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Un po’ di chiarezza: perché il provvedimento di Trump non c’entra nulla con quello di Obama

Se ne scrive su Gli Stati Generali:

1) L’ordine restrittivo di Obama del 2011 interessava i rifugiati che provenivano da un solo Paese, l’Iraq, in presenza di una minaccia precisa e circostanziata. Quello di Trump riguarda 7 Paesi senza che nessuna fonte di intelligence abbia dato conto di alcuna minaccia particolare.

2) L’ordine di Obama si applicava ai rifugiati e a chi richiedeva un nuovo tipo di visto (lo Special Immigrant Visa). L’ordine di Trump si applica non solo ai rifugiati ma a tutti (134 milioni di persone), inclusi i possessori di altri tipi di visto. Nella giornata di oggi, lunedi’, dopo il contrasto con il DHS (Department of Homeland Security) pare si sia sbloccata la questione relativa ai possessori di Immigrant Visa (Green Card per i giornalisti italiani). Ma restano ancora fuori i possessori di tutte le altre decine di visti, regolarmente pagati ed ottenuti, che al momento non possono tornare negli Stati Uniti dai loro affetti e dalle loro proprietà. Inoltre, al momento e per 3 o 4 mesi e’ impossibile per chiunque si trovi in questi Paesi chiedere qualunque tipo di visto per gli Usa – cosa mai accaduta con Obama.

3) L’ordine di Obama, nel 2015, prevedeva un emendamento al “Visa Waiver Program” ovvero alla lista dei Paesi i cui cittadini possono entrare negli Stati Uniti senza visto (come per esempio l’Italia, i cui cittadini entrano in America tramite la procedura ESTA). In virtu’ di tale emendamento, 7 Paesi sono stati spostati dalla lista degli Stati i cui cittadini non necessitavano di visto a quelli che invece lo necessitano. Dal 2015 al 2016, comunque, fatti i dovuti controlli numerosi visti sono stati concessi ai cittadini di questi 7 Paesi ed e’ bene ricordare che sul suolo americano, da quando Obama e’ in carica, non e’ mai stata compiuta alcuna azione terroristica da nessun cittadino proveniente da uno di quei Paesi. L’ordine di Trump invece blocca la concessione di visti in modo indiscriminato e come gia’ detto sospende anche i visti gia’ emessi.

4) L’ordine di Obama non comportava la sospensione del visto e dell’accoglienza dei rifugiati, ma una stretta sul “vetting process” -ovvero le procedure dei controlli. Tale stretta era dettagliata nei modi e, fatti i laboriosi controlli, i rifugiati iracheni erano liberi di entrare nel Paese, come accaduto in decine e decine di casi. L’ordine di Trump invece comporta una sospensione automatica, a priori, di tutti i tipi di visto (escluso l’Immigrant Visa, ovvero la Green Card) per 3 e 4 mesi e non dettaglia in che modo verranno fatti i controlli.

5) L’ordine di Obama era stato preceduto da numerosi incontri ufficiali e scritto dettagliatamente. L’ordine di Trump e’ un guazzabuglio giuridico scritto senza avvertire nessuna agenzia governativa, che ha causato una situazione di chaos in cui tutto e’ lasciato alla discrezionalità dei singoli ufficiali, che e’ gia’ stato emendato per quanto riguarda gli Immigrant Visa e che con ogni probabilità verra’ demolito dai ricorsi gia’ presentati dagli avvocati.

(l’articolo completo è qui)

Il vestito della moglie di Renzi

Poi magari un giorno, tutti insieme, ci mettiamo d’accordo nello stabilire un limite potabile di ecologia intellettuale nella discussione politica. Stabiliamo un limite di polveri sottili d’idiozia che possono stare nell’aria. Capiamo che pasteggiare editoriali sul vestito della moglie di Renzi ha la stessa cattiva pasta di chi fotografava i calzini viola di un giudice oppure di chi storpia un cognome per guadagnarsi un applauso dalle pulci.

Perché se accendiamo il tritacarne, credetemi, finisce che tocca a tutti di metterci per sbaglio dentro un dito.

