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riforma costituzionale

Nel merito. Dal bicameralismo perfetto al bicameralismo malfatto.

di Giovanni Maria Flick, Guardasigilli nel primo governo Prodi, ex presidente della Corte costituzionale

Da Il Fatto Quotidiano del 15 ottobre 2016

Perché votare No? Un breve riassunto dei motivi.

Quanto al merito della riforma della Costituzione che viene proposta:

1) perché non si può passare dal bicameralismo “perfetto” (per così dire) a un bicameralismo “malfatto” (quanto all’elezione e composizione del Senato, alle sue competenze, ai suoi rapporti con la Camera dei deputati nei procedimenti legislativi);

2) perché nei rapporti tra Stato e Regioni l’eccesso di decentramento – attuato con la riforma costituzionale del 2001 – non può essere corretto con l’eccesso opposto di un accentramento pressoché totale, dimenticando oltretutto le Regioni a statuto speciale per le quali il problema di quei rapporti si pone in modo ben più rilevante che per le Regioni a statuto ordinario;

3) perché è vero che il meglio (cui aspirare) è nemico del bene: tuttavia la proposta di riforma costituzionale non è un bene, ma un pasticcio (in particolare per le ragioni dianzi esposte a proposito del Senato e del rapporto fra Stato e Regioni).

Quanto al metodo della riforma su cui si voterà il prossimo 4 dicembre:

1) perché in un unico quesito confluiscono problemi, interrogativi e soluzioni fra loro assai diversi e di difficile comprensione, da accettare o rifiutare in blocco;

2) perché la riforma è stata elaborata attraverso la ricerca di maggioranze risicate a tutti i costi; la presenza, quando non prevalenza, di finalità di politica contingente; lo scontro costante tra maggioranza e opposizione; il legame incestuoso con la legge elettorale vigente e sub judice e quella da attuare; con motivazioni come il risparmio di spesa, estranee al contesto e alla logica costituzionale; con uno spirito e in un modo antitetico a quelli richiesti dall’articolo 138 della Costituzione per la sua revisione;

3) perché l’assenso alla riforma è stato richiesto e suffragato con argomentazioni successive fra loro contraddittorie e via via riconosciute erronee dagli stessi proponenti: prima la personalizzazione sul presidente del Consiglio; poi il richiamo alla volontà del presidente della Repubblica e alla sua rielezione; poi ancorale pressioni indebite dei mercati e dei media di informazione finanziaria; infine l’ammissione degli errori contenuti nella riforma, degradandoli tuttavia disinvoltamente a semplici sviste bagatellari correggibili dopo l’entrata in vigore del nuovo testo di Costituzione;

4) perché in realtà, invece, gli errori di contenuto e di forma e le lacune della proposta sono macroscopici, e sarà perciò molto difficile se non impossibile emendarli ex post, come dimostrala vicenda in parte analoga dell’approvazione della legge elettorale Italicum (la migliore, intoccabile, a colpi di fiducia) meno di un anno fa e ora quella della necessità condivisa e delle difficoltà del suo cambiamento.

Nuovo Senato, quindi?

Hanno detto che l’elezione diretta era prevista nella riforma e ci hanno detto che eravamo stupidi noi a non vederlo. Poi quando abbiamo tirato fuori le carte, le leggi e le parole scritte nella riforma ci hanno detto che eravamo in malafede. Qualcuno durante i dibattiti della campagna referendaria mi diceva «ma è logico che i consiglieri regionali senatori verranno eletti con due schede!» con l’espressione sdegnata. Poi si sono accorti che forse non era vero ma avevano deciso di non dirlo in giro. Oggi Delrio (che ancora una volta accetta di fare da ariete, povero lui) rilascia un’intervista in cui ci dà sostanzialmente ragione però ci promette che troveranno un accordo prima del referendum per rendere possibile l’elezione dei “nuovi senatori”. Accordo con chi? Tra loro. Ovviamente.

Facciamo così: facciamo che come la legge elettorale anche la riforma che avrebbe dovuto essere “la migliore possibile” in realtà sia un guazzabuglio orrendo. Facciamo che si vota no e magari ci mettete un po’ di testa, etica e politica vera quando la ripensate.

Saluti.

Referendum: la bufala dei senatori eletti

(Ne scrive l’inesauribile Andrea Pertici, con cui ho il piacere di condividere il nostro #TourRicostituente. Non è facile tenere il passo alle bugie ma ci proviamo:)

L’ampia revisione della Costituzione su cui saremo chiamati a votare il 4 dicembre è – lo dicono ormai tutti – scritta in modo spesso oscuro o ambiguo. Questo consente talvolta ai suoi sostenitori di esporla con toni cangianti a seconda della luce del momento e degli interlocutori.

