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silvio berlusconi

Minetti, trota e tutto quell’inquinamento intellettuale lì. Per l’ultima volta.

Sì, me lo chiedete. Ho letto del ritorno di Berlusconi. E in fondo lo ripetevo come una litania (ma eravamo in tanti) ultimamente. E in fondo è la mossa che tutti sapevano, che qualcuno fingeva di contrastare e che mi ha sempre lasciato perplesso in alcune scelte degli amici del PD. Però oggi mi interessa altro: questi partiti che si ripuliscono così in fretta. Che a guardarli da fuori ti sembra un gesto da impuniti dell’etica e la morale.
La Lega caccia Renzo Bossi e in Lombardia si erge a moralista. Ci siamo puliti! Festeggiano, pure. E pensi che non possa bastare così poco. Che non sia possibile. Che non ci sarà nessuno che se la beve così facilmente, che la sottrazione di fondi pubblici (pubblici perché di tutti, mica della Lega, eh) non si possa lavare chiedendo al Trota di dimettersi e a suo padre Umberto Bossi di fare l’ammaestrato per qualche mese (perché tornerà anche lui, contateci).
Poi arriva Silvio e decide di fare fuori la Minetti. E pensi che in fondo l’analogia ci sta. Ma siccome Silvio è un fantasista di quelli che fa notizia anche se non tocca mai la palla (come quei talenti inespressi del calcio che chissà perché si sono comunque meritati l’etichetta di “talenti”) decide di chiedere alla sua amichetta del cuore di fare un passo indietro e che basti così.
Mentre l’Europa crolla, il lavoro scompare e i diritti si sgretolano.
Lui, Silvio, si toglie l’ammaliante sassolino dalla scarpa e basta così. Non finge nemmeno un periodo da mansueto in quinta alla Bossi, per intenderci.
E pensi che non possa essere possibile che qualcuno ci creda ancora. Poi guardi gli anni indietro. Però, ti dici, in fondo lì ce l’aveva fatta perché gli altri (cioè noi, di qua, nel centrosinistra) siamo stati sempre timidi e confusi. Timidi, poco credibili, indecisi e confusi.
Timidi, poco credibili, indecisi e confusi.
Timidi, poco credibili, indecisi e confusi.
E ti assale la paura.

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Casini ha detto sì

Ad un’alleanza con il PD perché la colpa è di Berlusconi, della sua deriva populista e perché Bersani invece è serio: lo dice oggi in un’intervista al Corriere Pierferdinando Casini, l’uomo della politica dei due forni di vecchio stampo andreottiano ma con molta meno arguzia. E poi qualche altra chicca: dice di volere costruire un’offerta nuova per il Paese (lui, che è in Parlamento dal 1983) e che il fatto che il consigliere del Quirinale parli con Mancino è la dimostrazione dell’umanità (dice così) all’interno delle istituzioni.

Vengono i brividi.

 

Sciacalli (politici) tra le macerie

Mentre tutti gli italiani sono concentrati sul dramma del terremoto in Emilia, e nonostante la recente bocciatura del Ministro Severino, zitto zitto il Pdlripresenta in parlamento l’emendamento “salva-Ruby“, roba di pochi minuti fa, modifica ad personam perfetta per “vanificare il processo milanese a carico di Silvio Berlusconi“, ancora una volta.
+++ martedì 29 maggio 2012 – ore 14:54 +++
CORRUZIONE: PDL RIPRESENTA EMENDAMENTO SISTO ‘ANTI-RUBY’ (ANSA) – ROMA, 29 MAG – Il Pdl ripresenta al ddl Anticorruzione l’emendamento ribattezzato ‘Anti-Ruby’ che potrebbe vanificare il processo milanese a carico di Berlusconi. La proposta di modifica, firmata da Francesco Paolo Sisto, invece di prevedere che il reato della concussione scatti in caso di scambio di «denaro o altra utilità» dà una scelta: ci potrebbe essere concussione o in caso di ‘utilità patrimoniale’ o di ‘vantaggio patrimoniale’.
(grazie a nonleggerlo)

Milano che (in politica) mangia i suoi figli

Da leggere e rifletterci.