Obama e i morti come spiccioli

l dibattito era aperto da tempo e contiene, al di là delle considerazioni politiche, anche indispensabili elementi per una sincera valutazione etica: quanti sono i morti civili che gli USA hanno provocato con i propri droni nelle diverse guerre di difesa (o esportazione) della democrazia? Il numero, di per sé, forse è anche meno importante del valore simbolico che c’è nel sentire pronunciare dal Presidente Usa le scuse per una guerra che al di là della narrazione americana si porta con sé un carico di vittime innocenti. Eccolo, dunque, il Presidente, nei suoi ultimi sei mesi di mandato e proprio sotto la brama dei festeggiamenti del 4 luglio (Festa dell’indipendenza degli Stati Uniti) pronunciare le parole agognate: “dal 2009 al 2015 ci sono stati tra i 64 e i 116 morti” ha detto Obama.

Morti come “effetti collaterali”, ovviamente: le “morti dei civili – ci spiegano – sono una tragica e qualche volta inevitabile conseguenza dell’uso della forza in situazioni di conflitti armati” e questa comunicazione sarà una consuetudine del Governo che si impegna ogni anno a redigere un report in nome della trasparenza. La trasparenza, appunto, il santo graal della comunicazione politica di questo tempo, la promessa perpetrata dappertutto come soluzione unica di tutti i problemi, il metro risolutivo con cui valutare qualsiasi azione politica. Tutti felici? No, per niente.

(continua qui)

L’uguaglianza secondo Obama

Tanto per notare le differenze:

Obama va alla guerra delle tasse: imposte più alte sui ricchi (colpiti i «capital gain», non i redditi da lavoro) da redistribuire al ceto medio in difficoltà sotto forma di sgravi fiscali per le famiglie con figli e misure di sostegno sociale: soprattutto il college gratis per quasi tutti gli studenti e l’aspettativa di paternità pagata. Deciso a non passare alla storia come il presidente che ha stabilizzato e rilanciato l’economia Usa dopo una crisi gravissima, ma poi non è riuscito a evitare una frattura nella società col drammatico impoverimento del ceto medio, il leader democratico proporrà domani sera al Congresso e all’America una ricetta economica con la quale infrange il tabù dell’aumento dei tributi.

Lo farà nell’occasione più solenne: il discorso sullo Stato dell’Unione, che viene pronunciato ogni anno in diretta tv davanti alle Camere riunite. La sicurezza e la lotta al terrorismo saranno sicuramente temi centrali, ma, entrato nell’ultimo biennio alla Casa Bianca, la sua eredità politica Obama se la gioca soprattutto sulle questioni interne. In America, poi, è già iniziata la campagna per le presidenziali del 2016 al centro della quale ci sarà il malessere assai diffuso in un Paese che, pure, ha ripreso a creare molti posti di lavoro. Ma la globalizzazione dell’economia e i processi di automazione hanno favorito una progressiva polarizzazione dei redditi, mentre i nuovi lavori sono concentrati nella fascia alta delle professioni creative più remunerative o in quella bassa della manodopera non qualificata che spesso non arriva nemmeno a mettere insieme il reddito minimo di sopravvivenza del nucleo familiare. In mezzo, un ceto medio sempre più schiacciato.

E’ soprattutto per questo che Obama ha visto la sua popolarità declinare negli ultimi anni. Mentre la «sconfitta annunciata» alle elezioni di «mid term» di novembre si è trasformata in débâcle, nonostante Pil e occupazione in forte crescita. Col Congresso ora totalmente controllato dalla destra, la Casa Bianca ha pochi margini di manovra, ma il presidente ha deciso ugualmente di lanciare una controffensiva: «State of the Union» diventa così il punto d’arrivo di un percorso fatto di annunci di interventi sociali a sostegno del ceto medio.

Fino a ieri Obama aveva puntato soprattutto sull’istruzione e il welfare: asili nido, i primi anni dell’università pagati dallo Stato, i permessi di paternità retribuiti. Ma ora il team del presidente fa sapere che domani Obama romperà gli indugi anche sul fronte del Fisco. Tre le misure che dovrebbero essere proposte dal lato delle entrate: 1) l’aumento, dal 23 al 28 per cento, della tassa su dividendi e «capital gain» di chi ha un reddito superiore al mezzo milione di dollari l’anno. 2) L’estensione del prelievo fiscale ai «trust» che oggi vengono usati dalle famiglie più facoltose per trasmettere la loro ricchezza agli eredi evitando ogni tributo. 3) Un maggior prelievo su banche e finanziarie di grandi dimensioni (oltre 50 miliardi di dollari di patrimonio) concepito in modo da colpire chi fa un ricorso maggiore all’indebitamento. Una manovra consistente ma non gigantesca né radicale: 320 miliardi di dollari in dieci anni (parliamo di circa 27 miliardi di euro l’anno) senza aumenti delle aliquote sui redditi da lavoro o riduzione di sgravi oggi molto generosi come quelli sui mutui-casa. Un gettito, comunque, più che sufficiente a coprire i costi del piano di interventi sociali che Obama si accinge a proporre. 60 miliardi serviranno per il college gratis. Poi ci sono da coprire i costi dell’aspettativa pagata per i padri, ma il grosso della manovra (235 miliardi, sempre in dieci anni), andrà ai sostegni economici alle famiglie. Qui il presidente vuole aumentare a 3 mila dollari il contributo annuo erogato per ogni figlio fino all’età di 5 anni, più 500 dollari versati a ogni famiglia con un reddito inferiore ai 210 mila dollari nella quale entrambe i coniugi lavorano.

