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Politica

Strozzi, strozzini e querele antimafia. A 100 PASSI DAL DUOMO comincia il valzer delle carte bollate.

100passi70100Leggo su LA PROVINCIA di domenica 29 novembre l’articolo Show antimafia in tribunale “Assurdo, li denunciamo” (che trovate qui in pdf e riportato in calce) in cui i compagni di partito (PDL) Paolo Galli e Massimilano Carioni parlano di diffamazione perpetrata nei loro confronti con lo spettacolo A 100 PASSI DAL DUOMO scritto da me e Gianni Barbacetto e portato in scena proprio a Varese non molti giorni fa,  promettendo strali e querele.

Ammetto che la buona novella (a cui ormai evidentemente abbiamo esercitato una certa abitudine) mi arriva proprio mentre rimiravo le parole del Presidente del Consiglio che promette “strozzi” a chiunque parli di mafia in Italia senza il bollino di certificazione del Ministero della Cultura Popolare che già negli anni ’30 gestiva la censura teatrale per gli spettacolini di piazza. Quindi oltre a non stupirmi mi deprime per banalità.

Senza entrare nel merito legale della vicenda (che lascio ai miei legali ripromettendomi di esercitare il mio diritto professionale di aggiungere eventualmente una nuova scena allo spettacolo) ci tengo comunque a sottolineare un paio di punti che devo non tanto a me stesso o a Gianni Barbacetto quanto all’onestà intellettuale dello spettacolo e al numerosissimo pubblico che l’ha seguito e continua a seguirlo.

Carioni dice “è assurdo, non siamo mai stati né inquisiti né indagati, nessun magistrato ci ha mai contattato”; e infatti dice bene. Nella messa in scena (che evidentemente non hanno avuto il piacere o il dispiacere di vedere) non si fa riferimento a nessun procedimento giudiziario se non ai “rumors” di un’azione della procura di Busto Arsizio dove il pm Valentina Margio aveva avviato una indagine per droga, che aveva portato a seguire una traccia giudicata molto interessante, tanto da arrivare fino a un imminente interessamento della Direzione Investigativa Antimafia: incontri riservati, che avrebbero potuto configurare un tentativo di infiltrazione malavitoso per appalti. Avrebbero, appunto, perché le verifiche erano in corso e solo con un’indagine approfondita si sarebbe potuti arrivare a un risultato investigativo. Ma l’indagine è apparsa “bruciata” sul nascere da alcune fughe di notizie tanto che, come riportato dall’articolo di VareseNews del 16/09/2008, si ipotizzava addirittura un’inchiesta per rivelazione del segreto d’ufficio, e non è escluso che gli investigatori vogliano andare fino in fondo.

Resta il fatto che, dalle carte dell’inchiesta uscite sulla stampa nazionale, era emerso un primo quadro indiziario che tirava in ballo alcuni politici e un simpatizzante locale di Forza Italia: tra cui Paolo Galli, Massimiliano Carioni e Giovanni Cinque.

Ne parla il quotidiano LA STAMPA in un articolo di Guido Ruotolo del 15/09/2008, e in un pezzo del giorno successivo; ne parla il CORRIERE DELLA SERA in un pezzo a firma di Claudio Del Frate del 16 settembre 2008 e nell’articolo di Fiorenza Sarzanini  LA ‘NDRANGHETA PUNTA AGLI APPALTI DELL’EXPO del 15 settembre, dove tra l’altro si ha modo di leggere uno stralcio delle relazioni della Squadra Mobile di Milano durante gli appostamenti in cui si dice (citando testualmente dall’articolo) «Il primo incontro – scrivono nella relazione – avviene in un bar di Castronno. Con Cinque ci sono Paolo Galli, presidente del Consiglio di amministrazione dell’ Aler di Varese, l’ azienda che si occupa di Edilizia Residenziale e Francesco Salvatore, un imprenditore campano impegnato nel settore dell’ Edilizia e dell’ Informatica. Lo stesso contesto si è ripetuto altre tre volte, ma era presente anche Vincenzo Giudice, 50 anni, consigliere comunale eletto nella lista “Forza Italia Moratti sindaco”»; sarebbe noioso aggiungere il centinaio di siti e blog che sulla rete hanno dato conto della notizia. Certo rimane il fatto che le testate citate, le firme e le fonti non appaiono proprio giornaletti di parrocchia che alimentano malalinguismo.

Ma le fonti più accreditate sono proprio le parole del Carioni che ha dichiarato a proposito di Giovanni Cinque “io l’ho conosciuto a un incontro elettorale. Me lo ha presentato Paolo Galli, il presidente dell’Aler, e mi ha detto che era un sostenitore del Pdl, tutto qua. Poi l’ho visto in qualche occasione” e il suo compagno Paolo Galli che dice “abbiamo partecipato alle iniziative del partito, tutto qua. Gianni Cinque è un nostro sostenitore e il quadro che esce dai giornali, non posso credere sia vero”. Quindi la cena di cui nello spettacolo diamo conto (e non di altro) sembra proprio essere avvenuta. Così come mi appare evidente che debba essere la magistratura a dirci se Giovanni Cinque sia veramente un esponente di spicco della ‘ndrina degli Arena. Il teatro (e più in generale le parole e i fatti) espone al giudizio estetico e morale circostanze e sensazioni per la pancia e le orecchie di un pubblico che ha la propria coscienza e dignità per ascoltare e formare un giudizio senza bisogno di “spintarelle” basse da comizio o messaggini subliminali; probabilmente è proprio il pubblico il nemico numero uno da strozzare.

Il teatro va usato e osato; proprio come la Legge.

Mi lascia qualche dubbio, piuttosto, il fatto che proprio su uno spettacolo teatrale (e quindi sulla parola che entra in circolo e crea relazione) si concentrino le attenzioni legali di persone ripetutamente citate da quotidiani e fonti di informazione come se il giochetto pavido del martello sul chiodo più debole sia una consuetudine da giustificare per l’apparente facilità di esecuzione. Sono assolutamente a disposizione per eventuali azioni legali che potrebbero essere un’ottima occasione per fornire spiegazioni e (soprattutto) ascoltarne, abituato come sono da ormai parecchio tempo a pressioni ben meno civili di una querela che mi hanno portato in dono una vita sotto scorta.

Continuerò a custodire il valore della parola e dei fatti. In teatro e, se servisse, su tutti i campi in cui possa avere la forma di un’azione.

Giulio Cavalli

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la carovana nelle scuole/il caso varese
Show antimafia in tribunale
«Assurdo, li denunciamo»
Galli e Carioni citati sul palco: «Non siamo mai stati indagati»

«A cento passi dal Duomo» anche Varese. E lo spettacolo antimafia finisce in tribunale, con una richiesta di risarcimento danni per diffamazione presentata dal capogruppo del Pdl in consiglio provinciale Massimiliano Carioni e dal presidente di Aler (azienda per l’edilizia popolare del Varesotto) Paolo Galli. Entrambi citati all’interno del monologo sulla mafia al Nord interpretato dall’attore Giulio Cavalli che ne è anche coautore assieme al giornalista Gianni Barbacetto.

LO SPETTACOLO
«A cento passi dal Duomo» il titolo dello spettacolo che cita esplicitamente quello del fortunato film sulla vita di Peppino Impastato che misura in «cento passi» la distanza tra la propria casa e quella del boss Tano Badalamenti. Una distanza troppo breve per ignorare chi è e cosa fa l’esponente di Cosa Nostra. La stessa distanza che separa Palazzo Marino, sede del comune di Milano, vincitore per l’Expo 2015, dal Duomo (di qui il titolo) «e anche dai boss», dice l’attore sul palco, ricordando il pizzo che era costretta a pagare una gioielleria vicino alla Scala. «Mettete che i boss li hanno già fatti quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione», aggiunge Cavalli dal palco dopo aver ripercorso le diverse stagioni della malavita a Milano, dai sequestri di persona allo spaccio di eroina, poi cocaina, e infine i grandi affari nelle costruzioni e i morti ammazzati di Lonate Pozzolo. Ed è a questo punto che cita i varesini Carioni e Paolo Galli che, secondo un’inchiesta giudiziaria emersa nel 2008 e finita nel nulla, avrebbero avuto rapporti, nel senso di «cene elettorali, brindisi e incontri», recita il testo, con l’imprenditore Giovanni Cinque, «esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena».