Improvvisamente, nessuno (e siamo solo all’inizio di maggio) scommette più sul futuro politico di Roberto Formigoni, fino a ieri solidissimo governatore della Lombardia. Riuscirà a sopravvivere agli scandali (di notevole entità, peraltro: Mani Pulite capitalizzava un decimo di quanto hanno arraffato gli attuali – piissimi, cattolicissimi – consulenti della sanità lombarda)?

Cadrà per mano dei pubblici ministeri, o sarà semplicemente trascinato a fondo dalle sue vacanze troppo pacchiane? Trascinerà con sé in disgrazia anche il più potente movimento conservatore del cattolicesimo italiano, quella Comunione e Liberazione che lo ha messo alla guida della più ricca regione dell’Europa?

In attesa della risposta, c’è da rilevare una storia propria della città, una dura sequenza di fatti che non gioca a favore del futuro politico di Roberto Formigoni. La storia riguarda Milano, città in continua ebollizione, fantastica culla di movimenti politici, nutrice e sostenitrice degli stessi, ma capace anche di trasformarsi improvvisamente in nemica e di schiacciare chi aveva osannato, con decisione rapida e, come vedremo, con una certa crudeltà.

Negli ultimi cent’anni è successo a Benito Mussolini, a Bettino Craxi, a Silvio Berlusconi, a Umberto Bossi, e ora sembra proprio che tocchi al Governatore, detto anche «Il Celeste». Il quale sicuramente non si dispiacerà di essere finito in cotanta compagnia: lui che si lamenta dei cronisti, dei gossip, dei media, ancora non si rende conto di essere entrato nella Storia.

L’argomento, se ci pensiamo, è affascinante, come la città di cui parliamo. Prendiamo il primo esempio, vecchio ormai più di un secolo. Siamo nel marzo del 1919, Benito Mussolini è ancora uno stravagante ed eccentrico socialista, ma sa che se vuole sfondare deve farlo a Milano, perché è la città più moderna, più ricca, più sensibile. La città che sale, come l’ha definita un pittore futurista.

E così i suoi cento fondatori dei «Fasci di combattimento», che si riuniscono nella sede dell’Unione degli industriali di piazza San Sepolcro, ottengono proprio qui i primi finanziamenti e incoraggiamenti, che diventeranno sempre più cospicui, uniti a quelli degli agrari emiliani, specie quando i neonati fascisti incominceranno ad aggredire le Camere del Lavoro, a uccidere sindacalisti, a inaugurare la stagione dello squadrismo politico.

La borghesia milanese ha una vista lunga: dal momento che non vuole il bolscevismo in Italia, Benito Mussolini, con i suoi metodi, le va benissimo. La storia, come tutti sanno, finirà solo nel 1945. Ma sono importanti i dettagli. Distrutto dall’andamento della guerra, ormai orrenda marionetta di Hitler, Mussolini cercherà l’ultimo consenso proprio a Milano. Il 16 dicembre del 1944 il Duce parla al Teatro Lirico, stracolmo di folla ancora osannante (e ci voleva un bel fegato!).

È sicuro di poter ancora trovare una via d’uscita, una resistenza a nord del Po (a proposito: la Padania la inventò lui, in quell’occasione). L’aria è lugubre, quel giorno a Milano, ma la folla gli batte le mani. Nell’aprile del 1945 il suo cadavere penzolerà dalla struttura di un distributore di benzina in piazzale Loreto e i milanesi faranno a gara per farne scempio.

Curioso, vero? Appena quattro mesi dopo l’ultima investitura. Leo Valiani si chiese quanti di quelli che erano al Lirico erano anche a piazzale Loreto, ed era un’ottima domanda. Il giovane scrittore Oreste Del Buono si chiese invece se quelli che vi arrivarono non fossero chiamati per «l’estrema manifestazione indetta da Lui», cui non potevano sottrarsi. E Lui era uno che con i media ci sapeva fare.

