Vai al contenuto

polizia

A proposito di Diego Turra

Tanto per riportare i fatti. Queste le parole della moglie:

Non passava giorno che Diego non raccontasse delle sue «missioni» (come le chiama sua moglie) sul fronte dell’immigrazione. Del suo dispiacere quando capiva che gli immigrati avevano paura della polizia, del fatto che qualche volta ci volevano due-tre poliziotti per fermarne uno facinoroso. «Lui li avrebbe aiutati tutti, stava sempre dalla parte dei deboli, non ha mai abusato della sua divisa» racconta Danila che di cognome fa Jipijapa, che qui in Liguria ha appena finito un corso di operatrice socio-sanitaria e che è nata e cresciuta in Ecuador, dove ha avuto un marito e sei figli prima di trasferirsi in Europa e conoscere Diego. «Ci siamo incontrati a un compleanno nel periodo in cui io vivevo in Spagna. Poi, nove anni fa ci siamo sposati e lui è diventato il padre adorabile dei miei figli, un uomo dolce, unico, pacifico. Non credo che nessuno lo abbia mai visto arrabbiato». (fonte)

Poi magari un giorno, con equilibrio, si parlerà anche delle condizioni esasperate (e esasperanti) in cui lavorano le forze dell’ordine. E non c’è governo di destra o di sinistra che intervenga.

I poliziotti bugiardi della Diaz sono stati puniti. Con 47 euro di multa.

Ne scrive Marco Preve per Repubblica:

A 15 anni da quel drammatico G8 del luglio 2001 una piccola breccia nel muro di omertà eretto dalle istituzioni permette di scoprire quale sanzione disciplinare sia stata comminata agli agenti e funzionari responsabili della macelleria messicana e delle false prove della scuola Diaz: 47 euro virgola 57 centesimi.

Una giornata di lavoro decurtata di contributi e altro. A dire il vero, l’assistente capo (era semplice agente nel 2001) Massimo Nucera condannato a 3 anni e cinque mesi per falso e lesioni (queste ultime prescritte) a natale del 2013 era stato condannato dal Consiglio provinciale di disciplina della polizia ad una sospensione dello stipendio di un mese.

Ma neppure un anno dopo, nel marzo del 2014, il suo ricorso veniva accolto dall’allora capo della polizia in persona, Alessandro Pansa – da pochi mesi è diventato capo dei servizi segreti italiani – che riduceva da 30 giorni a un solo giorno la sanzione.

Incredibilmente Nucera veniva ritenuto responsabile di un comportamento colposo e non doloso, il che avrebbe fatto lievitare automaticamente la pena disciplinare. Nella mite sentenza firmata da Pansa, Nucera è ritenuto responsabile di un “comportamento non conforme al decoro delle funzioni… dimostrando di non aver operato con senso di responsabilità…”. Un buffetto per aver partecipato a quegli eventi che i giudici di Appello e Cassazione così hanno descritto “L’enormità di tali fatti, che hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”.

Lo stesso Pansa, per altro, un anno dopo, nel giugno del 2015, denunciava al Consiglio Superiore della Magistratura il pm del processo Diaz, Enrico Zucca, il quale in un dibattito avvenuto durante la manifestazione “Repubblica delle Idee” aveva ricordato alcuni passaggi della durissima sentenza con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per i fatti della Diaz in merito all’assenza di leggi e norme finalizzate a punire la tortura e i torturatori.

Tra le ragioni della condanna quella relativa all’assenza di qualsiasi forma cautelare per sospendere dal servizio, o almeno bloccarne la carriera, pubblici funzionari anche solo indagati o sospettati di gravi violazioni come appunto quelle avvenute alla scuola Diaz o nella prigione lager di Bolzaneto.

E la vicenda Nucera ne è ancora una volta l’esempio. Quando Nucera viene giudicato dal Consiglio di disciplina (presieduto dal dirigente Lorenzo Suraci all’epoca numero due della questura di Roma) nel suo curriculum non c’è soltanto la condanna definitiva per i fatti genovesi del luglio 2001 relativa anche alla bufala della coltellata ricevuta da parte di un occupante della Diaz (Nucera consegnò il proprio giubbotto strappato ma le indagini dei carabinieri svelarono che si era auto inferto la coltellata).