DIFFAMAZIONE?
«É assurdo, non siamo mai stati né inquisiti né indagati, nessun magistrato ci ha mai contattato. Questa è diffamazione», commenta Carioni raccontando di aver già consegnato tutta la documentazione al suo avvocato di fiducia per chiedere i danni. «Tutto è cominciato da un articolo del Corriere della sera, pubblicato nella primavera del 2008, nel quale si denunciavano gli stralci di un’inchiesta giudiziaria infilando una serie di inesattezze, tra cui anche il coinvolgimento del mio nome – spiega Carioni ? da qui una serie di articoli usciti sulla stampa nazionale e poi lo spettacolo». C’è anche un libro «A Milano comanda la ‘ndrangheta», edito da Ponte alle grazie che cita questa ricostruzione. Ma Carioni si dice sereno: «Ho la massima fiducia nella magistratura, peccato solo che ci vorrà un po’ di tempo per arrivare a sentenza». E ha scelto le vie legali anche Paolo Galli, che sottoscrive quanto dichiarato dal suo compagno di partito e aggiunge: «Sono oggetto di una diffamazione allucinante, io che non ho mai avuto nulla a che fare con la magistratura». E poi aggiunge: «Da quando sono presidente di Aler non ho più avuto contatti con quella persona ? dice con riferimento a Giovanni Cinque ? ma ancora oggi non mi risulta sia mai stato condannato per reati di mafia».

LA CAMPAGNA DI LIBERA
Lo spettacolo «A cento passi dal duomo» dieci giorni fa è stato portato in scena anche a Varese, al cinema teatro Nuovo, inserito tra gli eventi della rassegna «Un posto nel mondo» e patrocinato dall’associazione «Libera – contro le mafie», che ha chiesto al pubblico di sottoscrivere l’appello pubblicato sul sito www.libera.it contro un emendamento alla Finanziaria che modifica la legge sulla confisca dei beni mafiosi, affiancando al riutilizzo sociale anche la possibilità di messa all’asta, con il rischio che siano i clan a riacquistarli, attraverso dei prestanome.
Lidia Romeo

Teatro civile al Nebiolo: un viaggio negli inferi per capire la ’ndrangheta

Alla domanda più difficile («Cos’è la ’ndrangheta?») risponde che «mi sono serviti 80 minuti per tentare una spiegazione», nel documentario firmato con Enrico Fierro La Santa. Viaggio nella ’ndrangheta sconosciuta. Ma sul palco del Nebiolo sabato sera, per il primo degli incontri del Centro di documentazione per il teatro civile, Ruben H. Oliva, pungolato dagli interventi di Giulio Cavalli, fa un tentativo e traccia il ritratto di «un mondo che è capitalismo dentro il capitalismo, in cui la ’ndrangheta è un prestatore di servizi per i cartelli messicani del traffico di cocaina con un fatturato da 50 miliardi di euro». La metastasi di un cancro senza più centro ormai, con filiali in tutti i continenti, tanto che «sarebbero le ’ndrine sparse in tutto il mondo a continuare gli affari, se per assurdo si riuscisse a cancellare il fenomeno in Italia». Un’ipotesi remota, anche perché quel «club di potenti» che conta più di 5 milioni di affiliati nel mondo si affida al legame più difficile da tradire, quello di sangue. Rinunciare alla “Santa”, significa perdere tutto, anche la famiglia. E se il pentitismo dunque non è un problema per questa mafia, che è diventata la più forte e la più agguerrita militarmente, «c’è anche da dire – sottolinea ancora il giornalista di Diario, tra i fondatori di Radio Popolare, firma prima del Giorno, per poi arrivare al Secolo XIX e a Repubblica — che il sistema ’ndrangheta è, al tempo stesso, atavico e tecnologicamente avanzato». Nei rifugi dell’Aspromonte, tra le vecchie case di San Luca, luogo da cui tutto nasce e ancora annuale sede di incontro per la cupola calabrese, gli uomini di ’ndrangheta si muovono indisturbati. Usano videoconferenze, Skype (comunicazioni vocali tramite internet, ndr) e telefonate cifrate, si prendono gioco degli sforzi delle forze dell’ordine e godono di un’impunità guadagnata con il silenzio figlio della paura instillata in 50 anni di storia. In molti territori le ’ndrine sono alla terza generazione e i figli dei boss vanno all’università, «ma fanno Economia alla Bocconi e vanno al Mit di Boston a completare gli studi – spiega ancora Oliva -. Il vero dramma sono gli affari proposti alla mafia da quel pezzo di società che vuole godere di un patrimonio che è pari al 3,5 per cento del Pil. Soprattutto in momenti di crisi come questo che stiamo attraverso, la criminalità organizzata è l’unica ad avere i capitali. E allora l’imprenditoria pulita e insospettabile comincia a fare gli interessi della ’ndrangheta, i capitali neri vengono riciclati e l’economia è drogata». Attonito il pubblico davanti alla proiezione di una parte del documentario e alla testimonianza fiume di Oliva («una delle voci più autentiche che potessimo avere per quella che mi piace definire una “riunione condominiale contro l’ndrangheta”» ha commentato Cavalli che ha anche annunciato la nascita di un coordinamento provinciale per la legalità, fatto insieme alle associazioni del territorio). Un modo per contarsi, una reazione civile che, secondo l’esperienza di Oliva è il peggior incubo dell’ndrangheta. «Se con la politica si trova un accordo – ha chiuso il giornalista – , il timore di questo comitato di potere è che la gente dei territori in cui si sono insediati alzi la testa e scenda in piazza».Rossella Mungiello

DA IL CITTADINO L’ARTICOLO QUI

Le cosche narrate 'in teatri di periferia' I nemici invisibili di Giulio Cavalli.

L’attore teatrale sotto scorta ad Affari: “La ‘ndrangheta a Milano? Per molti non esiste. E io sono minacciato da un nemico invisibile”

Di Francesco Oggiano e Antonio Prudenzano

Giulio Cavalli è uno sfigato. Come chiamare altrimenti uno che deve difendersi da ciò che non esiste? Non è mai vissuto un eroe senza un nemico. Anzi, la sua giustificazione la trova proprio in esso. Ecco, anche per questo Giulio Cavalli è uno sfigato. Se ne sta alla sua scrivania, nel soppalco del suo teatro di periferia, sommerso da una pila di documenti, con gli occhi blu attaccati al Mac, un po’ a navigare su Facebook e un po’ a scrivere i suoi testi.

