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silvio berlusconi

Berlusconi ha già cominciato la campagna acquisti. Il prossimo centrodestra è già putrido

“Non si dice mai di no a chi dice ‘Sottoscrivo il vostro programma’. Noi saremmo molto convenienti per loro perché potrebbero incassare interamente l’indennità parlamentare”: la frase è stata pronunciata da Silvio Berlusconi durante un’intervista al Corriere della Sera e i “loro” di cui parla sono i transfughi del Movimento 5 Stelle che, nonostante siano stati “espulsi” dal Movimento, saranno eletti (per merito di una pessima legge elettorale, giova ricordarlo) e andranno a rimpinguare un Gruppo misto che si preannuncia già folto fin dall’inizio della legislatura.

Stiamo parlando (per ora) di sei persone coinvolte nel cosiddetto caso “rimborsopoli”: Maurizio Buccarella, in lista al secondo posto per il Senato nel collegio Puglia 2; Carlo Martelli, al primo posto per il Senato nel collegio Piemonte 2; Elisa Bulgarelli, al terzo posto nel collegio Emilia Romagna 1 per il Senato; Andrea Cecconi, al primo posto per il collegio Marche 2 per la Camera; Silvia Benedetti, al primo posto in un collegio veneto per la Camera; Emanuele Cozzolino, al terzo posto in un altro collegio veneto sempre per Montecitorio; dei quattro candidati “massoni” (Piero Landi, candidato a Lucca; Catello Vitiello a Castellammare di Stabia, David Zanforlin a Ravenna e Bruno Azzerboni a Reggio Calabria), di Emanuele Dessì (amico del clan Spada e in affitto in una casa popolare a 7 euro al mese e candidato al Senato nel collegio Lazio 3, al secondo posto).

Ma non è questione solo di candidature sbagliate: qui si tratta di un recidivo (Berlusconi) che sfrontatamente dichiara di avere aperto la campagna acquisti per ambire a un gruppo parlamentare già dopato indipendentemente dal risultato elettorale. È il solito Berlusconi, quello pessimo a cui la storia ci ha abituato, quello che la Lorenzin e la Bonino da sinistra dichiarano come prossimo alleato naturale in nome della responsabilità. È lo stesso disco. Rotto. Vecchio. E quasi nessuno si indigna.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/02/21/berlusconi-ha-gia-cominciato-la-campagna-acquisti-il-prossimo-centrodestra-e-gia-putrido/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

Siamo sempre qui: Dell’Utri e Berlusconi indagati per le stragi del 1993

Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono di nuovo indagati come possibili mandanti delle stragi di mafia del 1993. La Procura di Firenze ha chiesto e ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo a loro carico dopo aver ricevuto da Palermo le intercettazioni del colloqui in carcere del boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Sono i colloqui in cui il capomafia di Brancaccio diceva al suo compagno di detenzione, nell’aprile 2016, spezzoni di frasi come queste: «Novantadue già voleva scendere… e voleva tutto»; e ancora: «Berlusca… mi ha chiesto questa cortesia… (…) Ero convinto che Berlusconi vinceva le elezioni … in Sicilia … In mezzo la strada era Berlusca… lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi… lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa…».

 

«Ti ho portato benessere»

 

Frammenti di conversazione, nei quali i riferimenti al fondatore di Forza Italia seppure in un contesto di non facile interpretazione, sono abbastanza chiari. «Nel ‘94 lui si è ubriacato perché lui dice ma io non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato… Pigliò le distanze e fatto il traditore», dice ancora il boss condannato all’ergastolo per le stragi del ‘92 e del ‘93, arrestato a Milano nel gennaio 1994 , che in un altro passaggio afferma: «Venticinque anni fa mi sono seduto con te…Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, tu cominci a pugnalarmi… Ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste…».

