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La Polizia, come un cagnolino

«Ama il prossimo tuo», scritto con pennarello nero, su un foglio bianco incollato su un cartello. È questa la pericolosa arma di massa che Jacopo Valsecchi e Natalia Tatulli impugnavano in piazza del Popolo durante la manifestazione del ministro dell’Interno Salvini, qualche giorno, fa e per la quale sono stati presi, trascinati e poi identificati dalla polizia. Anzi, vedendo le immagini, si potrebbe dire che Jacopo sia stato portato via da alcune persone che non sono identificabili come poliziotti e per questo lui racconta di essersi spaventato moltissimo, preso da un non meglio precisato servizio di ordine pubblico che consegna poi il malcapitato ad agenti in divisa. “Lo prendiamo noi”, dicono quelli, e alla fine il provocatore (colpevole di impugnare un cartello con scritto “ama il prossimo tuo”, intendiamoci) si sente addirittura sollevato di riconoscere forze dell’ordine ufficiali.

Il video, trasmesso dalla trasmissione Popaganda Live di Zoro, può sembrare a prima vista una cosa da poco, un’inezia tipica delle provocazioni di piazza, e invece non c’è proprio niente da ridere: se una frase così semplice, estrapolata proprio da quello stesso Vangelo che Salvini agitava come feticcio, può essere considerata una provocazione significa che l’ordine delle cose è stravolto in nome di un pensiero imperante che non ha nulla a che vedere con le leggi e la Costituzione.

Ma non è tutto. Durante il suo intervento in piazza il ministro dell’Interno Salvini ci ha tenuto a ringraziare le forze dell’ordine presenti “che quando c’è la Lega in piazza sono tranquille, sono disarmate, sono sorridenti e sono con noi; non per controllarci ma per sostenerci”. Una frase di una gravità inaudita, soprattutto se pronunciata dal ministro dell’Interno, capo delle forze dell’ordine, che andrebbe smentita subito, con forza e invece continua a rimanere lì, galleggia, come se niente fosse.

Torna in mente una frase pronunciata da Hermann Goering durante il processo di Norimberga: «Il popolo può sempre essere assoggettato al volere dei potenti. È facile. Basta dirgli che sta per essere attaccato e basta accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio Paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi Paese».

Funziona sempre, in qualsiasi Paese.

Buon lunedì

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/12/17/la-polizia-come-un-cagnolino/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Esposito ci ricasca: la bufala della registrazione (falsa) del poliziotto che ordina di spezzare le braccia

(Valerio Renzi per Fanpage ricostruisce l’ennesima figura barbina del senatore del PD Esposito. Avanti così, eh)


I fatti di piazza Indipendenza, con lo sgombero di decine di rifugiati dall’immobile di via Curtatone, hanno scatenato roventi polemiche, soprattutto in relazione all’operato delle forze di polizia. In particolare, sotto accusa è finito il comportamento di un dirigente di polizia, ripreso da un video di Fanpage.it mentre arringa i suoi dicendo: “Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Una versione contraddetta dal senatore del Pd Stefano Esposito, che attraverso i suoi profili social rilancia un “documento alternativo”, ovvero una presunta versione “integrale” delle parole del dirigente di polizia.

 

La trascrizione del dialogo che difende la polizia, di cui non c’è l’audio
Secondo Esposito, dunque, il dialogo fra un celerino e il dirigente sarebbe stato il seguente:

“Dottore questi ci stendono, vede quanti sono? Noi siamo solo in dieci e loro hanno bombole di gas e sampietrini”. “Ragazzi lo dobbiamo fare, ce lo hanno ordinato e non possiamo tirarci indietro. Quando saremo li in mezzo, saremo soli, noi dieci contro loro cento. Il primo obiettivo è portare a casa la nostra pelle e quella del nostro fratello nel casco accanto. Allora se iniziano a lanciare di tutto spezzategli le braccia ma portate la pelle a casa”.