LA VIDEOINTERVISTA
I TESTI – Già, i suoi testi: quelli che parlano di quello che non c’è. Prima quelli sulla strage dell’aeroporto di Linate, nel 2001; poi quelli sui turisti sessuali italiani; infine quelli sulla mafia, portati sul palco prima con “Do ut des – riti e conviti mafiosi”, del 2006, e poi con “A cento passi dal Duomo”, che ha debuttato lo scorso ottobre al Teatro della Cooperativa di Milano. Giulio Cavalli è uno sfigato perché in prima serata non reggerebbe neanche mezz’ora. Lui, con le sue parole, non solletica neanche un po’ la pancia dello spettatore. Non mette in scena boss, non recita baciamani, non descrive tavole imbandite per padrini. Piccolo, curvo e misurato, ogni sera vomita sul palco fatturati e cda, noli a freddo e movimento terra, appalti truccati e finanziarie lussemburghesi. Raccoglie i dati, li analizza e ne ricava scenari. Proprio per questo, dallo scorso aprile si è visto affidare una scorta dei carabinieri.

cavallivideo2IL TEATRO – Ma Cavalli è uno sfigato anche perché, pur educatissimo, non ci sa fare con i giornalisti. Ancora immerso nella sua pila di libri, con il suo mouse, le sue scarpe sporche, la sua sigaretta fatta a mano e il suo soppalco, finalmente leva gli occhi dal Mac e li indirizza verso i cronisti andati a trovarlo: “Sapete che non ho ancora capito che cazzo volete fare?”. Un’intervista, è la risposta. Accetta, spegne la sigaretta e li conduce di sotto, nel suo teatro, quello di periferia, vuoto. Apre il sipario, accende le luci e un’altra sigaretta.

“LA MIA VITA IDENTICA A PRIMA” – Quindi archivia subito la pratica che pesa, quella di cui tutti parlano: “La scorta è un fatto puramente tecnico, non è una medaglia. Una persona viene considerata bisognosa di una tutela da parte dello Stato affinché possa continuare senza rischi la sua attività professionale. La mia vita è identica a prima. Non ho ansie e non ho paure”. Però Cavalli una paura ce l’ha: dentro di sé odia il fatto che quel che dice possa acquistare spessore solo perché ha quattro carabinieri al fianco. “L’Italia è piena di persone sotto tutela: di magistrati, pm, giornalisti. Le persone che hanno più paura lo sai chi sono? Sono i pentiti di mafia, che hanno trattato una buonuscita con lo Stato e che si spostano con cinque poliziotti alle calcagna”.

“LA DIFFERENZA TRA ME E SAVIANO” – Il paragone, tuttavia, è inevitabile: “La differenza tra me è Roberto Saviano è tra raccontare storie e raccontare le nostre storie. A me non interessa raccontare la mia esperienza. Non è simbolica, non fregherebbe niente a nessuno. Roberto avrà accettato i consigli che gli hanno fatto ritenere giusto e intelligente raccontare l’ombra che le storie che ha raccontato proiettano sulla sua vita”.

LA ‘NDRANGHETA A MILANO – Cavalli è uno sfigato perché si appassiona a quello che non c’è. Lui non parla di Camorra, di Stidda o di Cosa Nostra. No: a lui interessa la ‘ndrangheta. E nemmeno la consorteria attiva in Calabria. No. Lui mette in scena le cosche attive nel Nord Italia, in particolare a Milano e provincia: “Racconto quarant’anni di mafia perché li ritegno dignitosamente drammaturgici. E soprattutto descrivo il negazionismo patetico di una parte politica di Milano, la milanesità come impermeabilità. Credo che la parola può far male allo stesso modo di un’inchiesta”.

QUEL RAPPORTO ADULTERO MAFIA-POLITICA – Eccolo, il teatro civile dello sfigato. Quasi un atto di lesa maestà contro le ‘ndrine e soprattutto contro i politici e gli imprenditori collusi. Perché, spiega, “la mafia in sé è poco credibile. È stomachevole nelle forme e nei contenuti. La potenza di cui si riveste e il controllo dei territori che ha ottenuto li deve a persone molto credibili che hanno deciso di accettare questo rapporto adultero. In Lombardia c’è una colpa che ha delle radici prettamente culturali. E per questo va fatto un lavoro culturale”.

cavalli

IL FIUME CARSICO DELLA ‘NDRANGHETA – Un lavoro che, come primo atto, deve radere al suolo i luoghi comuni: “Basta con questa balla di una ‘ndrangheta formata da quattro bovari emigrati con le valigie di cartone al Nord Italia. La mafia calabrese ha un’umiltà fantastica. Pensa solo a questo: quando quegli imbecilli di Riina e Provenzano progettavano l’attentatuni (l’attentato che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta, ndr), le cosche calabresi fissavano i prezzi della droga del cartello di Medellìn. Altra differenza: Cosa Nostra è voluta diventare una Spa. Sognava una vera e propria struttura simile a un consiglio d’amministrazione, con quei quattro neuroni che si ritrovava. La ‘ndrangheta, più furba, si è comportata come un fiume carsico e ha arginato il fenomeno del pentitismo grazie alla sua struttura familiare, ottenendo molto più credito di fiducia nei confronti delle altre organizzazioni”.

L’ATTIVISMO ‘PASSIVO’ – Cavalli rifiuta l’attivismo ‘passivo’. “Delegare le responsabilità alla politica e ai politici è uno dei gesti più pavidi che esista. Li vedo questi giovani attivisti. Non capiscono che i politici decidono in base alle pressioni che gli pervengono e che possono spostare voti. Ormai dagli atti risulta che gli imprenditori milanesi non hanno più bisogno di essere minacciati. Accettano di buon grado di sottostare alle condizioni dei mafiosi, anche perché ne ricavano un vantaggio”.

UNA BATTAGLIA DI MEMORIA – Allora l’antimafia diventa una battaglia di memoria. Chi più ne ha più è forte. Certo è dura. In un Paese che non rinuncia al mare di luglio per andare ai funerali di Giorgio Ambrosoli; in un Paese in cui l’allora sindaco di Milano, Paolo Pillitteri, diceva che al “Nord la mafia non esiste”; in un Paese in cui “le intercettazioni sono solo le polluzioni di alcuni magistrati di sinistra”; “in cui si dice che Andreotti è stato assolto e non prescritto”.

IL SORRISO DEL MAGISTRATO BRUNO CACCIA – In un Paese, l’Italia, che non sa, o non vuole ricordare, chi era e com’è morto Bruno Caccia. Magistrato antimafia, è il primo a svelare i legami tra politica, imprenditoria e Cosa Nostra nella città di Torino. Muore ammazzato, una sera di giugno, mentre porta a spasso il cane, la sigaretta ancora in bocca, sotto la luce di un lampione, nel centro di Torino. Cavalli termina ogni suo spettacolo dedicandogli un monologo struggente: “Trovo triste un Paese che ha sempre bisogno di eroi”. Accende un’altra sigaretta, tira un paio di volte, socchiude gli occhi. Si concentra. Sta per fulminare i salotti buoni della società civile: “Concordo con chi sostiene che in Italia per fare la battaglia antimafia ci vorrebbe un morto eccellente l’anno. Si gioca molto a scovare storie e personaggi cui delegare completamente l’impegno. Vivi o morti, non ci bastano pochi simboli di una battaglia, purché venduti bene. I vari Roberto Antiochia, Beppe Montana… hanno combattuto la mafia allo stesso modo di Falcone e Borsellino”. L’attore fa riferimento alla fiction Il Capo dei Capi, accusata di aver mitizzato la figura di Toto Riina. “Io invece voglio parlare di quella mafia che come un’edera si attacca ai vuoti della politica. Bruno Caccia era un magistrato che l’aveva capito. Che aveva raccontato come la ‘ndrangheta avesse colonizzato il Piemonte, creando un cartello in combutta con Cosa Nostra. Ecco: Bruno Caccia era un magistrato competente, il cui assassinio è stato relegato negli articoli di spalla. Il teatro mi sembra un ottimo modo rendere giustizia a questa persona”.