Pochi anni dopo, nel 2005, a Teramo, sempre indossando al divisa del VII Reparto Mobile di Roma, finisce di nuovo nei guai. Due celerini picchiano un tifoso della squadra di basket locale e Nucera viene accusato di aver coperto i colleghi raccontando, ancora una volta, delle bugie. E’ condannato per falsa testimonianza a un anno e quattro mesi ma di nuovo la prescrizione lo salva in Appello.

Questo precedente però non interferisce con il super sconto disciplinare del prefetto Pansa. Anche per una questione di equità. Infatti, per determinare la giusta sanzione, si legge nel provvedimento, è necessario tenere conto che “la situazione penale del Nucera è comparabile con altro coimputato sanzionato con pena pecuniaria di 1/30 che non giustifica la diversità delle sanzioni preposte”. In altre parole altri poliziotti condannati per la Diaz hanno ricevuto sanzioni disciplinari minime. Chi? Forse tra altri 15 anni lo sapremo.

Sul tema della tortura da segnalare che il 15 luglio a Genova si terrà un importante convegno in cui per la prima volta in 15 anni si confronteranno un esponente del Governo – il sottosegretario alal Giustizia Gennaro Migliore – e una delle vititme del G8,

il giornalista Lorenzo Guadagnucci che venne picchiato alla Diaz e rinchiuso a Bolzaneto.

E che la ferita del 2001 sia ancora aperta lo dimostra anche il giallo della Cassazione dove le sentenze Diaz e Bolzaneto sono state misteriosamente oscurate per poi ricomparire altrettanto inspiegabilmente seppur con i nomi delle vittime cancellati.

Fascisti su Marte e poliziotti alla Diaz.

Eh, sì: direi proprio che il messaggio della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo è stato recepito. Come si dice in italiano l’esser fieri di avere commesso un reato? Basta leggere qui:

Schermata del 2015-04-14 14:51:32Qui il profilo dell’eroe.

A proposito di forze dell’ordine e giustizia

Ci pensavo per caso questa mattina mentre mi è capitato di parlare con alcuni di loro: sono anni che si parla di rafforzamento di organico di forze dell’ordine e dei tribunali, sulle prime tra l’altro l’allarme di carenza di mezzo e uomini è praticamente bipartisan. Sono passati anni, decenni. Centrodestra e centrosinistra al Governo. E non cambia niente. Niente. Anzi: contro la magistratura il vento è lo stesso.

Poliziotti e poliziotti

Mentre siamo costretti a discutere dei poliziotti che vergognosamente (e da codardi istituzionali) hanno applaudito i colleghi assassini di Federico Aldrovandi (riuscendo a farsi riprendere da Renzi, Alfano, il capo della Polizia Alessandro Pansa e qualche centinaio di migliaia di cittadini) è morto a 53 anni Roberto Mancini, il poliziotto che con le sue indagini ha anticipato di 15 anni ciò che poi è stato il disastro della Terra dei Fuochi.

Nei primi anni ’90 inizia a lavorare sul traffico illecito di rifiuti in Campania. Nel 1996, dieci anni prima dell’uscita del libro “Gomorra” di Roberto Saviano, consegna un’informativa alla Procura di Napoli che verrà presa in considerazione soltanto nel 2011. Le carte consegnate da Mancini svelavano nel dettaglio attraverso intercettazioni, pedinamenti, dichiarazioni di pentiti, i nomi delle aziende del Nord coinvolte nel traffico: come l’Indesit e la Q8. Descrivevano i rapporti tra camorra, massoneria e politica. Anticipavano quel sistema che ha portato al biocidio della Terra dei fuochi.