Una versione dei fatti di cui non ci sono riscontri, rilanciata anche da il Giornale (che parla genericamente di registrazione diffusa sul web), che rimbalza tra gruppi Facebook e catene WhatsApp. Sollecitato dalle domande di chi mette in dubbio la veridicità di questa ricostruzione, Esposito si difende dicendo di aver usato il condizionale e spiega che a fornirgli la trascrizione è stato il segretario Piemonte del sindacato di polizia Siulp, “persona seria che non ha mai raccontato balle”. Ma dell’audio ancora nessuna traccia, mente noi di Fanpage.it possiamo confermare di non aver effettuato alcun taglio e di aver diffuso il video integrale dei concitati momenti della carica a Termini.

La ricostruzione della carica contro i rifugiati alla stazione Termini
Non solo il dialogo appare particolarmente prosaico e letterario per essere avvenuto in un momento così concitato, ma soprattutto la situazione descritta è molto diversa da quello che stava accadendo. È giovedì 24 agosto e sono circa le 13.30. Un gruppo di rifugiati sgomberati da piazza Indipendenza, qualche decina sostenuti da attivisti delle rete antirazziste si muovono in un piccolo corteo tra strade e marciapiedi essendo stati definitivamente allontanati dalla piazza.

Arrivati nei pressi della Stazione Termini la situazione si fa tesa: l’idea è quella di accamparsi davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore a piazza dei Cinquecento, ma le forze dell’ordine chiariscono che non lo permetteranno, chiedendo ai rifugiati di ripiegare sui giardinetti della stazione se proprio vogliono “megafonare”. A quel punto, proprio da piazza dei Cinquento arriva un altro plotone di polizia che carica i manifestanti disperdendoli tra i capolinea. Proprio in quel momento si sente l’invito del dirigente a “spezzare le braccia”.

È una fase molto diversa della giornata rispetto alle prime ore del mattino, quando i rifugiati sgomberati dal palazzo di via Curtatone reagiscono all’ordine di liberare i giardini di piazza Indipendenza, lanciando oggetti contro le forze dell’ordine comprese bombole del gas, come testimoniato dai video resi pubblici dalla questura di Roma e diffusi da tutti i mezzi d’informazione. Episodi per cui già sono stati eseguiti quattro arresti. Dispersi con idranti e manganelli,, costretti a lasciare i loro averi sulla piazza liberata dalla loro presenza, in quel momento i manifestanti non sembrano rappresentare un pericolo per l’incolumità delle forze dell’ordine

Il picchiatore seriale. Dalle piazze di Livorno alle botte a Landini: tutti i “caricate” del funzionario di Roma.

(Ecco. Il pezzo di Diego Pretini per Il Fatto conviene leggerlo e farlo leggere a chi parla di casi “isolati”. Perché la recidività si paga, nel codice penale italiano. No?)

“Caricate!” urlò agli agenti del reparto mobile, saltando sul posto. “Caricate!” ripeté. Stava arrivando il corteo degli operai Thyssen che protestavano perché l’azienda voleva licenziare oltre 500 persone. In testa c’erano il segretario della Fiom Maurizio Landini e quello della Fim Marco Bentivogli. Una garanzia per chi manifestava, ma anche per chi doveva garantire l’ordine pubblico. Eppure: “Caricate!” gridò il funzionario della questura che comandava quella squadra del reparto mobile. Le prese anche Landini. “Non siamo delinquenti – disse poi, imbestialito – Non si mena chi è in piazza a difendere i lavoratori”. Mentre prendeva le manganellate il capo del sindacato dei metalmeccanici gridava: “Siamo come voi, che cazzo state facendo?”. Ma ormai la carica era cominciata. Fu documentato, tutto, grazie alla telecamera di Zoro, che mandò tutto in onda a Gazebo, su Rai3. Una “carica a freddo”, la definirono i lavoratori. In quelle immagini si vide anche il confronto tra Landini e il dirigente della questura, quello del Caricate! Si urlarono in faccia, “Dimmelo prima!” rispose il superpoliziotto al capo della Fiom, prima di scomparire in una telefonata con chissà chi. Quattro manifestanti rimasero feriti e tra questi due sindacalisti, quattro agenti rimasero contusi. La questura, quel 2 novembre 2014, spiegò poi che la carica di contenimento serviva a evitare che i manifestanti occupassero la Stazione Termini.