 

Identità coperte

 

Su questi e altri brani di intercettazioni ricevute dai colleghi palermitani, il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo ha delegato alla polizia giudiziaria lo svolgimento di alcune verifiche, e per farlo ha dovuto chiedere al gip di riaprire il fascicolo su Berlusconi e le stragi nella città dove sono concentrate le indagini sulle bombe del 1993 scoppiate a Firenze, Roma e Milano. I nomi dell’ex premier e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri (che pure compare nei colloqui intercettati di Graviano, ed è attualmente in carcere per scontare una condanna a sette anni per concorso esterna in associazione mafiosa) sono stati iscritti con intestazioni che dovrebbero coprirne l’identità, come nelle altre occasioni.

 

Le confidenze di Graviano

 

È la terza volta, infatti, che si apre questo filone di accertamenti. Nella prima occasione «autore 1» e «autore 2», gli alias dei due esponenti politici, furono inseriti dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti come Salvatore Cancemi e altri, che parlarono del loro coinvolgimento nella metà degli anni Novanta, ma tutto finì con un’archiviazione. La seconda fu nel 2008, dopo le confessioni del nuovo collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, giudicato attendibile in molte corti d’assise e da ultimo dalla Corte di cassazione che ha confermato alcune ulteriori condanne per la strage di Capaci; Spatuzza raccontò le confidenze fattegli proprio da Giuseppe Graviano, il quale gli disse che grazie all’accordo con Berlusconi e Dell’Utri «ci siamo messi il Paese nelle mani». Anche questa seconda indagine è stata archiviata.

 

Facoltà di non rispondere

 

Ora non c’è un pentito che parla, ma sono state le parole dello stesso Graviano a far riaprire l’inchiesta, sebbene sia molto difficile che a distanza di tanto tempo possa portare a qualcosa di concreto. Al processo di Palermo, chiamato a spiegare le sue parole registrate in carcere, Graviano ha preferito tacere e s’è avvalso della facoltà di non rispondere. E ieri, a Reggio Calabria, è cominciato il processo a suo carico per l’uccisione di due carabinieri nel gennaio ’94: un altro pezzo della presunta trattativa che avrebbe coinvolto anche la ‘ndrangheta.

(fonte)

Riecco Briatore: «L’unica ricetta è il Renzusconi. O diventeremo un paese di serie B»

Se dovesse scegliere lui, proporrebbe il “Renzusconi”. Flavio Briatore, in un’intervista al Fatto Quotidiano, racconta la sua visione di Italia futura e di governo in cui racconta di sognare un Belpaese con Berlusconi presidente e Renzi al suo fianco.

Il presidente è un grande, e Matteo ha un piglio che pochi possono vantare. Vedo bene una loro società.

Una Srl, una SpA?

Italia SpA. Presidente Berlusconi, Amministratore delegato Renzi. Non ce n’è per nessuno.

Un manager operativo e un presidente di fortissimo carisma.

Silvio ritorna sempre. È intramontabile.

Briatore consulente.

La burocrazia massacra. Vai al governo e ti perdi nei commi e nei codicilli. Non si può continuare così. L’Italia sta arretrando, sta divenendo un paese di serie B, nessuno ci fila più.

Briatore consulente del governo Renzusconi.

Tre cose fondamentali. Abbassare il costo del lavoro, azzopparlo, spianarlo.

Governo di rottura.

Un dipendente che guadagna 2.500 euro mi deve costare al massimo 3.000 euro. Prima riforma da fare immediatamente.

Seconda riforma.

Flat tax. Stessa tassa uguale per tutti.

Salvini la pensa così. Sei ricco o povero, è uguale.

Il 28 per cento pago io e il 28 per cento paghi tu.