L’informativa rimane in un cassetto per 15 anni. Fin quando nel 2011 il pubblico ministero Alessandro Milita la trova e la mette agli atti del processo per disastro ambientale e inquinamento delle falde acquifere. Tra gli imputati anche Cipriano Chianese, broker dei rifiuti del clan dei casalesi, che gestiva tutto il sistema criminale.

Negli anni successivi alle indagini, tra 1997 e il 2001, Mancini lavora come consulente per la Commissione rifiuti della Camera dei deputati. Il presidente è Massimo Scalia. Esegue decine d’ispezioni e sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici nocivi e in siti di stoccaggio di materiali radioattivi. È proprio in questo periodo che Mancini si ammala di Linfoma non-Hodgkin.

La diagnosi arriva nel 2002. Il ministero degli Interni certifica il suo cancro del sangue come “causa di servizio” e gli riconosce un indennizzo di 5000 euro. A Roberto Mancini non bastano: “È un’ingiustizia”, dice. Così inizia la sua guerra contro lo Stato. Nel luglio 2013 la Camera gli nega un ulteriore indennizzo. La battaglia continua. Il 6 Aprile 2014 vengono consegnate a Montecitorio oltre 20mila firme in calce a un appello che chiede che a Mancini sia riconosciuto il giusto risarcimento. La Camera promette l’apertura di un’istruttoria. A oggi la petizione di change.org è stata sottoscritta da più di 50mila persone.

L’agnello pasquale

A proposito di appelli per gli agnelli innocenti, il Ministro dell’Interno Angelino Alfano chiede i numeri identificatori per quei due sotto le scarpe:

deborah anrgrisani-2

Scuola Diaz: 11 arresti 13 anni dopo

diaz_scuola_g8_irruzione_psDopo tredici anni (13) sono stati arrestati undici dei poliziotti responsabili della “macelleria messicana” all’interno della Scuola Diaz a Genova durante il G8 del 2001. Certo che in questi tempi di nuovismo (tra anno nuovo, pd nuovo e centrodestra nuovo) la notizia è passata pressoché inosservata come un normale raffreddore invernale ma non è facile dimenticare chi con grande sicumera ci diceva che alla Scuola Diaz non era successo nulla di illecito, dimenticare Castelli che definì normale lo stato delle stanze durante una visita alcuni giorni dopo senza notare il sangue sulle pareti, oppure il Ministro dell’Interno Bobo Maroni che oggi gioca a fare la verginella lassù in Lombardia, o il Ministro della Giustizia Nitto Palma oppure Gianfranco Fini che fu presente tutto il tempo nella sala operativa della Questura. Forse vale la pena di ricordare anche il brutto errore di Tonino Di Pietro che si accodò ai berluscones per negare una Commissione d’Inchiesta sul G8. Insomma è passata un’era eppure basterebbe così poco per ricordare.

Ci sono voluti quasi tredici anni ma adesso la vicenda dell’irruzione nella scuola Diaz, che chiuse nel sangue i giorni drammatici del G8 di Genova, può dirsi finalmente compiuta.

Fra Natale e Capodanno, su ordine del tribunale del capoluogo ligure, sono stati infatti arrestati 11 dei poliziotti condannati in via definitiva per l’irruzione del 21 luglio 2001 nella scuola dormitorio e per l’introduzione nella stessa di prove false che erano servite a giustificare la «macelleria messicana» (la definizione è di Michelangelo Fournier, all’epoca del G8 vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma) che aveva causato 87 feriti gravi e gravissimi. Gli ultimi due funzionari per cui sono scattati gli arresti, il pomeriggio del 31 dicembre, sono stati Spartaco Mortola, ai tempi del G8 capo della Digos Genovese poi diventato questore vicario di Torino e capo della Polfer nel capoluogo piemontese, e Giovanni Luperi ex dirigente Ucigos poi passato ai servizi segreti prima della pensione.

I due, in base alla sentenza definitiva emessa dalla Cassazione nel luglio scorso, devono scontare ancora rispettivamente otto mesi e un anno di reclusione (sui quattro di condanna). Li passeranno agli arresti domiciliari e devono ringraziare il decreto «svuota carceri» del ministro della Giustizia Cancellieri se per loro non si sono aperte le porte di una cella dopo che il tribunale di Sorveglianza di Genova, nei giorni scorsi, ha respinto le richieste di affidamento ai servizi.