“E ORA CHE HO BISOGNO MI RITROVO NEL TEATRO DI PERIFERIA” – Ma Giulio Cavalli è uno sfigato anche per un altro motivo. Resta lontano, chissà se per scelta o condizione, dai salotti teatrali. E non basta: gli sputa anche addosso. Ci si accorge di quando Cavalli sta per radere al suolo qualcuno: digrigna i denti, rallenta la parlantina, si protende col busto e lancia un’ultima occhiata all’interlocutore, per assicurarsi che abbia incassato il colpo. Poi passa ad altro: “A ben vedere non mi ritengo neanche un teatrante. Faccio il mio lavoro in un teatro e, se il luogo determina la professione, allora sì: sono un teatrante. Faccio teatro anche al bar, ma non mi ritengo un cameriere. Al momento il teatro italiano è una prostituta che fa la spola tra Camera e Senato. Non so neanche se esiste un teatro civile. Ogni tanto vedo qualcuno che fa l’impegnato. Poi, una volta guadagnatasi la targhetta sul citofono, si riguarda e abbassa i toni. Se il più rivoluzionario è un vecchiaccio mezzo cieco e mezzo e mezzo sordo come Dario Fo, allora…”. Ha il dente avvelenato. Molti teatri di città gli hanno chiuso le porte del suo spettacolo: “Mi sono ritrovato a fare il maggiordomo di funerali pettinati nei grandi teatri ed ero perfetto come portabara. Nel momento in cui io ho avuto bisogno, eccomi qui: mi sono ritrovato nel teatro di periferia”. Un vero e proprio sfigato.

DA AFFARI ITALIANI

http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/giulio_cavalli_cento_passi_duomo_mafia_milano241109.html

Domenica 29 novembre Giulio Cavalli con Carlo Lucarelli a POLITICAMENTE SCORRETTO

Dal 27 al 29 novembre 2009, torna a Casalecchio di Reno la sfida civile di Politicamente Scorretto.
Dibattiti, testimonianze, reading, proiezioni, laboratori, bookshop per affrontare le vicende più oscure della nostra storia con la sola arma della cultura.
Tra i partecipanti: Don Luigi Ciotti, Concita De Gregorio, Giulio Cavalli, Lella Costa, Gianrico Carofiglio, Pina Maisano Grassi, Gian Carlo Caselli, Roberto Scarpinato, Claudio Gioè, Alberto Spampinato.
In collaborazione con Carlo Lucarelli e Libera Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie.
Disponibile il programma completo della tre giorni di eventi


Venerdì 27 novembre

Teatro Comunale A. Testoni – ore 9.30

Ha un futuro la memoria?

Incontro con Pina Maisano Grassi (vedova di Libero Grassi)
Introduce Paola Parenti (Presidente Casalecchio delle Culture
Appuntamento riservato agli studenti delle scuole secondarie

Il primo piatto della legalità

Venerdì 27 novembre
Melamangio e Concerta prepareranno per oltre 10.000 bambini e ragazzi di Casalecchio di Reno, Zola Predosa e altri 9 comuni delle provincie di Bologna, Modena e Ferrara, un piatto esclusivamente a base di prodotti di Libera Terra.
In collaborazione con Melamangio e Concerta

Casa della Conoscenza – ore 15.00

A schiena dritta

OSSIGENO-Osservatorio nazionale sui cronisti minacciati e le notizie oscurate
Intervengono: Alberto Spampinato (giornalista, fondatore di Ossigeno), Roberto S. Rossi (giornalista, autore del documentario Avamposto sui giornalisti minacciati in Calabria), Mauro Sarti (giornalista e docente).
Workshop sui temi dell’informazione e del giornalismo civico, a cura di Blogos Web Radio e TV
Materiali di approfondimento disponibili sul sito web del Blogos
Iscrizione gratuita obbligatoria (051.598243 – info@casalecchiodelleculture.it)

Sabato 28 novembre

Teatro Comunale A. Testoni – ore 10.30

Rispettare le regole conviene?

Incontro con Giancarlo Caselli
(Procuratore della Repubblica di Torino)
Introduce Paola Parenti (Presidente Casalecchio delle Culture)
Appuntamento riservato agli studenti delle scuole secondarie di II grado

Casa della Conoscenza ore 15.00
Segui la diretta video

Bologna incontra Genova

Intervengono gli scrittori: Bruno Morchio, Antonio Caron, Giampiero Rigosi, Alfredo Colitto, Gianfranco Nerozzi, Silvano Rubino
Coordina: Marco Bettini

A seguire

Sbirri e detectives

Segui la diretta video
Intervengono gli scrittori e giornalisti: Carlo Bonini, Piergiorgio Di Cara, Simona Mammano, Giacomo Gensini, Michele Giuttari.
Coordina: Carlo Lucarelli

A seguire

Cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria di Casalecchio di Reno a Carlo Lucarelli

Intervengono: Simone Gamberini (Sindaco di Casalecchio di Reno), Antonella Micele (Presidente del Consiglio comunale)

ore 21.00
Segui la diretta video

Ce ne ricorderemo di questo maestro
Tributo a Leonardo Sciascia a vent’anni dalla scomparsa

Reading in musica a cura di Elisa Dorso e Ilaria Neppi
Interventi musicali di Carlo Lojodice e Guido Sodo
con la partecipazione straordinaria di Rita Botto Letture di: Bruno Cappagli, Michele Collina, Alfonso Cuccurullo, Giacomo Gensini, Claudio Gioè, Carlo Lucarelli, Bruno Morchio, Simona Mammano e altri…

Domenica 29 novembre

Segui la diretta video
Casa della Conoscenza ore 10:30

Musica contro le mafie

Dialogo in diretta video tra Politicamente Scorretto – Casalecchio di Reno (Bo) e MEI – Meeting Etichette indipendenti – Faenza (Ra)
Intervengono: Salvatore De Siena (Il Parto delle Nuvole Pesanti), Daniele Comberiati (scrittore), Massimo Ghiacci (Modena City Ramblers), Danilo Chirico (scrittore e fondatore Stop ‘Ndrangheta), Lucariello (musicista, autore di “Cappotto di Legno”), Loris Mazzetti (giornalista Rai)
Coordina Marco Ambrosi (Ramsazizz)

A seguire

Un appello Politicamente scorretto

Intervengono: Roberto Alfonso (magistrato), Anna Canepa (magistrato), Gianrico Carofiglio (scrittore e parlamentare), Giulio Cavalli (attore), Don Luigi Ciotti (presidente Libera), Concita De Gregorio (direttore de L’Unità), Claudio Gioè (attore), Pierluigi Sacco (docente di economia della cultura)
Coordina: Carlo Lucarelli

ore 15,00

Cultura? Un bene confiscato

Intervengono: Lella Costa (attrice), Carlo Degli Esposti (produttore televisivo), Antonio Maruccia (Commissario straordinario del Governo ai beni confiscati), Carlo Lucarelli (scrittore), Sabrina Cocco (progetto MOMArt di Bari)
Coordina: Santo della Volpe (giornalista RAI)

A seguire

Anteprima nazionale del documentario
Sconzajuoco

Intervengono: Pina Maisano Grassi (vedova di Libero Grassi), Giada Li Calzi (Direttore Fondazione Progetto Legalità), Roberto Scarpinato (magistrato), Serena Uccello (giornalista Il Sole 24ore)
Coordina: Carlo Lucarelli
In collaborazione con Fondazione Progetto Legalità
In memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia, Associazione Oltrecittà di Marsala, Zerocento e con il patrocinio del Ministero dell’Interno

E inoltre
Sabato 28 e domenica 29 novembre
Atrio di Casa della Conoscenza

Il Bookshop
Il mercato di LiberaTerra

Al via la quinta edizione di "Politicamente scorretto" a Casalecchio. La rassegna è dedicata alla mafia vista attraverso le pagine della letteratura

C´è un forziere, uno scrigno pieno di soldi pronto a finanziare teatri in crisi, rassegne senza fondi e assessorati dai portafogli vuoti. Sulle tracce del tesoro c´è Carlo Lucarelli, il giallista, lo scrittore che ha raccontato in televisione i misfatti irrisolti della storia italiana. La prossima settimana, in occasione di «Politicamente scorretto», la mafia vista attraverso le pagine della letteratura nella quinta edizione della rassegna organizzata dalla Casa delle Culture di Casalecchio (dal 27 al 29 novembre), sarà lui a lanciare un appello ad utilizzare i soldi confiscati alla mafia per finanziare la cultura nell´Italia di oggi, sempre più avara nel sostenerla.

