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Onorevoli colleghi!

«ONOREVOLI COLLEGHI ! — La rete internet è da sempre considerata l’ultimo baluardo delle libertà di pensiero, espressione e opi- nione, dato che per sua stessa natura è aperta a chiunque e non prevede partico- lari formalità nell’accesso o nella fruizione dei servizi. Tuttavia la rete internet, alla pari della maggior parte delle invenzioni e degli strumenti tecnologici, può essere utilizzata in modo produttivo o distruttivo.

[…]

L’era digitale ha difatti cambiato anche il senso del dimenticare, disegnando un mondo in cui ogni informazione è sempre attuale, sempre accessibile e sempre disponibile.

[…]

L’obiettivo della disposizione è quello di regolamentare la rete internet e ottenere, di conseguenza, una forma « civilizzata » di spazio telematico.»

 

Quando vi viene in mente di controllare l’educazione digitale dei nostri parlamentari vi imbattete in cose così:

Introduzione del divieto dell’uso anonimo della rete internet e disposizioni in materia di tutela del diritto all’oblio. Lo trovate qui.

Un piccola storia ignobile

 

C’è un bambino. Chiamiamolo Andrea. Immaginatelo scuro o con i capelli più folti rispetto agli Andrea che avevate per nonni. I suoi, di nonni, come i suoi genitori sono di un Paese qualsiasi in giro per il mondo, non importa quale: anche Andrea non c’è mai stato, non l’ha mai visto, non conosce nessuno. Andrea è nato a Milano. Poi è cresciuto. Parla milanese, pensa milanese, si siede ad aspettare sugli scalini del Duomo, litiga con i ghisa, mangia nebbia tutti gli inverni, ha in camera il poster di Zanetti, frequenta con buoni risultati il Liceo Parini (anche se si impegna sempre troppo poco) e organizza barbecue di nascosto all’Idroscalo.

Andrea ha 16 anni. Ed è apolide. Senza nazionalità. Non può avere la cittadinanza fino all’età di 18 anni. Per la legge italiana (lo “ius sanguinis” della legge 92 del 1991) deve avere un genitore italiano e invece i suoi sono di qualsiasi altro Paese del mondo. Se non avesse avuto i genitori invece (abbandonato) sarebbe italiano. Deve aspettare la maggiore età. La maturità, la chiamano. E fa niente che il disagio maturi molto prima.

Ora immaginate una legge fin troppo tiepida che dica ad Andrea che può acquisire la cittadinanza se almeno uno dei suoi genitori ha un diritto di soggiorno permanente, quindi con un periodo di residenza di almeno 5 anni, un alloggio adeguato e dopo aver superato un test di lingua. Il genitore va all’anagrafe e chiede la cittadinanza per il figlio, visto che la norma si applica per i minorenni (la novità per i maggiorenni è che avranno due anni e non uno per scegliere la cittadinanza italiana).

Bene. In questa storia ora metteteci dentro “l’invasione”, “la sostituzione di razza”, “gli sbarchi” e un po’ di “terrorismo” che ci sta sempre bene. Provate a capirci cosa c’entri con Andrea. Spiegateglielo, anche.

E capite di cosa stiamo parlando. Capite su cosa stanno facendo baccano questi squallidi squadristi che si infervorano in Parlamento. Decidete voi chi sono gli ignobili in questa storia.

Buon venerdì.

(da Left)

Metti che un giorno l’Italia sia guerrafondaia e filonucleare: giocare d’anticipo, stavolta

Lo scorso ottobre durante una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che trattava di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione L.41,  mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti. La risoluzione votata (la trovate qui) si proponeva di fissare una conferenza programmatica di tutti gli Stati membri per individuare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”.

