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Politica

Il ballo incivile dei testimoni di giustizia. Giustiziati.

PieraAielloLa vicenda dei testimoni di giustizia in Italia (sempre confusi e indegnamente in bilico nella melma del fraintendimento tra “pentito” e “testimone”) è uno degli angoli vergognosi e tenuti sotto chiave da una paese che è fortissimo nelle celebrazioni ma colpevolmente distratto nella gratitudine dei suoi uomini migliori. C’è una differenza sostanziale tra un collaboratore di giustizia (volgarmente detto “pentito”) e un testimone di giustizia: il primo rinuncia ( o comunque tratta) alla propria pena, il secondo spesso alla propria dignità di vita. E sulla bilancia della giustezza (prima della giustizia) qualcuno ci dovrà spiegare perché un concetto così lapalissiano non sia comunicabile. Perché non venga ritenuto “giornalistico” o politicamente “strumentalizzabile”  al di là di qualche serata di costume d’antimafia o qualche docu-marketing-fiction. Un paese che culla le puttane perchè servano a sputtanare il re e intanto lascia sui marciapiedi gente come Pino Masciari o Piera Aiello perché sono spendibili solo nei processi. Un paese che celebra le “scorte letterarie” come oggetto da bestseller e nasconde (male) sotto lo zerbino chi ha sfidato la criminalità mettendosi a verbale. Un paese in cui succede che gente che dallo Stato si aspetta il diritto di stare in sicurezza nell’ombra sia costratta ad urlare per salvarsi e contemporaneamente uccidendosi. Il comunicato di Piera Aiello (attraverso l’Associazione Rita Atria) e quello di pochi giorni fa di Pino Masciari sono il grido più doloroso (e sottovalutato) dell’antimafia non di chi la vorrebbe tanto imparare a fare; ma di chi ci è caduto dentro con la testa alta, lo sguardo fiero e sempre in piedi.

Se ci fosse cuore sarebbe un grazie come un mantra da tutti gli spigoli della nazione.

ASSOCIAZIONE ANTIMAFIE “RITA ATRIA”

OGGETTO: Comunicato stampa: Piera Aiello, testimone di giustizia, torna a Partanna (TP) dopo 18 anni per rivendicare il suo diritto a Vivere

Tornata nella sua casa di Partanna (TP), Piera Aiello, testimone di giustizia dal 1991, per constatare il suo effettivo status di “ex testimone”, come da comunicazioni (e senza motivazione) del Servizio centrale di protezione, che ha demandato alla Prefettura della località segreta i problemi legati alla

sicurezza in base a motivazioni contenute nel documento “stralcio del verbale di riunione del 15 aprile 2009” recapitato alla Aiello (i cui dettagli renderemo noti durante la conferenza stampa).

La Prefettura competente, da parte sua, ritarda ancora ad ottemperare alle misure concordate con Piera Aiello già nel maggio scorso (teniamo a sottolineare che il 2 aprile Piera Aiello aveva appreso che la sua copertura è stata vanificata per cause ad oggi ancora oggetto di indagine e sulle quali

non desideriamo soffermarci, nel pieno rispetto della serenità di giudizio delle istituzioni competenti).

Ricordiamo inoltre che l’art.16-ter della L 45/2001 prevede che le misure di protezione siano mantenute fino alla effettiva cessazione del rischio, cessazione della quale la diretta interessata non ha ricevuto alcuna comunicazione, nemmeno dopo le ripetute richieste rivolte al Servizio

centrale di protezione, che fa capo al ministero degli Interni. Da qui la sua decisione di chiedere un sereno colloquio con le procure siciliane che si sono avvalse delle sue testimonianze per avere chiarezza sulla condizione di pericolo in cui attualmente versano lei e la sua famiglia.

Ci riserviamo inoltre di discutere nell’ambito di “Contromafie”, organizzato da “Libera” a Roma il 23/24/25 ottobre, le politiche da intraprendere insieme ad altre associazioni affinché siano accolte le

proposte di modifica alla legge già presentate ad alcuni parlamentari al forum (organizzato dall’Associazione Antimafie “Rita Atria”) sui testimoni di giustizia tenutosi a Roma il 26 luglio scorso, durante la giornata in memoria di Rita Atria.

Martedì 6 ottobre alle 11.30 a Partanna (TP), in via Crispi 199, si terrà una conferenza stampa in presenza di Piera Aiello, di don Luigi Ciotti.

Per motivi legati alla sicurezza di Piera Aiello è necessario accreditarsi inviando una email all’indirizzo info@ritaatria.it (per informazioni tel 347.262.27.46).

Documento Piera Aiello

Io sottoscritta Piera Aiello nata a Partanna il 02-07-1967 Testimone di giustizia dal 1991 e residente in località protetta, scrivo e intendo rendere pubblico questo documento dopo 18 anni di non vita, grazie ad uomini di Stato preposti a garantire la mia sicurezza – come quella di altri Testimoni di Giustizia – e che invece si sono dimostrati ASSENTI e peggio INDIFFERENTI alle nostre condizioni di vita ed alle condizioni di pericolo cui eravamo esposti.

Sono persone che hanno dimostrato purtroppo un assoluto senso di superficialità per quanto riguarda la questione delicatissima dei Testimoni di Giustizia, invece di dimostrare quella attenzione e quell’attento accompagnamento dei “Testimoni di Giustizia” che lo Stato ha progressivamente imparato ad assumere come compito e tradurre nello spirito e nel dettato delle specifiche Leggi promulgate, ma di cui costoro sembra non abbiano mai avuto conoscenza o comprensione.

Pertanto ho deciso di elencare e rendere pubblica questa situazione attraverso la narrazione di una piccolissima parte della mia vicenda umana che attesta il poco tatto con cui io, e sicuramente molti altri Testimoni di giustizia come me, veniamo trattati fino ad oggi da funzionari e rappresentanti istituzionali che avrebbero invece il compito di essere delicati e quantomeno premurosi e solerti nell’affrontare i nostri problemi, e che invece dimostrano la volontà di lasciare irrisolte le questioni, spesso vitali, poste dal Testimone, o di costruire percorsi limpidi per una fuoriuscita dal Programma di Protezione ed un ritorno a nuova vita in modo dignitoso, dopo il lungo periodo di tribolazioni e peregrinazioni nelle aule dei vari tribunali.

La mia storia è forse risaputa, in quanto ampiamente riportata dai mass media, ma sento necessario – per dare un ordine ed una ragione comprensibile alla conclusione verso cui sono orientata – raccontarne qualche breve tratto ben sapendo che non è possibile rappresentare in poco spazio tutta la drammaticità quotidiana della vicenda che ho scelto di vivere per contrastare la criminalità mafiosa, vicenda che è stata aggravata proprio da una inattesa insensibilità istituzionale da parte di chi avrebbe dovuto accompagnarmi in questa scelta di vita dura e difficile.

Divenni Testimone di Giustizia nel 1991 a seguito di avvenimenti criminali rivelati in deposizioni rese davanti al Giudice Paolo Borsellino ed allo stuolo di Sostituti Procuratori che con lui collaboravano. Venni messa sotto regime di protezione immediatamente. Subito dopo la mia decisione, mia cognata Rita Atria volle condividere la medesima scelta di Testimone di Giustizia.

Quando ho preso la decisione di testimoniare vigeva l’istituto dell’Alto Commissario, solo successivamente vi sarebbe stato l’avvento del Servizio Centrale di Protezione.

Già a quei tempi, in regime di Alto Commissario, si registrava una profonda confusione di compiti, ruoli e modalità di intervento, in quanto i funzionari non sapevano bene come gestire il fenomeno dei Testimoni di Giustizia e facevano molta fatica a distinguere tra questi ultimi ed i collaboratori di Giustizia, cioè coloro che – a differenza dei Testimoni, i quali non avevano mai colluso con i crimini ed i criminali di cui riferivano vicende e comportamenti – si erano dissociati per le più varie ragioni dai crimini e dai criminali con cui avevano precedentemente collaborato direttamente ed attivamente.

L’unica cosa che posso dire con certezza è che quando era in vita Paolo Borsellino le varie mancanze e difficoltà venivano sempre risolte tempestivamente e grazie a suoi diretti interventi, mentre dopo la sua morte le cose precipitarono.

Già dopo pochi giorni dall’omicidio del Giudice, si verificò infatti una vicenda sconcertante. Vennero cioè a trovarci (me e mia cognata Rita) due funzionari che ci dissero: “Dalla morte del Giudice, molti collaboratori si stanno tirando indietro. Voi cosa volete fare?”. Allora ci chiamavamo tutti collaboratori, senza distinzione, perché non c’era ancora una legge che differenziasse i due status, ma non credevo che per differenziare un criminale da una persona onesta nella coscienza dei funzionari occorresse un testo di legge, credevo piuttosto che bastasse solo la Verità delle cose. (La legge arriva, ma solo nel febbraio del 2001).

Quella domanda mi ha fatto capire che non avrei più avuto il conforto dello Stato rappresentato da Paolo Borsellino, ma avrei bensì convissuto con l’improvvisazione. Rimasi allibita, risposi con l’unica cosa che potevo dire, e cioè che “se prima avevo un motivo per andare avanti, adesso ne avevo mille”. Mia cognata Rita non rispose. Lei era convinta che la mafia l’avrebbe trovata e uccisa. Aveva ragione Rita: con la morte di Paolo Borsellino era finito tutto, non saremmo più state protette allo stesso modo, e sbagliano coloro che citano Rita solo come vittima della mafia. Rita è vittima dell’indifferenza di funzionari incapaci a capire la differenza tra una pratica ed un essere umano. Come dimenticare l’intervista di Ambra Somaschini (29 luglio 1992 su repubblica) all’allora prefetto di Roma. Alla domanda: “Rita Atria soffriva di depressioni e il settimo piano di quel palazzo anonimo, la solitudine, forse ne hanno provocate altre…”, il prefetto rispose: “Pagavamo 950 mila lire al mese per quell’appartamento. Abbiamo fatto il possibile”. Pagavano 950 mila lire da meno di una settimana (perché Rita ebbe quella casa dopo la morte di Paolo Borsellino), ma non è questo il problema: la risposta doveva essere diversa perché la giornalista parlava di “essere accanto umanamente ”, di un supporto psicologico, per far sentire che dopo Paolo Borsellino lo Stato c’era, e invece … “Pagavamo 950 mila lire”. Umanità misurata col metro dei soldi.

Come dimenticare poi le differenze che venivano fatte tra me e Rita: a me avevano dato un alloggio bellissimo, con tutti i comfort, ma a Rita diedero un appartamentino lugubre. Ci davano un contributo mensile talmente irrisorio che a stento riuscivamo a sbarcare il lunario.

Ritengo importante sottolineare questo aspetto per far capire che noi Testimoni di Giustizia non veniamo trattati tutti alla stessa stregua. Ci sono testimoni di seri “A” e testimoni di serie “Z”.

Dopo la morte di Rita, chiesi di trasferirmi in un convento, stanca di vedere quei funzionari con cui dovevo relazionarmi e che pretendevano di “gestirmi” a modo loro senza alcuna mia partecipazione al disegno ed alla costruzione del mio futuro. Avrei voluto restare fuori dal mondo, ma dopo un paio di anni decisi che la vita monacale non faceva per me, soprattutto per la presenza della mia bambina. Mia figlia era ormai in età scolare, e dunque decisi di trovarmi un appartamento in un qualche paese ed a mie spese mi trasferii nella mia “nuova residenza”.

