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privatizzazioni

In poche parole, perché siamo più poveri

La risposta non è difficile: questa situazione va ricondotta al pensiero dominante di ispirazione neoliberista, che si è affermato all’inizio degli anni ’80 negli Stati Uniti e in Inghilterra e che poi ha influenzato la politica economica dell’Unione europea. La teoria economica neoliberista si fonda sull’assunto che la diseguaglianza non inficia in alcun modo la crescita. Anzi, detassare redditi e soprattutto patrimoni immobiliari e mobiliari dei più ricchi genererebbe un “effetto a cascata” che dai piani alti della società trasferirebbe la ricchezza fino ai piani bassi, portando ad un arricchimento generale e ad una maggiore crescita. Questa idea ha aperto la strada alle privatizzazioni e alla deregulation.

(Jiorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini, la Repubblica, 9 luglio 2913)

E se?

E se non fosse più il tempo delle blandizie centriste? Se non fosse più il momento dell’equilibrismo autoreferenziale, dei salotti, dei caminetti? Se non avessero più senso né la sicumera catastrofista di certi economisti dell’alta finanza né l’egocentrismo mediatico di lillipuziani segretari di partito? Se non fosse più il tempo della favola liberista (e liberticida)?

Se il mantra della crescita fosse solo un abbaglio? Se non servisse più accettare supinamente patti di stabilità, strette del credito, svendite, privatizzazioni? Se non fosse più eticamente accettabile dimenticare non solo i nomi dei morti ammazzati, ma anche quelli dei responsabili; i nomi e i cognomi di chi con ostinazione ancora infligge a questo Paese la pena più grave, quella dell’incoscienza? Se non volessimo chiedere consigli a oracoli ottuagenari, figli (se non padri) di una classe dirigente grigia e vergognosamente colpevole?

Se fosse giunto il momento della resa dei conti? Se fosse l’ora di parlar chiaro e parlarci, magari dando le spalle all’ombroso miraggio di confusi papocchi? Se provassimo a unire anziché dividere; a difendere un’idea invece di tramortirla e vivisezionarla per poi seppellirne le spoglie in qualche cimitero del diritto castale?

Per favore leggete qui Claudio oggi su Non Mi Fermo. Perché non è così difficile.

Vizi (e detenuti) privati

Ultimamente avevano privatizzato i reati. Il berlusconismo ci aveva fatto credere che in fondo fosse solo legittima difesa. Ora Monti ha liberalizzato anche le carceri: le imprese le costruiranno e le gestiranno con lo Stato. In teoria potrebbe essere un’idea contro il sovraffollamento. In realtà rischia perfino di peggiorare la vita dei detenuti. I nostri penitenziari ospitano, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oltre 68mila persone: 40mila in più della capienza regolamentare. Il personale é sottodimensionato e non riesce a garantire la decenza del servizio. A pochi chilometri da Mantova un edificio penitenziario quasi ultimato è stato abbandonato e colonizzato da animali e vagabondi. Se il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni  ( come scriveva Fëdor Dostoevskij) forse sarebbe il caso di farsi carico (in pubblico più che in privato) della vergogna.

La bugia del Governo Monti

Liberalizzare e privatizzare. In questo modo ripartiremo e ricondurremo, finalmente, i conti al livello tale da recuperare lo spread. Non importa che il “rigore” (all’equità penseremo dopo, c’è tempo…) nei conti non sia servito assolutamente a nulla, visto che sui mercati i titoli italiani valgono esattamente quanto prima della manovra che avrebbe dovuto salvare l’Italia. Liberalizziamo e privatizziamo, ma sì, dài.

Allora, privatizziamo, visto che da qualche parte occorre partire, i servizi per il lavoro. Tanto, sono inefficienti e, comunque, il lavoro non si trova. Affidiamolo ai privati, che, invece, loro, miracolosamente, il lavoro lo trovano. Certo, la liberalizzazione imporrà di legalizzare la richiesta di pagamento al disoccupato per la ricerca di lavoro. Però, vuoi mettere l’ebbrezza di pagare per lavorare, in un mondo privatizzato e liberalizzato?

Cos’altro privatizzare? Ah, sì, la sanità. Tanto, per metà già lo è. Eliminiamo dalla busta paga il contributo al sistema sanitario nazionale. Chi lavora versi ad un’assicurazione (ovviamente privatizzata e liberalizzata) il necessario per pagarsi le cure. Chi non lavora paghi il servizio privatizzato e liberalizzato per cercare lavoro e così, poi, pagare l’assicurazione privatizzata e liberalizzata, per ottenere le prestazioni dall’ospedale privatizzato e liberalizzato. Semplice, no? E se nel frattempo non trova lavoro? Desiste.

