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riforma costituzionale

Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Una bella morale, non c’è che dire.

Vale la pena leggere il post di Pippo, stamattina:

«Si è preso un risultato elettorale, quello del 2013, e lo si è rovesciato. Si sono scelti argomenti tipici del populismo tanto quanto quelli che si intendevano, a parole, superare. Si è scelto un tono trionfale mentre si attraversavano le macerie. Si è cercato di risolvere tutto con la dialettica nuovo e vecchio, quando sono sempre i vecchi a dettare il nuovo. Si è pensato che fosse sufficiente la comunicazione, in termini prima quantitativi che qualitativi, per risolvere un gigantesco problema politico. Si è associato il progetto politico al percorso delle riforme, con non poche contraddizioni e la sensazione, sempre più diffusa, che in causa fosse solo il potere e chi lo rappresenta.

Si è spiegato che si vogliono ridurre i politici (che di per sé è già un messaggio equivoco e demagogico e populistico quant’altri mai) e in realtà si riduce la politica e la fiducia che dovrebbe sempre ispirare il rapporto – anzi, la relazione – tra elettori ed eletti. Si è formato un unico grande centro, dimentico di destra e sinistra ma che ovviamente preferisce la prima, pensando che con un unico centro di gravità tutti ne sarebbero stati attratti.

Ed eccoci qui, a leggere editoriali di banchieri poco informati, di industriali che quantificano il valore delle riforme senza alcun fondamento scientifico, a politici che confondono argomenti che non c’entrano proprio nulla, a dirigenti sindacali che ci si chiede se abbiano mai parlato con quelli che dovrebbero rappresentare, per nascondere l’irragionevolezza dei contenuti che hanno prodotto e dei metodi che hanno seguito, illustrandoci una ‘riforma’ fatta per il Paese che il Paese divide almeno a metà, se non di più.

Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Una bella morale, non c’è che dire.»

(continua qui)

«La Costituzione della Boschi? Illeggibile, sembra il bugiardino di un farmaco»

(Un’intervista a Paolo Prodi, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, che potete comprare qui)

Partiamo da Dossetti, perché è di lui che si occupa l’ ultimo libro di Paolo Prodi (Giuseppe Dossetti e le Officine bolognesi, Il Mulino). “Comincio dal periodo immediatamente successivo all’ approvazione della Costituzione, quando io studiavo alla Cattolica e il mio professore di Diritto costituzionale era Antonio Amorth, uno degli autori della nostra Carta”, spiega Prodi. “La Costituzione, attraverso la Commissione dei 75 ha degli autori e, com’ è noto, il testo fu perfino rivisto da linguisti e letterati, perché fosse efficace: la preoccupazione era che fosse comprensibile e armonico tra le sue varie parti”.

E Dossetti?
Fu un protagonista di quella fase: come Aldo Moro era un giurista e dunque particolarmente preparato al compito.
La sua attenzione alla Carta ebbe una nuova spinta all’ inizio degli anni 90, con la nascita dei Comitati Dossetti per la Costituzione. Allora parlai a lungo con lui: considerava la Carta certamente il patto tra tutti gli italiani, ma anche un patto per garantire l’ equilibrio. Nel ’46 – per evitare i pericoli di una guerra fredda, possibile in Italia perché eravamo sul confine tra i due mondi – bisognava approntare tutte le misure necessarie perché non ci fosse una prevalenza di una parte sull’ altra. È qui che nasce il bicameralismo perfetto.

Qualche settimana fa Pierluigi Castagnetti ha detto: “Basta tirare per la giacca don Dossetti: è sempre stato contrario al bicameralismo paritario”.
Stavo per dirlo: Dossetti ha dovuto digerire, all’epoca, il bicameralismo. Era contrario, ma lo riteneva politicamente essenziale. Una medicina amara, ma fondamentale per garantire quell’equilibrio di cui parlavamo.

