Vai al contenuto

silvio berlusconi

Tutti a scopare con Silvio

23 ottobre del 2009, ore 17: 23. Maurizio Farina telefona a Valter Lavitola e i due, che lavorano assieme (per anni lAvanti! è stato stampato proprio dal gruppo Farina) e che condividono la passione per la caccia, finiscono per parlare dei “mercoledì sera” con il presidente del Consiglio.

V – Pronto?
M – Pronto Valter, sono Maurizio.
V – Agli ordini….
M – Agli ordini? Tu sei l´uomo più potente d´Italia! Sei amico di Silvio, scusami!
V – No, no, amico di Mario e Maurizio (fratelli Farina, ndr), eeeh…(ride)
M – Senti, quando andate a scopà il mercoledì sera con Silvio perché non me chiamate qualche volta pure a me?
V – Ma zitto, ma tu scherzi… Invece, una volta quando dicevi che andavi dal presidente era una cosa che ti gratificava… Mo´ non puoi andare se no (le donne a casa, ndr) ti menano…
M – (ride)
V – Davvero! Ci puoi andare fino all´ora di cena, dopo cena no… (ride)
M – Mettono tutti fuori mettono… (ride). Senti mi dispiace ma per domani non ce la facciamo (ad andare a caccia, ndr) domenica mattina.
V – Va bene, ok mò lo chiamo e glielo dico.

L’idiosincrasia per le donne, le macerie e il Nobel

In Parlamento invitano una deputata “a farsi scopare, B. riunisce in crocchio i suoi camerieri schiacciabottoni per raccontare l’ultima barzelletta aprisinapsi e lancia il partito della gnocca. E il timore più buio è quello di scoprirsi impermeabili alla sconcezza che non sta solo nelle parole ma nell’immoralità esibita come un vanto, è la distanza culturale che stiamo accumulando verso il basso dal resto del mondo spinta in un gorgo dove stiamo con i disadattati culturali, gli ignoranti fieri, i persecutori del bello per vendetta sui propri limiti. La sfida è politica nel senso meno istituzionale e amministrativo di questi ultimi cinquant’anni: la resistenza sta nel ricordare, studiare e tramandare i limiti della decenza e della tollerabilità come ossigeno necessario per non marcire. Forse non si tratta nemmeno più di alfabetizzare al senso comune, oggi c’è proprio da stringersi per fotografare leggi e valori e chiuderli nel cassetto della cucina per non essere complici di questi anni di dispersione.

Se fosse un gioco di segni più o di segni meno, mi terrorizza (senza iperbole, perché è proprio terrore di non essere all’altezza) l’idea di non riuscire nemmeno a ricordarci tutti i nei da correggere, i commi da ricancellare, le parole da recuperare, di non essere più capaci di ricostruire almeno quello che è Stato. Per quanto possiamo eleggerci sentinelle siamo tutti sotto il pericolo cruciale dell’ammaestramento.

E lì fuori, dove l’economia arranca come da noi ma è uno scoglio collettivo, dove le leggi ‘bucano’ come da noi ma sono opportunità in continua evoluzione, dove i governi sbagliano come da noi ma sono obbligati al tessuto democratico, lì fuori si prendono il Nobel tre donne tre “per la loro lotta non violenta per la salvezza delle donne e per i diritti di partecipazione delle donne in un processo di pace”. Mentre questi quattro stracci parlamentari starnazzano di puttane, scopabili e barzellette, Ellen Johnson-SirleaLeymah Gbowee e Tawakkul Karman vengono premiate “per il rafforzamento del ruolo delle donne, in particolare nei paesi in via di sviluppo”. Però per essere un paese in via di sviluppo bisogna essere inferiori ma responsabilmente impegnati, potenziali e volenterosi: e allora noi non siamo un paese in via di sviluppo.

pubblicato su ILFATTO QUOTIDIANO

Il doppio rischio del declassamento italiano

Forse ci si vede con i contorni definiti appena si riesce a fare due passi più lontano. Almeno per non rimanere invischiati in questa melma dove non se,bra impossibile separare il lecito dall’illecito, la politica dalla prostituzione e la corruzione dal governo. E allora succede che basta leggere El Pais (da noi, dove al bar si vedono in tanti intenti a sfogliare le pagine dello sport e i trafiletti della cronaca locale) per ritrovarci in tutta la nostra banalità. Che, almeno, dovrebbe avere di buono di chiederci di stare o di qua o di là. Prima ancora di tutto il resto. E senza paura di essere raccontati come monotematici. Dal momento che l’Italia ha due premi per il rischio (un premio e il suo primo ministro), sarebbe adeguato preparare due piani di salvataggio. Il primo, quello del risanamento economico; il secondo e più importante, il recupero della credibilità sociale con un processo pubblico contro Berlusconi, come una causa generale che coinvolga tutta la società italiana. Senza una tale impresa di disinfestazione, l’Italia non ha futuro. Dai tempi dei Borgia nessuno aveva degradato tanto la politica italiana come Don Silvio; e si consideri che l’avevano degradata parecchio. (l’articolo El ‘primo’ de riesco, EL PAIS)

Le soddisfazioni a stelle e striscie di Mister B.