Chiesi ai funzionari preposti a dare soluzione ai problemi della mia esistenza quotidiana di collaborare per iscrivere la mia bambina a scuola, ma nulla mi venne risposto. Decisi di andare personalmente dal direttore didattico del posto, sperando che fosse un onesto padre di famiglia e non un delinquente. Trovai una persona di coraggio e carica di passione civile: gli dissi chi ero, che non avevo documenti, ma rivendicavo che mia figlia potesse godere del suo inalienabile diritto allo studio.

E fu dunque solo grazie a me e a quel direttore, che mia figlia poté entrare a scuola, sotto false generalità. Quando la bambina frequentava ormai la terza elementare, durante un colloquio presso il Servizio Centrale di Protezione (di fronte a testimoni) una funzionaria del servizio centrale mi chiese quanti anni avesse mia figlia e se andasse a scuola. Le risposi che mia figlia aveva otto anni e che frequentava la terza elementare e che loro avrebbero dovuto saperlo senza chiedermelo!

Non solo il danno, dunque, ma anche la beffa di un ipocrita e tardivo interessamento per una situazione che io avevo tempestivamente segnalato e che era rimasta dormiente per oltre tre anni!

Negli anni successivi, dopo aver conseguito due diplomi, sempre a mie spese, e grazie all’aiuto di persone estranee a quegli uffici istituzionali, chiesi di fuoriuscire economicamente dal programma: volevo tornare libera, volevo lavorare, volevo tornare a vivere!

Mi venne concesso quel “privilegio” dopo dure ed impari lotte, perché nel frattempo non mi venivano attribuite le nuove generalità. Quei documenti rappresentavano per me l’unica possibilità di costruire il mio futuro e tuttavia mi venivano negati. Comunque ci riuscii grazie anche all’intervento di persone che mi stimano e mi vogliono bene e che mi hanno salvato la vita, perché la solitudine mi aveva spinto alle stesse conclusioni di mia cognata Rita.

Venni “liquidata” con una cifra che considero irrisoria, ma a me non importava. Anche se pochi, quei soldi mi consentivano di realizzarmi nel lavoro, mi consentivano di ritornare a nuova vita. E poi c’erano le nuove generalità che mi permettevano di andare a votare dopo 7 anni, di non chiedere in prestito il codice fiscale di un’amica fidata, di uscire e non aver paura di esibire il documento, di portare mia figlia all’ospedale e di scegliere il medico e tutte quelle cose che fanno di un essere umano un cittadino.

Dopo la “capitalizzazione” (la chiamano così la liquidazione) attorno a me è caduto il silenzio istituzionale più assoluto. Nessuno, dico nessuno, si è mai chiesto come io abbia utilizzato tali soldi, se ero riuscita a realizzarmi, nulla, neanche una telefonata per dire: “signora va tutto bene? È viva?”. Il nulla. Eppure mi avevano detto che c’era un funzionario del ministero del Lavoro che mi avrebbe potuto aiutare nel reinserimento lavorativo.

Sapevo che in quegli uffici noi siamo pratiche, ne avevo avuto ampiamente la prova e la stessa storia continuava a ripetersi. Non potevo neppure telefonare per parlare con i funzionari. Addirittura una volta venni insultata perché telefonando avevo chiesto di parlare con il direttore del Servizio Centrale. Mi rispose un funzionario, ammonendomi di non chiamare più!

Insomma quello Stato che mi era stato proposto come la mia nuova famiglia in realtà si è trasformato nella mia peggiore prigione, con relativi aguzzini, forse per “gratitudine della mia attiva testimonianza contro il crimine organizzato”.

Ho anche prodotto tutta la documentazione prevista dalla Legge e necessaria perché lo Stato acquistasse la mia casa in Sicilia e mi consentisse di ottenere nella mia nuova residenza beni di “pari consistenza” o comunque qualcosa di dignitoso che si potesse chiamare casa. Lo Stato ha rifiutato di accogliere le mie richieste (offrendomi una cifra offensiva e umiliante per una casa costruita con sacrificio e anni di immigrazione in Venezuela di mio padre) e la vicenda si è risolta nella necessità di avviare una azione giudiziaria con un ricorso davanti al TAR contro quello Stato che mi doveva tutelare per promessa e per Legge! Ricorso che ancora ad oggi deve essere discusso!

Avevo chiesto altre cose che mi spettano di diritto, che non vado qui ad elencare (sempre disponibile a farlo con chiunque nutrisse dubbi sulla mia onestà intellettuale), ma com’è sempre accaduto quando sono andata negli uffici istituzionali, ho trovato apparente disponibilità ed avvertito una “falsa” cortesia, ma nessuna volontà di risposte concrete e tempestive. Così è stato ad esempio per una richiesta fatta a febbraio 2009 e per la quale ancora oggi (settembre 2009) sono in attesa di una qualsivoglia risposta, foss’anche un rifiuto. Non so e non mi è dato sapere se sono state approvate le mie proposte e richieste. Mi chiedo come sia possibile affidare oltre a simili persone la propria vita! Mi chiedo come faccia una istituzione ad ignorare critiche pesanti e denunce fondate contenute nella relazione sui Testimoni di Giustizia della precedente commissione antimafia… Nella nuova commissione hanno ritenuto il problema talmente superfluo o superato che hanno pensato di non istituire una commissione sull’argomento. Non si sono posti neanche il problema se le indicazioni contenute in quella relazione fossero state in qualche modo portate avanti.

Ho avuto un grave problema di sicurezza determinato da un episodio oggi oggetto di accertamento (nonostante tutto confido sempre sul fatto che vinca il primato della Verità e della Giustizia su altri primati meno nobili) che ha fatto saltare la mia copertura. Questo significa che la mafia conosce il mio attuale nome e dove mi trovo.

In seguito a quello che per me e per la mia famiglia è un vero e proprio dramma, a maggio sono stata convocata in Prefettura, dove mi sono state fatte promesse di videosorveglianza. Ho saputo da fonte certa che alcuni dei funzionari del Servizio Centrale di Protezione sostengono che quei dispositivi di videosorveglianza sarebbero stati già montati (per l’esattezza l’affermazione è stata: “la signora è coperta da videosorveglianza”), cosa assolutamente falsa se riferita alla mia personale situazione. Dunque costoro parlano senza cognizione di causa di cose che non conoscono o che preferiscono ignorare.

Da tutto questo la mia profonda inquietudine: persone e funzionari istituzionali che dovrebbero occuparsi di una situazione di rischio e delle relative azioni di garanzia della sicurezza, mettono invece a rischio deliberatamente con la loro inefficienza le vite umane che sono state affidate all’esercizio dei loro poteri.

Questi signori nei recenti documenti che mi notificano scrivono che sono solo “un’ex testimone” e che della mia sicurezza se ne deve occupare la Prefettura della località segreta. Io posso serenamente sostenere che anche questa è una affermazione falsa o comunque infondata, perché io sono fuoriuscita sì dal programma, ma solo economicamente: ogni qual volta mi devo recare in luoghi a rischio, sono ancora tenuta a comunicarlo al NOP che lo notifica al Servizio Centrale di Protezione, e di conseguenza debbo essere accompagnata da uomini di scorta. Presumo dunque che ciò avvenga perché sono sempre e comunque una persona a rischio di aggressione, quindi soggetta ad essere scortata. Mentre la mafia sanziona che i suoi nemici sono nemici per sempre, lo Stato di Diritto afferma che i Suoi Testimoni divengono ad un tratto ex testimoni e dunque possono essere lasciati in balìa della propria sorte, decisa dai criminali denunciati. Ovviamente nessuno ti notifica che non sei più a rischio e che la mafia (anche quella uscita di galera) ha dimenticato. Nessuno si prende la responsabilità di dirlo apertamente, così magari per aver la certezza che la mia copertura è saltata a causa di due stolti uomini dello Stato forse vogliono il cadavere: “tutto è da verificare”. Qualcuno è arrivato a dire che la mia condizione di presidente di una associazione antimafia mi avrebbe esposta. Ovviamente non hanno dimostrato come. Eppure era stato proprio un sottosegretario a dirmi che la mia storia era talmente importante che bisognava che io andassi nelle scuole. Io nelle scuole ci vado, ma da sola, e cioè senza sponsor politici.

Adesso a distanza di diciotto anni da quella scelta che ha segnato la mia vita e che non rinnego, dico basta. Ritorno in Sicilia, visto che sono una ex testimone, ritorno a casa mia, dove nessuno può cacciarmi, ritorno alla mia identità che nessuno ha diritto di cancellare. Ritorno tra i ragazzi per rivendicare il diritto alla Vita. Non torno per morire ma per lottare.

Preferisco passare gli ultimi giorni della mia vita (per quanti essi potranno essere) nella mia Sicilia, in mezzo ai mie affetti, che mi sono stati strappati 18 anni fa. Ma desidero farlo rendendo pubbliche le ragioni della mia decisione.

Prendo tale decisione con serenità e con consapevolezza. Per proteggere la mia nuova famiglia, per far sapere all’opinione pubblica l’inefficienza di persone e funzionari istituzionali che hanno l’ardire di gestire con assoluta incompetenza e totale disinteressamento situazioni delicatissime che a dir poco sono sfuggite loro di mano.

Aggiungo inoltre che intendo che la difesa dei miei diritti è azione imprescindibile per continuare ad andare nelle scuole e parlare della cultura della testimonianza. Qualche anno fa ho ricevuto una lettera da una bambina di 12 anni del mio paese: “tu vivi esiliata, Rita Atria è morta, ci state chiedendo di diventare eroi?”. Rispondano i funzionari dello Stato a questa domanda. Io ho deciso di dimostrare alla mia Terra che dobbiamo pretendere protezione e allontanare i mafiosi dalle città, e non i cittadini onesti.

Per tali inadempienze, per porre fine alla mia prigionia, per porre fine a vivere una vita non vita

Chiedo

1. L’annullamento dello status di ex testimone di giustizia come da notifiche del Servizio centrale di protezione in netta contraddizione con l’art.16-ter della L 45/2001 che prevede che le misure di protezione siano mantenute fino alla effettiva cessazione del rischio.

In tal senso se viene mantenuto lo status di ex testimone chiedo che organi competenti mi notifichino lo scampato pericolo così come mi hanno notificato il mio esilio.

Ricordo che fino al mese di luglio c.a. mi sono recata in Sicilia con tre uomini di scorta più due di supporto sul territorio, per un totale di cinque uomini di scorta. Se fosse intervenuta la cessazione del rischio evidentemente non avrei avuto bisogno di questi uomini.

2. L’acquisizione dei miei beni. Anche in questo caso interviene l’art 16 ter della L 45/2001:

“se lo speciale programma di protezione include il definitivo trasferimento in altra località, il testimone di giustizia ha diritto ad ottenere l’acquisizione dei beni immobili dei quali è proprietario al patrimonio dello Stato, dietro corresponsione dell’equivalente in denaro a prezzo di mercato”.

3. La concessione del mutuo che avevo chiesto e che da mesi mi si dice essermi stato concesso, mentre invece le mie pratiche rimbalzano tra la banca e il ministero degli Interni in un palese stato di incomprensione. Inutile dire che il mutuo l’avevo chiesto per uno stato di bisogno che solo grazie ad interventi privati sto cercando di tamponare. Per lo Stato sarei già caduta in miseria.