Veniamo all’ oggi. Cosa pensa di questa riforma?
Davanti alla Costituzione bisogna levarsi il cappello. La Carta è di tutti e non si cambia a colpi di maggioranza, specie se è una maggioranza come questa che si tiene in piedi a malapena. Ma prima ancora bisogna dire che questa nuova Costituzione è assolutamente incomprensibile, illeggibile. Sembra il bugiardino di un farmaco.

I sostenitori della legge di revisione dicono che non si tratta di estetica, ma di funzionamento delle istituzioni. La parola magica è “governabilità”.
Sento spesso parlare con disprezzo dei numerosi governi che si sono succeduti, specialmente nella Prima Repubblica. Quei governi però navigavano in acque tranquille, sia internamente che a livello internazionale. Certo calibravano, con o senza manuale Cencelli, i pesi delle correnti e delle varie personalità dentro ai partiti. Ma allora c’ era una stabilità che di questi tempi ci sogniamo: a mancare non è oggi la stabilità dei governi, ma i partiti che sono evaporati. Un problema che non si risolve con mezzucci tipo i capilista bloccati dell’ Italicum. Piuttosto bisognerebbe applicare l’ articolo 49 della Carta che dava ai partiti rilievo costituzionale. Nel ’58 Sturzo presentò in Parlamento un progetto di legge proprio sull’ attuazione dell’ articolo 49: ecco, oggi potremmo prenderlo e avremmo ben poco da aggiungere. La responsabilità politica non esiste più e si pensa di rimediare con il rafforzamento dell’ esecutivo!

Il presidente del Consiglio ha legato il suo destino al felice esito della riforma.
Tutto parte dall’ equivoco del doppio ruolo di premier e segretario del partito. Nella Dc uno statista come Alcide De Gasperi sapeva benissimo che se voleva vincere doveva permettere che il partito avesse una sua vita interna, dove lui come presidente del Consiglio non interveniva.
Quanto a Renzi, puntando sulla vittoria come vincolo per la sua permanenza al governo si è preso un bel rischio.

Quel che sta accadendo dopo il referendum sulla Brexit lo dimostra.
La riforma è molto disomogenea: voteremo su tantissime materie.
Da un punto di vista giuridico e razionale io sarei per lo spacchettamento, anche se so che è improponibile. Sottoporre al giudizio dei cittadini materie così diverse è un errore enorme.
Questa riforma è stata approvata con scorciatoie di ogni sorta: ghigliottine, canguri, sostituzione dei membri della commissione Affari costituzionali, sedute fiume. Lo spirito dell’ articolo 138 è tutt’ altro: una saggia ponderazione.
La forma non è stata violata, ma il metodo è profondamente sbagliato: certo i costituenti non pensavano a questo quando hanno scritto l’articolo 138. Tutta la riforma è un bitorzolo che cresce sulla nostra Costituzione. Non posso riconoscere valore costituzionale a un testo nato sotto spinte umorali e illogiche. Dicono che si migliorerà con il tempo: io studio la storia da mezzo secolo e non ho mai visto migliorare un sistema politico con questi percorsi. Il problema della democrazia è far coincidere la rappresentanza degli interessi con il tessuto sociale. Qui non si vede nulla di tutto questo.

(di Silvia Truzzi, da Il Fatto Quotidiano,  30 Giugno 2016)

Caro Cacciari, perché voti una riforma costituzionale sulla quale sputi?

massimo-cacciari

La domanda che pone Roberta De Monticelli a Massimo Cacciari è forse una domanda che ci siamo fatti in tanti:

«Vengo alla questione che vorrei porti questa sera, 9 maggio, dopo averti ascoltato, ospite di “Otto e mezzo”, sviscerare – anzi, eviscerare, a rapidi colpi di spada, con espressività e vigore assolutamente eloquenti – l’“assurdità” e la sgangherata incongruenza della riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum. Quel ridicolo senato fatto di consiglieri regionali e sindaci non solo non risolverebbe il problema del bicameralismo perfetto, che tu ed altri, dicevi, avevate rivoltato in tutti i suoi aspetti (con ben altra attenzione e competenza, si evinceva dal contesto) prima che gli autori della riforma attuale “fossero al mondo”, ma complicherebbe a dismisura – lo hai ben chiarito – il più profondo errore di sistema della democrazia italiana, al quale tornerò fra poco.