Poi, è opportuno privatizzare e liberalizzare la scuola. Tanto un terzo quasi è già nelle mani dei privati. Che, ovviamente, non c’è da discutere, insegnano meglio e con maggiore efficienza della scuola pubblica. Certo, ci sarà da pagare una retta. Ma, la riduzione delle tasse sul lavoro, consentirà di mettere da parte i soldi per un piano d’accumulo, da aprire presso una banca privatizzata e liberalizzata, per pagare i costi dell’istruzione privatizzata e liberalizzata. Chi non ha il lavoro? Desiste. Come sia possibile fingere di non vedere quello che descrive Luigi Oliveri rimane un mistero delle mediazioni politiche bipartisan del nuovo asse centro centro centrodestra centrocentrosinistra.

Autoconvocati: le nostre proposte

Milano, 13 settembre 2011

La crisi è reale; la manovra di ferragosto insufficiente e socialmente iniqua.

Nonostante quanto abbiano ripetuto per mesi il Governo nazionale e la Giunta lombarda, l’Italia e la Lombardia sono in crisi e la cura – o meglio le differenti versioni della cura che si sono susseguite in questa estate – rischia di peggiorare le condizioni del malato, riuscendo in contemporanea a pesare unicamente sulle fasce più deboli, rischiare di innescare una crisi recessiva e non essere sufficiente al risanamento economico necessario. Se è vero che Regione Lombardia ha contestato la manovra non si può tacere il fatto che da un lato non ha avuto l’ambizione di intervenire su tutto l’arco delle politiche economiche e, dall’altro, che si trova oggi tra gli sconfitti delle battaglie di estate, contro quello che sarebbe dovuto essere un Governo amico. Si rende improrogabile un’opera di razionalizzazione ed eliminazione degli sprechi. Vogliamo definire con più precisione e nelle nuove difficili condizioni il contorno delle politiche pubbliche e il loro volume.

Si spende molto ma si può spendere innanzitutto meglio: è un passaggio che può anche fungere da ripresa democratica e non un mero trapasso tecnocratico. Non vogliamo, anzi, respingiamo l’idea di ridurre il perimetro delle politiche pubbliche. Contestiamo quella specie di “pensiero unico” che ha pervaso tanta parte della discussione delle settimane scorse, come se i rimedi suggeriti non fossero in fin dei conti all’origine della crisi medesima: è il caso delle privatizzazioni. Invocate come soluzione regina si è trascurato del tutto il particolare che non si vedono compratori né condizioni di vendita favorevoli e che su di esse c’è un dibattito pubblico piuttosto avanzato e diversamente orientato, come ha dimostrato il voto nei referendum anche di alcuni milioni di elettori del centrodestra.

Giulio Cavalli

Chiara Cremonesi

LE PROPOSTE

Qualificazione e funzionalizzazione della spesa, orientata alla crescita

• Accorpamento e rimodulazione delle misure di sostegno alle imprese, per orientarle alla crescita.

Istituzione di un gruppo di lavoro tecnico-politico per la ricognizione e proposta, anche in coerenza con l’attività del nucleo per le crisi industriali.

• Analogo impianto per tutte le misure e le risorse indirizzate al sostegno dei lavoratori in CIG o disoccupati.

• Sostegno prioritariamente erogato alle imprese in cui si attuino processi di concertazione e intesa aziendale e/o territoriale senza deroghe al contratto nazionale ovvero allo Statuto dei diritti dei lavoratori.

• Revisione delle politiche a sostegno di funzioni duplicate o comunque sovrapposte in ristretti ambiti territoriali (fiere, esposizioni, ecc.).

• Certificazione della spesa degli Enti Locali verso artigiani, commercio e PMI, sostenuta da fondo speciale presso Finlombarda a tasso zero.

Riduzione della spesa regionale

• Revisione della spesa per propaganda e comunicazione di Giunta e Consiglio, comprese le collaborazioni a qualunque titolo e ovunque incardinate (assessori, gruppi, uffici stampa Giunta e Consiglio) con obiettivo di riduzione almeno del 30%.

• Revisione delle spese di sponsorizzazione e patrocinio oneroso con obiettivo di riduzione almeno del 30%.

• Revisione delle spese per missioni istituzionali e all’estero con obiettivo di riduzione almeno del 20%.

• Introduzione generalizzata dei processi di spending review e di zero based budgeting.

• Sul piano delle entrate, istituzione di obbligazione regionale per la raccolta di risparmio privato finalizzata a progetti industriali nella green economy, energie rinnovabili, efficientemente energetico degli edifici pubblici e privati, ed altri settori ad alta intensità tecnico-scientifica e occupazionale.