4. Il diritto a vivere insieme alla mia famiglia in maniera dignitosa.

Recessione e mafie (2). Le nuove frontiere del narcotraffico

di Carlo Ruta

Fin qui emerge un dato di fondo. In tutti i continenti, negli ultimi decenni le economie di origine illegale hanno vissuto i trend dei mercati da protagoniste, correlandosi alle Borse come entità finanziarie imprescindibili. È andato stabilizzandosi per ciò stesso il raccordo delle mafie con i maggiori business, dalla speculazione immobiliare all’industria dei metalli, dalle energie naturali e rinnovabili all’acqua. Le classifiche di Forbes, che hanno visto scalare un gran numero di magnati dell’est europeo e asiatico senza passato, oltre che autentici gangster, ne danno la misura. La crisi attuale rischia di aprire tuttavia scenari nuovissimi. Sta sollecitando infatti degli aggiustamenti nelle economie clandestine più forti: il narcotraffico, il commercio di armi, le tratte degli esseri umani. E gli effetti sul sistema potrebbero essere non da poco. Negli ultimi due decenni, è emerso un incremento di tali traffici su scala mondiale, nonostante le attività contrasto venute dai governi. A dispetto altresì delle iniziative di organizzazioni sovranazionali, a partire dall’Onu, che, per esempio, negli ultimi anni novanta ha sollecitato, per la prima volta, alcuni paesi produttori di sostanze stupefacenti, l’Afghanistan e Birmania per l’oppio, Colombia Perù e Bolivia per coca e cannabis, alla soppressione di tali colture in cambio di aiuti. Ma cosa sta accadendo di preciso in questo tempo di crisi? I dati che vanno rendendosi disponibili, offrono già delle indicazioni, a partire appunto dal narcotraffico.

I ritmi di modernizzazione, più o meno convulsi, dell’ultimo mezzo secolo hanno finito per incentivare il consumo di massa di stupefacenti, naturali e sintetici. Balzi decisivi di tale domanda sono andati correlandosi comunque con snodi particolarmente difficili. E quello di oggi è tale. Come documentano le cronache dell’ultimo anno, la recessione, che si vorrebbe considerare un capitolo chiuso, sta generando precarietà e vuoti di futuro in tutti i paesi, ricchi e poveri. Può essere in grado quindi di interagire a vari livelli con il mercato dei narcotici. È presto beninteso per poter comprendere l’incidenza degli eventi odierni sull’evoluzione del medesimo. Ma alcuni dati che emergono dal terreno, non del tutto concordanti con i numeri che di recente sono stati fatti dall’Unodc, Ufficio dell’Onu che sovrintende alla lotta al narcotraffico, appaiono significativi.

Nel Sud America, capoluogo strategico dei narcos, la crisi globale ha fermato cinque anni di crescita. Sono state colpite le economie del rame, del petrolio, di altre materie prime. È stato penalizzato l’interscambio con gli Stati Uniti. Milioni di persone sono finite quindi in povertà. Il narcotraffico continua però a progredire. Le aree di coltivazione di cannabis e coca lungo le Ande vanno estendendosi, malgrado le politiche di contrasto dei governi. La produzione di oppio ed eroina si conferma in attivo. In tutte le regioni aumenta infine il consumo di narcotici, mentre migliorano le facoltà di produzione di droghe sintetiche. È quanto emerge da un rapporto pubblicato nel marzo 2009 dalla Latin American Commission on Drugs and Democracy, diretta da Fernando Cardoso, già presidente del Brasile, César Gaviria, già presidente della Colombia, Ernesto Zedillo, già presidente del Messico. È quanto affiora altresì da ricerche specialistiche. Nei mesi scorsi, su incarico dell’associazione Libera, un team di economisti delle università di Bologna e Trento è intervenuto sulla situazione in Colombia, passando al vaglio 30 mila dati, oggettivi, tratti soprattutto dagli archivi giudiziari. Ha concluso che nel 2008 sono stati prodotti in quel paese da 2.000 a 4.500 tonnellate di cocaina, a fronte di una stima dell’Unodc di appena 600.

A dare conto delle cose sono altresì le emergenze civili sul terreno, che vengono riconosciute a tutti i livelli. Nelle favelas brasiliane, dove arrivano dalla Colombia grandi quantitativi di stupefacenti, i regolamenti fra bande, spesso con vittime innocenti, hanno raggiunto negli ultimi anni picchi inauditi, malgrado le iniziative di contrasto promosse dalla presidenza Lula. In Messico, anello di congiunzione fra le due Americhe, è stata registrata nel 2008 la cifra record di 6 mila uccisioni per affari di droga, mentre in Guatemala, El Salvatore e Venezuela il tasso di omicidi, nello stesso anno, è salito a oltre 100 per 100 mila abitanti, superiore cioè alla media mondiale di ben 16 volte. Per tali ragioni, il presidente dell’Organizzazione degli stati americani, José Miguel Insulza, ha potuto dichiarare che in Sud America il crimine organizzato uccide più della crisi economica e dell’Aids. Secondo il direttore dell’Unodc, Antonio Maria Costa, tali soprassalti di violenza proverebbero che il mercato della cocaina nei paesi latino-americani va contraendosi. In realtà la storia delle mafie, dalla Chicago anni trenta alla Palermo anni settanta, dalla Colombia degli anni ottanta alla Russia degli anni Duemila, indica che gli scoppi di tensione, pur originati da contesti di crisi e di rottura, recano spesso logiche e significati del tutto differenti, correlandosi con poste in gioco che, proprio in determinati frangenti, anziché ridursi, si fanno più attraenti e remunerative.

Alla luce dei fatti, la situazione non appare insomma rassicurante. Tanto più se si tiene conto delle riserve che proprio in questi mesi vanno manifestandosi in tante sedi, pure governative. Nell’ultimo rapporto del Government Accountability Office la guerra ai narcos sudamericani viene presentata come persa, con l’avallo del vice presidente degli Usa Joe Biden, a fronte dei miliardi di dollari che le precedenti amministrazioni hanno erogato ai paesi produttori. L’Office National Drug Control Policy suggerisce quindi svolte radicali, in senso strategico, a dispetto dei freni che permangono negli States. Il convincimento di una partita persa, che un recente sondaggio ha visto condiviso dal 71 per cento degli statunitensi, si fa largo altresì in America Latina, dove con forza sempre maggiore viene reclamata la sostituzione del paradigma, repressivo dalla produzione al consumo, che finora ha ispirato la lotta al narcotraffico. La Commissione di Cardoso, Gaveria e Zedillo ne indica uno nuovo, proponendo di trattare il consumo di droghe come problema di salute pubblica, con mezzi informativi ed educativi. E su tale linea convergono associazioni e altri alti esponenti della politica, come l’ex presidente del Cile Ricardo Lagos, che suggerisce, più espressamente, di legalizzare la cannabis. Orientamenti di questo tipo non mancano del resto nel governo brasiliano di Lula, oltre che nel Senato colombiano, con le rivendicazioni del liberale Juan Manuel Galan, mentre insiste nel programma di Evo Morales, presidente della Bolivia, l’obiettivo di legalizzare il consumo delle foglie di coca, recante radici etniche, per contrastarne il traffico illegale.

In definitiva, il business delle droghe, in Sud America, sta reagendo agli attuali frangenti con conferme e rilanci che risultano impossibili in altri ambiti. Ma non si tratta di un trend localizzato. Andamenti simili vanno registrandosi in ogni altre latitudini, con economie da narcotraffico che stanno riuscendo a imbrigliare i rovesci dei mercati, forti di una domanda che non demorde, di capitali ingenti e condizionanti, di guadagni che restano sicuri a dispetto della war on drugs.

La recessione in Asia va esprimendosi in modo eterogeneo. In Giappone i collassi della domanda, interna ed estera, corroborati dai crolli borsistici degli ultimi anni, stanno frustrando economie dal passato fiorente. Nei paesi del sud-est, dal Laos al Vietnam, riavutisi dal tracollo del 1997 con un iter espansivo che ha raggiunto cifre da miracolo, si conteranno a fine 2009 2 milioni in più di disoccupati. Perfino in India e in Cina, che per certi versi hanno fatto argine al crollo, con il Pil saldamente in attivo, in virtù pure dei cambi monetari a loro favore, si è avvertita la scossa, con una vistosa riduzione dei ritmi di crescita. Eppure le economie della droga, lungo tutto il continente, stanno mostrando di non temere la crisi. Come in America Latina, contano anzitutto sull’abbondanza del prodotto base: nel caso, sulle coltivazioni di papaveri da oppio che ricoprono l’Afghanistan, la Birmania, il Laos, la Thailandia, il Nepal. L’Onu ha conseguito beninteso dei risultati, soprattutto in Laos e in Birmania, dove nel 2008 sono andate distrutte piantagioni per migliaia di ettari. Ma i dati sul terreno sono ben lontani da annunciare svolte, tanto più se si considera che sono gli stati stessi, interlocutori delle Nazioni Unite, a garantire l’esistente, per il tornaconto, diretto o indiretto, che recano nel business, dal traffico in senso stretto al lavaggio di valute. Le movenze del regime di Than Shwe in Birmania sono nel caso esemplari. Le economie di questo tipo beneficiano comunque di altri fatti: l’aumento di produzione di droghe sintetiche, su scala continentale, e una corrispondente crescita nei consumi delle medesime. Non è poco, evidentemente.

Le amfetamine e le metamfetamine contano oggi su una produzione distribuita in tutti i continenti. E ovunque la domanda è sostenuta dal basso prezzo, dalle mode edonistiche, dagli inarrestabili passaparola, probabilmente pure dal disagio, dal deficit di futuro che è proprio delle crisi. Centri strategici ne sono divenuti diversi paesi dell’Europa, ma ancor più il Canada, in cui si confezionano forse i maggiori quantitativi di ecstasy. La diffusione del prodotto asiatico, corroborata appunto da un sensibile aumento di consumo nel continente, costituisce comunque un sintomo. Si consideri un’area di forte concentrazione, quella del Grande Mekong, infeudata ai gruppi che trattano l’oppio: pakistani, thailandesi, indiani, birmani, cinesi. Lungo tale linea, che dallo Yunnan della Cina percorre l’intero territorio del Laos, con riverberi comunque nello Shan birmano, vengono prodotte, in quantità notevolissime, pasticche di crystal meth e di una variante detta ketamina, destinate in buona misura all’estero. Quale può esserne la logica, in una terra che abbonda fino all’inverosimile di papaveri da oppio? Di certo, non è la prova che le droghe tradizionali stiano entrando in crisi, perché il consumo di oppiacei, di eroina in particolare, nei primi mercati al mondo, l’Europa e il Nord America, proprio non demorde. Potrebbe essere invece l’esito di una studiata diversificazione, legata a un orizzonte di domanda che va ampliandosi, con esiti sempre maggiori nei paesi in via di sviluppo, in favore delle droghe meno costose. Il dato testimonia in ogni caso che le economie degli stupefacenti, anche in contesti di crisi, possono essere mosse da logiche aggiuntive ed espansive. E in altre regioni asiatiche le cose vanno appunto in tale direzione.

Un caso emblematico è quello dell’Arabia Saudita. Diversamente che in Iran e in altri stati vicini, in tale paese il narcotraffico ha incontrato nei decenni passati ostacoli che apparivano irriducibili, di tipo culturale anzitutto, per gli stili di vita che vi reggono, legati alla tradizione islamica. Il controllo ferreo delle frontiere sul golfo Persico ha impedito altresì che i grandi deserti della penisola divenissero corridoi di transito degli oppiacei da Oriente a Occidente, contigui a quelli che collegano l’Afghanistan alla Turchia e all’Europa, attraverso le repubbliche ex sovietiche dell’Asia. Negli ultimi anni le cose sono mutate tuttavia in modo dirompente. L’Arabia Saudita risulta essere uno dei paesi in cui più vengono prodotti e si consumano droghe sintetiche, soprattutto ecstasy e amfetamine del tipo captagon. Prova ne è che nel 2007 ne sono stati sequestrati quantitativi record, pari a un terzo di quelli scoperti globalmente, a fronte dell’1 per cento registrato lungo il perimetro arabo nel 2001. Le droghe sintetiche, ma in una misura discreta pure le tradizionali, dal momento che le sfere di produzione e di distribuzione di massima coincidono, stanno intaccando insomma le frontiere più solide dell’Islam. E, sulla scorta dei dati che vanno emergendo, c’è motivo di ritenere che la recessione, pur trattandosi di aree ben compensate dalle economie del petrolio, stia alimentando tale trend.