Il voto contrario dell’Italia (a braccetto con gli USA) scatenò nei mesi scorsi un folto coro di polemiche indignate. Brevi e postume, come al solito. Ovviamente. Fu piuttosto triste assistere anche al malcelato silenzio (o al massimo qualche editorialino sdraiato) da parte di una certa stampa che di quei tempi (era ottobre ma sembra un secolo fa) aveva la preoccupazione di non disturbare il manovratore Renzi.

E non fu un errore o una decisione presa d’improvviso: quel voto è avvenuto dopo una chiara risoluzione del Parlamento Europeo che invitava tutti gli Stati membri Ue a partecipare in modo costruttivo ai negoziati ma nemmeno questo era bastato.

(continua su Left)

Proteggere

Ilaria Capua è una delle più apprezzate ricercatrici italiane all’estero. Ilaria è finita in Parlamento per la sua eccellenza professionale:incredibile di questi tempi. Ilaria Capua ha subito un processo che ne ha messo in discussione non solo la lealtà ma anche tutta la carriera. Ne è uscita pulita, alla fine, ma ha deciso di dimettersi. L’editoriale più bello sono le parole delle dimissioni di Ilaria Capua dal Parlamento. Perché ci vuole coraggio a versare umanità lì dove viene considerata una debolezza e ci vuole dignità, tanta dignità, a scrivere parole così pulite nonostante il sudore e la polvere. Se questo buongiorno deve essere un buon mattino allora meglio lasciarlo a Ilaria:

«Sì, perché non ci piace pensarlo, ma ognuno di noi ha un tempo limitato che gli resta da vivere – e utilizzare al meglio quel tempo è una forma di rispetto verso se stessi e verso gli altri. Anzi un dovere. Ho sentito quindi, che fosse giunto il momento di tornare ad usare il mio tempo al meglio, di tornare nel mondo scientifico, purtroppo non in quello italiano, in un ambiente nel quale non avessi mai perso la credibilità e nel quale fossi riconosciuta ed apprezzata. Ho accettato, su richiesta di una organizzazione internazionale, un incarico di Direttore di un Centro di Eccellenza all’Università della Florida. Ho deciso di trasferire la mia famiglia negli Stati Uniti per proteggerla dalle accuse senza senso ma nel contempo infamanti che mi portavo sulle spalle.

Perché una mamma ed una moglie deve farsi carico anche di questo. Proteggere. E aggiungo, una donna di scienza nel quale questo Paese e l’Europa hanno investito ha il dovere di non fermarsi. Ha il dovere di continuare a condurre le proprie ricerche nonostante tutto, perché la scienza è di tutti ed è strumento essenziale per il progresso.

Venti giorni dopo il trasferimento negli Stati Uniti la Procura di Verona in sede di udienza preliminare ha smontato il castello accusatorio pezzo per pezzo, prosciogliendomi dai molteplici capi d’accusa perche «il fatto non sussiste». Secondo la giudice una sola accusa meritava di essere eventualmente approfondita in dibattimento, ma il presunto reato era ormai prescritto da tempo e quindi sarebbe stato inutile proseguire. La sentenza è passata in giudicato e nessuno l’ha impugnata. Nessuno. Ora che è finita, potrei tornare indietro, ma vi dico la verità, non me la sento. Devo recuperare forze, lucidità e serenità, devo lenire la sofferenza che è stata provocata a mia figlia e a mio marito. Devo recuperare soprattutto fiducia in me stessa, appunto perché voglio usare al meglio il tempo che ho a disposizione. Lo devo ai miei genitori che mi hanno fatto studiare, ai miei maestri, ai miei amici e ai miei allievi di ieri e di domani.»