«Tutte le volte che nel nostro Paese c´è un momento di crisi – spiega Lucarelli – la prima cosa che si fa è quella di tagliare i finanziamenti alla cultura. Tutti, in questo settore, dicono che sia naturale fare così, mentre in altri mondi produttivi ogni taglio scatena proteste ferocissime». Da qui, l´invito a vedere la cultura come una produzione italiana, motivo d´attrazione per il resto del mondo, `prodotto´ importante tanto quanto quelli dei settori industriali o artigianali. «La cultura fa occupazione, fa girare la ricerca scientifica – prosegue Lucarelli – . La consapevolezza del bello è un antidoto contro il degrado delle nostre città».

Domenica 29 novembre, in mattinata, alla Casa delle Conoscenze, Carlo Lucarelli mostrerà i punti della proposta in un incontro che vedrà la partecipazione di don Luigi Ciotti, Concita De Gregorio, Giulio Cavalli e Giancarlo Carofiglio. Ma l´appello, dal titolo «Nei forzieri della mafia, un tesoro per la cultura», ha già raccolto numerose adesioni, circa duemila in poche settimane di pubblicazione sul sito www. politicamentescorretto. org. Lo hanno firmato, tra gli altri, Vincenzo Cerami, Alessandro Bergonzoni, Alessandro Baricco, Lella Costa, Marcello Fois, Sergio Staino, Mimmo Calopresti e Ottavia Piccolo, oltre a molti giornalisti e magistrati.

Ci sono precedenti avviati con successo a cui si rifà l´idea di Lucarelli: la Casa del jazz di Roma, per esempio, ospitata in una palazzina che fu di boss mafiosi, o le terre in Sicilia e in altre regioni del sud Italia che, confiscate alle organizzazioni criminali, accolgono oggi le aziende agricole aderenti alla rete «Libera» di don Ciotti. «Vendere i terreni e le ville dei mafiosi e coi soldi ricavati finanziare la cultura potrebbe essere un´operazione rischiosa – è la consapevolezza di Lucarelli – . C´è il pericolo che la mafia si ricompri i suoi beni. Perchè se c´è una cosa che non le manca, sono i mezzi economici e la capacità organizzativa. Ma tra i beni confiscati, vi sono anche soldi veri. E su quelli che si può agire. La cultura nel nostro Paese non è secondaria rispetto ad altre produzioni. E un´arma per sconfiggere la mafia».

E anche per questo suo impegno che nel corso della manifestazione di «Politicamente scorretto» il Comune di Casalecchio conferirà a Lucarelli la cittadinanza onoraria. «Per essere portatore attraverso i linguaggi della comunicazione di una cultura al servizio della verità», recita la motivazione. «Sono contento di fare idealmente da ponte tra il nord e il sud dell´Italia nella lotta alla mafia – conclude Lucarelli – . Qualche mese fa, infatti, ho ricevuto dal Comune di Corleone, in Sicilia, un´altra cittadinanza onoraria».
(21 novembre 2009)

http://bologna.repubblica.it/dettaglio/lucarelli-e-il-tesoretto-dei-boss-diamo-quei-soldi-alla-cultura/1784733

«Mafia al Nord, la politica si deve schierare»

L’attore teatrale ha parlato al Verri, affiancato dal giornalista Colonnello, che ha avvertito: «Criminalità vicina» . L’appello di Cavalli, che cita il “caso Sant’Angelo” e l’estorsione di Lodi.
«Basta negare che le mafie esistono in Lombardia. La politica dichiari apertamente da che parte sta». La denuncia è arrivata da Giulio Cavalli, attore e regista lodigiano sotto scorta, che martedì nel corso di un intervento pubblico ha descritto intrecci e interessi delle cosche al nord Italia, con le mani del racket che sono arrivate fin nel cuore del capoluogo del Lodigiano. Di fronte alla platea, riunita nell’aula magna del liceo Verri a Lodi, l’attore ha sostenuto: «Ora che siete informati stare fermi è complice, è anticostituzionale. Occorre un segnale forte dal mondo della politica». Cavalli ha parlato durante un incontro organizzato nell’ambito della tappa lodigiana della carovana antimafie, un ciclo di iniziative che si è chiuso in città ieri mattina con un confronto con gli studenti all’Itis Volta, alla presenza di Francesco Galante del Consorzio Libera Terra Mediterranea. Intitolata “Le mani sul nord. Quarant’anni di storie di mafie”, la serata del Verri è stata aperta da Cavalli che, senza risparmiare nomi e cognomi, ha ricostruito nei dettagli le infiltrazioni della criminalità organizzata tra nord Milano, Varese e la provincia di Lodi. Partendo da inchieste della magistratura, procedimenti giudiziari e cronache giornalistiche, l’attore ha tracciato una mappa dettagliata dei traffici illeciti delle cosche e dei legami con le famiglie di ‘ndrangheta e mafia. Una commistione di affari e imprese che, nel resoconto dell’attore, non lascia fuori nemmeno uomini delle istituzioni del territorio regionale. Nella descrizione delle situazioni che devono destare maggiore allarme, Cavalli ha citato la bufera giudiziaria che ha colpito Sant’Angelo, con le pesanti accuse al vaglio della magistratura che hanno colpito l’azienda che era stata incaricata della raccolta rifiuti. Poi il caso di Lodi, con un tentativo di estorsione ai danni di un titolare di bar di piazza della Vittoria. «Voglio sperare che ci sia una società civile che prenda posizione su questi temi», ha detto Cavalli. Al Verri è poi intervenuto Paolo Colonnello, giornalista del quotidiano “La Stampa”, che, documenti giudiziari alla mano, ha riferito delle attività dei clan in Lombardia. In particolare ha citato il tentativo di entrare nella proprietà di aziende in crisi, la volontà (in diversi casi riuscita) di controllare il settore della movimentazione terra nei cantieri e la gestione dello spaccio di droga. «Spesso queste realtà criminali sono più vicine a noi di quanto davvero si pensi, solo che quando queste cose vengono scoperte a volte è troppo tardi», ha detto Colonnello. Per questo il giornalista ha invitato la politica ad occuparsi maggiormente di tali aspetti. Infine ha preso anche la parola l’assessore del comune di Lodi, Andrea Ferrari, che ha ricordato l’importanza per gli enti locali di aderire all’associazione Avviso pubblico, gruppo che si occupa della promozione della legalità. Mat. Bru.

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La mafia a Milano e la battaglia del teatro civile di Giulio Cavalli

Lecco (bge) «La mafia a Milano non esiste. Non è mai esistita. E` tutta una montatura per screditare il ricco, produttivo, avanzato, civile, Nord Italia».

Di mafia, all’ombra della Madonnina, se ne è sempre parlato poco e male. Ma è stato proprio a Milano, a 100 passi dal Duomo, che si sono consumati, in meno di dieci anni, dal 1974 al 1983, oltre 100 sequestri a scopo di estorsione. Senza contare che negli anni la cintura di Comuni intorno alla metropoli lombarda è diventata la patria ufficiale del confino delle mafie, la coltre di silenzio ideale per coprire «l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, Sindona, i retroscena di Raul Gardini, di Calvi e dell’Expo 2015».

A raccontarlo senza troppi peli sulla lingua è un giovane attore lodigiano, Giulio Cavalli, direttore artistico del teatro Nebiolo di Tavazzano, che si è sempre occupato di temi scomodi, al punto da essere minacciato dalla mafia e da vivere da tempo sotto scorta: sin da «Linate 8 ottobre 2001», racconto che svela molti punti oscuri dell’incidente aereo che causò 118 morti, «Bambini a dondolo», sul turismo sessuale infantile, e «Do ut Des», show che ridicolizza i boss prodotto con il Comune di Gela.