Negli ultimi giorni l’operazione è in corso nientemeno che rispetto alla composizione del Senato, l’ombelico di tutta la riforma costituzionale. Questa, infatti, parte dall’annuncio di “senatori non eletti e non pagati” e viene presentata, infatti, dal segretario del Pd, padre della riforma, alla direzione del suo partito (6 febbraio 2014) come la riforma dei quattro paletti, che sono: 1. non elettività dei senatori; 2. assenza di indennità per i senatori; 3. eliminazione del potere del Senato di dare e togliere la fiducia al governo; 4. eliminazione del potere del Senato di votare il bilancio.

Il paletto che ci interessa è quindi il primo, tradotto puntualmente nell’articolo 2 della riforma che modifica l’articolo 57 della Costituzione il cui testo è – nel caso – chiarissimo: «i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori».

Ora, nella seconda lettura effettuata dal Senato, è stato approvato un emendamento integrativo, in base al quale i Consigli regionali devono procedere all’elezione dei senatori «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma».

La norma ha avuto un’insperata fortuna, essendo riuscita a convincere la perplessa «minoranza del Pd» a passare da una posizione critica a un voto favorevole alla riforma.   Tuttavia, le doti taumaturgiche dell’emendamento sono state decisamente sopravvalutate al punto di far concludere a qualcuno che era stata reintrodotta l’elezione diretta dei senatori.

Naturalmente ciò è escluso dall’appena riportato secondo comma dell’art. 57, il quale prevede – con chiarezza, in questo caso – che «i Consigli regionali e i Consigli delle autonomie locali eleggono […] i senatori». D’altronde, perché tale elezione avvenga «in conformità delle scelte espresse dagli elettori» basta che sia rispettata la proporzione rispetto ai voti e ai seggi ottenuti dalle diverse liste, per cui non verrebbe aggiunto nulla rispetto a quanto già previsto allo stesso art. 57, secondo e settimo comma. Alcuni vorrebbero che la previsione fosse riempita di significato imponendo, per legge, ai Consigli regionali di eleggere al Senato i consiglieri che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze popolari o addirittura che vi fosse una seconda scheda con cui gli elettori indicherebbero i consiglieri regionali-senatori (e non i sindaci-senatori).

Tutto questo risulta escluso dal secondo comma, come dicevamo e più in particolare pone alcuni problemi:

  1. in base all’art. 122 della Costituzione, ciascuna Regione approva la sua legge elettorale, mentre la legge statale può solo dettare i principi fondamentali della stessa;
  2. in ogni caso, sarebbe incostituzionale una legge che vanificando il comma 2, impedisca che quella dei Consigli regionali sia una vera e propria elezione (visto che si sancisce espressamente che i Consigli regionali eleggono i senatori);
  3. si creerebbe peraltro una differenza, ingiustificata e ingiustificabile, tra i senatori-consiglieri regionali e i senatori-sindaci (pari al 50% del totale nella metà delle Regioni italiane) per i quali non vi è neppure nessuna generale indicazione (altro che obbligo di “conformità”) rispetto alle indicazioni degli elettori;
  4. in ogni caso, che senso avrebbe avuto togliere la rappresentanza della nazione per assegnare quella delle istituzioni territoriali a senatori eletti dai cittadini? E poi che senso avrebbe allora stabilire che «i Consigli regionali eleggono i senatori»? Sono parole inserite così, tanto per appesantire un po’ il testo?

La discussione, assurda come spesso quelle che riguardano questa revisione costituzionale, fa perdere tempo rispetto all’esame dei reali contenuti e mostra solo una cosa: che si cerca sempre di sostenere tutto e il contrario di tutto, piegando il significato delle parole e tenendosi lontani solo dalla chiarezza, per aggiustare il senso a seconda del momento, dell’interlocutore, in un trasformismo permanente non più solo di posizioni politiche e alleanze, ma addirittura, ormai, anche di norme. Più che la riforma del cambiamento sembra la riforma del cangiamento.

(il post è nei quaderni di Possibile qui)

A proposito della riforma: una mia intervista

(Una mia intervista per unoetre.it, l’originale è qui)

1. Come arrivare all’appuntamento del voto con la piena consapevolezza della scelta che si sta facendo, indipendentemente dalla volontà di politicizzare la scelta “contro” o “a favore” di Renzi?