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Una sorta di prepotenza vittoriosa

Il Parlamento è stato per me innanzitutto il luogo del confronto. Nell’Aula mi trovavo di fronte a “l’altro da me”, ed ero obbligato ad interrogarmi, a risolvere nel vivo del confronto, anche aspro, il nodo di fondo: quale legge? Nel Parlamento che io ho frequentato era viva e concreta la pratica del confronto. Non solo nelle forme canoniche dei rapporti tra i gruppi politici, tra maggioranza ed opposizione, ma nelle relazioni che si stabilivano tra i singoli deputati, nelle lunghe e spesso intense giornate di lavoro comune. Non saprei fare paragone con altri paesi, ma in Italia questa esperienza c’è stata e non è stata un nulla. L’ho vissuta da deputato, poi come capogruppo parlamentare e infine quale Presidente della Camera. E ricordo molto bene l’impressione che ebbi, quando seguivo per “l’Unità” i lavori dell’Assemblea Costituente, dei rapporti, tutt’altro che formali, tra Togliatti, Nenni, De Gasperi, Dossetti. Ovviamente i rapporti non sono stati sempre e solo di confronto. Scelba è stato la negazione del rapporto con “l’altro” e non era certo isolato. In tutta la Dc, dopo il 1948, si affermò una sorta di prepotenza vittoriosa. Nella stessa Aula parlamentare vi erano scontri fisici, ricordo deputati che tentavano di assaltare perfino lo scranno della Presidenza. Ma ricordo anche la qualità e l’intensità del confronto politico. Intervenivano regolarmente i laeder, ed i loro discorsi erano densi di contenuto, quanto curati nella forma. Poi ci si incontrava in Transantlantico e si ragionava su quanto era accaduto in Aula. E ci si preoccupava di come comunicare all’esterno, da parte nostra di informare e coinvolgere i militanti di partito. Togliatti veniva a “l’Unità”, subito dopo la fine della seduta, per correggere personalmente il suo discorso. Lo vedo ancora, tutto sudato, tanto che le compagne avevano sempre pronta una camicia fresca, concentrato a modificare anche le virgole, prima di consegnarlo al redattore per la stampa. Bisognava far presto, per i tempi stretti di uscita del giornale. Del resto tutta la stampa dava conto in modo minuzioso delle cronache parlamentari. Insomma l’azione politica in Parlamento era molto mossa, tutt’altro che rituale. Credo che oggi sia molto sottovalutato, per non dire dimenticato, quanto abbia contato il Parlamento nella vita politica del paese. Non si facevano chiacchiere, si entrava nel merito delle scelte e delle decisioni del governo. In quel confronto mi sono formato, come giornalista e come politico. Ed è nella concreta pratica parlamentare che è maturata la mia concezione della democrazia e la mia riflessione sulla centralità del Parlamento. A voi oggi può sembrare improbabile, ma in quegli anni vi furono dibattiti molto interessanti, di grande rilievo per le prospettive del paese.

(Pietro Ingrao, 2011, conversazione con Maria Luisa Boccia e Alberto Olivetti, a un prezzo irrisorio il libro nato da queste conversazioni si può comprare qui)

Un Paese in guerra con il Parlamento in vacanza

Fortissimi sui tweet, appuntiti sugli slogan e poi miseramente smussati sulle parole. Le parole che mancano sono quelle di una guerra in Libia in cui l’Italia ha una parte attiva che nessuno vuole raccontare. E così il Parlamento, che le parole ce le ha tutte nel nome stesso, si zittisce. Peggio, va in vacanza, sotto l’ombrellone. Un Parlamento silenzioso non si poteva certo inserire nella riforma costituzionale ma con un po’ di tempismo, si riesce a fare accadere.

Se è vero che il ministro Gentiloni giusto due giorni fa dichiarava altero che sarebbe stato tutto da valutare e discutere un eventuale disponibilità dell’Italia nel prestare le proprie basi agli attacchi Usa verso la Libia giusto ieri la Pinotti invece ha lasciato intendere (con un intervento in Aula, eh) che tutto è già stato deciso e quindi l’Italia è a disposizione. In mezzo ovviamente non c’è stata discussione, al solito. Non sia mai che se ne parli in Parlamento: un governo scolpito con i decreti non si brucia qualche giorno di vacanza per la guerra. Figurati.