Caricate!: la voce è la stessa che ieri da piazza dei Cinquecento, durante lo sgombero dei migranti vicino alla Stazione Termini, è finita su tutti i giornali online. “Se tirano qualcosa spaccategli un braccio” si sente dire in due video di fanpage.it e di Repubblica.it. Una frase sulla quale la polizia ha annunciato un’inchiesta interna, che il prefetto Franco Gabrielli tanto “grave” da “avere conseguenze”. “Levatevi dai coglioni, carica, forza” si sente dire ancora una volta dalla stessa voce in un altro filmato pubblicato dal fattoquotidiano.it mentre i migranti scappano attraversando le strade, salendo e scendendo i marciapiedi delle fermate degli autobus, mentre viene superato da decine di agenti e una donna corre a fatica. Le unità al suo comando, scrive l’Ansa, ieri sono state estromesse dal servizio nella seconda parte della giornata. Lui non risponde al telefono e ad amici e colleghi dice che non parlerà. L’associazione dei funzionari di polizia parla di “strumentale clamore” nato da una “frase sbagliata”, pronunciata “dopo ore di tensione” e dopo che il poliziotto e i suoi colleghi sono stati “bersaglio di ogni oggetto contundente possibile, fino alle bombole di gas”.

I pericolosi antagonisti del prossimo G20? I poliziotti tedeschi: sesso in pubblico, risse e alcool.

Da noi ne scrive solo TPI ma ne parla tutta la stampa tedesca:

Martedì 27 giugno, tre intere unità di polizia dislocate ad Amburgo in vista del G20 sono state rispedite a Berlino e alcuni agenti sono stati licenziati.

La polizia della città tedesca ha mandato a casa diverse centinaia di poliziotti della capitale a causa del loro grave comportamento durante i preparativi per il vertice internazionale che si terrà ad Amburgo a luglio.

Gli agenti erano arrivati domenica 25 giugno ed erano alloggiati in alcuni container all’interno di un campo originariamente costruito per ospitare dei rifugiati.

I poliziotti sono stati visti fare sesso in pubblico e urinare in gruppo su alcune recinzioni. Almeno un ufficiale è stato coinvolto in una rissa con un collega della città tedesca di Wuppertal. A riferirlo è stata l’emittente radiofonica pubblica tedesca RBB.

Inoltre, il quotidiano berlinese BZ sostiene che una poliziotta è stata vista ballare su un tavolo vestita solo con un accappatoio mentre brandiva una pistola in una mano. Sul giornale tedesco sono anche apparse le foto dei poliziotti ubriachi che mettono a soqquadro un ristorante.

La polizia di Berlino ha confermato su Twitter che gli agenti coinvolti sono stati licenziati. Il vertice del G20 si terrà ad Amburgo tra il 7 e l’8 luglio 2017, tra gli ospiti ci sarà il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che proprio in questa occasione visiterà la Germania per la prima volta dal suo insediamento.

«Vado a fare il terrorista»

Il 15 marzo dell’anno scorso all’aeroporto di Bologna alcuni poliziotti notano un giovanotto agitato in coda al check-in del volo per la Turchia. Un biglietto di sola andata e uno zainetto erano  un’accoppiata piuttosto insolita per passare inosservata e così, quando gli uomini delle forze dell’ordine, gli hanno chiesto il motivo del suo viaggio quel passeggero rispose candidamente “vado a fare il terrorista”.

La madre, convocata in Questura, raccontò di essere molto preoccupata per quel figlio che “non sembrava più lui”: “non lo riconosco più – disse -, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer, vede cose stranissime”. Aggiunse che il ragazzo ormai viveva stabilmente a Londra dopo avere trovato lavoro in un ristorante pachistano e che da quando aveva cominciato a frequentare quell’ambiente i suoi atteggiamenti erano diventati molto preoccupanti.