E’ improbabile che tutte queste misure entrino in vigore: Obama può realizzare solo alcuni interventi marginali utilizzando i poteri presidenziali. Per il resto dovrà affidarsi al voto del Congresso dove alcuni repubblicani hanno già bocciato le sue proposte. Ma la destra deve stare attenta: Obama punta su misure condivise in passato anche da esponenti conservatori e le inserirà nel bilancio che presenterà il 2 febbraio. A dire no su tutto i repubblicani rischiano di finire in rotta di collisione col ceto medio.

(clic)

Eravamo stranieri anche noi, un tempo.

Miei concittadini americani, questa sera, vorrei parlare con voi di immigrazione.

Per più di 200 anni, la nostra tradizione di accoglienza a immigrati provenienti da tutto il mondo ci ha garantito un enorme vantaggio sulle altre nazioni. E ci ha tenuti giovani, dinamici e dalla mentalità imprenditoriale. Ha formato il nostro carattere come popolo con possibilità illimitate – un popolo non intrappolato nel passato, ma in grado di rimodellare se stesso come noi crediamo.

Però, oggi, il nostro sistema di immigrazione non funziona più – e tutti lo sanno.

Le famiglie che entrano nel nostro Paese nel modo giusto e si comportano secondo le regole vedono altri non rispettare le regole. Proprietari di aziende che offrono ai loro lavoratori buoni salari e benefici vedono la concorrenza sfruttare gli immigrati senza documenti, pagando molto meno di loro. Tutti noi ci indigniamo di fronte a chi raccoglie i frutti della vita in America senza assumersi le responsabilità della vita in America. E gli immigrati privi di documenti che disperatamente vogliono abbracciare queste responsabilità vedono altra scelta che rimanere nell’ombra, o il rischio di vedere lacerate le loro famiglie.

E andata così per decenni. E per decenni, non abbiamo fatto molto a riguardo.

Quando ho assunto l’incarico, mi sono impegnato a rimettere in sesto il malfuzionante sistema di immigrazione. E ho cominciato facendo quello che ho potuto, per proteggere i nostri confini. Oggi, utilizziamo più agenti e tecnologia per garantire il nostro confine meridionale che in qualsiasi altro momento della nostra storia. E nel corso degli ultimi sei anni, gli attraversamenti di frontiera illegali sono stati ridotti di oltre la metà. Anche se questa estate si è verificato un breve picco di minori non accompagnati fermati al nostro confine, il numero di questi bambini è ora effettivamente inferiore a quello che è stato in quasi due anni. Nel complesso, il numero di persone che cercano di attraversare illegalmente il nostro confine è al suo livello più basso dal 1970. Questi sono i fatti.

Nel frattempo, ho lavorato con il Congresso su una completa riforma, e l’anno scorso, 68 democratici, repubblicani e indipendenti si sono riuniti per approvare una legge bipartisan al Senato. Non è stato un accordo perfetto. E ‘stato un compromesso. Ma rifletteva il senso comune. Sarebbe raddoppiato il numero di agenti di pattugliamento delle frontiere dando agli immigrati clandestini un percorso alla cittadinanza se avessero pagato una multa, cominciando a pagare le tasse, e ricominciando daccapo. E gli esperti indipendenti hanno detto che avrebbe fatto crescere la nostra economia e ridurre il nostro deficit.

Qualora la Camera dei Rappresentanti avesse concesso questo tipo di disegno di legge un semplice voto sì-o-no, sarebbe passato con il supporto di entrambe le parti, e oggi sarebbe legge. Ma per un anno e mezzo ormai, leader repubblicani alla Camera hanno rifiutato di permettere quel semplice voto.

