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Scuola

LEFT in edicola (da ieri!): cosa ci abbiamo messo dentro

Nell’ultimo numero di LEFT (è uscito ieri, eh, sono in ritardo io) ho avuto il piacere di intervistare Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, ma soprattutto un amico. E nella nostra chiacchierata ad un certo punto gli ho chiesto se nonostante tutto fosse ancora ottimista e mi ha dato una risposta che mi ha inchiodato alla sedia dicendomi più o meno “se era ottimista Paolo sapendo di dover morire io ho l’obbligo di essere ottimista”. Ecco. In questo tempo in cui tutti ci ordinano di essere ottimisti (pena: rientrare nella folta schiera dei gufi) le parole di Salvatore Borsellino sono il paradigma di come il “dovere dell’ottimismo” nasce dalle grandi idee e dalle grandi persone, mica dagli ordini di scuderia.

Per il resto c’è tanto spazio dedicato alla riforma della scuola (e alla sua infida “comunicazione”) e poi storie, tante storie. Di un mondo che (come scrive Ilaria) ha il dovere di proporre l’utopia.

Buona lettura. E fatemi sapere le vostre considerazioni, se volete, qui.

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Caro Renzi, hai costruito la scuola dei sogni di Comunione e Liberazione. Chapeau!

la-buona-scuolaLeggete cosa dichiara Lupi. E poi davvero magari smettetela di volervi rivendere come “centrosinistra”:

Scuola: Lupi, finalmente la vera parita’ scolastica (AGI)

“Grande soddisfazione” viene espressa da Maurizio Lupi, capogruppo di Area popolare alla Camera, per l’approvazione dell’articolo del disegno di legge sulla Buona Scuola che riconosce la detrazione dalla dichiarazione dei redditi di una parte della retta pagata dalle famiglie i cui figli frequentano le scuole paritarie. “Il riconoscimento sul piano fiscale afferma in modo definitivo il principio di un sistema pubblico a cui partecipano con uguale dignità scuole gestite dallo Stato e scuole gestite da soggetti privati. Con il voto della Camera oggi – prosegue Lupi – si è forse messa la parola fine a un conflitto ideologico ormai fuori dalla realtà di tutti i principali Paesi occidentali ma i cui rimasugli si sono visti oggi in Aula, prova ne sia il voto contrario, con le trite motivazioni sulla “svendita dell’educazione ai privati” e alle “scuole dei ricchi”, insieme a Sel e ai Cinque Stelle, di ben 36 deputati della sinistra del Partito democratico”.

Conosciamo – conclude – gli argomenti di chi, dall’altra parte, parla di esiguità del contributo riconosciuto alle famiglia, a costoro, con cui sono in parte d’accordo, ricordo l’importanza del riconoscimento del principio e la possibilità di miglioramenti futuri, ricordo inoltre che a questo si aggiungerà il bonus scuola che prevede vantaggi fiscali per chi finanzierà le scuole con donazioni – conclude Lupi – e che la detrazione non sostituisce bensì si assomma a tutti i provvedimenti a favore della libertà di scelta delle famiglie approvati in questi anni da varie regioni”.

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

Caro Renzi, ti risponde un insegnante

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Valerio Cuccaroni, insegna lettere ad Ancora. Insieme a centinaia di migliaia di colleghi ha ricevuto una mail da Renzi sulla sua “Buona Scuola”. Ecco cosa ha risposto, punto, su punto allo spot di governo:

Gen­ti­lis­simo Pre­si­dente del Con­si­glio, ritengo la sua let­tera, reca­pi­ta­taci mer­co­ledì, una forma di pro­pa­ganda, che, ammessa e com­pren­si­bile per un segre­ta­rio di par­tito in calo di con­sensi, non è ammis­si­bile né com­pren­si­bile per un Pre­si­dente del Con­si­glio, che ha tutti i mezzi per espri­mersi, senza dover inva­dere le caselle postali dei cit­ta­dini per con­vin­cerli a forza della bontà di un prov­ve­di­mento che man­tiene osti­na­ta­mente molti lati oscuri.

Al punto 1 della sua let­tera, in effetti, dimo­stra di igno­rare le richie­ste dei sin­da­cati, quindi dei rap­pre­sen­tanti di noi lavo­ra­tori della scuola, che chie­diamo in migliaia di stral­ciare dal dise­gno di legge il capi­tolo assun­zioni, per inse­rirlo in un appo­sito decreto legge che con il suo carat­tere d’urgenza darebbe la sicu­rezza delle assun­zioni. Per­ché tenerlo nel ddl, allora? Si tratta di un’evidente arma di ricatto, con cui il suo Governo cerca di divi­dere il fronte della protesta.