Informandosi e confidando in una propaganda intellettualmente onesta. Però mentre nel primo caso i cittadini sono autonomi purtroppo per quanto riguarda l’informazione mainstream (sia di giornali che televisioni) mi pare evidente che la tossicità di questi ultimi anni fatichi a garantire una prospettiva intellettualmente onesta. Sulla questione della renzizzazione del referendum invece secondo me entrambi i fronti dovrebbero avere la cura di ritenere la nostra Costituzione ben più importante del governante di turno. La carta costituzionale (e la legge elettorale) restano, i governi cambiano. La speranza e lo sforzo sono sempre per una discussione che stia sui temi.

2. In dieci parole, quanto è importante questo voto e perché?

La Costituzione è la carta fondamentale dei nostri diritti e della nostra democrazia. Disinteressarcene ci rende cittadini inutili.

3. Quarantasette articoli verrebbero modificati se la riforma passasse, c’è rischio che la propaganda del taglio dei costi e dei senatori monopolizzi il dibattito elettorale?

Certo. È già così. Quello che sorprende è che proprio questo governo ha demonizzato fin da subito l’utilizzo dei costi e della casta come clava politica per pestare gli avversari e ora che si trova in difficoltà decide invece di scendere nella stessa banalissima arena. Con questa riforma si affrontano invece molti aspetti fondamentali degli equilibri parlamentari e della morfologia del nostro Stato. Inseguire l’antipolitica può portare guadagni elettorali nell’immediato ma finisce per concimare un disinteresse e una disperazione verso la politica che sono già sopra i livelli di allarme. Siamo un Paese in cui la politica interessa più alle lobby, ai corruttori e alle mafie piuttosto che ai cittadini.

4. Come fare a spostare l’attenzione sui molti articoli della costituzione che si andrebbero a modificare e dunque sui cambiamenti al welfare sociale e ai diritti civili?

Cercando di essere seri. Non cedendo alla tentazione di essere banali e allo stesso tempo rispettando il dovere di essere comprensibili. Raccontando che la Costituzione e le leggi sono la sceneggiatura della vita quotidiana di tutti i cittadini. E non capire il copione poco prima di dover entrare in scena non è un granché. Credetemi.

5. I politici settecenteschi asserivano che le costituzioni avrebbero dovuto essere scritte per i demoni e non per gli angeli. Per chi è stata scritta questa riforma?

È stata scritta per chi vuole un Paese governabile, come ci ripetono spesso gli stessi estensori. Io, personalmente, preferisco un Paese governato e quindi con una classe politica in grado di farlo senza dover spostare le leggi sempre un po’ più in là. Io credo che i padri della Costituzione abbiano voluto che fosse vigile e quindi “opprimente”: la Costituzione è un argine. Trovo sempre patetico il potente che ha bisogno di fare il prepotente per governare perché non ci riesce rispettando le regole.

6. Renzi, tra le sue argomentazioni, sostiene che questa riforma fosse stata fortemente voluta da Berlinguer. Come ribatterebbe?

Non c’è bisogno di tirare in ballo Berlinguer per trovare sostenitori del superamento del bicameralismo perfetto ma purtroppo questa riforma non fa altro che svilire il Senato senza nemmeno troppo coraggio. In un articolo su Rinascita Berlinguer scriveva: «Di fronte a questo stato di cose, di fronte a tali e tanti guasti che hanno una precisa radice politica, non si può pensare di conferire nuovo prestigio, efficienza e pienezza democratica alle istituzioni con l’introduzione di congegni e di meccanismi tecnici di dubbia democraticità o con accorgimenti che romperebbero anche formalmente l’equilibrio, la distinzione e l’autonomia (voluti e garantiti dalla Costituzione) tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, e accentuerebbero il prepotere dei partiti sulle istituzioni.»

7. Con la eliminazione di molte competenze e poteri alle regioni, attribuite alla potestà del governo, ne guadagnerà o perderà la sovranità popolare?

Ne perderà come succede ogni volta che si toglie la possibilità ai cittadini di scegliere. E inoltre si contraddice il principio stesso di un’Italia nata con la promessa di rispettare le autonomie. Tra l’altro, anche in questo caso, senza il coraggio di toccare i privilegi delle regioni a statuto speciale. Un pasticcio, insomma.

8. Per “punire” le regioni meno solerti si danneggiano quelle più virtuose?

Ma la storia dei “tagli” ai consiglieri regionali, ad esempio, è una pagliacciata: si spostano i soldi dalle indennità ai rimborsi. Ma il problema è l’approccio mentale: io non voglio uno Stato che dice “paghiamoli meno così rubano meno” ma uno Stato in grado di fare rispettare le regole e soprattutto partiti che si prendano la responsabilità di costruire una classe dirigente all’altezza. Se davvero si vuole colpire la mala politica basterebbe fare una volta per tutte una seria legge sui partiti che qui hanno la gestione e le responsabilità di una bocciofila. Senza toccare la Costituzione.