Qualità della funzione pubblica: le revisioni istituzionali

• Programma di riduzione delle ASL e degli Ospedali, dei posti letto nel quadro della territorializzazione della prevenzione e cura.

• Sostegno deciso ai processi di associazione tra i comuni per la gestione di servizi e di costituzione delle Unioni.

• Iniziativa a sostegno della costituzione della Città metropolitana di Milano con il superamento della Provincia.

• Sostegno all’accorpamento e razionalizzazione degli uffici decentrati delle amministrazioni statali e di quelli giudiziari. La Regione e i gruppi consiliari si impegnano a non difendere e sostenere atteggiamenti di difesa dello status quo locale.

Dignità della politica e delle istituzioni

• Lo status di consiglieri ed assessori dalla legislazione in corso (v.)

Per una nuova disciplina della indennità e degli istituti connessi

Si indicano i principi fondativi per una revisione della indennità per i consiglieri regionali e degli istituti ad essa connessi per raggiungere una serie di obiettivi:

1. un trattamento che assicuri all’eletto indipendenza economica, trattamento correlato alla dignità della carica pubblica (separata da quella individuale, di cui sono giudici i cittadini), equilibrio nel rapporto con il livello delle retribuzioni, dirette ed accessorie – nel settore pubblico e in quello privato, del livello dirigenziale intermedio, rapporto con il trattamento dei parlamentari nazionali e – per questa via – con quello dei magistrati;

2. lo svolgimento di incarico pubblico deve essere aperto a chiunque goda dei diritti civili ma qui cessa l’area coperta da previsione costituzionale: dalle cariche elettive non deve determinarsi privilegio immotivato, durante e dopo l’esercizio delle cariche stesse;

3. equilibrio tra particolare condizione di chi svolge un incarico elettivo e condizione più generale cui è sottoposta la generalità dei cittadini;

4. superare la diffusa ostilità verso privilegi di fatto, verso l’immagine di separatezza che danno di sé moltissimi tra gli eletti e i governanti;

5. rafforzare, perfino rilegittimare la funzione politica e legislativa, per tornare a giudicare con serenità il merito ed anche le capacità e le competenze degli eletti. E’ del tutto improprio che in questa materia si parli in termini di “diritti acquisiti”. Si verte, infatti, su condizioni del tutto particolari, che si aggiungono e non si sostituiscono alle normali condizioni della vita di ciascuno, in termini di occupazione, reddito, aspettative per il futuro. La funzione elettiva è una parentesi – più o meno lunga anche in rapporto al giudizio positivo degli elettori – nella vita di chiunque vi acceda, le cui esigenze particolari devono essere tutte comprese all’interno del trattamento durante il suo esercizio ma che non può prolungarsi oltre, a pena di diventare privilegio non più motivato. Vi sono molti aspetti che richiedono un approfondimento tecnico di particolare complessità, a partire dai concreti meccanismi per collegare le componenti previdenziali del trattamento dell’eletto nel sistema previdenziale ordinario, oltretutto tenendo conto della necessità di prevedere modalità adatte alle situazioni di esercizio di libera professione. Vi sono anche alcuni nodi dei quali va approfondita la natura e la stessa possibilità di intervento. Riguardano i vitalizi in corso di erogazione, che incidono sul bilancio regionale oggi e sono destinati ad incidere per un lungo periodo di tempo e che sarebbero alimentati esclusivamente da quel bilancio senza forma alcuna di recupero, nemmeno parziale. E riguardano anche la mai abbastanza deprecata indennità di fine mandato, ulteriormente aggravata nel corso della precedente legislatura, e che suona come privilegio particolarmente immotivato. Per quanto problematici – pur se da punti di vista del tutto diversi, uno di squilibrio finanziario, l’altro di irragionevolezza e privilegio – in questi casi siamo dinanzi a situazioni consolidate, a differenza della situazione generale come sopra indicato.

I PRINCIPI

1. L’indennità, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica, costituisce retribuzione per gli effetti pratici: assicurativi, contributivi, successori, compresa la pignorabilità. Essendo connessa ad un particolare rapporto, non è soggetta a valutazioni se non per la parte connessa a forme di penalizzazione stabilite da Statuto e regolamento ed è corrisposta in dodicesimi.

2. La funzione di consigliere, assessore, sottosegretario è incompatibile con lo svolgimento di attività professionale e di mestiere, inquadrati o meno in specifico ordinamento, e con rapporti di lavoro dipendente ovvero parasubordinato comunque denominati e qualificati giuridicamente. Non si pone invece incompatibilità tra indennità e proventi da attività di creazione intellettuale.