Al punto 4 dimo­stra di igno­rare ciò che avviene nei Paesi a cui dice di rifarsi. In Fran­cia il merito è pre­miato con scatti di car­riera, ma que­sti scatti sono deter­mi­nati da con­corsi pub­blici, non da chia­mate dirette di que­sto o quel pre­side. La Mini­stra Ste­fa­nia Gian­nini cono­sce come fun­zio­nano Capes e Agre­ga­tion in Fran­cia: per­ché non ha pro­po­sto un mec­ca­ni­smo con­cor­suale simile?

Al punto 5 non chia­ri­sce la più con­te­stata delle que­stioni, quella del pre­side, ma non rie­sce a con­te­nersi e alla fine della let­tera rivela la verità: Lei non demorde, con­ti­nua a insi­stere affin­ché il pre­side sia chia­mato a sce­gliere «tra vin­ci­tori di con­corso, in un ambito ter­ri­to­riale ristretto». Pre­si­dente, ma si rende conto? Crede che siamo dav­vero dei bab­bei? Chi è il pre­side per deci­dere quali sareb­bero i migliori inse­gnanti in tutte le disci­pline, un tut­to­logo? E chi garan­ti­sce sulla sua capa­cità di scegliere?

Lei ha per­sino l’ardire, Pre­si­dente, di umi­liarci, men­tre invade ino­pi­na­ta­mente le nostre caselle di posta, affer­mando che «la buona scuola c’è già. Siete voi. O meglio: siete molti tra voi, non tutti voi». Ammet­tiamo pure che sia vero: non tutti gli inse­gnanti sono bravi. A parte l’ovvietà della con­sta­ta­zione — tutti gli uomini sono forse alti, belli e forti? — essa afferma una verità che vale anche per i pre­sidi. Non tutti i pre­sidi sono bravi. Per la legge dei grandi numeri, però, è più facile tro­vare un inse­gnante bravo che un pre­side bravo, gen­ti­lis­simo Pre­si­dente. Rifletta su que­sto sem­plice dato. E se a sce­gliere gli inse­gnanti fosse un pre­side inca­pace? Chi risar­ci­rebbe gli inse­gnanti esclusi? Lei?

Ai punti 6 e 7 parla prima di coin­vol­gi­mento dei ragazzi nelle aziende, poi di edu­ca­zione alla cit­ta­di­nanza, dimo­strando come nella sua visione del mondo il com­pito di for­mare i cit­ta­dini debba essere assunto da una scuola azien­da­liz­zata, con i ragazzi che dovreb­bero essere per un certo periodo al ser­vi­zio delle aziende, pie­gan­dosi sin dall’età della for­ma­zione ai rap­porti di potere, men­tre un cit­ta­dino con­sa­pe­vole potrebbe anche con­te­stare que­sto ordine delle cose, imma­gi­nando un mondo, in cui sono le aziende che vanno a impa­rare nelle scuole come si governa in maniera col­le­giale un’organizzazione.

In ultimo, a «ognuno» di noi chiede di discu­tere: ora? Men­tre state varando la riforma? Ora Lei vor­rebbe farci cre­dere che ascol­terà «ognuno» di noi? Insomma, que­sto è troppo. Lei in que­sta let­tera dimo­stra di aver perso la bus­sola. È ora che lasci spa­zio a qual­cun altro che sap­pia rap­pre­sen­tare meglio quella «potenza super­cul­tu­rale» — ma forse voleva scri­vere «super­po­tenza cul­tu­rale», come ha soste­nuto nel video? — che è l’Italia.

Non le auguro buon lavoro, per­ché sarei un ipo­crita, visto che le ho appena chie­sto di dimettersi.

Con molta indignazione.

* docente di let­tere ad Ancona

(fonte)

A proposito dell’apertura sulla “Buona Scuola”

Alberto Irone ha incontrato rappresentanti del Governo per discutere della riforma della scuola. Ieri abbiamo letto di “aperture” e “consultazioni”. Ecco cosa scrive Alberto:

Durante l’incontro si sono evidenziate da più parti sia problematiche di metodo: è evidente, infatti, l’eccesso di delega al Governo sul DDL: è necessario stralciare le deleghe in quanto palesemente incostituzionali.

Ai nostri interlocutori “ritardatari” tra le questioni di merito abbiamo sollevato in maniera decisa la necessità di un’alternanza scuola lavoro di qualità fatta di tutele, l’innalzamento dell’obbligo scolastico ai 18 anni come strumento di contrasto all’abbandono scolastico che continua a crescere, l’importanza della rappresentanza studentesca e della valutazione.