Il fascismo, nato a Milano, morì a Milano. Durò vent’anni. Ma quel finale – wow!, chi non se lo ricorda! Da allora, nel linguaggio politico, quando sulla scena compare un avventuriero, quel distributore di benzina viene sempre evocato, essendo diventato una parte del carattere italiano. L’organizzata ferocia milanese contrapposta alla volubilità della plebe romana o alle imprevedibili esplosioni del Sud.

Secondo esempio, a dimostrazione di quanto Milano sia senza cuore, è il caso di Bettino Craxi. Leader di un partito socialista che è la principale anima storica della città, assume rilevanza nazionale a metà degli anni Settanta, quando si mette al centro della scena politica. A Milano regala sviluppo, soldi, spregiudicatezza, progresso (e ci mette la normale dose di corruzione di quei tempi, il 5 per cento) e la cosa dura fino al 1992.

Un attimo prima dell’inizio di Mani Pulite, Paolo Pillitteri sindaco (cognato di Bettino) aveva il consenso del settanta per cento dei milanesi, un mese dopo i milanesi inseguivano i craxiani con i forconi. Craxi capì subito, e nella sua Milano non abbozzò neppure una resistenza. Il craxismo era durato sedici anni, nato a Milano con concorso di popolo e borghesia, stroncato a Milano dalla Procura, con concorso di popolino e borghesia.

E Berlusconi, allora? Questi sono stati quasi vent’anni della nostra vita e li dobbiamo tutti a Milano, che ne accompagna l’ascesa come si fa per il figlio prediletto. È allegro, fa circolare il denaro, considera quasi un insulto il pagare le tasse, odia i lacci e lacciuoli intessuti dalla burocrazia, dalla Guardia di finanza, dai pretori; sopporta a malapena i sindacati; Milano apprezza la sua furbizia, la volgarità da nuovo ricco; lui fa divertire i cittadini dandogli la televisione gratis e una stellare squadra di football.

E quindi gli si perdona tutto: i fascisti sdoganati (Milano era una volta una città antifascista), la mafia portata in casa, la volgarissima vita privata e le spregiudicate alleanze politiche. Non c’è dubbio che Milano, nei suoi umori più profondi e più specifici l’abbia eletto coscientemente a proprio campione; ma, quasi ci fosse un sentire più profondo, è stata capace, cinicamente, di sciogliere unilateralmente il contratto.

Annebbiato dal suo formidabile successo, Berlusconi aveva scelto proprio Milano – e la piazza San Babila ricca di memorie fasciste – per proclamarsi, nel 2007, leader naturale di un «partito di tutto il popolo italiano» con una scenografia retro e vagamente lugubre – il famoso discorso «del predellino», denominazione abbastanza curiosa perché le automobili hanno smesso di avere il predellino a partire dagli Anni 40. Due anni dopo, ebbe un incontro ravvicinato con la città quando un invasato lo colpì al volto con una statuetta souvenir del Duomo; e da molti la cosa venne vista come un brutto presagio.

Si venne a sapere che la sua reggia, ad Arcore, era stata trasformata in una specie di bordello, dove il re senile era alla mercè di ogni ricatto, una specie di Salò pasoliniana. E così Milano si accorse che il tempo di Berlusconi era scaduto, non serviva più; e alle elezioni per il sindaco del 2011, la sconfitta gli arrivò come uno schianto.

Non c’era stato, naturalmente, un piazzale Loreto; ma un certo aspetto di gogna, anche fisica, Milano non gliela aveva risparmiata. Il berlusconismo era durato diciotto anni. Poco dopo venne il turno di Umberto Bossi, che Milano non aveva mai veramente sposato, ma accettato come un male necessario. Vent’anni anche per lui, comunque.

La vicenda attuale di Comunione e Liberazione (e del suo maggiore esponente politico, il governatore Roberto Formigoni), è invece più complessa e con radici più profonde e inaspettate. Caso pressoché unico, di fronte ai grandi cambiamenti del ’68, Milano reagì diventando la culla di un movimento religioso cattolico di stampo molto conservatore.