Non viviamo in un momento particolarmente brillante per quanto riguarda la leadership nel panorama internazionale. Mediocrità, timidezza e scarse prestazioni si trovano di continente in continente. Anche tralasciando i leader dei paesi in via di sviluppo che affrontano le particolari sfide legate alla povertà, gli stati falliti o in difficoltà e le relative tensioni sociali e politiche, troviamo i paesi più grandi e prosperosi del mondo alla deriva e con un ampio margine di miglioramento. […] Ora, Silvio Berlusconi non ha cercato di schiacciare il popolo d’Italia alla sua volontà nè ha, nonostante una fedina penale impressionante, supportato terroristi. Detto questo, nel corso degli anni egli ha creato un caso che lo rende, tra i leader più importanti del mondo, forse il più grande imbarazzo per il proprio paese. Non basta aver dimostrato che per l’impero economico da lui costruito si sia impegnato in una vasta gamma di pratiche discutibili. Non basta neppure che sia stato al centro di una serie costante di squallidi scandali. O che abbia regolarmente fatto dichiarazioni pubbliche razziste, poco diplomatiche o semplicemente inadeguate alla carica che gli è stata affidata. Non basta neanche che abbia trascinato l’Italia sotto terra, sull’orlo di un disastro economico che letteralmente minaccia non solo il futuro del suo popolo, ma anche il destino dalla zona euro e, di fatto, dell’intera economia internazionale. (Anche se, bisogna ammetterlo, tutto questo costituisce un caso piuttosto convincente per includerlo alla fine o vicino alla fine della nostra lista.) […] Immaginate quanto tempo un presidente degli Stati Uniti sarebbe restato in carica se avesse definito gli Stati Uniti un “paese di merda”. [Articolo originale “”Is Silvio Berlusconi the worst leader of a major country in the world?”” di David J. Rothkopf]

Un profeta di m.

Era il maggio 2010, al 28esimo vertice Italia-Francia il Premier Berlusconi dichiarava:

“Queste centrali sono assolutamente sicure”; inoltre, aggiungeva, il presidente Sarkozy gli ha ricordato che molte delle centrali francesi sono situate vicino al confine con l’Italia, e che quindi “un’eventuale ma impensabile momento di pericolo da parte di queste centrali ricadrebbe in maniera assoluta anche sulle popolazioni italiane”.

Si sbilancia anche la Svizzera

Sull’imbecillità di questa manovra anche gli svizzeri perdono il loro leggendario aplomb. Ora Berlusconi cerca – improvvisamente – di spacciarsi per un grande statista, che, per salvare la nazione dalla cattive conseguenze della speculazione e della crisi causata dall’estero, persegue un programma di draconiana austerità. E non si ferma nemmeno davanti alla bugia che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani e quindi che avrebbe fatto ricorso al «contributo di solidarietà» previsto inizialmente per i redditi più alti. In realtà il «piano di austerity» procede non solo con massicci tagli alla spesa pubblica, ma, soprattutto, con le entrate fiscali. Se volete farvi del male l’articolo completo lo potete leggere qui.

La coerenza dei servi

Quando si mette in discussione è la lampadina del tonfo che verrà. “Non mi sognerei mai di mettere becco nel suo modo di divertirsi, di stare con le donne, di considerare amici e amiche nelle ore libere, vorrei anche vedere” (Il Foglio, 1.11.2010). Oggi, si legge “dovrebbe vivere con intorno un mucchio di gente seria e responsabile, e ce n’è parecchia tra i suoi collaboratori, che abbia il potere di dirgli no, quella telefonata non la deve prendere, no, quell’operazione sottopelle è troppo a rischio, no, quello non è un tipo affidabile”(Il Foglio, 4.9.2011). (Grazie a Malvino per la segnalazione)

Le prime due vittime della manovra bis

Sono la chimera del ‘federalismo’ e la credibilità di mister B. che è sceso (e rimasto) in campo al grido ‘meno tasse per tutti’ fino a qualche giorno fa. Il funerale del cosiddetto ‘federalismo’ l’ha celebrato (per uno scherzo del destino) proprio il lombardissimo Formigoni che ha perso il suo abituale aplomb e dichiarato guerra al governo centrale (ma si sa, le guerre da quelle parti durano il tempo delle prossime prebende). La fine di B. La racconta bene Sergio Rizzo sul Corriere: non più tardi del 3 agosto, davanti ai deputati, il Cavaliere prometteva «un regime di tassazione più favorevole alle famiglie, al lavoro e all’impresa». Promessa sempre più pallida e sbiadita, ora mandata in frantumi dalla lettera della Banca centrale europea. Che ha consegnato Silvio Berlusconi alla legge del contrappasso: quella per cui l’uomo che ha vinto tre elezioni dichiarando guerra alle tasse garantendo che non avrebbe mai messo «le mani nelle tasche degli italiani», ora in quelle tasche dovrà rovistarci a fondo.
maligni diranno adesso che almeno poteva risparmiarselo. Ieri lo attaccava perfino Libero , quotidiano berlusconiano a quattro ruote motrici. La parola «Tradimento» campeggiava sul titolo in prima pagina. E dentro, la pugnalata: un manifesto del Cavaliere sorridente (era la campagna elettorale del 2001) a fianco della scritta «Meno tasse per tutti».
ià, il mitico 2001. Ricordate il contratto con gli italiani firmato a Porta a Porta? «Abbattimento della pressione fiscale», c’era scritto testualmente, «con l’esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui; con la riduzione al 23% per i redditi fino a 200 milioni di lire annui; con la riduzione al 33% per i redditi sopra i 200 milioni di lire annui». Sette anni prima aveva sbaragliato la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto garantendo la rivoluzione dell’aliquota unica al 33% sognata da Antonio Martino. Ma il suo governo era durato troppo poco. Senza perdersi d’animo, dall’opposizione aveva continuato a martellare
.