L’esito dell’incontro insufficiente, sulla falsa riga delle “consultazioni” tanto sbandierate negli scorsi mesi dal Governo: l’unico punto in cui c’è stata apertura è la parte di riforma sugli organi collegiali.

Il resto è qui.

I numeri, i numeri, i numeri. E la riforma della scuola.

“Parlano i numeri” è una frase che renziani e renzini sventolano spesso come pietra tombale di discussioni non ben accette. I numeri impressionanti dello sciopero di oggi aprono due sole possibilità: che questo Paese abbia il 99% degli insegnati che sono imbecilli oppure che il Governo abbia proposto agli insegnanti una riforma imbecille. Tertium non datur.

Foto Daniele Leone / LaPresse 10/10/2014 Roma, Italia Cronaca Roma, Cortei degli studenti in occasione dello sciopero nazionale della scuolanella foto: momenti della mafifestazionePhoto Daniele Leone  / LaPresse10-10-2014 RomeStudent demonstration against Renzi 's governorin the picture: the demonstration
Foto Daniele Leone / LaPresse
10/10/2014 Roma, Italia
Roma, Cortei degli studenti in occasione dello sciopero nazionale della scuola.

Magari senza offenderli

Chissà se un giorno potremo davvero avere un Governo che non si preoccupi di offendere i manifestanti ma di discutere i contenuti del dissenso. Perché da noi non succede da un secolo eppure in giro per il mondo è cosa normale e democratica.

E perché, come scrive anche Pippo, nella tecnica dell’insulto preventivo destra e sinistra qui pari sono.

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Io non voglio pagare la scuola privata ai tuoi figli. E non mi fa risparmiare.

Un post quasi definitivo di Leonardo:

School_ChoiceCiao a tutti, mi chiamo Leonardo, ho un blog, e non mi va di pagare per la privata dei vostri figli. Chi mi conosce da un po’ di tempo lo sa – è una cosa che scrivo a intervalli regolari, più o meno ogni volta che qualche lobbista o politico di area cattolica bussa al governo con la mano sul cuore e l’altra tesa.

Stavolta però mi hanno letto in tantissimi, non so neanche io perché. Scherzi di facebook. Tra i tantissimi era normale che ci fosse anche qualche lettore che non la pensa come me. Qualcuno convinto che finanziare le scuole private coi miei soldi di contribuente sia una cosa buona e giusta – se non altro perché, pensate un po’, farebbe risparmiare allo Stato un sacco.

È in effetti una storia che ho sentito spesso. Siccome l’articolo 33 della Costituzione è chiarissimo (“Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”), l’unico sistema per aggirarlo è sostenere che le scuole private facciano addirittura risparmiare. Anche la recentissima letterina pubblicata su Avvenire e controfirmata da 44 parlamentari di area Pd spiega che il “sistema [delle private paritarie] costa allo stato solo 470 milioni di euro/anno [fonte?], pari a circa 450 euro/anno/alunno per la scuola dell’infanzia e primaria [fonte?], mentre lo stanziamento per le secondarie di I e di II grado è praticamente inesistente”. Siccome secondo il Ministero dell’Istruzione ogni studente costa allo stato 6000€ all’anno, il risparmio appare evidente.

Ma sarà vero?

Tanto per cominciare, mi piacerebbe sinceramente capire chi ha fatto il famoso conteggio dei 470 milioni di euro l’anno. Se è un dato vero, che problema c’è a citare la fonte? E invece nessuno la cita mai. Se la prendono con te che non sai l’aritmetica, ma non ti spiegano da dove loro hanno preso i dati. È curioso.

Ma anche volendo prendere per buono il dato dei 470 milioni di euro all’anno, qualcosa non mi torna – no, in generale non mi torna niente. È uno di quei problemi che sembrano appunto banalmente aritmetici e poi a guardarli bene non lo sono affatto. Un ente – non necessariamente una scuola – un qualsiasi ente che mi promette di farmi risparmiare se gli do dei soldi, mi lascia perplesso. Forse davvero non sono abbastanza intelligente da capire come funziona. Mi piacerebbe che qualcuno intervenisse qua sopra e me lo spiegasse. Finora non c’è riuscito nessuno, forse sono senza speranza.

Proviamo a capirci. Le scuole private esistono già. Se per assurdo scomparissero all’improvviso; se gli alunni fossero a causa di ciò costretti a iscriversi alle pubbliche, è chiaro che la spesa pubblica leviterebbe. Credo che sia appunto il caso che hanno in mente i 44 parlamentari quando parlano di un “risparmio evidente”. Ma è un caso abbastanza assurdo, no? Le scuole private esistono già, e tanti genitori ci manderanno comunque i loro figli. Che lo Stato li aiuti o no. Quale convenienza ha lo Stato ad aiutarli?