Vanno giocandosi in sostanza due partite, congiunte. Le droghe tradizionali formano un mercato stabile, che procede oggi senza scosse, si direbbe in modo ritmico, tanto più nei paesi d’Occidente, dove può contare su un consumo inesausto. Il mercato dei prodotti sintetici, che muove già 100 miliardi di dollari all’anno, circa un terzo cioè del giro d’affari globale delle droghe, si manifesta invece, a fronte di minori investimenti, elastico, veloce, in grado di insinuarsi appunto nei paesi e nelle culture più difficili. Le mappe del narcotraffico vanno aggiornandosi di conseguenza, in favore delle aree e delle mafie che meglio stanno riuscendo a combinare tradizione e innovazione. E tutto questo, riguardo al continente asiatico, in cui la coesione fra i due livelli è probabilmente la più riuscita, evoca un mondo strutturato. Nel Grande Mekong, dove oppio e crystal meth formano appunto un continuum, un’offerta articolata, convergono, come si è detto, interessi molteplici: pakistani afgani, nepalesi, birmani, thailandesi. È decisiva comunque l’influenza delle Triadi cinesi, egemonizzate dalle compagini di Hong Kong e Taiwan: tanto più dopo gli accordi che le medesime hanno concluso con Khun Sha, che nel Triangolo d’Oro fa ormai da decenni le regole dell’oppio, forte di un esercito personale di 8 mila uomini. Il quadro degli interessi, per quanto diviso sul terreno, si dimostra in sostanza aperto. Se i potentati militari del narcotraffico, come nel caso dell’United Wa State Army birmano, usano muoversi infatti in spazi assegnati, perlopiù lungo le linee dei conflitti etnici, le Triadi, servite da un complesso di gruppi territoriali, sono in grado di animare scenari ben più ampi.

Non è possibile definire beninteso quali possano essere gli effetti di tale situazione in questo particolare passaggio. Nuovi balzi in avanti nei traffici da Oriente appaiono tuttavia nell’ordine delle cose, possibili, con guadagni aggiuntivi per i signori del Triangolo d’Oro, ma pure per le mafie potenti che hanno scortato i transiti dell’oppio: da quella russa, che con il narcotraffico ha costruito imperi, oggi stimati e quotati nelle maggiori Borse internazionali, a quella turca, che si potrebbe candidare a nuovi ruoli. È il caso di soffermarsi su questo punto. I boss turchi hanno recato sempre una posizione di prim’ordine lungo le vie dell’eroina che dal sud est asiatico puntano in Europa, attraverso i Balcani. Forti della loro posizione mediana, hanno stretto relazioni con le mafie di ambedue i continenti. Hanno stabilito basi in Iran, in Turkmenistan, in Kazakistan, in altre repubbliche dell’Asia Centrale. Rivendicano, in aggiunta, il dominio delle regioni dell’Asia sud-occidentale, decisi a proiettare la loro egida fino al Golfo Persico, mentre non dissimulano le loro mire egemoniche lungo il Mediterraneo, che potrebbero trovare un appoggio decisivo nell’ingresso di Ankara in Unione europea. Quale nesso può correre allora fra tale progetto di dominio e l’erompere delle metamfetamine in Arabia Saudita, come, probabilmente, in altri paesi del Vicino Oriente? Al momento non è possibile rispondere. Comunque va tenuto conto di un dato: in quelle regioni, penetrate appunto da una solida tradizione islamica, non vengono registrate mafie che per disponibilità finanziarie e, soprattutto, facoltà logistiche possano competere con quelle turche.

In definitiva, non sembra che la recessione abbia preso i gruppi del narcotraffico alla sprovvista, sulla scena globale. I capitalismi “normali” in tempi di crisi vanno in affanno, caracollano, si disorientano. Fatte salve le situazioni di conflitto di taluni paesi, come in Sud America appunto, peraltro cicliche in determinati contesti, quel che emerge nei giri delle droghe è invece la capacità di fare gioco comune. Fatta salva la tradizionale inimicizia fra le Triadi e la Yakuza giapponese, sono appunto le mafie asiatiche a darne esempio, mantenendo oggi, a dispetto di tutto, una integrazione sufficiente. Va preso atto d’altronde che i signori della droga si sono dimostrati previdenti, agendo d’anticipo sulla crisi, diversificando, delocalizzando, puntando alla conquista di nuove aree, di produzione e di consumo, stabilizzando infine i mercati fondamentali, con ogni sorta d’incentivo. L’ultimo decennio ne offre una rappresentazione scenografica con la conquista, pianificata dai sudamericani e non solo, di un intero continente, che era rimasto a lungo marginale nei traffico di narcotici: l’Africa.

CHE TEMPO CHE FA – la redazione consiglia … locandina 1-7 ottobre

“Per segnalare alla coscienza civile la concreta e reale esistenza di un fenomeno criminale che si muove silenziosamente anche nell’operoso Nord Italia, da venerdì 9 a domenica 18 ottobre 2009 a Milano, Teatro della Cooperativa, in prima nazionale A cento passi dal Duomo, di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto, con Giulio Cavalli, musiche in scena con Gaetano Liguori, uno lavoro che colpisce l’essenza stessa della mafia al Nord, mettendola a nudo, mostrandone la collusione con la politica e la sua capacità di infiltrarsi nei gangli di potere.”

http://www.chetempochefa.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,303%5E7519,00.html

Intervista – Carlo Lucarelli a polisblog: “A Blu Notte parlo della P2 e di Silvio Berlusconi”

L’ottimo risultato, in termini di ascolto, registrato ieri da Michele Santoro ci induce a pensare che al pubblico tutto ciò che riguarda Silvio Berlusconi interessa. Molto. Per questo motivo abbiamo deciso di intervistare Carlo Lucarelli.

Lo scrittore aprirà questa sera (a partire dalle 21.10 su RaiTre) la nuova serie di Blu Notte raccontando ai suoi spettatori la storia della P2 che spesso si è intrecciata con quella dell’attuale Presidente del Consiglio. Silvio Berlusconi.

Quali sono i misteri che affronterai in questa serie?

In questa serie ci sono un po’ di argomenti che avevamo lasciato indietro dalle altre. Nel mosaico della storia d’Italia abbiamo incontrato dei tasselli che non abbiamo mai avuto modo di approfondire. Uno di questi è relativo, ad esempio, alla storia della P2.
Ci occuperemo anche di ecomafie e altri crimini legati all’ambiente.

Perché hai deciso di occuparti nella prima puntata della P2?

Perché è una storia che è sempre attuale. La P2 è, a mio avviso, un esempio italiano di concentramento di potere politico e sociale.
Se ci fermiamo un attimo, facciamo mente locale, e ci chiediamo come è nata o come è stata e che valore ha avuto ci sono una serie di notizie che non sappiamo. Che io non sapevo.

Ci fai degli esempi. Quali sono le informazioni che non ti ricordavi e che vanno analizzate?

Intanto la posizione che aveva la P2 nella massoneria. In generale. È da raccontare anche la vastità della P2 che raggiungeva anche degli uomini di potere. Avevo perso questo tipo di proporzioni.
Tanti piccoli meccanismi che conosciamo fino ad un certo punto. Come la figura di Licio Gelli che conosciamo fino ad un certo punto.

Raccontando la P2 approfondirai anche i rapporti che aveva Silvio Berlusconi con questa organizzazione?

Dei collegamenti tra Silvio Berlusconi e la P2 ne abbiamo solo accennato. Devo dire che per come abbiamo raccontato noi la storia della P2, cioè dall’inizio fino al momento in cui è stata scoperta, si intreccia con Silvio Berlusconi solo in alcuni punti.
Il Silvio Berlusconi di quegli anni non è il Silvio Berlusconi di adesso. È un imprenditore molto spregiudicato che fa i suoi affari. Dentro questi affari incontra anche la P2.
Noi, devo precisare, non abbiamo fatto una puntata su Berlusconi nella P2. Abbiamo fatto una puntata su tutto quello che c’era attorno alla P2. Attorno c’era anche Berlusconi.

Quali sono secondo lei i misteri legati alla politica italiana e no sui quali bisognerebbe ragionare?

Sono tanti. Sono tutti. Sarebbe interessante ragionare ad esempio sui rapporti che c’erano tra l’Italia e i paesi del Mediterraneo. Del Medioriente. Ci sono una serie di rapporti che sembrano dimenticati dal punto di vista ufficiale.
Sarebbe interessante mettersi a studiare cosa è stata l’Italia per la Somalia quando era una colonia.
Ci sono tante cose. Durante la Guerra Fredda noi eravamo un paese di frontiera. Che fino hanno fatto i vecchi dossier? Abbiamo tagliato le radici con quel passato?

Collabori con Giulio Cavalli. Su cosa avete lavorato?

Stiamo preparando una cosa teatrale, con tante altre collaborazioni, che racconti la storia del processo Andreotti.

Il lavoro che state progettando quanto si discosta dal film di Paolo Sorrentino?

Vuole discostarsene. Naturalmente. Il film ha fatto una cosa molto interessante che è quello di mettere in scena gli intrecci del potere.
Molta gente lo ha visto senza sapere chi fosse realmente Giulio Andreotti.

 

da POLISBLOG

PALERMO – Al via il Festival della legalità

Al Festival della Legalità si rinnova l’appuntamento con quel teatro e quel cinema che sanno leggere e interpretare la società. Con molte anticipazioni per offrire al pubblico siciliano il meglio della produzione contemporanea. Come nel caso di “Mio padre non ha mai avuto un cane”, di Davide Enia, che aprirà il Festival la sera del 3 ottobre. Enia, in anteprima, porta in scena uno dei racconti tratto dal suo ultimo libro “Mio padre non ha mai avuto un cane” che uscirà a novembre per le edizioni Fandango Libri. Un racconto che parla di cani, di ammazzatine di mafia e di Palermo. Accompagnato alla chitarra da Giulio Barocchieri, Enia farà emergere i personaggi, alcuni misteriosi, di una città che spesso è invisibile. Altra anteprima, lunedì 5 ottobre, quando sul palco salirà il giornalista-scrittore Roberto Alajmo per parlare de “L’antimafia spiegata a mio figlio che la spiega a me”. Un reading per analizzare le mille contraddizioni, amare e ironiche, della lotta ai boss. Con lui, per quest’altra anteprima, sul palco ci sarà il clarinettista Dario Compagna.
“Nomi, cognomi e infami”, è invece, il titolo dello spettacolo di Giulio Cavalli in scena martedì 6 ottobre, sempre alle 21.30. Cavalli, artista che vive sotto scorta dopo essere stato minacciato dalla mafia, darà vita ad uno dei suoi spettacoli di denuncia che tanto hanno infastidito boss e picciotti.
Mercoledì 7 ottobre sarà la volta di Vincenzo Pirrotta e della sua “Ballata delle Balate”. Uno spettacolo brutale, crudele e di rara intensità. Il racconto di un latitante mafioso che nel suo covo recita un rosario, trasfigura la religione alla maniera mafiosa in un delirio nel quale s’incontrano misticismo e violenza.
Infine, sabato sera, Salvo Piparo darà vita a “Piazza delle Vergogne”. Accompagnato sul palco dal soprano Roberta Scalavino, Piparo racconterà uno spaccato di Palermo in quattro storie: quella di un killer di mafia, quella di un commesso comunale, quella del cronista Mario Francese, ucciso da Cosa Nostra, e quella di Santino, l’uomo miracolato dalla strage di Capaci. Quattro figure di uomini del nostro tempo: il killer che rimane incastrato nell’assurdità di essere stato anch’esso vittima di un sistema immorale e illegale, il commesso che interpreta il clientelismo e sprofonda nell’inerzia di un sistema corrotto, Mario Francese che rimane fedele fino all’ultimo al patto etico cucito alla sua vita di uomo e di giornalista e Santino, salvato da un fulmine mentre muore Falcone.
Al Festival non mancherà anche il grande cinema con “Fortapasc”, il film di Marco Risi inserito nella cinquina dalla quale Anica ha scelto il film che rappresenterà l’Italia agli Oscar. Un film su Giancarlo Siani, il giornalista ucciso dalla camorra perché con le sue inchieste saveva scoperchiato l’intreccio tra affari, mafiosi e politici.
Tutti gli spettacoli sono ad ingresso libero.