Al Fatto, parlando del suo futuro e quello del governo, Briatore chiosa sostenendo che il Renzusconi è “L’unica possibilità, l’ultima per l’Italia. Mi piace l’uno e mi piace l’altro. Il vecchio e il giovane. Due vincenti”

(fonte)

A proposito di patti di governo: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Stragi ’93? Non era la mafia” dice Graviano in carcere

Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“. E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”. La voce del boss Giuseppe Graviano irrompe nel processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Ore e ore di intercettazioni in cui il padrino di Brancaccio parla della Trattativa per alleggerire le condizioni carcerarie dei detenuti mafiosi, tirando in ballo direttamente  Silvio Berlusconi, al quale sembra sembra voler attribuire il ruolo di mandante delle stragi del 1993.  “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa”, dice intercettato nel carcere di Ascoli il 10 aprile del 2016, mentre parla col compagno di ora d’aria, Umberto Adinolfi, camorrista di San Marzano sul Sarno.

Anche Graviano indagato – Trentadue conversazioni, registrate durante le ore di socialità condivise dai due detenuti nel carcere marchigiano tra il marzo 2016  e l’aprile del 2017 che adesso sono finite agli atti del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. A depositarle il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Del Bene e Roberto Tartaglia, che hanno iscritto il nome del boss di Brancaccio nel registro degli indagati con le accuse di minaccia a corpo politico dello Stato in concorso con altri boss. È lo stesso reato contestato ai dieci imputati del processo sulla Trattativa. Secondo gli inquirenti le parole di Graviano rappresentano un elemento di prova nel procedimento attualmente in corso davanti alla corte d’assise di Palermo. Durante la sua ora di socialità, infatti, il boss di Brancaccio parla delle stragi del 1993, del 41 bis, dei dialoghi con le istituzioni. Ma soprattutto parla di una persona, parla di Silvio Berlusconi.

“La cortesia al Berlusca” – “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia: per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“, dice Graviano: per i pm allude all’intenzione di Berlusconi di entrare in politica già nel  1992. Una frase che sempre gli investigatori interpretano come la necessità di un gesto forte in grado di sovvertire l’ordine del Paese. Come una strage appunto. Impossibile infatti non ricollegare quella “cortesia” fatta con “urgenza” al “colpetto” che secondo il pentito Gaspare Spatuzza si doveva dare per ordine dello stesso Graviano. Il collaboratore ha raccontato di aver incontrato il suo capomafia a Roma il 21 gennaio 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia. Quindi mi spiega che grazie a queste persone di fiducia che avevano portato a buon fine questa situazione, che non erano come quei quattro crasti dei socialisti”.

Il colpetto in via Veneto – A quel punto arriva la richiesta: “Graviano mi dice che l’attentato ai carabinieri si deve fare lo stesso perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia“. Il riferimento è all’attentato allo stadio Olimpico contro il pullman dei carabinieri che gestiscono il servizio d’ordine pubblico durante le partite di calcio. Sarebbe stata l’ennesima strage di quel biennio ma fortunatamente alla fine era saltata a causa di un guasto al telecomando collegato all’autobomba. È quella la “cortesia” che Graviano sostiene di avere fatto a Berlusconi? Impossibile dirlo. È un fatto però che nello stesso periodo in cui Graviano incontra Spatuzza a Roma, Marcello Dell’Utri si trova nella capitale a pochi metri dal bar Doney di via Veneto: il 22 gennaio 1994, infatti, era in programma una convention di Forza Italia all’hotel Majestic, sempre in via Veneto e secondo gli accertamenti della Dia l’arrivo di Dell’Utri in albergo è registrato il 18 gennaio. È possibile che Graviano abbia incontrato Dell’Utri negli stessi giorni in cui dava quegli ordini a Spatuzza?

