possibile pubblicare quelle che non siano “strettamente legate al capo d’imputazione”. Secondo gli estensori della proposta deve esserci un argine tra ciò che appartiene alla vita privata delle persone indagate e quello che è invece collegato al reato e quindi di interesse pubblico.

(fonte)

A proposito della Madonna che si inchina al boss

”I Carabinieri hanno fatto benissimo ad allontanarsi. I servitori dello Stato non possono tollerare il minimo compromesso o tentennamento nei confronti della ‘ndrangheta. Sta agli altri come ho detto sia prima e sia dopo che Papa Francesco venisse in Calabria, essere conseguenziali e coerenti con quello che ha detto Papa Bergoglio e con quello che abbiamo scritto con il libro ‘Acqua santissima’. E’ ora di finirla con la retorica delle parole e incominciare a prendere provvedimenti con chi ha violato le regole della Chiesa e le parole di Papa Francesco”.

Nicola Gratteri, procuratore aggiunto presso il tribunale di Reggio Calabria su ciò che abbiamo scritto (di prima mattina, eh) qui.