Stessa sorte, soltanto poche ore prima, era toccata anche a Francesco Gratteri, ex capo dello Sco ed ex numero 3 della Polizia e una carriera piena di successi e encomi nella lotta contro la mafia (fu tra i poliziotti che fecero scattare la manette ai polsi di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca) prima della sospensione dal servizio e della condanna definitiva che lo consegna adesso ad un anno di arresti domiciliari sui quattro a cui lo aveva condannato la Cassazione.

Dopo una battaglia legale durata anni, dopo tre processi, continui rinvii, silenzi, coperture istituzionali, depistaggi e infine prima la prescrizione, che ha cancellato le accuse di violenze lasciando in piedi solo quelle per la costruzione di prove false, e poi l’indulto, nei giorni scorsi è finito agli arresti anche l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, per cui la Cassazione ha respinto il ricorso con cui chiedeva la cessazione della detenzione domiciliare e l’affidamento ai servizi sociali, che deve scontare gli otto mesi restanti della condanna originaria a 3 anni e 8 mesi (ridotta grazie all’indulto).

Stesso provvedimento, visto che il tribunale di sorveglianza ha negato per tutti l’affidamento ai servizi, anche per Nando Dominici, ai tempi del G8 capo della squadra Mobile di Genova e oggi pensionato, Filippo Ferri, ex capo della squadra mobile di Firenze e oggi responsabile della sicurezza del Milan, Massimo Nucera, l’agente che finse di essere stato accoltellato all’ingresso nella scuola Diaz, Salvatore Gava, ex capo della Mobile di Viterbo che ha lasciato la divisa, Fabio Ciccimarra, ex capo della Mobile de l’Aquila, e l’ispettore capo Maurizio Panzieri.

Tutti, durante gli arresti domiciliari che varieranno dagli otto mesi all’anno di detenzione, potranno godere di alcune ore di permesso, potranno utilizzare il telefono e godere degli sconti di pena per buona condotta. E per molti di loro non ancora arrivati alla pensione, una volta terminata la sospensione del ministero dell’Interno legata all’interdizione dai pubblici uffici, la carriera in polizia potrebbe anche ripartire dopo le molte promozioni accumulate in questi quasi tredici anni.

Massimo Solani per L’Unità

Quarto Oggiaro e i Tatone: un arresto

Il solito, puntuale, Davide Milosa:

benfante-640“Lui voleva prendersi il giro”. L’intercettazione è breve ma decisiva per comprendere il movente di tre omicidi che tra il 27 e il 31 ottobre 2013 hanno riportato il quartiere milanese di Quarto Oggiaro agli anni Ottanta, quando le cosche regolavano i propri conti per strada. E così, poco dopo le due del pomeriggio di oggi, gli uomini della squadra Mobile coordinati da Alessandro Giuliano hanno arrestato l’autore materiale di tutte e tre le esecuzioni, incastrato dalle testimonianze e dal suo cellulare. Nell’ambiente criminale lo chiamano Nino Palermo, per l’anagrafe è Antonino Benfante nato nel capoluogo siciliano nel 1963Lui ha sparato agli orti di via Vialaba uccidendo primaPaolo Simone e poi Emanuele Tatone. Ed è sempre Benfante che tre giorni dopo gira in scooter le strade del quartiere alla caccia di Pasquale TatoneLo troverà poco dopo le dieci e trenta di un mercoledì di campionato fermo con la sua auto all’angolo tra via Trilussa e via Pascarella. Tre colpi di fucile e il secondo dei quattro fratelli Tatone muore sul colpo.