Cl, fondata da un insegnante di religione, don Luigi Giussani, allibito dall’idea che delle studentesse liceali potessero prendere la pillola, si poneva in contraddizione con la tradizione del cattolicesimo lombardo progressista, con il Vaticano post-conciliare, propugnando una visione della vita molto antimoderna, specie nella sfera sessuale, ma anche una militanza comunitaria, una messa in comune dei profitti delle attività collettive, una tensione di testimonianza cristiana.

Di nuovo, Milano. E non Roma, o Torino. (Milano, dove, nel ’68, si ebbe anche l’unico caso al mondo di un movimento studentesco che sfilava con decine di migliaia di ragazzi inalberando ritratti di Stalin e del suo capo dei servizi segreti, Beria). Cl incarnava uno spirito profondo di Milano? La città laica nascondeva un cuore religioso inaspettato? Evidentemente sì, se si pensa che Cl ha avuto negli ultimi quarant’anni un eccezionale sviluppo, ha conquistato un grande potere politico, ha creato una classe dirigente, si è proposta come modello economico.

Ora è nel bel mezzo di uno scandalo di cospicue dimensioni che la colpisce nella sua stessa essenza. Testimoni della cristianità ritrovata sono in carcere accusati delle più laica delle attività, la tangente e la corruzione; lo stile di vita è messo a dura prova dagli yacht, dalle giacche, dal narcisismo e dall’amore per il lusso del governatore Formigoni.

La città tratterà anche lui come un nuovo corpo estraneo? E in quale modo avverrà la rottura? È quello che sapremo, forse, nelle prossime settimane. E a quel punto la città, abituata al marketing, si guarderà intorno per trovare qualcuno che, almeno provvisoriamente, la rappresenti. È come una bestia curiosa, Milano, non può stare ferma per sua stessa natura. Ha traffici da gestire, grattacieli da costruire, un’infinità di commerci da portare avanti, immigrati da sfruttare, ma anche da accogliere, un arcigno Palazzo di

Giustizia da tenere a bada e con cui mettersi d’accordo, brevetti da catturare, un benessere diffuso da mantenere. Non ha mai veramente amato i leader politici che ha lanciato nell’arena, che pure ha votato e finanziato, e quindi non ha particolari rimorsi quando li fa cadere. È senza anima, Milano. Oppure, se volete, è la forma più avanzata di democrazia.

#occupykremlin 250 arresti da festeggiare con i vecchi amici

L’Eco di Mosca conferma i numeri: almeno 250 arresti tra i manifestanti del corteo contro Putin.
Come dice bene Andrea: andiamo avanti così. Domani Berlusconi arriva per festeggiare l’amico Putin con le bollicine tenute in fresco.
Da noi ne parleremo quando uscirà un bel film sul tema. Qui non vanno di moda le indignazioni e le solidarietà troppo contemporanee. Quelle le abbiamo delegate ai reality, evidentemente.

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Fanno politica per finta

Qualche giorno fa Roberto Maroni ci confessava beatamente che la Lega fingeva di essere xenofoba per racimolare voti ma che in fondo non ci credono troppo. Oggi Bossi ci dice che se il voto alle prossime amministrative andrà male torneranno con lo stesso Berlusconi con cui fingono di bisticciare un po’ dappertutto, Lombardia compresa. Sono all’opposizione per contarsi (dice Bossi) ma non ci credono molto: praticamente sono la stampella che finge di essere avversaria. Se fosse uno spettacolo teatrale Umberto Bossi e Roberto Maroni sarebbero i lestofanti che per tutta la serata stanno sulle palle a tutti gli spettatori ma si sopportano perché si sa bene che servono alla drammaturgia e allo svolgimento della storia. Invece siamo nel paese reale e la scenografia è un tracollo di diritti, di soldi, di speranze e di futuro e sembra una tragedia in 800 atti di cui non si vede la fine. Sarebbero anche da fischiare e cacciare a calci fuori dal palcoscenico – pensi – ma se escono i personaggi minori magari ci si accorge che in mezzo a tutti questi che fanno politica per finta ti sfugge chi ci sia per davvero. Senza recitazione, giochi di ruolo o trucchi populistici di chi mastica bene il mestiere. Dico: qualcuno che crede che la sua sia davvero una soluzione equa perché la crede equa e non perché è la soluzione che tiene buoni gli alleati, chi dice che le cause di questo disfacimento morale ce le ha bene in testa e non le lima per non sfiorare qualcuno dei suoi, chi ci dice  che vuole provare a costruire futuro in quella direzione perché è la strada per cui imbarcherebbe subito se stesso, la sua famiglia, i suoi figli.