Ecco la domanda: perché allora voterai “sì” al referendum, come hai detto? E’ una domanda sincera e smarrita. E se la faccio, è perché credo che molti se la facciano con il mio stesso smarrimento. Molti di quei non molti che della nostra vita civile si preoccupano, che credono o tentano di credere, con la loro fatica quotidiana, che la Repubblica siamo noi, e che se accettiamo una riforma “assurda”, incongrua, incoerente e inefficiente dei suoi fondamenti, della democrazia sfigurata e monca che ne risulterà noi saremo non passivi, ma attivi complici, dunque colpevoli. E quanti di quelli che ti hanno ascoltato continueranno a credere, come Socrate insegnava ai suoi concittadini, che sia doveroso chiedere ragione di ogni decisione che ci riguarda? Che abbia senso applicare la volontà di evidenza, la logica, il buon senso, alle cose che pure sommamente ci riguardano, della politica?

Se anche il più noto filosofo italiano scorna la logica e l’evidenza in politica, e getta il peso di tutto il suo prestigio nel dire sì a una riforma costituzionale sopra la quale sputa? Quanti che ancora non avevano del tutto perduto la voglia di partecipare, cioè di discutere e deliberare nello spazio delle ragioni, dove le parole hanno un senso e le decisioni una coerenza, perderanno la loro residua fiducia nella democrazia? Perché la democrazia non è solo una forma di governo. E’ una civiltà fondata in ragione, il che vuol dire, sulla fragile forza dei nostri interrogativi, sulla fatica dei buoni argomenti. Una Repubblica democratica è fondata su lavoro – sul nostro lavoro di cittadini, così faticoso, così disprezzato. Anche e soprattutto da chi, “nel paese di Machiavelli”, come hai detto, trova come te che si parli troppo di “questione morale”. Cioè di interesse pubblico!»

(la lettera a Cacciari completa è qui)

Riforme di notte

Il Costituzionalista Andrea Pertici racconta (e analizza) queste “riforme” a notte fonda:

Senza metodo costituzionale. Decisamente.

Contingentamento dei tempi di discussione, seduta fiume e “Aventino” si sono concentrati nella faticosissima approvazione degli articoli di riforma della parte seconda della Costituzione.

Una riforma che non ha mai avuto un’ampia condivisione – va detto – nonostante si poggiasse sull’accorso dei leader di Pd e FI (con molte perplessità e resistenze anche nei loro gruppi parlamentari).

E infatti l’approvazione in Senato, avvenuta l’8 agosto, era stata il frutto di una forte strozzatura del dibattito e aveva visto il voto favorevole di 183 senatori, pari al 57%. Tutt’altro che un’ampia condivisione: basti ricordare che la Costituzione fu approvata con il voto favorevole di circa l’88% dei componenti l’Assemblea.

La ragione è semplice: alla Costituente il testo fu costruito nel confronto tra le diverse forze politiche, cercando su ogni aspetto la maggiore condivisone possibile. Non si votò certo su un testo presentato dal Governo, per di più con la pretesa di modificare poco e nulla di ciò che lo stesso, arbitrariamente, individuava come essenziale. Ma torniamo ad oggi. Dobbiamo registrare che, dopo le forzature del Senato per “blindare il testo”, la Camera ha fatto di più.

Mentre ancora vigeva il “Patto del Nazareno”, che consentiva alla Camera una maggioranza particolarmente ampia (seppure grazie a un premio dichiarato incostituzionale), è stato già disposto il contingentamento dei tempi. In base al quale – per dirla in due parole – si può discutere solo entro ristretti limiti. Si tratta di una tecnica per evitare l’ostruzionismo e che quindi tradisce come il testo non sia (e non voglia essere) condiviso (salvo che per adesione al pacchetto già confezionato). Possiamo immaginare un dibattito alla Costituente con il contingentamento? No di certo. Non ci sarebbero neppure gli atti dell’Assemblea costituente spesso essenziali per una migliore comprensione del testo.