Il suo ultimo spettacolo, dal titolo «A 100 passi dal Duomo», che va in scena venerdì 13, alle ore 21, allo Spazio Musica «Achille Gajo» di Lecco, in via Plava 5 (rione Pescarenico), scritto in collaborazione con il giornalista Gianni Barbacetto, si concentra invece sulla presenza delle famiglie mafiose al Nord, capoluogo manzoniano compreso.

Insofferente alle etichette, soprattutto a quella di «teatro civile», Cavalli ha intrapreso una lotta contro «la presunzione ebete di Milano che fa la bella addormentata. A livello di antimafia qui siamo ancora all’anno zero ?spiega-. La Lombardia non vuole ammettere a se stessa di essere stata vittima di una cosa così barbara e vile come la mafia, che è siciliana».

La capitale, morale, secondo l’attore, reagisce «con un’omertà più fine. L’indifferenza educata dei suoi abitanti equivale alle finestre chiuse di Cinisi, in provincia di Palermo. Sono convinti che il pizzo sia un taglieggiamento per questioni siciliane e rifiutano ogni discorso sulle possibili complicità».

Da quanto vive sotto scorta e qual’è stata la rappresentazione che ha cominciato a far paura a qualcuno?

«La vicenda ? spiega Cavalli – è cominciata in una climax ascendente dal 2006. In quel periodo insieme a Rosario Crocetta, Antonio Ingroia, Giovanni Impastato e molti altri avevamo deciso che era il momento di riprendere in mano la lezione di Peppino Impastato e ?disonorare? Cosa Nostra mettendone a nudo le bassezze morali e la comicità dei limiti medievali di riti e boss. Disonorarli, per noi, era una questione di onore. Un modo per ribellarsi ad un racket culturale di eroicità negativa di individui che una certa televisione ci proietta come ?astuti geni del male? e invece si rivelano infimi nella loro bassezza. Ridere di mafia significava urlare forte che ?il re è nudo? e, di conseguenza, che difficilmente questi personaggi avrebbero potuto tenere sotto scacco una nazione senza l’aiuto dei colletti bianchi e di alcuni pezzi della politica.»

Cosa differenzia la mafia del sud da quella del nord?

«Al nord hanno l’abito buono delle organizzazioni economiche. Profumano di partite iva e eleganza, stanno nel riciclaggio in cravatta e nella cocaina del dopo aperitivo di certa borghesia. Ma l’odore è lo stesso; quello peloso della prevaricazione e della bava dell’illegalità.»

Il biglietto di ingresso costa 5 euro. Per informazioni e prevendite riguardanti lo spettacolo: lecco@arci.it.

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«Lei ha tanto coraggio»: Napolitano benedice l’attore “anti cosche”

«Lei ha tanto coraggio»: Napolitano benedice l’attore “anti cosche”

n L’ha accolto nel salone delle Feste, davanti al gotha dello spettacolo. Gli ha stretto la mano calorosamente e ha ascoltato con attenzione la sua storia. Elogi per Giulio Cavalli dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. L’attore e autore lodigiano è salito al Quirinale ieri mattina, per la “Giornata dello Spettacolo”. Dopo la consegna dei premi Eti per il teatro e De Sica per il cinema, il presidente della Repubblica ha ricevuto personalmente Cavalli nel salone delle Feste.È qui che l’attore ha raccontato al Capo dello Stato la sua storia, la genesi del suo primo spettacolo in cui ridicolizza i boss, Do ut des, riti e conviti mafiosi, e l’escalation di intimidazioni dopo la messa in scena. Dalla bara con il suo nome disegnata sulle pareti del Nebiolo alle minacce di morte fino alla tutela fissa ottenuta dal Ministero dell’Interno dopo un anno di paura, lo 27 aprile scorso. Passo dopo passo, l’attore lodigiano ha spiegato a Napolitano la sua condanna a morte da parte delle cosche, arrivata qui, nel Lodigiano. Intimidazioni che sono proseguite anche per il crescente impegno di Cavalli sul tema dell’antimafia, prima con una rubrica radiofonica sul web sulla scorta dell’esperienza di Radio Aut di Peppino Impastato, poi con un secondo spettacolo sull’intreccio mafia-politica in Lombardia, «contro le infiltrazioni locali della ‘ndrangheta negli appalti per la Tav e l’Expo», “A cento passi dal Duomo”, scritto a quattro mani con il giornalista Gianni Barbacetto. Una storia ascoltata con attenzione dal presidente della Repubblica, che si è preoccupato di sapere se l’autore lodigiano «goda di una sufficiente protezione», pregandolo di rivolgersi direttamente al Quirinale per segnalare «eventuali problemi» di tutela. E a Cavalli sono arrivati anche gli elogi del Capo dello Stato «per il coraggio di denunciare» e l’esortazione «a proseguire con il suo lavoro». Nella conversazione con il presidente, Cavalli non si è limitato a parlare del suo lavoro e della vita sotto scorta. È andato oltre toccando il silenzio e l’abbandono della politica e del mondo del teatro e dello spettacolo in genere. «Sia le istituzioni che il mondo teatrale hanno taciuto, a parte la solidarietà personale ricevuta da Paolo Rossi e Dario Fo – ha spiegato Cavalli – . Inoltre, sono praticamente stato escluso dalle circuitazioni teatrali». Non ha taciuto la stampa, secondo l’attore lodigiano, «soprattutto quella locale e “Il Cittadino” in particolare, che ha sempre seguito con attenzione la mia vicenda assumendosi responsabilità e fastidi». «Questo caso resta nell’oscurità alla pari dei tanti episodi di giornalisti che ricevono minacce perché si ostinano a fare il loro dovere e dei quali non ci si fa carico in termini di garanzia per la loro sicurezza – ha detto in merito Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno, l’osservatorio della Federazione Nazionale della stampa italiana sui cronisti minacciati -. Siamo davvero lieti dell’interessamento del presidente Napolitano».Tra le accuse di Giovanna Mezzogiorno alla vanità e al nepotismo, i premi alla carriera alla moglie di Mike Bongiorno, l’annuncio della pace ritrovata tra Massimo Boldi e Christian De Sica, il mondo dello spettacolo si è fermato per un momento per il personalissimo incontro tra il presidente della Repubblica e l’attore lodigiano. «Sapere che la più alta carica dello Stato si è interessata alla mia vicenda è confortante – ha commentato Giulio Cavalli, raggiunto telefonicamente durante il viaggio di ritorno -: sono molto contento perché l’incontro di questa mattina apre un canale diretto, inaugura un rapporto. Durante la nostra conversazione ho notato una sensibilità particolare su questi temi di denuncia civile e gli scriverò come mi ha chiesto». E sul futuro, nonostante l’incontro al Quirinale, assicura: «Continuerò a non prendermi troppo sul serio».