PROGRAMMA 2^ EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA LEGALITA’
VILLA FILIPPINA, PIAZZA SAN FRANCESCO DI PAOLA, PALERMO

3-10 OTTOBRE 2009

INGRESSO LIBERO

Sabato 3 ottobre

Ore 18.00 Inaugurazione della seconda edizione del Festival della Legalità.

Ore 18.30 Inaugurazione delle mostre:

– “Volti Colori Memoria” a cura di Gaetano Porcasi: 35 opere raccontano la storia della mafia dallo sbarco degli alleati alla cattura di Bernardo Provenzano.

– “Non tutti i pizzini sono uguali”, a cura di Amalia Patrizia Panebianco e Claudio Reale, raccoglie gli scritti di sei esponenti della criminalità organizzata e sei persone che hanno invece scelto di imboccare la strada della legalità, messi a confronto e analizzati da un esperto grafologo che ne illustrerà le personalità partendo per l’appunto dalla grafia.

– “Copertine S” a cura della Casa Editrice Novantacento: in esposizione le prime pagine del mensile più letto in Sicilia, dalla prima pubblicata nel dicembre 2007 che immortala l’arresto di Salvatore Lo Piccolo all’ultima con le indiscrezioni più recenti sulla latitanza di Gianni Nicchi.

– “Pio La Torre”, curata da Letizia Battaglia e voluta dal Centro Studi Pio La Torre, racconta le diverse tappe della vita del politico assassinato dalla mafia nel 1982.

Ore 19.30 Performance di OthelloMan, rapper, dj, producer e leader dei Combomastas’. Le creazioni musicali di OthelloMan e del team hip hop dei Combomastas’ sono caratterizzate da consapevolezza e voglia di riscatto pratico e quotidiano. Queste ultime rappresentano un’assoluta peculiarità nel panorama musicale italiano, senza retorica e con armonie sonore, spessore concettuale e immediatezza.

Ore 21.30 Prima nazionale del recital “Mio padre non ha mai avuto un cane” di e con Davide Enia. Il giornalista-scrittore-attore leggerà in anteprima alcuni passi del suo ultimo romanzo che sarà pubblicato a novembre 2009.

Domenica 4 ottobre

Ore 10.00 Spettacolo di animazione per bambini con i clown dell’associazione di volontariato ViviamoInPositivo Onlus. L’associazione fa parte della federazione VIP Italia che conta 35 sedi in Italia e 2.800 volontari clown di corsia, che svolgono il loro servizio negli ospedali, nelle case di riposo, nelle comunità di disabili, nelle case famiglia e ovunque sussistano situazioni di disagio. Per il VIP-clown il sorriso è una missione.

Ore 11.00 S. Messa nella cappella di villa Filippina, che riapre per l’occasione. I Canti sono affidati al suggestivo Coro della Cattedrale di Palermo.

Ore 12.00 Dimostrazione di autovetture e unità cinofile dell’Arma dei Carabinieri.

Lunedì 5 ottobre

Ore 10.00 “Cu nesci arriniesci?”. Dibattito con gli attori Ficarra e Picone, moderato dallo scrittore e giornalista Ugo Barbàra. Partecipa l’imprenditore Costantino Tartaglia.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B,sono protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore.

Ore 18.00 Presentazione di “Sottotraccia”, rivista di saperi e percorsi sociali (Navarra Editore), moderata dal giornalista Claudio Reale. Presenti Rosalba Romano – assistente sociale e direttrice della rivista, Gioacchino Lavanco – presidente del Consiglio di Coordinamento dei Corsi di Scienze dell’Educazione e docente di Psicologia di Comunità presso l’Università degli Studi di Palermo, Michele Di Martino, dirigente del Centro per la Giustizia Minorile per la Sicilia.

Ore 19.30 Esibizione musicale del gruppo “Quelli della Rosa Gialla a Brancaccio”. L’allegra carovana dei ragazzi dell’associazione di volontariato nata e operante a Brancaccio sbarca al Festival della Legalità per far conoscere il quartiere come un luogo in cui si combatte la mafia attraverso la cultura, l’educazione, il teatro e in particolare il musical.

Ore 21.30 Reading “L’antimafia spiegata a mio figlio che la spiega a me” di e con Roberto Alajmo, scrittore e giornalista Rai, accompagnato al clarinetto da Dario Compagna.

Martedì 6 ottobre

Ore 10.00 “Dire no si può”. Dibattito con gli imprenditori Rodolfo Guajana, Andrea Vecchio, Vincenzo Conticello e Ignazio Cutrò e con il presidente di Confindustria Agrigento Giuseppe Catanzaro, che si sono ribellati alla logica del racket e della sopraffazione mafiosa. Modera la giornalista Eliana Marino.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B,saranno protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore.

Ore 18.00 Il giornalista Roberto Puglisi intervista Roberto Mazzarella, autore del volume “L’uomo d’onore non paga il pizzo” (Editore Città Nuova). Attraverso una ricca documentazione che riporta, tra l’altro, anche numerose interviste e ordinanze-sentenze, l’autore disegna una lucida radiografia del fenomeno “mafia”: ne evidenzia le caratteristiche, le attività di mantenimento e sviluppo; ne esplicita la cultura e i valori di cui è portatrice, mettendo in luce, di contro, le forze positive – come l’Associazione “Addiopizzo” – che operano in svariati ambienti sociali per la promozione di una cultura della legalità. Presente Nino Salerno, presidente di Confindustria Palermo.

Ore 19.30 Concerto del gruppo musicale “Zen Posse”. La band, nata all’interno dell’associazione Zen Insieme, propone un repertorio di musica rap, prevalentemente di protesta.

Ore 21.30 Spettacolo teatrale “Nomi, cognomi e infami” di e con Giulio Cavalli, artista che vive sotto scorta in quanto minacciato dalla mafia per i suoi lavori di denuncia.

Mercoledì 7 ottobre

Ore 10.00 “Un patto per la Sicilia”. Dibattito, organizzato da Milano Finanza e moderato dall’editore Paolo Panerai. Politici, imprenditori, magistrati e burocrati si confronteranno sulle strade da percorrere per creare un patto tra ceto produttivo, politica, burocrazia e magistratura per uscire dalla situazione di una Sicilia bloccata e dare il via ad una fiscalità di vantaggio in grado di rendere attrattivi gli investimenti. Presenti l’assessore regionale alla Presidenza Gaetano Armao, l’assessore regionale all’Industria Marco Venturi, Pier Carmelo Russo – segretario generale della Regione Siciliana, il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, il presidente di Sviluppo Italia Sicilia Vincenzo Paradiso, Giuseppe Lumia – componente ed ex presidente della Commissione nazionale antimafia, il sindaco di Agrigento Marco Zambuto, Domenico Achille – Comandante della Guardia di Finanza e Generale di Divisione e altri protagonisti delle istituzioni e dell’imprenditoria e il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci. In questa occasione Sviluppo Italia Sicilia proporrà agli studenti un concorso di idee e il miglior imprenditore in erba verrà premiato con un pc portatile.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B,saranno protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore.

Ore 18.00 Il sostituto procuratore Gaetano Paci e il vice presidente dei Giovani Imprenditori Europei Annibale Chiriaco presentano il libro “Le aziende siciliane contro la mafia. L’isola civile” di Serena Uccello e Nino Amadore (Einaudi). Il volume è il risultato di due anni di lavoro e racconta “le ragioni storiche ed economiche della ribellione antiracket” che ha coinvolto una parte del mondo imprenditoriale siciliano negli ultimi anni. Presente l’autore Nino Amadore. Modera il giornalista Claudio Reale.

Ore 19.30 Esibizione del cantastorie Paolo Zarcone (Associazione A Testa Alta) che ha recuperato le tradizioni popolari siciliane adattandole e aggiornandole ai tempi nostri. Zarcone compone cantate tratte da leggende e fatti storici locali, munito di chitarra e cartelloni illustrati.

Ore 21.30 Spettacolo teatrale “La ballata delle balate” con Vincenzo Pirrotta.

Giovedì 8 ottobre

Ore 10.00 “Una giornata con Marco Risi. I ragazzi di Palermo tra fiction e realtà”. Confronto sul tema delle fiction di mafia con il regista Marco Risi (autore di capolavori del genere quali “Mery per sempre”, “Ragazzi fuori”, “Muro di gomma”, “Il branco”, “Squadra Antimafia Palermo Oggi”, “L’ultimo Padrino”, “Cinque delitti imperfetti”) ed il procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Presente lo scrittore-giornalista Claudio Fava. Modera lo scrittore e giornalista Rai Roberto Alajmo.

Ore 12.00 “Sport e legalità”: i giocatori del Palermo Rugby, neopromosso in serie B, saranno protagonisti di dimostrazioni pratiche delle tecniche di uno sport che tanto appassiona i giovani e insegna regole di legalità e rigore .

Ore 16.30 Il giornalista Alfio Sciacca presenta “I disarmati. Storia dell’antimafia: i reduci e i complici” di Claudio Fava (Sperling & Kupfer). Un viaggio che racconta i complici del silenzio e del consociativismo mafioso: nel giornalismo, nella politica, nella società civile. Per una volta, con i nomi e i cognomi al loro posto. Presente il giornalista e politico Claudio Fava. Seguirà un dibattito sul libro “Prima che vi uccidano” di Giuseppe Fava (Editore Bompiani). L’opera, pubblicata nel 1976 dallo scrittore-giornalista-sceneggiatore assassinato dalla mafia nel 1984, è un libro di denuncia della presenza mafiosa in Sicilia.

Ore 18.00 Il giornalista Salvo Toscano intervista Enrico Bellavia e Maurizio De Lucia, in libreria con il volume “Il cappio” (BUR Biblioteca Univ. Rizzoli). Un’acuta analisi a quattro mani di un sistema criminale basato su un eccezionale organizzazione sul territorio: il “pizzo”. Ripercorrendo la storia di Maurizio de Lucia, il magistrato che più di ogni altro ha indagato il fenomeno.

Ore 19.30 Concerto del gruppo “Coralmente”, coro polifonico a cappella nato nel febbraio 2003, nell’ambito delle attività riabilitative promosse dal Dipartimento di Salute Mentale dell’AUSL 6 di Palermo per combattere e sconfiggere lo stigma e il pregiudizio nei confronti della malattia mentale.