9. Come si distingueranno nella forma e nella sostanza i “tour” di Renzi dai “tour RiCostituenti” che la vedono impegnata in prima persona?

Posso parlare di noi: proviamo a raccontare quanto sia bello approfondire, quanto sia salutare allenare il muscolo della curiosità e quanto sia culturalmente importante l’alfabetismo costituzionale.

10. Lei ha più volte ribadito l’insofferenza di questo governo verso gli organi di controllo: “Un Senato che eliminerà il voto dei cittadini e che, svilito del suo ruolo, potrà essere utilizzato come un rifugio per i referenti politici delle mafie”. Cosa rischia la democrazia?

Rispondo semplice: voi che fiducia avete in senatori che si eleggono tra loro?

La riforma e il neofeudalesimo

(Antonio Esposito per Il Fatto Quotidiano)

Eugenio Scalfari, nel suo editoriale su la Repubblica di domenica scorsa dal titolo “Zagrebelsky è un amico ma il match con Renzi l’ha perduto”, sostiene due tesi: la prima è che il dibattito su La7 tra Renzi e Zagrebelsky sulla riforma costituzionale si è concluso con un 2-0 per di Renzi; la seconda è che Zagrebelsky ritiene erroneamente che la “politica renziana tende all’oligarchia” e che l’errore è dovuto al fatto che il costituzionalista “forse non sa bene che cosa significhi oligarchia”.

Entrambe le tesi sono profondamente errate.

Quanto alla prima, è vero esattamente il contrario: alla competenza con cui il Presidente emerito della Consulta ha spiegato e dimostrato, con tono pacato e dialogante e con ineccepibili argomentazioni, i gravi errori della legge di riforma e i pericoli che corre la democrazia parlamentare ove la legge venisse approvata con il referendum, si è contrapposta la “spocchia”, l’arroganza e l’improvvisazione dell’istrione Renzi che ha eluso le domande, ha fatto la solita demogagia sui costi della politica, ha cercato – (egli che è il campione del trasformismo) – di trovare inesistenti contraddizioni nei ragionamenti lineari e coerenti dell’altro, lo ha irriso ripetendo beffardamente “io ho studiato sui suoi libri”, sicché quanto mai appropriato è l’invito a lui rivolto su questo giornale da Antonio Padellaro nell’articolo di domenica scorsa “La ‘coglionella’ del mellifluo rottamatore costituzionale”: “Se davvero qualcosa ha letto (e imparato) da Zagrebelsky cominci a esibire il suo libretto universitario e ci dia la possibilità di consultare la sua tesi di laurea. Con rispetto parlando”.

Quanto alla seconda tesi, Scalfari ci ha impartito una lezione su “che cosa significhi oligarchia”. È partito da Platone per passare a Pericle, alle Repubbliche Marinare e ai Comuni per arrivare nel “passato prossimo” alla Dc e al Pci fino a concludere che “oligarchia e democrazia sono la stessa cosa” e che “Renzi non è oligarchico, magari lo fosse ma ancora non lo è. Sta ancora nel cerchio magico dei suoi più stretti collaboratori. Credo e spero che alla fine senta la necessità di avere intorno a sé una classe dirigente che discute e a volte contrasti le sue decisioni e poi cercare la necessaria unità d’azione. Ci vuole appunto una oligarchia”.

Per anni è stato insegnato che l’oligarchia – e, cioè, “il comando di pochi” (“olìgoi” e “arché”), quel tipo di governo i cui poteri sono accentrati nelle mani di pochi – è qualcosa di molto diverso dalla democrazia, il “governo del popolo” (“dèmos” e “Kràtos”) che si esercita, negli Stati moderni, attraverso la rappresentanza parlamentare. Dall’Antichità al Medioevo, l’oligarchia è stata considerata dal pensiero politico (in primis Aristotele) una forma di governo “cattiva”. Parimenti, nell’età moderna e contemporanea si è rafforzata la tesi che un governo di pochi è un “cattivo” governo. Il sistema oligarchico è in antitesi a quello democratico.

Orbene, non vi è dubbio che nel nostro Paese il Parlamento sia stato, di fatto, esautorato dall’esecutivo che – legato a ben individuati “poteri forti” che hanno chiesto ed ottenuto norme riduttive dei diritti dei lavoratori – ha esteso sempre più la sua sfera di influenza sulla informazione, sui vertici della Pa, delle forze di sicurezza, e delle aziende pubbliche e pone sistematicamente in atto una campagna, da un lato, di disinformazione e, dall’altro, di propaganda ingannevole.