Rossella Mungiello

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L’attore Cavalli sale al Quirinale
Lunedì sarà ricevuto dal capo dello Stato Napolitano

Tavazzano Udienza dal capo dello Stato per Giulio Cavalli. L’attore lodigiano, anima del teatro Nebiolo di Tavazzano, salirà al Quirinale alle 11 di lunedì, ufficialmente per partecipare alla Giornata dello spettacolo, evento creato per celebrare i vincitori di due importanti premi legati al palcoscenico: il Premio Eti, Gli Olimpionici del teatro 2009 promosso dall’Ente teatrale italiano e dal Teatro stabile del Veneto e il premio De Sica. A festeggiare gli artisti premiati, ci sarà una delegazione in rappresentanza del mondo del teatro, a cui prenderà parte anche l’autore e attore lodigiano. Ma non è escluso che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, voglia affrontare direttamente la vicenda personale che coinvolge Giulio Cavalli, primo attore italiano a vivere sotto scorta in seguito alle ripetute minacce delle cosche per l’attività di denuncia portata avanti con i suoi spettacoli. Il primo a destare l’attenzione della criminalità organizzata era stato “Do ut des, riti e conviti mafiosi”, prodotto dal comune di Lodi e dal comune di Gela, dissacrante pièce sulla vita dell’aspirante picciotto Totò Nessuno. L’intreccio mafia-politica è invece al centro del suo secondo testo, scritto a quattro mani con il giornalista Gianni Barbacetto, in cui l’attore traccia una mappa della criminalità organizzata del profondo Nord, ma lui è stesso a raccontare che i temi scomodi faticano a trovare spazi. «Ovviamente sono molto felice di questa convocazione, l’attenzione della più alta carico dello Stato è un privilegio e potrebbe segnare un’inversione di tendenza rispetto all’anormalità degli ultimi mesi in cui dai palchi più importanti del teatro sono finito in periferia – spiega Cavalli -: il comune di Milano, che mi ha conferito la benemerenza civica davanti a 800 persone per il mio lavoro sulla strage di Linate sul palco del Piccolo, è sparito davanti ai nomi e cognomi di “A cento passi dal Duomo”. Ci sono molti meno teatri a disposizione se dal racconto si passa alla denuncia, a volte anche per nostra scelta». E se quest’attenzione da parte della più importante istituzione dello Stato rifletta anche un sostegno nell’ambiente lodigiano, Cavalli ha le idee chiare. «Se per istituzioni locali intendiamo prefettura, forze dell’ordine e, in fugaci incontri, anche la provincia di Lodi confermo l’attenzione e il sostegno – spiega l’autore – per tutti gli altri non vale lo stesso discorso. Spesso vince il giochetto infame di ritenere che Cavalli abbia avuto benefici economici dalla sua condizione di vita sotto scorta. Non è così. Il mio lavoro è recitare su un palco, ora passo la maggior parte del mio tempo nelle scuole e ai convegni quale portatore di una testimonianza». Rossella Mungiello

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Mafia e potere a Milano, una piece che non fa ridere

di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto (dal testo di A Cento passi dal Duomo) su Terra della domenica – 1° novembre 2009
Gli affari, gli appalti, l’assalto all’Expo.

I boss stanno a cento passi da palazzo Marino, residenza del sindaco Letizia Moratti.
O l’hanno già percorso quel tratto di strada che li separa dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo, qualcosa di marcio l’hanno già fatto nell’hinterland e in altri centri del milanese. Uno stralcio del testo teatrale, musicato da Gaetano Liguori, che è una graffiante denuncia sul malaffare in Lombardia

Qualcuno si è allarmato? per questo incesto tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). Quando scippano un rom magari è proprio un trionfo. La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. “Non appartiene a questa città” come dice l’appunto lieta Letizia Moratti sindaco in carica. Se la cronaca è nera, nerissima allora è solo un problema di lavaggio, di temperatura, di ammorbidente della distrazione.
A Milano che “la mafia non esiste” o ormai la sindachessa ha provato a ripeterlo ovunque dai consigli comunali, alle televisioni in prima serata fino ad abusarne favoleggiandoselo (probabilmente) la sera per addormentarsi. Non soddisfatta ha poi lanciato comunque la commissione comunale antimafia che è durata poco meno di uno starnuto (come un Lazzaro non risorto per un pelo) per rimangiarsela subito dopo adducendo competenze prefettizie che non andavano scavalcate. Ora, saputo in agosto che nella “Milanoland delle fiabe” un’intera cittadella è in mano alla criminalità organizzata come segnalato dal pm Nicola Gratteri (che di ‘ndangheta un po’ ne conosce avendone studiato la storia, morsicato alcune locali e reativi capibastone e annusandone tutti i giorni l’odore tra gli stipiti blindati che il suo lavoro gli impone) la sindachessa e la politica milanese tutta rimbalza responsabilità di intervento a non precisati enti o ruoli. Mentre
La Russa si ridesta invocando l’esercito. Intanto tutti felici e contenti concordano nel ritenere i 6 caseggiati popolari di Viale Sarca e via Fulvio Testi in mano agli onomatopeici fratelli Porcino (bossetti di periferia legati alle cosche di Melito di Porto Salvo), i nomadi Hudorovich e i Braidic semplicemente un “neo”, una pozzanghera piccola piccola in quel placido, enorme e ligresteo tappeto di cemento che è il capoluogo lombardo spiato dall’alto.
Negli uffici della Direzione Nazionale Antimafia Enzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia, parla da profeta inascoltato. «Che la ‘ ndrangheta stesse colonizzando Milano lo dicevo negli anni 80. L’ ho confermato due anni fa e i fatti mi danno ragione. Ora c’è l’ Expo e non so più come dirlo».
Stupirebbe questo atteggiamento impermeabile in un paese normale, dove normalmente i politici dovrebbero essere eletti per prendere posizione, dare segnali forti e non solo per banalmente amministrare capitoli di spesa e distribuire (scaricandosene) ruoli e responsabilità. Qui non si tratta di disquisire i ruoli di governo e ordine pubblico come stabilito dalla legge; qui si rimane a supplicare un segnale, un lampo in cui ci si illuda che Marcello Paparo non possa sentirsi “libero” di collezionare bazooka come nei peggiori scenari di desolazione metropolitana post industriale, o Morabito non sfrecci impunito a parcheggiare il ferrarino in un posteggio dell’Ortomercato con l’arroganza di uno zorro a quattro ruote, o che Andrea Porcino (classe 1972, giusto per identificarlo meglio là fuori dal suo fortino dove gioca a seminare terrore) possa addirittura inventarsi intermediario con arie da tour operator mentre raccomanda ai secondini del carcere
milanese di San Vittore dei buoni servigi e una residenza confortevole per i suoi amici Nino, Ettore e Massimo.
L’impunità dentro le teste (oltre alle tasche) dei capibastone ‘ndranghetisti o dei prestanome camorristi o dei ragionieri di Cosa Nostra in Lombardia è una responsabilità politica. Risolvibile semplicemente con la voglia e l’onestà di volere dare al di là di tutto un segnale. Per restituire dignità anche nella forma.
Una regione che controlla la carta d’identità di un mojito e cammina su fiumi di cocaina. Una regione che s’abbuffa alle conferenze stampa delle grandi opere e che inciampa al primo gradino del primo subappalto. Una regione che convoca gli stati generali dell’antimafia per ribadire di stare tranquilli. Una regione che ci convince di aver risolto tutto spostando i soldatini del Risiko con la scioltezza di un tiro di dadi. Una regione diventata maestra perspicace nel strappare con la pinzetta delle ciglia l’allarmismo mentre grida all’emergenza dei rom che scippano le nonne. Una regione che se il fenomeno criminale non emerge allora non esiste. Una regione che mette i moniti dei procuratori antimafia nei faldoni di “costume e società”. E intanto ride. Nel riflesso degli eroi diventati onorevoli che “la mafia l’hanno debellata decenni fa” e se così non fosse è semplicemente perchè non l’hanno mai trovata.
Una regione che è sacerdotessa della clandestinità diventata finalmente illegale e intanto finge di non sapere che l’illegalità pascola clandestina.
Ma c’è un tempo che è quello della memoria che supera le circostanze brevi della politica tutta a parare i colpi mungendo voti: la memoria sulla pelle dei nostri figli, delle prossime generazioni, quella che non entra nei libri di storia ma rimane sotto pelle come una traversata nella stiva mai raccontata. E allora pagheranno pegno davanti alla storia tutti i politici pavidi, cravattari amministratori tra la casetta in centro e l’incenso delle sciantose; pagheranno i sindaci dell’ “insabbia et impera” e i tranquillanti per professione. Pagheranno l’ignoranza e la persecuzione di uno stuolo di attivisti messi al muro per discolparsi di uno sguardo fatto di fatti. Sorrideranno a leggere che qualcuno, metti per caso un politico di una città qualsiasi, calpestando i cadaveri delle antiestetiche vittime milanesi delle mafie, sia riuscito a mettersi nella situazione di dover essere smentito per un allarme che da decenni è già rientrato perchè
metabolizzato: endovena, silenzioso. Impunito, appunto.
Nel gioco dei segnali così caro alla pochezza criminale, se esistesse un santo dell’estetica contro il diavolo della politica per comunicati stampa, da domani partirebbero le ronde della legalità nei crani dei politici a cercare con il lumicino la responsabilità della dignità.
E allora, e allora sarebbe da andare in giro a spararla questa storia che insiste per non farsi raccontare. Sarebbe da scriverla sulle bustine dello zucchero per la colazione giù al bar, sarebbe da registrare nella radiosveglia, gridarla nei microfoni delle casse al supermercato. Una regione che racconta tutti gli anni con il grembiulino Libero Grassi mentre in via Verdi a Milano, di fianco alla Scala, un gioielliere deve impachettare ventimila euro come regalo di Natale. Una regione che proietta Peppino Impastato per comprarsi indulgenze e non riesce nemmeno ad annusare Antonio Galasso a Pieve Emanuele, i Rispoli di Cirò che orto fruttano a Legnano dove Vincenzo apriva tutte le mattine la Bidi bodi bu, i gelesi a San Giulioano e Melegnano, gli Iacono della Stidda dei Madonia con un centro estetico e impresa edile a San Donato, o Francesco Perspicace: nato a Caltagirone una cinquantina di anni fa ma esportato a Sant’Angelo Lodigiano da un bel pezzo
con un’impresa di pulizie, una quota in “iniziative immobiliari” e una fedina penale di 16 anni di condanna per una sparatoria in via Faenza il 9 maggio 19
98. Un’altra agenzia, la Ad Case, vede tra i soci Ferdinando Perspicace di Caltagirone e per non farsi mancare niente anche, in passato, Arturo Molluso, dell’ omonima famiglia originaria di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria. Hanno messo le radici a San Donato i Molluso e sono considerati legati ai clan Cappelli-Pipicella e vicini ai Calaiò. Uno di loro, Pasquale Molluso, è socio della Gra immobiliare. Il trentaquattrenne Arturo, residente a Spino d’ Adda, è presente anche in altre agenzie, come la Mocasa, sede a Milano in via Riva di Trento.
Nomi, nomi, fatti, scie con i numeri e l’impeto di un fiume prima della cascata ma con il rumore di un rivolo. Ma non potranno essere sempre impuniti, impuniti loro e impuniti tutti quelli che non sentono e non vogliono sentire, in una palude di immobile e latente inciviltà dove informare è un atto di coraggio. Non si potrà stare a lungo impuniti a forza di giocare a fare i sordi: magari mangiati, comprati, giudicati, annessi o complici. Perché il silenzio è complice, silenzio è pace, il silenzio è calma, il silenzio è rosa.