L’INTERCETTAZIONE DECISIVA DALLA FAMIGLIA TATONE
Quaranta giorni dopo, l’arresto. Gli agenti oggi hanno bussato al suo appartamento in via Lessona 1. In casa c’era solo lui. Nino Palermo non ha opposto resistenza. Si è fatto una doccia. Solo si è limitato a dire: “Quando uscirò di galera, qualcuno la pagherà”. Quindi si è chiuso in un ostinato mutismo. Lo stesso tenuto davanti al dottor Giuliano, il giorno dopo l’omicidio di Pasquale Tatone, quando viene accompagnato in questura e sentito a sommarie informazioni. In quel frangente dice di non conoscere i Tatone. Il nome di Benfante inizia a circolare già domenica 27 ottobre. Da poche ore una pistola a tamburo calibro 38 ha già ucciso nella boscaglia degli orti. Il primo a essere colpito è Paolo Simone, un piccolo pregiudicato della Comasina, quindi tocca a Emanuele Tatone, freddato con un colpo alla testa dentro ai rovi del boschetto. Solo il tempo di rimettere assieme i pezzi dell’esecuzione, e mercoledì 31 ottobre muore Pasquale Tatone. S’inizia a parlare di faida. Ma il termine, si è capitato oggi, risulta improprio. L’obiettivo di Benfante era uno solo: prendersi la piazza di spaccio.

LA SFIDA ALLA POLIZIA E IL CONTROLLO DELLO SPACCIO
All’alba di giovedì primo novembre (a poche ore dal terzo omicidio) Nino Palermo viene portato prima in Questura e poi in Procura. Sarà interrogato per dodici ore e sottoposto al guanto di paraffina per individuare tracce di polvere da sparo. Tutto inutile. In serata Benfante rientra nella sua casa di Quarto Oggiaro e qui resta fino a oggi pomeriggio. Cosa fa? Conduce la vita di sempre. Gira per il quartiere in scooter e quando va a piedi si accompagna sempre con il figlioletto di tre anni. Sa di essere intercettato e pedinato. Si diverte anche. Ferma le volanti e dice: “Se volete interrogarmi io sono sempre qua”. E ancora: “E’ inutile che seguite la mia macchina, l’ho venduta quattro giorni fa”. Fa di più: torna in piazza e inizia ad arruolare i cavalli dei Tatone. “Da oggi – dice – tu stai sotto di me”.

I LEGAMI CON LA ‘NDRANGHETA DEL CLAN FLACHI
Nel frattempo, le indagini corrono veloci. Il timore, infatti, è di ritrovarsi con un quarto morto per strada. Tanto più che Palermo ha uno spessore criminale di tutto rispetto: nel 1994 viene arrestato per traffico di droga nell’inchiesta dell’antimafia milanese. L’indagine Terra bruciata fotografa gli interessi del superboss Biagio Crisafulli, alias dentino, proprio a Quarto Oggiaro. Benfante è un suo luogotenente. In via Pascarella gestisce i soldi dell’eroina. In quegli anni, poi, viene accusato di tentato omicidio. Proverà a uccidere proprio Pasquale Tatone, che, pur ferito, si salverà. Nel 2012, poi, finisce indagato per una tentata estorsione a un imprenditore di Novate Milanese. Benfante fa batteria con gli uomini dei Flachi, potente cosca della ‘ndrangheta.

CIMICI IN CARCERE: IL COLLOQUIO TRA I DUE FRATELLI
Le ambientali messe in casa di Benfante però non danno risultati. Si registrano commenti neutri del tipo “ti ha chiamato la polizia”. Qualcosa si intuisce ma è ancora troppo poco. Si ottiene di più ascoltando i familiari dei Tatone. E’ da loro che arriva l’indicazione diretta su Benfante e sul motivo degli omicidi. Le cimici vengono messe anche in carcere dove Nicola Tatone deve scontare molti anni per droga. Subito dopo il duplice omicidio, Pasquale lo va a trovare. I due, però, bisbigliano. Non si capisce granché.