Il Fatto Quotidiano, nel febbraio di quest’anno (“Le Ragioni del no”, 9/2), denunciò che la riforma costituzionale e la nuova legge elettorale – le quali, nel loro perverso, inestricabile intreccio, riducono il ruolo dei contrappesi, azzerano la rappresentatività del Senato, sottraggono poteri alle Regioni, consentono ad una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unica rilevante (anche per la fiducia al Governo) di fronte ad un Senato delegittimato e composto della peggiore classe politica oggi esistente – avrebbero contribuito a portare a compimento un disegno autoritario diretto a concentrare tutto il potere nelle mani dell’esecutivo e, segnatamente, nel capo del Governo, (che da tempo è anche segretario del partito di maggioranza, e la doppia carica preoccupa), e di un gruppo di oligarchi da lui designati. Basti pensare a quei personaggi, ben noti, che lo stesso Scalfari inserisce nel c.d. “cerchio magico” di Renzi e che però, definisce, eufemisticamente, “i suoi più stretti collaboratori”.

Questo spiega la impropria discesa in campo degli oligarchi e del loro capo – (che si sarebbero dovuti astenere dal partecipare alla campagna referendaria) – ed il loro attivismo, (anche all’estero), ogni giorno sempre più frenetico, ossessivo, invasivo con la promessa – da veri imbonitori – di stabilità e benessere se vincerà il SÌ e con il prospettare catastrofi e caos nel caso opposto.

Solo votando NO sarà possibile evitare la deriva autoritaria.

Le autoelezioni che non se ne accorge nessuno. A proposito del Senato che vorrebbero.

Per chi continua a dire che il Senato immaginato dalla riforma Renzi-Boschi non sarà svilito dall’elezione indiretta vale la pena seguire le elezioni provinciali che si tengono in questi giorni e nessuno ne sa niente. Una campagna elettorale che è tutto un inciucio tra segreterie di partito e programmi politici di cui non si ha traccia. Come scrive oggi Il Fatto (qui):

«Nella Capitale, il cui consiglio è composto da 24 membri, sono in corsa 4 liste: Movimento 5 stelleLe Città della MetropoliPatto Civico Metropolitano e Territorio Protagonista. Gli elettori sono 1.647, ovvero i consiglieri e i sindaci eletti nei 121 comuni della provincia. La sindaca Raggi, la cui nomina è stata ufficializzata il 22 giugno, ha votato nel primo pomeriggio a Palazzo Valentini. Un appuntamento rispettato anche dal M5S, nonostante quest’ultimo abbia a lungo osteggiato la riforma.

A Milano, dove sono chiamati al voto i rappresentanti dei 134 Comuni della Città metropolitana, la scelta è tra cinque liste: C+ Milano MetropolitanaInsieme per la Città metropolitanaMovimento Movimento5stelle.itLa Città dei Comuni Lista civicaLega Nord Lega Lombarda Salvini. A Napolile liste sono 6: Napoli PopolareForza ItaliaPartito DemocraticoMovimento 5 stelleNoi SudCon de Magistris. Tre quelle in gara corsa  a Torino: Città di cittàLista civica per il territorioMovimento 5 stelle.

Sono chiamati alle urne anche a Bologna i sindaci e consiglieri comunali dei 55 Comuni del bolognese. Visto che la stragrande maggioranza di questi ultimi sono amministrati dal centrosinistra, il Pd dovrebbe raccogliere una larghissima fetta dei voti e, di conseguenza, avere la maggioranza nel consiglio metropolitano. Gli elettori sono 832 e votano per i candidati di quattro liste: Partito democraticoMovimento 5 StelleUniti per l’alternativa (centrodestra) e Rete civica. I prossimi appuntamenti: a Cagliari si vota il 23 ottobre mentre per Catania, Palermo e Messina la data scelta è quella del 20 novembre.»

Voi lo sapevate?

La necrofilia di quelli del SÌ: ora tocca anche a Giovanni Falcone

“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando c’è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare” disse Giovanni Falcone. Il giudice antimafia era convinto che la lotta alla criminalità organizzata avesse bisogno di una reale voglia di cambiamento.

Gli amici del PD di Ercolano invece evidentemente ci leggono un appoggio alla loro riforma costituzionale e così inseriscono la frase in bella mostra nel volantino del loro evento per il sì. Ci sarebbe da piangere se non fosse che non ne abbiamo il tempo. Noi, da parte nostre, per favore, rimaniamo seri. Grazie.