“Silvio traditore: gli faccio fare una mala vecchiaia” – Di sicuro c’è solo che pochi giorni dopo – il 27 gennaio del 1994 –  il boss di Brancaccio viene arrestato a Milano. Intercettato in carcere Graviano oggi prova sentimenti di vendetta nei confronti dell’ex cavaliere.  “Berlusconi – dice – quando ha iniziato negli anni ’70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore“. Un concetto – quello del tradimento – sul quale Graviano torna più volte. “Venticinque anni mi sono seduto con te, giusto? – dice in un altro passaggio delle intercettazioni – Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo, perché sa il mio carattere. Perché tu lo sai che io mi sto facendo, mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi: alle buttane  glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, i giorni passano, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera“. Quindi il mafioso stragista continua:  “Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia. Pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“.

“Stragi ’93 non erano mafiose” – Già le cose vergognose. Graviano parla anche di quelle. “Poi nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Allora il governo ha deciso di allentare il 41 bis, poi è la situazione che hanno levato pure i 450″, dice il boss intercettato. Per i pm è un passaggio che dimostra come tra gli oggetti della cosiddetta Trattativa ci fosse l’allentamento del carcere duro: in cambio Cosa nostra avrebbe fatto cessare le stragi. E a questo proposito il boss ricorda il suo soggiorno nel supercarcere di Pianosa. “Pure che stavi morendo dovevi uscire e c’era un cordone, tu dovevi passare nel mezzo e correre. Loro buttavano acqua e sapone”. Una condizione che in passato era stata alleggerita. “Andavano alleggerendo del tutto il 41 bis – dice il boss – Se non succedeva più niente, non ti toccavano, nel ’93 le cose migliorarono tutto di un colpo”.

“Non avrebbero resistito a colpo di Stato” – “Graviano commenta anche quanto accaduto la notte del 27 luglio 1993, cioè la notte degli attentati contemporanei al Padiglione di arte contemporanea di Milano e alle basiliche di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro, a Roma. Si temette un golpe anche perché i telefoni di Palazzo Chigi rimasero del tutto isolati per alcune ore. “Quella notte si sono spaventati, un colpo di Stato, il colpo di Stato e Ciampi è andato subito a Palazzo Chigi assieme ai suoi vertici, fanno il colpo di Stato. Loro, loro hanno voluto nemmeno la resistenza, non volevano nemmeno resistere. Avevano deciso già… In quel periodo il 41 bis è stato modificato e 300 di loro…”. Nel novembre del ’93, in effetti, l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso decise di non prorogare il ‘carcere durò per oltre 300 detenuti, quelli indicati dal boss Graviano nella intercettazione con Adinolfi.

“Ho messo incinta mia moglie al 41 bis” – Ma in carcere il boss parla anche di altro. Si lascia andare a confidenze e persino a vanterie. Come quando sostiene di avere messo incinta la moglie durante la detenzione al carcere duro. Alla donna sarebbe stato permesso di entrare nell’istituto di pena e stare col marito. È lo stesso Graviano a raccontarlo a un compagno di detenzione.”Dormivamo nella cella assieme“, dice Graviano.”Mio figlio è nato nel ’97 – racconta Graviano – ed io nel ’96 ero in mano loro, i Gom (gli agenti di polizia penitenziaria ndr)”.  “Ti debbo fare una confidenza – prosegue il boss – prima di nascere il bambino, prima di incontrarmi con mia moglie, siccome una cosa del genere mi era successa in altre occasioni pure, io ho detto: no ci devo provare. Io sapevo che doveva venire la situazione, io tremavo…nascosta poi ad un certo punto … nascosta ni robbi (nascosta nella biancheria ndr) e dormivamo nella cella assieme. Cose da pazzi, tremavo. Quando è uscita incinta mi è finito quel tremolizzo, l’ansia che avevo”. Ufficialmente per la verità il figlio di Graviano sarebbe nato in provetta. Nel 1996 Giuseppe e Filippo Graviano  – detenuti al 41 bis già dal 1994 – sarebbero riusciti a fare uscire dal carcere le provette con il proprio liquido seminale, senza alcuna autorizzazione. Le loro mogli, Rosalia e Francesca, partorirono due bambini nati a distanza di un mese l’uno dall’altro. Una versione – quello del figlio in provetta – che viene adesso messa in dubbio da Graviano.