IL RACCONTO DELLA COMPAGNA TRASFERITA IN LOCALITA’ PROTETTA
L’accelerazione che ha prodotto l’ordinanza d’arresto firmata dal giudice Andrea Salemme, arriva solo dieci giorni fa, quando la squadra Mobile aiutata dagli uomini del commissariato di Quarto Oggiaro, mettono in fila dichiarazioni e confidenze del quartiere. Tra queste quella ritenuta decisiva viene messa a verbale dalla sua compagna subito trasferita in una località protetta assieme al figlio. Radio quartiere racconta altro: poche ore dopo il duplice omicidio, Benfante incontra Pasquale Tatone che in quel momento ancora non sa della morte del fratello. Nino Palermo gli racconta che Emanuele è venuto da lui per chiedergli una pistola, ma che lui ha negato. Quindi aggiunge: “Emanuele aveva un occhio nero”. In questo modo Benfante fa filtrare l’idea che l’omicidio sia legato a una banale lite. Non sarà così, perché i familiari all’obitorio si accorgono che di quell’occhio pesto non c’è traccia. Cosa ha raccontato allora Benfante?

IL CELLULARE DEL KILLER SUL LUOGO DEL DUPLICE OMICIDIO
Parole e racconti che la polizia raccoglie con estrema difficoltà. Chi sa non vuole comparire. Alla fine, però, gli investigatori ricostruiscono le ore precedenti il duplice omicidio che avviene verso le 11 e 30 di mattina. Un’ora prima Benfante si trova in un bar di via Lopez assieme a Emanuele Tatone e Paolo Simone. I tre, poi, escono. Palermo in scooter e gli altri in auto. Le telecamere li riprendono mentre vanno verso gli orti. Durante il primo interrogatorio, il presunto killer sosterrà di essere tornato a casa verso le 10 e 45. In realtà il suo cellulare a quell’ora aggancia la cella degli orti di via Vialba tra Quarto Oggiaro e Novate milanese. E poi c’è il racconto della madre dei Tatone che conferma il rapporto quotidiano tra Benfante e Tatone. Del resto già nel settembre 2013, il killer viene controllato in auto con Pasquale Tatone. Il fermo gli vale un mese di galera. Il 23 ottobre la scarcerazione, quattro giorni dopo i primi due morti. L’analisi delle telecamere risulta decisiva sul terzo omicidio. A fornire indizi importanti è quella del comune posta all’angolo tra via De Roberto e via Pascarella. I fotogrammi riprendono uno scooter che fa inversione di marcia e punta verso l’auto parcheggiata di Pasquale Tatone.

LE INDAGINI: ALTRE DUE PERSONE NEL MIRINO
Tutto finito, dunque? Non ancora. Le indagini, infatti, proseguono. Nel mirino degli investigatori ci sono altre due persone che in qualche modo avrebbero dato appoggio a Benfante. In serata, poi, gli agenti del commissariato di Quarto Oggiaro con l’aiuto dei pompieri hanno scavato per ore attorno agli orti di via Vilaba alla ricerca delle armi usate da Nino Palermo.

Sicurezza secondo Costituzione

Inutili, ha aggiunto, i “meccanismi di ottimizzazione delle risorse per rendere più efficiente la macchina organizzativa della sicurezza. Comunque il segno resterà meno”. E ancora: “Non è più pensabile – ha spiegato – ragionare come se sul territorio siano schierati 110 mila uomini. Dal 2014 ce ne saranno solo 94 mila”. Pansa ha espresso anche la preoccupazione che i tagli possano penalizzare il comparto della sicurezza a favore di quello della Difesa, impegnato da anni nelle “pattuglie miste” e in compiti di presidio di obiettivi a rischio nelle città. “Bisogna chiarire – ha dichiarato – chi ha la legittimità dell’uso della forza nell’ambito della sicurezza”. “Perché – ha polemizzato con la Difesa – se spostiamo l’asse verso il sistema militare, creiamo qualche scompenso anche rispetto ai principi costituzionali”.

La frase è di Alessandro Pansa. Pansa è al vertice del Dipartimento sicurezza del ministero dell’Interno. Da lui dipendono Polizia, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza. Insomma, è il capo delle forze dell’ordine.