Ora, io continuo a credere che il modo migliore per risolvere questo problema sia quello di lavorare insieme per superare questo tipo di diritto del senso comune. Ma finché questo non accade, ci sono azioni che ho l’autorità legale di prendere come presidente – lo stesso tipo di azioni intraprese da presidenti democratici e repubblicani prima di me – che contribuiranno a rendere il nostro sistema di immigrazione più equo e più giusto.

Stasera, annuncio quelle azioni.

In primo luogo, noi continueremo a costruire il nostro progresso al confine con risorse aggiuntive per le nostre forze dell’ordine in modo che possano arginare il flusso di attraversamenti illegali, e accelerare il ritorno di coloro che attraversano.

In secondo luogo, per gli immigrati altamente qualificati, laureati e imprenditori renderò più semplice e veloce la possibilità di rimanere e contribuire alla nostra economia, come tanti imprenditori hanno proposto.

In terzo luogo, prenderemo provvedimenti per affrontare in modo responsabile il tema dei milioni di immigrati clandestini che già vivono nel nostro paese.

Voglio dire di più su questo terzo numero, perché genera più passione e polemiche. Anche se siamo una nazione di immigrati, siamo anche una nazione di leggi. Lavoratori privi di documenti hanno violato le nostre leggi sull’immigrazione, e credo che vadano essere ritenuti responsabili – in particolare quelli che possono essere pericolosi. Ecco perché, nel corso degli ultimi sei anni, deportazioni di criminali arrivano all’80 per cento. Ed è per questo che abbiamo intenzione di continuare a concentrare le risorse di polizia sulle minacce reali alla nostra sicurezza. Criminali, non le famiglie. I criminali, non i bambini. Membri delle gang, non una mamma che sta lavorando duramente per mantenere i suoi figli. La renderemo la priorità, così come l’applicazione della legge fa ogni giorno.

Ma anche se ci concentriamo su deportare i criminali, il fatto è che milioni di immigrati in ogni stato, di ogni razza e nazionalità vivono ancora qui illegalmente. E siamo onesti – rintracciare, arrotondando per eccesso, e deportando milioni di persone non è realistico. Chi suggerisce il contrario non è sincero con voi. Neanche rispecchia ciò che siamo in quanto americani. Dopo tutto, la maggior parte di questi immigrati vivono qui da molto tempo. Lavorano duro, spesso in posti di lavoro difficili e a bassa retribuzione. Sostengono le loro famiglie. Pregano nelle nostre chiese. Molti dei loro figli sono nati in America o hanno speso la maggior parte della vita qui, e le loro speranze, i sogni, e il patriottismo sono proprio come il nostro. Come il mio predecessore, il presidente Bush, una volta disse: “Sono una parte della vita americana.”

Dunque, ecco quanto: ci aspettiamo che le persone che vivono in questo paese si comportino secondo le regole. Ci aspettiamo che chi hanno passato il segno, non vengano ingiustamente premiati. Quindi, arriviamo a offrire il seguente accordo: se siete stati in America per più di cinque anni; se si hanno bambini che sono cittadini americani o residenti legali; se vi registrate, passate un controllo dei precedenti penali, e siete disposti a pagare la giusta quota di tasse – sarete in grado di applicare a rimanere in questo paese in modo temporaneo, senza timore di essere espulsi. È possibile uscire dall’ombra e mettersi a posto con la legge. Questa è la base dell’accordo.

Ora, cerchiamo di essere chiari su ciò che questo accordo non comprende. Questo accordo non si applica a chi è venuto in questo paese di recente. Non si applica a chiunque possa venire in America illegalmente in futuro. Esso non concede la cittadinanza, o il diritto di stare qui in modo permanente, o gli stessi vantaggi che i cittadini ricevano – solo il Congresso può farlo. Tutto quello che stiamo dicendo è che non abbiamo intenzione di rimandarvi indietro.

So che alcuni dei critici di questa azione la chiamino amnistia. Beh, non lo è. Amnistia è il sistema di immigrazione che abbiamo oggi – milioni di persone che vivono qui senza pagare le tasse o senza comportarsi secondo le regole, mentre i politici usano la questione per spaventare la gente e montare voti al momento delle elezioni.

Questo è il vero condono – lasciando questo sistema danneggiato così com’è. Un’amnistia di massa sarebbe ingiusta. Le espulsioni di massa sarebbero impossibili e contrarie al nostro carattere. Quello che sto descrivendo è la responsabilità – un buon senso, una via di mezzo: se soddisferai i criteri, potrai uscire dall’ombra e metterti a posto con la legge. Se sei un criminale, verrai espulso. Se avete intenzione di entrare negli Stati Uniti illegalmente, le vostre probabilità di essere scoperti e rispediti indietro sono aumentate.