Graviano ai pm: “Non rispondo però vi verrò a cercare”- Il 28 marzo scorso, i pm della procura di Palermo sono andati a interrogare Graviano in carcere per contestargli le parole intercettate durante le due ore di socialità. “Quando sarò in condizioni sarò io stesso a cercarci e a chiarire alcune cose che mi avete detto”, ha detto il boss che si è avvalso della facoltà di non rispondere a causa delle sue “condizioni di salute che oggi non mi consentono di potere sostenere un interrogatorio così importante ed anche a causa del mio stato psicologico derivante dalle condizioni carcerarie che mi trovo costretto a vivere”. “Io – ha detto Graviano ai pm – sono distrutto psicologicamente e fisicamente con tutte le malattie che ho, perché da 24 anni subisco vessazioni denunciate alle procure e le procure niente. Da quando mi è arrivato questo avviso di garanzia, entrano in stanza, mi mettono tutto sottosopra. I documenti processuali sono strappati. Mi hanno fatto la risonanza magnetica perché mentre cammino perdo l’equilibrio e hanno trovato una patologia che mi porterà a perdere la memoria, sarà tra cinque o dieci anni. Io assumo ogni giorno cinque capsule di antidepressivi, solo di antidepressivi e subisco vessazioni dalla mattina alla sera. Entrano in stanza e mi fanno tre perquisizioni a settimana”.

Ghedini: “Parole destituite di fondamento” – Alle intercettazioni di Graviano replica l’avvocato Niccolò Ghedini, legale dell’ex cavaliere. “Dalle intercettazioni ambientali di Giuseppe Graviano –  dice l’avvocato –  depositate dalla Procura di Palermo, composte da migliaia di pagine, corrispondenti a centinaia di ore di captazioni, vengono enucleate poche parole decontestualizzate che si riferirebbero asseritamente a Berlusconi. Tale interpretazione è destituita di ogni fondamento non avendo mai avuto alcun contatto il Presidente Berlusconi né diretto né indiretto con il signor Graviano”.

(fonte)

Il patto Renzi-Berlusconi è qualcosa di più di un’ipotesi

Anche se gli amici del PD insistono nel volerci convincere che l’avvicinamento Renzi-Berlusconi sia solo figlio di malelingue e limitato all’accordo sulla legge elettorale i segnali che vanno nella direzione di un “governo della responsabilità”. E allora vale la pena leggere un paio di articoli, tanto per cominciare. E capire.

La prima è una Dagonota che, anche se ironica, meriterebbe di essere presa sul serio:

Il cazzaro Renzi, la “sindrome di Craxi”, il Rosatello elettorale (annacquato) alla tedesca e uno scenario post voto che evoca il brumaio rivoluzionario del Novantadue italiano. Anche alla vigilia di Tangentopoli il leader del Psi era convinto di poter tornare a palazzo Chigi nella primavera del ’92 nonostante la sconfitta subita l’anno prima sul referendum istituzionale sulla preferenza unica indetto da Mariotto Segni.

Con Bettino, novello Garibaldi, che dall’isola di  Caprera invitava gli italiani, inascoltato, ad “andare al mare” e a disertare le urne. Fu invece il trionfo del “Sì” con grandi festeggiamenti al Nazareno allora sede dei promotori della consultazione popolare e oggi quartier generale del Pd. Qui, per la legge del contrappasso, Renzi ha bevuto il calice amaro della disfatta subita al referendum dello scorso 4 dicembre.

Già. Anche dopo la “non vittoria” del Psi alle elezioni politiche del ’92, Bettino era convinto di avere intatte le chances per bissare la sua passata esperienza alla guida del governo. Ma durante quel percorso accidentato, per sua natura (politica), commise alcuni errori.