3. Analoga incompatibilità – di funzione e di godimento di compenso ovvero indennità – è stabilita verso incarichi (di amministrazione, direzione e controllo) in enti pubblici o privati.

4. Diminuzione dell’insieme di indennità, rimborsi, contributi a qualsiasi titolo a favore dei consiglieri. Abolizione dei contributi legati alla residenza.

5. Alla indennità sono connessi i versamenti previdenziali, contributivi e fiscali.

6. Al termine del mandato non è corrisposta alcuna somma a titolo di trattamento di fine rapporto, reinserimento o comunque denominato.

7. Superamento del vitalizio e trasformazione in incremento al fondo previdenziale professionale di ciascuno dei consiglieri, eliminazione del fondo di fine mandato, con restituzione delle quote versate.

8. Per quanto riguarda i trattamenti di vitalizio in corso di erogazione, il loro ammontare rimane stabilito al valore maturato all’entrata in vigore della presente legge e non è soggetto a rivalutazione a titolo alcuno. Esaminare la possibilità di interventi correttivi, ad esempio la trasformazione parziale in titoli regionali di credito.

9. Il nuovo sistema si applica dalla legislatura in corso. Le risorse accantonate o comunque le quote maturate per il vitalizio relative a questa legislatura sono riversate nei conti contributivi di ciascun consigliere. L’incompatibilità con l’esercizio di professioni ecc. decorre dall’1/1/2012.

10. L’indennità è comprensiva delle voci oggi definite anche a titolo di diaria.

11. Rendere noti curricula, competenze, mansioni, retribuzione degli staff dei gruppi consiliari, UdP, Presidente e Giunta, specificandone il carattere determinante e fondativo di rapporto di fiducia nonché il divieto (già previsto per legge, peraltro) di trasformarlo in rapporto a tempo indeterminato.

Dal diario di MICROMEGA: L’ultima privatizzazione lombarda, quella delle regole

La campagna elettorale è una carovana con quattro valigie di cartone. Dentro ci stanno gli slogan da apparecchiare e i barattoli delle parole rubate: questa campagna di marzo è un rivolo di parole scippate.

La Lombardia, regina delle sfilate in centro con il vestito buono, galoppa veloce verso la privatizzazione come arma di massa per la disinformazione. Dopo avere privatizzato la scuola, la salute, la speculazione edilizia, il ruolo del governatore (perpetrato fino al ventennio), la Lombardia degli azzurri si prepara a privatizzare le notizie e le regole.

La privatizzazione come modus operandi lombardo rappresenta un modello anticostituzionale e antisociale. In questi anni di supremazia, il centro destra guidato da Formigoni è riuscito a scipparci la scuola e la sanità pubblica regalando dei servizi fondamentali, garantiti dalla Carta Costituzionale, ai privati. Ma c’è di peggio. La giunta regionale non solo ha svenduto dei diritti invendibili per definizione, ma ha anche smerciato la dignità dei cittadini.

So che per alcuni politici la dignità non ha alcun significato, ma avere una scuola funzionale, competitiva sul piano internazionale e veramente accessibile a tutti e un sistema sanitario che non deve invidiare nulla alle strutture private, riguarda molto la dignità di tutti, non solo di quelli che non hanno votato Formigoni.

Il modello lombardo che la maggioranza vorrebbe importare in tutto il paese è la proiezione malata di una insensata privatizzazione, che punta solo al profitto senza curarsi minimamente delle vere necessità dei cittadini.

Dobbiamo essere particolarmente attenti perchè i professionisti della politica sanno mentire senza mai tentennare. Dicono che il bonus regionale per la scuola paritaria (altro termine ingannevole) permette la libertà di scelta. Mi chiedo quale libertà di sceltà può avere un operaio di fronte a una retta di 8.000, 9.000 euro al mese con un contributo di soli 1.000 euro. Mi chiedo quale sia la libertà di scelta di un anziano che, spesso, per svolgere un esame clinico in una struttura pubblica deve aspettare tempi biblici, mentre pagando può ottenere lo stesso servizio in giornata.

Forse per Formigoni e i suoi seguaci la salute e l’istruzione sono diritti svendibili al miglior offerente, forse ha chiuso a doppia mandata la Costituzione in un cassetto e ha perso la chiave, forse ha semplicemente usato la fiducia di molti per accrescere il potere di pochi

da http://temi.repubblica.it/micromega-online/giulio-cavalli-lultima-privatizzazione-lombarda-quella-delle-regole/