Una breve non presentazione
di Pietro Orsatti

Ho conosciuto Giulio Cavalli qualche anno fa. Io avevo terminato da poco un’incheista sul turismo sessuale in Brasile, lui stava realizzando uno spettacolo (Bambini a dondolo) sullo stesso argomento. Mi ha chiamato e ci siamo incontrati dopo pochi giorni. Lui è fatto così, un progetto, due parole, si costruisce e si va in scena.

Giulio già veniva da spettacoli di denuncia. Uno sull’incidente di Linate, un altro sui fatti di Genova. E già stava lavorando alla preparazione di Do Ut Des, uno spettacolo sulla mafia, anzi uno spettacolo di completa presa in giro del fenomeno e della cultura di Cosa nostra che lo ha portato, subito dopo la prima, ad avere minacce. Minacce che nei mesi si sono fatte tanto insistenti da creare il paradosso: Giulio Cavalli, da Lodi, è stato minacciato dalla mafia (sempre a Lodi) e per questo è l’unico attore italiano che vive sotto scorta.

La condizione gli va stretta, ma non ha certo mollato questo piccolo testardo lomabardo. E ora va in scena con A 100 passi dal Duomo scritto con Gianni Barbacetto. Come dire, «se mi devono minacciare che almeno mi minaccino i mafiosi di casa mia». E così si va avanti, fra una macchina di scorta e un albergo presidiato, fra un palco sorvegliato a vista e la paura di aprire la buca delle lettere. Però ridendoci su, se ci si riesce.

Tratto da: orsatti.info

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“MILANO: TROPPO VICINA ALLE MAFIE”

Da quel “buco”, da quella non partecipazione al funerale, parte il silenzio-assenso di Milano alla mafia.
Ha dichiarato il figlio, Umberto Ambrosoli a Beppe Grillo (su www.beppegrillo.it): «Sì, papà era – usiamo un eufemismo – un po’ solo, e il suo funerale è la celebrazione di quella solitudine. Vi parteciparono necessariamente in forma privata i magistrati che con lui seguivano le indagini per la bancarotta della Banca Privata Italiana, vi partecipò l’allora governatore onorario della Banca d’Italia Guido Baffi, che assieme a Sarcinelli che era il direttore generale della Banca d’Italia di allora aveva da poco subito una delle aggressioni più vergognose che la storia democratica del nostro Paese ricordi. Fu la celebrazione di una solitudine».

Qualcosa è cambiato?
Sì certo, di Ambrosoli, oggi, se ne parla (è anche uscito il bel libro del figlio Umberto: Qualunque cosa succeda. Storia di un uomo libero, Sironi, 2009).
Ma, come recita il titolo dello spettacolo (imperdibile per i lombardi e non solo) di Cavalli, la mafia è arrivata A cento passi dal Duomo.

Lo spettacolo, che ha debuttato in ottobre al Teatro della Cooperativa di Milano, è stato scritto, assieme a Cavalli, dal giornalista Gianni Barbacetto, autore di alcuni dei reportage e dossier più scottanti di questi ultimi decenni, su mafie, corruzione politica e malaffare.

L’elenco delle collusioni, dei traffici loschi, dei legami tra i politici e imprenditori lombardi con le cosche meridionali è impressionante.

E a chi ancora nega (come ha fatto il sindaco di Milano Letizia Moratti nella trasmissione Annozero) che la mafia sia un’emergenza a Milano, basti solo pensare alle minacce arrivate a Cavalli come pure a tutti gli amministratori locali che hanno cercato di opporsi alla sempre più capillare presenza della ‘ndrangheta.

La mafia a Nord non uccide? Anche questo è un errore (d’ignoranza?).
E Cavalli, a fine spettacolo (le musiche sono di Gaetano Liguori), ricorda un caso del tutto dimenticato: l’assassinio di Bruno Caccia, un coraggioso magistrato piemontese, ucciso mentre portava a spasso, da solo, il cane la sera del 26 giugno 1983.
All’epoca le indagini puntarono sulle Brigate rosse. In effetti il procuratore stava indagando anche su di loro, oltre che sulla criminalità organizzata.
Ma il mandante era stato il boss della ‘ndrangheta Domenico Belfiore, condannato all’ergastolo nel 1993 e scoperto solo perché si era vantato dell’impresa con un “pentito di mafia”.

Lo spettacolo sarà il 7 novembre a Bolzano; il 13 a Pescarenico (Lecco); 15 novembre a Corsico e Buccinasco in occasione dell’arrivo della Carovana Antimafie. Tutte le date sono sul sito di Giulio Cavalli: www.giuliocavalli.net.

 

DA http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/016058.aspx