Ore 21.30 Serata cinema con Marco Risi. Proiezione della pellicola “Fortapàsc”, presentata dal giornalista Salvo Toscano che intervisterà il regista. Il film ripercorre gli ultimi quattro mesi di vita di Giancarlo Siani, il giornalista de “Il Mattino” ucciso dalla mafia nel 1985.

Venerdì 9 ottobre

Ore 10.00 Talk show “Libertà di parola” promosso dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia. Partecipano il presidente dell’Ordine regionale Franco Nicastro, i giornalisti Rosaria Capacchione e Alberto Spampinato, il gip di Palermo Piergiorgio Morosini.

Ore 11.00 Dimostrazioni di autovetture e unità cinofile della Guardia di Finanza.

Ore 17.00 Felice Cavallaro, inviato del Corriere della Sera, intervista il procuratore Gian Carlo Caselli, autore del libro “Le due guerre. Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia” (Editore Melampo). Dalla Torino degli anni Settanta alla Palermo dei Novanta, il volume ripercorre trentacinque anni di storia italiana attraverso lo sguardo di un protagonista della lotta contro il terrorismo di sinistra e contro la mafia.

Ore 18.00 Il giornalista Roberto Puglisi presenta il volume “C’erano bei cani ma molto seri” di Alberto Spampinato (Ponte alle Grazie Editore). Il libro racconta la vita del fratello dell’autore, Giovanni – corrispondente da Ragusa de L’Ora, assassinato per le sue inchieste che non guardavano in faccia nessuno.

Ore 19.30 Esibizione della Compagnia di canto e musica popolare, gruppo che ha recuperato i cunti della tradizione siciliana. Spaziando dalle ballate alle sonate dei barbieri, dai canti delle zolfatare alle serenate, la Compagnia intende rivalutare il ruolo delle tradizioni popolari siciliane, i costumi, le usanze, la lingua.

Ore 21.30 Proiezione in anteprima nazionale della docu-fiction “Il mago dei soldi” ispirata alla storia di Giovanni Sucato. Sedicente avvocato, Sucato si è valso l’appellativo di “mago dei soldi” a causa di spericolati investimenti che – con l’illusorio miraggio di grandi guadagni – hanno gettato sul lastrico migliaia di piccoli risparmiatori dei quartieri popolari di Palermo e dei paesi del circondario. Una sorta di novello “Re Mida” la cui carriera, interrotta da una fuga con i soldi dei suoi clienti e da un arresto per bancarotta fraudolenta, si è conclusa su un auto in fiamme sulla Palermo-Agrigento. Presenti gli autori Giacomo Cacciatore, Raffaella Catalano e Gery Palazzotto e l’avvocato penalista Nino Caleca che fu difensore di Sucato. Modera il giornalista Claudio Reale.

Sabato 10 ottobre

Ore 10.00 “A voi nati dopo le stragi…io racconto”. Incontro con il procuratore Gian Carlo Caselli. Presente il procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Modera il caposervizio del Tg5 Gaetano Savatteri.

Ore 11.30 Talk show dal titolo “Ti aspetto fuori” moderato dal giornalista Salvo Toscano. Partecipano Franco Nuccio, caporedattore di Ansa Palermo, l’attore palermitano Francesco Benigno – premiato al Giffoni Film Festival 2008, Silvia De Bernardis – coordinatore del progetto “In&Out” – istituti penali minorili della Sicilia, Rosalba Romano – psichiatra del Centro di Giustizia Minorile di Palermo e il Maggiore Francesco Tocci, comandante della Compagnia di Carabinieri di Bagheria.

Ore 12.30 Dimostrazioni di autovetture e unità cinofile della Polizia di Stato.

Ore 18.30 Proiezione de “I corti della legalità”

– “Benigno”, autobiografia dell’attore Francesco Benigno

– “Ti aspetto fuori”, realizzato dal centro giustizia minorile, con Nino Frassica e i ragazzi del Malaspina. Regia Alfio D’Agata.

– “Pio La Torre” a cura del Centro Studi Pio La Torre

– “Una favola, un sogno” a cura dell’associazione “Quelli della Rosa Gialla a Brancaccio”

Ore 21.30 Anteprima dello spettacolo teatrale “Piazza delle vergogne” con l’attore Salvo Piparo e il soprano Roberta Scalavino. Testi di Felice Cavallaro, Filippo D’Arpa e Gaetano Savatteri. Uno spaccato di Palermo in tre storie, quella di un killer di mafia, di un commesso comunale e quella di Mario Francese, giornalista ucciso da Cosa Nostra.

da LIVE SICILIA

Teatro civile, Cavalli fa “nomi e cognomi”

«È ora di raccontare storie e vicende che si trovano in molti atti processuali»
«Mi sono stancato di sentir parlare di propositi antimafia; è ora di fare i nomi, i cognomi e soprattutto sottolineare gli infami». Ci saranno le storie eccezionali di persone normali, che per scelta o per forza si ritrovano ad essere meno comuni di altre; ci saranno soprattutto i nomi e i cognomi di chi ha scelto di non piegarsi agli uomini d’onore, «perché l’onore quello vero è tutta un’altra cosa»; ci saranno anche loro, gli «infami». A chiamarli, uno per uno, dal palco del circolo Montecitorio di via dei Campi Sportivi a Roma, domani sera (alle 20), Giulio Cavalli, autore e drammaturgo lodigiano per l’evento-spettacolo Nomi, cognomi e infami, con la musica in scena di Davide Savarè. L’occasione è la tavola rotonda sul tema “Informazione, cittadinanza e legalità”. Tra i relatori, anche Andrea Purgatori, giornalista e autore per il cinema e la televisione, Sergio Nazzaro, giornalista e scrittore (autore di Io per fortuna c’ho la camorra), coordinati da Michele Meazza, vice direttore di Rai International. Don Peppe Diana, i magistrati Bruno Caccia e Paolo Borsellino, le storie di Piera Aiello e quella di Rita Atria, la vicenda di Giuseppe Fava riletta attraverso gli occhi del figlio Claudio; tanti i volti silenziosi a cui ha dato voce Giulio Cavalli, in questo ultimo anno di attività, con una serie di monologhi portati in giro per l’Italia. Saranno questi testi, riadattati per l’occasione, ad animare il palco del circolo Montecitorio, come luogo simbolo della politica, «perché è ora di giustificare la propria posizione facendo dei nomi che ci sono, che sono sugli atti processuali, che sono la testimonianza di una politica coinvolta tutta nella vicenda, cercando una volta per tutte di svestire i discorsi sulla mafia di quella forma che crea tantissimi eroi e che fondamentalmente fa pochissimo male a loro, agli uomini d’onore».Il grido d’allarme, è chiaro. Gli infami non sono solo loro, gli uomini “d’onore” o “disonore” sbeffeggiati da Giulio Cavalli. «Gli infami, nella storia di Bruno Caccia, magistrato ucciso a Torino, sono nella Procura in cui stavano soci in affari dei mandati del suo omicidio». Nella sua, di storia, primo attore sotto scorta d’Italia, l’infamia è un’arma sottile, «che ha una modalità mafiosa, lavora nella delazione ed è identica a quella di camorra, mafia e ‘ndrangheta solo che avviene negli aperitivi post consiglio comunale – spiega lui -; c’è una storia esterna, che è un puzzle che si compone di tutto ciò che è pubblico, e c’è una storia privata, che invece ha dentro zone grigie, persone scorrette, detrattori di professione che forse un giorno, per raggiungere la catarsi, renderò pubblici». “Milano e la memoria” saranno invece al centro della rassegna di reading, teatro e musica del prossimo sabato. Tra i partecipanti anche Giulio Cavalli, sul palco (a partire dalle 11) nella biblioteca nazionale braidense di via Brera, insieme a Daniele Biacchessi e Gaetano Liguori con «Le mani sulla città».

Rossella Mungiello

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Intervento di Giulio Cavalli – Piazza Navona "AGENDA ROSSA" manifestazione del 26.9.2009

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Io sono preoccupato, ma non perché non sono lì, ma in realtà perché probabilmente ho lasciato il cuore in via D’Amelio il giorno che ho visto gli occhi di Salvatore e il giorno che ho avuto l’onore e il privilegio di assaggiare il suo abbraccio. Farò una telefonata breve, perché altrimenti sapete che Brunetta mi mette nell’elite dei fannulloni e quindi non voglio dare adito e cadere nelle grandi fauci del piccolo uomo.

Voglio raccontare e voglio ricordare che ogni volta che si parla di Paolo Borsellino e via D’Amelio, che fondamentalmente è un figlio attaccato ad un citofono, ecco, ogni volta penso che, per noi che dovremmo andare in scena e raccontare quelle storie, che in questo stato assolutamente impermeabile sembra che non riesca nemmeno a raccontarsi, raccontare che soprattutto diventa difficile, diventa una sfida, diventa un’eccezione, voler pretendere di essere normali nella propria nazione per qualcosa che esonda dalla legalità, per qualcosa che esonda dal diritto ma per una dignità di un popolo, di una nazione, che io mi auguro di poter regalare ai miei figli quando saranno adulti. La storia di Paolo è una storia che teatralmente non sta in piedi. Ci hanno regalato una favola, ma ci hanno regalato una favola scassata, come quelle macchinine che apri sotto l’albero di Natale e a cui manca una ruota e allora penso che sia venuto il tempo da parte anche degli uomini di cultura quelli che non dipendono dalle mestruazioni dell’amministratore di turno che decide come gestire i contributi a pioggia, agli uomini di cultura che professano su di un palcoscenico o su un libro o nelle parole che esprimono e poi dicono i propri ideali, allora è venuto il giorno di rendergliela la favola scassata, quel giocattolo che non vogliamo, di raccontare l’assurdità, quanto arlecchino c’è in una via in cui non si capisce bene quelli che sono venuti a mettere i fiori e quelli che mettono le bombe.

Raccontare uno stato che ha deciso di superare i propri dubbi, scavalcandoli senza farsene carico, e calpestando una dignità che qualsiasi forma culturale, qualsiasi espressione di bellezza, perché alla fine sarà la bellezza che dimostrerà la deriva delle associazioni criminali, della malapolitica, di tutto quel brodo schiumoso che sta li dove politica e mafie compiono i loro adulteri nelle alcove. E allora la dignità diventa, insieme alla bellezza, il boccone di un palco che decide di prendersi la responsabilità di fare il proprio lavoro. Io dico spesso che noi teatranti siamo poveri, facciamo pochi numeri, siamo ascoltati da pochi occhi, ci mettiamo la faccia e la paghiamo, io la sto pagando, ma la sto pagando con rabbia, la rabbia della coscienza di Salvatore come la rabbia di molti che in questo momento sono in piazza. Ebbene noi sul palco abbiamo un grandissimo privilegio, una grandissima fortuna, che a differenza della televisione riusciamo a far sentire assolutamente l’odore di merda che sta dietro al disonore di quattro pavidi che qualcuno ci vuol far credere che abbiano tenuto in scacco una nazione da soli, e saremo capaci, perché questo è un impegno, anche di far sentire il profumo, quel fresco profumo di libertà che è la colonna sonora di tutto il mio lavoro e del lavoro di tutti quelli che hanno deciso di rinnegare la normalità che qualcuno ci vuole vendere come eccezionale o addirittura come una sorta di brigatismo intellettuale.