Da un primo sommario esame del suo telefonino gli investigatori scoprirono video che inneggiavano l’Isis e la sua propaganda. Non fu possibile eseguire una ricerca più approfondita sui suoi dispositivi elettronici poiché il Tribunale del Riesame ordinò la restituzione del materiale informatico al sospettato accogliendo un suo ricorso.

Quel giovane era Yousef Zaghba, il terzo attentatore del London Bridge. Questa storiella, che oggi conosciamo e di cui possiamo scrivere, era stata inviata a suo tempo alla polizia inglese. Com’è andata a finire è cronaca di queste ore.

Buon mercoledì.

 

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Grufolano sulla nonna di Renzi e intanto affossano la legge sulla tortura (e il “teorema Zuccaro” non esiste)

Forte questo governo Gentiloni. Ancora una volta, dopo quella brutta legge sulla legittima difesa (che si augurano di aggiustare in quel Senato che volevano abolire) ieri alla Camera sono riusciti a partorire una legge sulla tortura che appena nata ha già infranto parecchi record: non è stata votata dal suo primo firmatario Luigi Manconi (come se un ristoratore servisse nel suo ristorante un suo piatto avvisandovi che farà schifo), ha meritato critiche dalle associazioni umanitarie che si occupano di tortura e dai famigliari dei torturati e, per di più, è riuscita a fare arrabbiare anche le forze di polizia. Un capolavoro di inettitudine. Solo che questa volta è il Senato a confidare nella Camera perché “intervenga con le opportune migliorie”. In tempi di referendum i sostenitori della riforma costituzionale lo chiamavano “ping pong” e invece è banalmente dappocaggine.

Forte anche tutto il can can sul teorema Zuccaro: frotte di politici che si sono buttati a pesce che si doveva “fare chiarezza sulle ONG” dimenticandosi di essere pagati proprio per quello. Quando si sono ripresi hanno messo in piedi un’indagine conoscitiva affidata alla Commissione Difesa che finalmente ha prodotto un risultato: non ci sono inchieste in corso sulle ONG (ma va?) e c’è una sola inchiesta (“conoscitiva”) su alcune persone (non meglio specificate). In sostanza: non esistono al momento attuale elementi che possano farci dubitare di eventuali accordi illeciti tra ONG e scafisti. Balle, insomma. Balle grasse e stupide che hanno riempito la bocca di una manciata di politici pressapochisti che oggi invece rimangono muti.

 

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Benetton, la violenza e le terre dei Mapuche

Succede nella provincia di Chubut, in Argentina. La comunità Mapuche di Cushamen è stata vittima delle violenze della polizia contro i manifestanti che mercoledì chiedevano l’annullamento della compravendita dei loro terreni (abitati da secoli) tra lo Stato e la Benetton.

La denuncia arriva da numerosa comunità internazionali (tra cui Amnesty International) che lamentano  “un’azione da parte della polizia che non trova nessuna correlazione con la realtà” per la brutalità con cui su è rovesciata sui cittadini inermi. “Opacità, la mancanza di trasparenza e di responsabilità non possono essere i principi che attraversano la gestione della polizia” ha dichiarato Mariela Belski, direttore esecutivo di Amnesty International Argentina in un comunicato.

I Mapuche da due anni protestano per un accordo che gli ha scippato le terre in cui vivevano da secoli a favore di Luciano Benetton che in Patagonia, con l’aiuto della politica, si è già comprato qualcosa come un milione di ettari di terreno.

Ma questa notizia, vedrete, difficilmente la leggerete dalle nostre parti. Troppa pubblicità in ballo e poi da noi le violenze da quelle parti interessano pochissimo. Anche se vengono perpetrate in nome di un colonialismo tutto italiano.

Qui trovate la notizia e, se volete, qui c’è la pagina Facebook della comunità in lotta.