E allora sicuramente Bossi (e molti altri) non avrebbero sempre quel sorriso di chi sa per certo che questo Monti è solo una pausa, piuttosto che la fine.

 

Il dito medio di Formigoni

Formigoni alza il dito medio ai contestatori che aspettano le dimissioni di Berlusconi e sfreccia via veloce. Il presunto statista di CL che aspira da una vita ad essere consistente si sbriciola davanti ai giornalisti e alle urla della gente. È la psicologia dell’uomo che si mostra alle inaugurazioni e ai suoi convegni ed è incapace di sostenere le proprie tesi di fronte alle critiche. I suoi comunicati stampa e le sue dichiarazioni degli ultimi mesi sono la fotografia del nulla sotto vuoto che vorrebbe fare il presidentissimo: parla di eccellenza lombarda, prova a posizionersi all’interno del proprio partito, chiede le primarie a chi gli ha rifilato l’igienista mentale fingendo di sapere cos’è la democrazia e poi ogni tanto tira un colpo al cerchio dando lezioni di sobrietà (lui, che si sposta in elicottero per essere puntuale e come un paperinik qualunque firma di nascosto la diaria senza essere in aula).
Eppure quel dito medio ci dice che il Formigoni celeste ha capito bene che ormai in troppi hanno affinato il fiuto per riconoscere i servi, le puttane e gli amici di troppi amici. E la maggioranza in aula di Regione Lombardia il presidente non ce l’ha più, e tanto meno l’aurea da autorevole amministratore che si è infilata in quel dito. Roberto Formigoni è l’eccellenza dell’epoca in cui per eccellere basta essere nulli: quella che premia parroci travestisti da sindaci (anche nel centrocentrosinistra più democratico) con il coraggio di un don Abbondio e con la politica che si fa più alle colazioni che dentro le aule.
Ora questo Consiglio Regionale non ha più senso di essere. E deve andare a casa. Perché anche qui ci sono i cuor di leone bipartisan che si arroccano per l’ultimo vitalizio e i quattro anni da nababbi ma il re lombardo è nudo. E (almeno in Lombardia) non ci vengano ad annoiare con la comoda bugia della responsabilità.

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Liveblogging seduta consiglio: la via crucis e i crocifissi

Mentre si consuma lo stillicidio di un Governo blasfemo si riunisce il Consiglio Regionale (tutti con l’orecchio su Roma). In giorni di disastro ideologico, lutti, crisi politica e di lavoro all’ordine del giorno abbiamo la proposta della Lega di rendere obbligatorio il crocifisso. Questo per dire quanto essere ‘casta’ significhi spesso essere semplicemente scollegati dal mondo. Qui o su twitter #openlombardia seguiamo la cronaca di una giornata che già nelle premesse è un po’ così.


Il sistema è salvo. Ma quale sistema?

Questa lettera ai potenti piace perché protegge le elite dominanti e disprezza la vita del 99% (o giù di lì) della popolazione. La sola speranza è che rimangano impegni presi sulla carta perché Berlusconi e i suoi ascari non hanno la forza per realizzarli. Speranza è anche che il futuro governo sappia fare di meglio. Ma più di un dubbio è autorizzato considerati i ripetuti applausi ricevuti dalle richieste delle autorità europee all’Italia. Anche dalle forze di opposizione, anche dai richiami rivolti agli opposti schieramenti politici dal presidente della repubblica. Berlusconi potrebbe essere sostituito con un governo tecnico che porti a compimento il massacro.  Perché, come si legge su Eddyburg, cane non morde cane.