E vorrei semplicemente chiudere con un pensiero, che è molto semplice, è molto banale, e cioè che quando si tratta di raccontare l’umanità delle persone alla fine è come alzare la coperta e quando si è tutti nudi si vede chi ha il cuore grande che è legato a doppio filo con una mente intellettualmente onesta e si vede invece chi sotto la giacca, la cravatta, i polsini, la ricotta oppure sotto i problemi di prostata del nostro caro Zio Binnu, la bava con quella faccia rossiccia di Riina U’ Curtu (che si permette di parlare il 19 luglio per l’ennesima volta, calpestando una memoria che non dovrebbe avere nemmeno il diritto di poter guardare in faccia) ecco, allora una volta che è stata tolta la coperta basta guardarli dall’alto e sorridere come faceva Arlecchino.

L'agenda rossa sotto il cielo di Roma

di ANTIMAFIADUEMILA – 27 settembre 2009
Roma. L’impatto è notevole. Un migliaio di persone con le agende rosse in mano si impossessa di una piazza di Roma. Si stima che vi siano tra le 1500/ 2000 presenze, il solito balletto delle cifre rimbalza dalle forze dell’ordine agli organizzatori.
La realtà è che sotto un sole tutt’altro che autunnale un intero popolo proveniente da tutta Italia si è ritrovato nella Capitale con una richiesta specifica. Dove è finita l’agenda rossa di Paolo Borsellino?Chi e perché l’ha fatta sparire dalla borsa del giudice assassinato dalla mafia pochi minuti dopo lo scoppio dell’autobomba in via D’Amelio? Si tratta della seconda marcia del “popolo delle agende rosse” dopo quella del 19 luglio scorso a Palermo. Organizzata anche questa volta da Salvatore Borsellino e dal Comitato 19 luglio 1992 insieme all’associazione nazionale familiari vittime di mafia. Salvatore Borsellino è l’indomito condottiero di un vero e proprio esercito pacifico formato da quell’Italia onesta che pretende verità e giustizia.
Verso le 15,30 da piazza Bocca della verità parte finalmente il corteo dietro lo striscione: “Apri gli occhi osserva non chiudere le orecchie… ascolta… solo così sentirai il fresco profumo di libertà”.
In prima fila tra gli altri anche Luigi De Magistris, Nicola Tranfaglia, Sonia Alfano, Gioacchino Genchi, Pino Masciari e Benny Calasanzio.
Centinaia di agende rosse spiccano verso il cielo mentre si susseguono gli slogan gridati da questo fiume di persone. “Fuori la mafia dallo Stato”, “Fuori Mancino dal Csm”, ma anche “Fuori Dell’Utri dal Senato”, “Fuori Mastella dall’Europa” e ancora “Paolo è vivo e lotta insieme a noi”.Ma è il grido di Salvatore Borsellino “Resistenzaaa!!” a infuocare gli animi. E’ lui che fa da apripista con la sua agenda rossa alzata in alto.Poco prima delle 17 si arriva a Piazza Navona. Al centro è stato collocato un palco per gli interventi dei relatori. Salvatore legge la lettera di sostegno alla manifestazione scritta da sua sorella Rita impossibilitata a venire per i postumi di un’influenza.
Subito dopo è il giornalista Benny Calasanzio, familiare di vittime di mafia, a prendere il microfono. Tanta rabbia e sete di giustizia nelle sue parole con l’appello finale a tenere duro e a resistere. Resistenza. Come un leit motiv echeggia in ogni angolo di questa piazza. Anche nell’intervento del giornalista pugliese Gianni Lannes quando racconta della visita di Renato Schifani alla redazione de La Stampa in merito ad un’inchiesta, da lui non gradita, condotta su una superstrada in Sicilia. L’inchiesta di fatto non è stata più pubblicata e Lannes ha fondato un proprio giornale, Terra Nostra, subendo successivamente due attentati.
Subito dopo sale sul palco il testimone di giustizia Pino Masciari. “La persona che combatte il sistema viene isolata e messa da parte – esordisce Pino – ma io griderò sempre ad alta voce, io credo nelle istituzioni e nella giustizia e se tutti vogliamo questo paese può riemergere”. “Tutti insieme possiamo farcela – conclude l’imprenditore calabrese – perché combattere le mafie non significa essere schierati con un partito o con l’altro”. E in piazza non ci sono ne bandiere ne simboli di partito. L’Idv ha contribuito all’organizzazione dell’evento ma per mantenere intatta la pluralità della manifestazione è stato deciso di evitare qualunque strumentalizzazione politica.
La caporedattrice di ANTIMAFIADuemila, Anna Petrozzi esordisce con un profondo ringraziamento a Salvatore Borsellino “per averci unito nel nome di Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tutti i martiri del nostro stato”. Il cuore del suo intervento riguarda proprio la strage di via D’Amelio e il furto dell’agenda rossa di Borsellino dietro il quale “si nasconde la chiave per capire cosa è successo veramente in quel biennio stragista”. Siamo di fronte a quegli ibridi connubi tra criminalità organizzata, centri di potere extraistituzionale, settori devianti dello stato che avrebbero messo in forse l’esercizio della democrazia nel nostro Paese. E che oggi si ripetono con gli attacchi a giudici come De Magistris, al sistema dell’informazione libera, della giustizia e della scuola.
“Dobbiamo protestare e alzare la voce – conclude Anna Petrozzi – ma soprattutto dobbiamo informarci, studiare, leggere, capire il nesso tra tutte le stragi che sono state realizzate nel nostro Paese e che ne hanno cambiato la politica. Le emozioni salgono e scendono, la conoscenza crea invece quella consapevolezza che non può scemare”. Si susseguono le testimonianze toccanti di Martina Di Gianfelice e di una giovane studentessa di 14 anni, Cecilia. Entrambe sono state, più di ogni cosa, il simbolo di quella rivoluzione culturale nella quale credeva Paolo Borsellino.
Parte il primo collegamento telefonico, a parlare è l’attore Giulio Cavalli, sotto scorta da diversi mesi per il suo impegno di denuncia attraverso il teatro e la satira. “Siamo stufi di vedere il brodo schifoso politica-mafia compiere adulteri – sottolinea Cavalli – a differenza della tv noi facciamo sentire l’odore marcio e allo stesso modo saremo capaci di far sentire quel fresco profumo di libertà. E’ questo il lavoro di chi, come noi, ha deciso di rinnegare una vita <<normale>> come una sorta di brigantismo intellettuale”. Gli applausi della piazza continuano senza sosta mentre ci si collega telefonicamente con Marco Travaglio. “Per arrivare alla verità sulle stragi del ’92 e del ’93 – esordisce il giornalista de Il Fatto – dobbiamo tenere il fiato sul collo del potere. Noi giornalisti, ma soprattutto la società civile”.
Travaglio inizia a elencare le tante “anomalie” del nostro Paese attraversato dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, di Gaspare Spatuzza e dalle strane “dimenticanze” di uomini come Nicola Mancino, Luciano Violante e Giuseppe Ayala. “Dove non c’è la cittadinanza a fare da scudo umano a protezione dei suoi magistrati migliori – ha evidenziato Marco Travaglio riferendosi ai Pm che si occupano delle indagini sulle stragi – le inchieste vengono chiuse con la violenza”.