Le azioni che sto prendendo non solo lecite, sono il tipo di azioni intraprese da ogni singolo presidente repubblicano e ogni presidente democratico per mezzo secolo. E a quei membri del Congresso che mettono in dubbio la mia autorità per rendere il nostro sistema di immigrazione più efficiente, oppure si interrogano sulla mia saggezza che agisce dove il Congresso non è riuscito, ho una risposta: approvate un disegno di legge.

Voglio lavorare con entrambe le parti a passare una soluzione legislativa più duratura. E il giorno in cui firmerò per tramutare quel disegno in legge, le azioni che prendo oggi non saranno più necessarie. Nel frattempo, non lasciate che un visioni diverse su una singola questione compromettano l’accordo nella sua totalità. Non è così che funziona la nostra democrazia, e il Congresso di certo non dovrebbe bloccare di nuovo il nostro governo solo perché non siamo d’accordo su questo. Gli americani sono stanchi dello stallo. Ciò che il nostro paese ha bisogno di noi in questo momento è uno scopo comune – uno scopo più alto.

La maggior parte degli americani sostengono il genere di riforme di cui ho parlato questa sera. Ma capisco il disaccordo di molti di voi a casa. Milioni di noi, me compreso, possono tornare indietro per generazioni in questo paese, con gli antenati che hanno messo nel lavoro scrupoloso di diventare cittadini. Quindi, non ci piace l’idea che chiunque possa ottenere un pass gratuito per la cittadinanza americana.

So che alcuni temono l’immigrazione cambierà il tessuto stesso di ciò che siamo, o ci farà perdere i nostri posti di lavoro, o un farlo pesare sulle famiglie della classe media in un momento in cui già si sentono di aver subito ingiustizie per oltre un decennio. Comprendo queste preoccupazioni. Ma non è quanto questi passi realizzeranno. La nostra storia ed i fatti dimostrano che gli immigrati sono un vantaggio per la nostra economia e la nostra società. E credo che sia importante che tutti noi abbiamo questo dibattito senza impugnare il personaggio di qualcun altro.

Perché per tutto l’andirivieni da Washington, dobbiamo ricordare che questo dibattito riguarda qualcosa di più grande. Si tratta di ciò che siamo come paese, e che vogliamo essere per le generazioni future.

Siamo una nazione che tollera l’ipocrisia di un sistema in cui i lavoratori che raccolgono la nostra frutta e rammendano i nostri letti non hanno la possibilità di mettersi a posto con la legge? O siamo una nazione che dà loro la possibilità di mettersi in regola, di assumersi le responsabilità, e dare ai loro figli un futuro migliore?

Siamo una nazione che accetta la crudeltà di strappare i bambini dalle braccia dei loro genitori? O siamo una nazione che valorizza le famiglie, e lavora insieme per tenerli insieme?

Siamo una nazione che educa i migliori e più brillanti del mondo nelle nostre università, solo per rimandarli a casa per creare imprese nei paesi che competono con noi? O siamo una nazione che li incoraggia a rimanere e creare posti di lavoro qui, creare imprese qui, creare industrie proprio qui in America?

Questo è tutto ciò che riguarda questo dibattito. Abbiamo bisogno di più di politica come al solito quando si tratta di immigrazione. Abbiamo bisogno di un motivato, premuroso, compassionevole dibattito che si concentri sulle nostre speranze, non le nostre paure. So che la politica di questo problema sono duri. Ma lasciate che vi dica il motivo per cui sono arrivato a convincermi così fortemente su di esso.

Nel corso degli ultimi anni, ho visto la determinazione dei padri immigrati che hanno lavorato due o tre posti di lavoro senza prendere un centesimo da parte del governo, e a rischio ogni momento di perdere tutto, solo per costruire una vita migliore per i propri figli. Ho visto il cuore spezzato e l’ansia dei bambini le cui madri potrebbero essere portate via da loro solo perché non possiedono le giuste carte. Ho visto il coraggio di studenti che, fatta eccezione per le circostanze della loro nascita, sono americani come Malia e Sasha; gli studenti che coraggiosamente escono allo scoperto senza documenti, nella speranza di poter fare la differenza nel paese che amano.

Queste persone – i nostri vicini, i nostri compagni di classe, i nostri amici – che non sono venuti qui in cerca di un giro gratis, o una vita facile. Sono venuti a lavorare, e studiare, e servire nel nostro esercito, e, soprattutto, a contribuire al successo degli Stati Uniti.