Gli studenti di queste scuole costano poco allo Stato – 5530€ in meno ad alunno, a dar retta ai vostri numeri. Sembra un bel risparmio, ma se aumentassimo il numero di posti, lo Stato risparmierebbe di più? Ne siete convinti? Io non ne sono del tutto convinto.

E se invece lo calassimo?
Partiamo da un presupposto: si tratta di scuole paritarie. Gli alunni che le frequentano dovrebbero essere in grado di sostenere gli stessi esami degli alunni che frequentano le statali. I pochi dati che abbiamo in riguardo non ci permettono di sostenere che le scuole paritarie finanziate dallo Stato offrano in media un servizio di qualità. A quanto pare per ora il servizio medio è inferiore a quello delle pubbliche – ma a parte questo: qualcuno si aspetta che le scuole paritarie costino di meno?

Da un punto di vista meramente economico non c’è nessun motivo perché ciò succeda. Anche se non è in grado di assicurare ai propri studenti un’istruzione dello stesso livello di quella delle scuole pubbliche, la scuola paritaria dovrebbe avere tutte le spese di quella pubblica. A meno di non credere alla favola del volontariato – ovvero: mi va bene se in cortile c’è un volontario che sta attento che i bambini non si ammazzino sull’altalena – ma se in classe c’è un volontario che insegna ai bambini l’inglese, non è un volontario. È un insegnante non abilitato e non pagato – oppure pagato poco e in nero. È schiavitù, al limite evasione fiscale – non volontariato. Siamo d’accordo su questo? Lo spero.

Dunque non si capisce effettivamente come possa una scuola paritaria costare ai genitori meno di una scuola pubblica. Quest’ultima, tra l’altro, facendo parte di un’enorme rete di scuole presenti in modo capillare sul territorio italiano, può ottenere diversi servizi a un prezzo di favore. Può selezionare insegnanti in tutto il territorio italiano mediante concorsi (anche se spesso non lo fa), razionalizzando una serie di risorse (mezzi di trasporto, personale non docente, cancelleria), con un’efficienza molto maggiore. È un po’ il motivo per cui la grande distribuzione può permettersi di tenere i costi più bassi di una bottega in centro. Per lo stesso motivo, ci si aspetterebbe che la scuola paritaria privata costasse al pubblico un po’ di più della scuola pubblica. E infatti è così.

Ma ad alcuni non va bene.
Vorrebbero pagarla di meno.
Vorrebbero che gliela pagassi un po’ io.

E se io smettessi di pagargliela?

Prendiamo per buoni i dati dei 44 parlamentari. Uno studente di privata costa allo Stato 470 euro? Ma se la scuola costa più o meno quanto quella pubblica (e davvero, non si capisce come potrebbe costargli di meno), questo significa che gli altri 5000 euro e rotti ce li mette il genitore. Abbiamo dunque davanti un genitore che è disponibile a sborsare 5000 euro all’anno per l’educazione di suo figlio, ma ne pretende 470 da me. Ma se smettessi di dargliene 470? Se gliene dessi soltanto, diciamo, 300? Lui toglierebbe suo figlio dalla privata paritaria? Secondo me no. Cioè, magari alcuni sì. Ma pochi. La maggior parte continuerebbe a iscriverlo alla privata, perché cosa sono in fondo i miei 470 rispetto ai suoi 5000?

Vedete come funzionano i numeri? Voi li usate per dirmi che i buoni scuola fanno risparmiare. Io vi prendo gli stessi numeri e vi dimostro che posso risparmiare ancora di più – se i buoni scuola ve li taglio a metà. Chi avrà ragione? Il dibattito è aperto.

“Prendete, per esempio, la questione del volontariato. L’istruzione di massa ha convinto il gonzo che lo stato non può – e forse neanche deve – far fronte ai bisogni essenziali dei miserabili, e che a questo può – addirittura preferibilmente deve – supplire l’attività benevolente del volontariato, che tuttavia non può farsene interamente carico, sicché necessita di un aiuto, e da chi se non dallo stato? Al gonzo si fa credere che questo si traduca comunque in un risparmio, e il gonzo, oggi, ci crede. Al gonzo d’una volta, invece, mancava il concetto di sussidiarietà: alla richiesta di denaro pubblico per fare beneficenza avrebbe drizzato le antennine, fottendosene altissimamente di poter apparire cinico, ancor meno di rivelarsi ignorante sul ruolo dei cosiddetti corpi intermedi. Il gonzo d’oggi non se lo può permettere” (Malvino)