E’ la volta di Emiliano Morrone ed Alex Cimino che con la loro canzone “Resistenza” interrompono la scaletta degli interventi riportando in musica il tema dell’incontro. Di seguito prende la parola il giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio. Attraverso la sua esperienza di “epurato” a causa delle sue inchieste “scomode” Vulpio ripercorre la metodologia di un sistema di potere che dopo aver colpito Clementina Forleo, Luigi De Magistris ed altri magistrati continua con Desirèe Digeronimo “colpevole” di fare il suo lavoro. Dopo la testimonianza di Lucia Castellana del Comitato 19 luglio 1992 tocca a Beppe Grillo che interviene telefonicamente. “Questa cosa che è iniziata con Salvatore Borsellino e portata avanti da Sonia Alfano, Luigi De Magistris, Antonio Di Pietro e da tante altre persone di buona volontà – grida al telefono Grillo – pretende di sapere la verità su chi ha ucciso Paolo Borsellino”. “Noi vogliamo i nomi – rimarca il comico genovese – perche questo è un omicidio di Stato e non molleremo mai finché non sarà fatta luce su queste cose”. La gente continua ad applaudire anche quando sul palco sale Luigi de Magistris. “Il nostro programma politico è l’agenda rossa – afferma con convinzione l’europarlamentare – è un programma perché se noi riusciamo a far sì che i magistrati che stanno indagando sulle stragi arrivino alla verità capiremo il perché la mafia delle bombe sia passata al controllo delle istituzioni”. “Dobbiamo sapere perché tutto ciò è accaduto, solo così potremo riappropriarci della nostra libertà, da quella d’informazione, al pluralismo, al diritto al lavoro”. Successivamente il parlamentare europeo accenna all’incontro avuto il giorno precedente con il Presidente della Repubblica (il 25 settembre Giorgio Napolitano ha ricevuto i neo europarlamentari italiani eletti recentemente e in quella occasione ha affermato che: “Il Parlamento europeo non può essere cassa di risonanza di polemiche e conflitti che si svolgono nei singoli Paesi e nei Parlamenti nazionali. L’Assemblea di Strasburgo non può nemmeno diventare un’istanza d’appello rispetto a quanto deciso nei Parlamenti o negli esecutivi nazionali” ndr). “Di cosa dovremo parlare al Parlamento Europeo? – replica quindi de Magistris alla piazza – in Italia non danno voce a Salvatore Borsellino e nessuno parla di queste cose anzi cercano di occupare le coscienze e narcotizzare sensibilità e cuori. In Europa invece ci ascoltano e questo dà fastidio”. “Continueremo questa lotta – conclude infine – perché lo dobbiamo a chi, come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, ha sacrificato la propria vita. Lo dobbiamo ai cittadini che non piegano la schiena e noi saremo lo strumento per chi ha sete di giustizia”.
E’ la volta di Antonio Di Pietro che domanda alla folla il perché stia accadendo tutto questo e perché non cambi nulla “nonostante Mani Pulite e le inchieste sulla mafia nel nostro Paese”.
“Ho capito che il vero conflitto di interessi è quello che sta dentro il Parlamento, perché certi parlamentari sono disposti a fare compromessi per mantenere quelle lobby di potere che governano questo Paese”. Il leader dell’Idv dà poi un affondo sulla legge per lo scudo fiscale “fatta per permettere a chi ha capitali nascosti all’estero di riportarli in Italia pagando una tangente come se non fosse successo niente”. “Ricordatevi che chi approverà questa legge in Parlamento farà un’azione criminale”. “Oggi c’è una mafia che sta dentro le istituzioni – conclude – che le utilizza, che non ha più bisogno di commettere reati. Oggi la mafia ha sbiancato i reati”. Sale sul palco Gioacchino Genchi. “Ho avuto da poco la notizia che un nuovo ignobile provvedimento disciplinare è arrivato al capolinea – grida con rabbia ed amarezza Genchi – dopo il mio intervento a Vasto, in occasione del congresso dell’Italia dei Valori, il governo mi ha somministrato un’ulteriore sospensione dal servizio di Polizia di sei mesi, il massimo previsto dalla legge per qualunque tipo di violazione”.
“Con il provvedimento di sospensione – spiega il vicequestore della polizia sospeso – mi si è voluto impedire di aiutare Luigi de Magistris e i magistrati di Salerno a fare verità su una delle più grandi vergogne della giustizia italiana”. “E con la complicità della Corte di Cassazione, della procura generale di Cassazione, del Csm e poi del Ministero dell’Interno e della Presidenza del Consiglio si è cercato di impedire che quel funzionario di polizia potesse dare ai magistrati di Caltanissetta e Palermo quell’aiuto necessario ad arrivare al capolinea delle indagini che rappresentano lo snodo sulle verità negate. Su chi ha voluto dimostrare che nelle stragi del ’92 non c’è solo la responsabilità della mafia, su chi ha voluto dimostrare che in fondo Vittorio Mangano non era solo uno stalliere. Mangano era un mafioso pluri-assassino, che con Dell’Utri era stato accolto alla corte di Arcore di Silvio Berlusconi”. Sui maxi schermi le immagini ingigantite del palco riflettono la rabbia di chi ha lavorato per lo Stato e che ora assiste allo scempio delle istituzioni da parte di una classe politica venduta e prezzolata.
“Da oggi esiste un nuovo partito, quello delle agende rosse e non accetteremo censure e intimidazioni da parte di nessuno”. Non usa mezzi termini Sonia Alfano, figlia del giornalista assassinato dalla mafia Beppe Alfano ed ora europarlamentare una volta salita sul palco.
“Ieri, quando mi sono presentata al capo dello Stato per dargli l’agenda rossa con un pensiero scritto da Salvatore, non mi sono sentita sola, sapevo che dietro di me c’eravate voi”. Ma nelle sue parole c’è ancora tanta disillusione e rabbia per il silenzio del Capo dello Stato sulla richiesta di verità e giustizia per le stragi del ’92 e del ’93 e sul suo diniego a partecipare alla manifestazione delle agende rosse. La Alfano cita come esempio l’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini e la sua partecipazione attiva tra la gente. “Nonostante i richiami – continua Sonia Alfano – bisogna urlarlo forte e di continuo: in questo Stato c’è la mafia, in questo governo c’è la mafia. Altrimenti fuori persone come dell’Utri dal nostro, anzi, dal loro governo”. “Questa è una manifestazione per dire alla gente come il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari e a tutti gli altri magistrati che noi siamo al loro fianco e, se serve, entreremo nelle aule dei tribunali per dire che siamo accanto a loro”. “Noi siamo qui per chiedere verità e giustizia. A che serve mettere il tricolore sulle bare dei magistrati e degli agenti quando la gente scende nelle piazze per commemorarli e mancano i pezzi più grossi delle istituzioni?”.
L’ultimo intervento è quello di Salvatore Borsellino. La piazza è tutta per lui.
Il suo spirito continua a sprigionare forza mentre con voce rotta dall’emozione ringrazia tutti i partecipanti. “Non mi è rimasta tanta voce ma so che anche se non riuscirò a gridare la mia voglia di resistenza lo farete voi. Vi voglio leggere una cosa che aveva annotato Paolo nella sua agenda – ha proseguito Salvatore – <<Palermo non mi piaceva ed è per questo che ho imparto ad amarla, il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare>>. A me questa Italia di oggi non piace e se penso che mio fratello è morto per questa Italia mi prende lo sconforto”.
Molta commozione tra i presenti di fronte alla sete di giustizia di quest’uomo.
“Domani – conclude il fratello di Paolo Borsellino – i giornali scriveranno che qui si sarà svolta una manifestazione di partito e che Salvatore Borsellino si è fatto strumentalizzare da Antonio di Pietro, ma loro non hanno capito niente! Io sono venuto per far sì che Di Pietro faccia diventare il suo partito il partito della gente onesta, il partito della giustizia e della verità. E io dico: An
tonio se tu vuoi che questi giovani ti seguano tu devi liberare il tuo partito da quelle scorie che ancora ci sono”. C’è ancora spazio per un’ultima riflessione sull’assenza di Napolitano: “Un Presidente della Repubblica che firma il Lodo Alfano non difende la costituzione!” La piazza esplode in un lunghissimo applauso. “Spero che un giorno non firmi pure un decreto sul riciclaggio di Stato – continua Salvatore Borsellino – perché allora io non so se riuscirò ancora a chiamarlo Presidente della Repubblica”. “Paolo e i suoi ragazzi sono stati eliminati – conclude Salvatore – per mano di uno Stato deviato. Oggi purtroppo la criminalità organizzata è arrivata ai vertici di questa costituzione ed è per questo che noi dobbiamo lottare ed è per questo che noi abbiamo il nostro dovere che è solo quello di resistere!”. Terminata la frase con un salto che fa rabbrividire gli organizzatori Salvatore scende dal palco e si avvicina alle prime file. Tutti lo vogliono abbracciare, toccare, stringergli la mano. Un’ennesima tappa di un lungo viaggio alla ricerca della verità. Questa volta proprio sotto i palazzi del potere che hanno dovuto subire l’onta delle grida di un intero popolo.
Un popolo su cui grava ora la forte responsabilità di mantenere vivo questa ricerca di verità e giustizia, informandosi, ricercando i tanti pezzi sparsi di questo mosaico scomposto che è la storia del nostro disgraziato Paese. Non saranno certo i “grandi” dell’informazione a lasciare memoria di tutto questo. L’esempio lo ritroviamo in queste ore dove, salvo rarissime eccezioni, la manifestazione di ieri è stata completamente censurata.
Al popolo delle agende rosse quindi, e a tutti coloro che si riconoscono in questa battaglia di civiltà l’onere o l’onore di proseguire questo cammino.

 

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Il video della manifestazione

Lo speciale sulla manifestazione

DA ANTIMAFIADUEMILA.COM

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Un Nebiolo “on the road” fra impegno civile, politica e lotta all’omologazione

Dopo la «felicità facile» della nascita, le «indulgenze della gestazione», è il tempo della maturità per il teatro Nebiolo di Tavazzano. Quello che «doveva essere un teatro di provincia», dal motto della seconda stagione, «quello che non cerca di mietere spettatori al chilo né tantomeno rincorre vendemmie numeriche» chiosa il direttore artistico Giulio Cavalli, oggi presenta il terzo cartellone dal titolo “A ciascuno il suo”, «che per il primo anno vanta la collaborazione di Libera nazionale e Legambiente». Fil ruoge la strada, «luogo sconosciuto per tutti quelli che hanno deciso di mettersi in doppio petto e di stare a guardare» ironizza Cavalli; luogo noto e amato da chi sceglie l’impegno. Per la stagione di prosa si parte con la Compagnia Dionisi e il suo Patate, una parola senza denti sulla guerra (3 ottobre), a seguire Scirocco, ballata di viaggio dello Scarlattine Teatro (24 ottobre), per poi lasciare la scena a Montedidio, tratto dall’omonimo romanzo di Erri de Luca della Compagnia Stabile del teatro del Popolo di Gallarate (28 novembre). Ad aprire il 2010, A cento passi dal Duomo di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto (23 gennaio), «in cui non mancheranno aggiornamenti sulla geografia delle mafie al Nord, con un occhio particolare al Lodigiano e alle recenti vicende che hanno interessato lo smaltimento di rifiuti – ha spiegato Cavalli – , in cui ci asterremo dal dare giudizi legali, ma ci tufferemo con gioia e meraviglia in quelli morali». E proprio «perché il nostro è un teatro che deve arrivare per le strade, abbiamo deciso di inaugurare anche le “ronde teatrali”»: lo spettacolo Ilinx Machine. Ata traghettori di anime (6 febbraio), che fisicamente porterà sedici spettatori del Nebiolo in auto per le vie della provincia.
Risorgimento Pop di Daniele Timpano (13 febbraio), L’apocalisse rimandata ovvero Benvenuta Catastrofe (26 marzo), versione teatrale di Dario Fo e Franca Rame, adattata e interpretata da Giulio Cavalli, presentata lo scorso giugno al Napoli Teatro Festival Italia, e Hamburger del Teatro dei Limoni (23 aprile), chiuderanno la stagione di prosa. La strada e il suo popolo sono i protagonisti anche della stagione musicale: l’evento è il concerto di Nanni Svampa, storico interprete della canzone popolare lombarda (20 dicembre); a precederlo i “Randagi di cristallo” della Bar boon band (7 novembre), progetto di musica e poesia realizzato con i senzatetto della stazione Centrale di Milano, mentre a chiudere i Mondorchestra e il loro album La mafia non esiste (16 gennaio) e la Musica senza frontiere dei Contrabbanda (20 febbraio). E se a breve il Centro di documentazione per il teatro civile metterà a disposizione on line un’ampia sezione di documenti, sono tanti gli ospiti attesi sul palco di via IV Novembre nelle date organizzate dal centro nato all’interno del progetto Etre e realizzato insieme alla fondazione Cariplo. Gioacchino Genchi (14 novembre), Carlo Lucarelli (11 dicembre) sul palco per parlare dello spettacolo che sta scrivendo con Cavalli sul processo Andreotti (L’innocenza di Giulio), Giancarlo Caselli e Raffaele Cantone (Magistrati confinati e al confine, 8 gennaio), Antonella Mascali e Peter Gomez (Il processo Mills, 19 febbraio), don Luigi Ciotti (L’etica libera la bellezza, 26 febbraio). Ancora in via di definizione le date di Marco Travaglio, «ormai un amico del Nebiolo», del trio di autori del libro Capitalismo di rapina, i giornalisti Biondani, Malaguti e Gerevini («La Popolare quattro anni dopo. Per ricordarsi di ricordare senza scavalcare una storia del territorio») e dei magistrati Antonio Ingroia e Alberto Nobili.

Rossella Mungiello

DA IL CITTADINO
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Mattatore scomodo

C’è chi dice no – Attivisti antimafia
In scena Giulio Cavalli ha sempre il dito puntato contro mafiosi e conniventi. Di tutte le regioni.

A 100 passi dal duomo parlare di cosa nostra è un tabù, eppure è qui che si sono consumati, in meno di 10 anni, dal 1974 al 1983, oltre 100 sequestri a scopo di estorsione. A Milano in pochi hanno capito che la cintura di Comuni intorno alle città è diventata la patria ufficiale del confino delle mafie, la coltre di silenzio ideale per coprire “l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, Sindona, i retroscena di Raul Gardini, di Calvi e dell’Expo”. A raccontarli è un “giullare” sotto scorta, Giulio Cavalli, direttore artistico del teatro Nebiolo di Tavazzano, in provincia di Lodi, che si è sempre occupato di temi scomodi, al punto da essere minacciato dalla mafia: sin da “Linate 8 ottobre 2001”, racconto che svela molti punti oscuri dell’incidente aereo che causò 118 morti, “Bambini a dondolo”, sul turismo sessuale infantile, e “Do ut Des”, show che ridicolizza i boss prodotto con il Comune di Gela.
Il suo ultimo spettacolo “A 100 passi dal Duomo” (le tappe del tour sono su teatronline.com), scritto in collaborazione con il giornalista Gianni Barbacetto, si concentra sulla presenza delle famiglie mafiose al Nord.  Insofferente alle etichette, soprattutto a quella di “teatro civile”, Cavalli ha intrapreso una lotta contro “la presunzione ebete di Milano che fa la bella addormentata. A livello di antimafia qui siamo ancora all’anno zero –spiega-. La Lombardia non vuole ammettere a se stessa di essere stata vittima di una cosa così barbara e vile come la mafia, che è siciliana”.
Anche la politica sembra miope. “Qualche deputato della Lega ha sostenuto che se decido di andare in Sicilia a farmi sparare non è un problema della Lombardia – aggiunge Cavalli -. Si dice spesso che la mafia al Nord è liquida e sotterranea, ma siamo noi che abbiamo lasciato le porte aperte negli appalti e nella cultura e non rimarremo impuniti”.
La capitale, morale, secondo l’attore, reagisce “con un’omertà più fine. L’indifferenza educata dei suoi abitanti equivale alle finestre chiuse di Cinisi (PA). Sono convinti che il pizzo sia un taglieggiamento per questioni siciliane e rifiutano ogni discorso sulle possibili complicità”.
Antonella Lombardi

DA “TERRE DI MEZZO” L’ARTICOLO QUI