Domani, mi recherò a Las Vegas e incontrare alcuni di questi studenti, tra cui una giovane donna di nome Astrid Silva. Astrid è stata portata in America quando aveva quattro anni. I suoi unici beni erano una crocifisso, la sua bambola, e il vestito variopinto che aveva indosso. Quando ha iniziato la scuola, lei non parlava inglese. Si è legata ad altri ragazzi leggendo i giornali e guardando PBS, e divenne un bravo studente. Suo padre lavorava nel giardinaggio. Sua madre puliva case di altri. Non avrebbero lasciato Astrid fare domanda per una scuola di tecnologia dei magneti, non perché non l’amassero, ma perché avevano paura che gli impiegati dell’ufficio li avrebbero la avrebbero denunciata come immigrato senza documenti. Così ha applicato in segreto, riuscendo a entrare. Quindi, lei ha per lo più vissuto nell’ombra – finché sua nonna, che visitava ogni anno dal Messico, morì, e lei non poteva recarsi al funerale senza il rischio di essere scoperta ed espulsa. E ‘stato in quel periodo in cui prese la decisione di iniziare a difendere se stessa e gli altri come lei, e oggi, Astrid Silva è uno studente di college al lavoro per la sua terza laurea.

Siamo una nazione che butta fuori determinati, fiduciosi immigrati come Astrid, o siamo una nazione che trova il modo di accoglierla? La Scrittura ci dice che non dobbiamo opprimere un estraneo, perché conosciamo la vita del forestiero – anche noi eravamo stranieri, una volta.

Miei concittadini americani, siamo e saremo sempre una nazione di immigrati. Eravamo stranieri anche noi, un tempo. E se i nostri antenati erano forestieri che hanno attraversato l’Atlantico o il Pacifico, o il Rio Grande, siamo qui solo perché questo paese li ha accolti, insegnando loro che essere americano è di qualcosa di più di quello che sembriamo, o ciò che sono i nostri cognomi, o del modo in cui preghiamo. Ciò che rende noi americani è il nostro impegno comune per un ideale – che tutti noi siamo creati uguali, e tutti noi abbiamo la possibilità di fare della nostra vita ciò che vogliamo.

Questo è il paese che i nostri genitori e nonni e le generazioni prima di loro hanno costruito per noi. Questa è la tradizione che dobbiamo difendere. Questa è l’eredità che dobbiamo lasciare per coloro che verranno.

Grazie. Dio vi benedica. E Dio benedica questo paese che amiamo.

Datagate

Leggo, riporto e trovo pienamente condivisibili le parole di Stefano Rodotà sul pasticcio DATAGATE, buone soprattutto appena finirà l’indignazione instantanea:

Bisogna, allora, contestare la perentorietà dell’argomento che, in nome della lotta al terrorismo, vuole legittimare raccolte d’informazioni senza confini: da parte di molti, e in Italia lo ha fatto un esperto come Armando Spataro, si è dimostrata la pericolosità e l’inefficienza di raccolte d’informazione che non abbiano un fine ben determinato. Bisogna ricordare che la morte della privacy, troppe volte certificata, è una costruzione sociale che serve alle agenzie per la sicurezza di affermare il loro diritto di violare la sfera privata, visto che ad essa non corrisponde più alcun diritto. E serve ai signori della Rete, come Google o Facebook, per considerare le informazioni sugli utenti come loro proprietà assoluta, utilizzandole per qualsiasi finalità economica, come stanno già cercando di fare. Bisogna seguire la tecnologia e mettere a punto regole nuove per la tutela della privacy, com’è accaduto in passato, e con una nuova determinazione, dettata proprio dalla gravità degli ultimi fatti. Ma bisogna pure chiedersi se gli Stati, che oggi virtuosamente protestano contro gli Stati Uniti, hanno le carte in regola per quanto riguarda la tutela dei dati dei loro cittadini. Se la posta in gioco è la democrazia, né cedimenti, né convenienze sono ammissibili.

La domanda del mattino

Ogni tanto al mattino mi sveglio e trovo nel caffè una domanda. Mi insegue tutto il giorno finché non trovo almeno un mezzo straccio di risposta dato almeno per finta.

Ma sulla questione del datagate che sta investendo Obama e gli USA qualcuno ha qualcosa da dire? Perché non abbiamo un politico al governo che veda almeno mezzo metro più in là del proprio orto?