Fatto sta che il “Patto del Nazareno” non ha retto – sembra – all’elezione del Presidente della Repubblica. Così la maggioranza delle riforme, senza Forza Italia, è venuta a coincidere con la maggioranza di governo. La conseguenza è che anche se questa riforma costituzionale fosse approvata sarebbe di nuovo votata dalla sola maggioranza di governo, come quella del 2001 (definita un pasticcio dallo stesso centrosinistra che la votò) e quella del 2006 (che gli italiani bocciarono nel referendum).

In ogni caso, è diventato evidente che il percorso delle riforme diventava difficile. E allora è stata aggiunta un’altra tecnica antiostruzionistica che – come ricordano i manuali di diritto parlamentare (si veda Martines-Silvestri-Decaro-Lippolis-Moretti, Diritto parlamentare, ed. 2011, p. 180) – è divenuta molto insolita (per un periodo essendo addirittura scomparsa) proprio a seguito del contingentamento. E soprattutto non è mai stata utilizzata prima per una riforma costituzionale.

La sua applicazione, non disciplinata dal regolamento, ma prevista solo in via di prassi, in effetti, è stata consentita – lo ripetiamo, per la prima volta (a proposito di prassi…) – soltanto in virtù del fatto che per la prima lettura delle riforme costituzionali sono applicate le previsioni del procedimento legislativo ordinario. Non è stata considerata l’assenza di qualunque ragione per imporre una così forte accelerazione. Non sono stati considerati gli atti disponibilità dell’opposizione che, ad un certo punto, ha perfino ritirato una consistente parte di subemendamenti. Non è stata considerata – soprattutto – la necessità di approvare la riforma costituzionale discutendo lucidamente di giorno (alcuni quotidiani hanno pubblicato fotografie che indicano lo stato in cui i parlamentari hanno votato nottetempo queste riforme).

Ma non è finita qui. Ad un certo punto, cercando di fermare un modo di procedere ormai totalmente caotico, le opposizioni – tutte unite – hanno deciso di abbandonare l’aula. Gesto estremo, noto – si sa – con il nome di “Aventino”. Ma anche a fronte di questo, la maggioranza (con l’eccezione di singoli parlamentari che hanno abbandonato i lavori: Civati, Fassina, Pastorino) non ha ritenuto di cercare nessuna reale via alternativa.

Così, la riforma costituzionale è stata votata nottetempo in una Camera mezza vuota o, se preferiamo, mezza piena di parlamentari stravolti (si vedano ancora le documentazioni fotografiche). Anzi, neppure mezza piena, perché i presenti, in molte votazioni risultano meno della metà (311 in quelle sugli articoli 39 e 41, 309 in quella sull’articolo 40, fino addirittura ai 298 sull’articolo 12 e ai 299 sull’articolo 11 e così andando) e il numero legale è garantito dal fatto che i parlamentari in missione (di venerdì notte) sono tra i 40 e i 50Ben 9 sono gli articoli votati alla presenza di meno della metà dei componenti della Camera, e addirittura 26 quelli che hanno avuto il voto favorevole soltanto di meno della metà dei componenti la Camera (solo in 270 hanno votato di sopprimere l’elezione del Senato a suffragio universale diretto). Quest’ultima circostanza è accaduto già per precedenti poco fortunate – e molto divisive – riforme, alla cui votazione era però sempre stata almeno presente ben più della metà dei componenti.

Manca ancora il voto finale a questa prima lettura della Camera, cui dovrà seguire un’altra prima lettura del Senato (perché qualcosa – seppur poco – è stato modificato) e poi chissà. Semmai – è bene ricordarlo – le seconde letture richiedono la maggioranza assoluta dei favorevoli (quella ottenuta per ora da meno della metà degli articoli).

La Costituzione è quindi ancora lungi da essere modificata. Certamente è già stata lacerata.

(fonte)