Oggi è prevista la riunione della commissione Esteri e la commissione Difesa e i ministri non ci metteranno la faccia: sono attesi al massimo i sottosegretari nel tenue ruolo di piccioni viaggiatori. Solo così la parola “guerra” può rimanere una sinistra evocazione dei gufi senza nessuna associazione scritta con questo governo di scout ubriacati dal potere e il prepotere. Niente guerra, al massimo sentirete dire “disponibilità come concordato negli accordi bilaterali con gli Usa” e così ancora una volta tutto diventa una mera operazione di comunicazione sottaciuta.

Eppure oggi in commissione basterebbe porre una domanda secca: «il drone Usa Reaper è già decollato dalla base di Sigonella per sganciare un missile Hellfire?» Basterebbe una risposta secca per mettere in imbarazzo questa orda di balbettanti governanti. E vedrete che prossimamente puntualizzeranno che non c’è bisogno di un’autorizzazione del Parlamento per un’operazione del genere. C’è da scommetterci che lo diranno.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Il bestiario del Parlamento

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Tanto per capirsi. Un elenco:

  • i renziani. Tutti. Tutti quelli che sono in posti di potere solo perché servetti del renzismo. Che saranno poi i primi a mangiargli la carcassa. Furbetti perché senza il vizio della servitù non riuscirebbero nemmeno a farsi eleggere in una riunione di condominio.
  • NCD. Il nuovo centrodestra che si è inventato una sigla per ripulirsi ma che poi sono gli stessi che ci hanno ripetuto per anni che il processo a Dell’Utri è una persecuzione della magistratura. Berlusconiani senza rinnegare Berlusconi perché sono troppo ricattabili. Abusivi.
  • Formigoni: in un Paese normale un Presidente di Regione finito com’è finito lui sarebbe costretto a vita privata. Oggi è in maggioranza. Con Renzi. Evviva. Furbetti colorati.
  • Cicchitto: si lascia andare in una lunga intervista su l’Unità (mio dio, l’Unità) per dirci che a Roma bisogna votare Giachetti. Cicchitto. E intanto Giachetti ci insegna di essere il nuovo.
  • Tutti quelli che ci dicono che il M5S sono una massa di potenziali delinquenti. E intanto si fanno sostenere alla Camera e al Senato da delinquenti acclarati. Pensa te.
  • Maria Elena Boschi. Che ha mezza famiglia impastata nella banca più scandalosa degli ultimi anni. A questo punto ci facevamo Fiorani ministro. Si faceva prima.
  • Beppe Sala (sì, lo so, non è in Parlamento ma è un prototipo che non possiamo tralasciare) Ha promesso di non volere fare politica. E si è candidato. Ha promesso di mostrare i conti di Expo e hanno dovuto strappargli la borsa per vederli. Ha promesso che i conti fossero in attivo e poi ci ha sgridato perché non sappiamo l

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Sbadati alla cassa

buvette

Certo non è la polemica del giorno e non è nemmeno l’origine di tutti i nostri mali ma questa storia dei deputati che si dimenticano di pagare alla cassa mi ricorda quando in teatro avevamo deciso di mettere la macchinetta del caffè con una piccola scatola per raccogliere la moneta. Ognuno, facendosi il caffè, avrebbe dovuto mettere qualcosa come 30 centesimi, se non ricordo male, e alla fine del mese mancava sempre qualcosa. Eppure eravamo in fondo sempre noi, qualche ospite di passaggio, gli stessi che dividevano oneri e onori di quell’avventura. E alla fine eravamo arrivato alla conclusione che devi avercela la predisposizione di essere un responsabile “padre di famiglia.” Niente di che, figurarsi, caratteristica non indispensabile per una comparsa, un macchinista o un attore a cui pagavamo comunque volentieri i centesimi di ammanco. Ma non eravamo il Parlamento, noi. Ecco.