Il primo fu di poter realizzare l’accoppiata vincente Dc-Psi: lui a palazzo Chigi e Arnaldo Forlani, segretario dello scudocrociato, al Quirinale. Il secondo di aver poi puntato per la presidenza della Repubblica su un diccì anomalo, Oscar Luigi Scalfaro (sponsorizzato da Marco Pannella), su cui confidava (anzi era sicuro) che gli avrebbe dato l’incarico di formare il nuovo governo. Non andò così.

Le analogie tra l’attuale segretario del Pd (residuale) e l’ex leader del Psi non riguardano, ovviamente, soltanto le convergenze storiche e la statura politica dei due, tutta a vantaggio di Bettino fino al giorno della sua rovinosa caduta. Nel 1976, arrivato alla guida di un partito al lumicino nelle assise del Midas (ci resterà fino al 1993), Craxi riuscì a ridare dignità ai socialisti e dopo sette anni e per consensi incrementati, andò a guidare il governo.

Il ducetto di Rignano, almeno agli occhi dei transfughi del Nazareno, dello stesso Berlusconi (non pentito neanche dopo la telefonata con Matteo), del centro destra e dei Poteri marciti, invece, ha il solo merito di aver minato nelle fondamenta (iscritti e voti) l’unico partito organizzato sopravvissuto alla bufera politico-giudiziaria di Tangentopoli. E di aver provocato, infine, l’ennesima scissione a sinistra strizzando l’occhio all’ex nemico Berlusconi.

“Qual è il profilo culturale e strategico della stagione convulsa e precipitosa che si sta aprendo”, s’interroga Ezio Mauro su la Repubblica. “E in nome di quale mandato Renzi consegna il Pd appena riconquistato all’intesa con la destra”, aggiunge l’ex direttore.

Sul Corriere, Massimo D’Alema aggiunge ironico: “Il renzismo non è stato che il revival del berlusconismo… Mi stupisco che Berlusconi non si rivolga alla Siae per avere i diritti d’autore”. Non è questo, onestamente, un risultato da medaglia al valore ideale per l’ex premier incoronato da Re Giorgio Napolitano (senza un passaggio istituzionale) e cacciato a furor di popolo nel suffragio referendario del 4 dicembre 2006.

E da quel giorno, come successe a Bettino Craxi dopo la cacciata per mano della Dc da Palazzo Chigi (aprile 1983) e fino alla sconfitta nella consultazione promossa da Mariotto Segni per l’abolizione del proporzionale (aprile 1991), il cazzaroRenzi sogna anche lui la rivincita (remuntada alla Messi) per tornare alla guida del governo.

Ecco spiegata la “sindrome di Craxi” che ha colpito Matteo sulla via del ritorno a palazzo Chigi. Con la stessa impazienza – ahimè cattiva consigliera -, di andare al voto in autunno. Prima cioè della fine anticipata della legislatura (aprile 2018). E senza nuove regole elettorali, ancora bloccate in Parlamento.

E, soprattutto, contro la volontà (ferma) del capo dello Stato. Eppure, con rare eccezioni, i giornaloni continuano ad avvalorare le confuse ed estemporanee sortite dell’omino in fregola del Nazareno. Sulle pagine dei quotidiani (e in tv) si spaccia per “modello tedesco” una nuova legge elettorale che avrebbe pure il sostegno di Silvio Berlusconi.

“Al momento non c’è un modello tedesco sul tavolo; c’è solo il proporzionale un po’ all’italiana nobilitata con il richiamo alla stabilità teutonica”, ha osservato Stefano Folli su la Repubblica. Ingannare i lettori (o i teleutenti) solo per essere fedeli all’ultimo capataz politico? Ah saperlo…

Il secondo, invece, viene dalle pagine dell’edizione di oggi de Il Foglio che propone un vero e proprio “manifesto possibile per il Partito della nazione:

Le stelle si sono allineate, il percorso è diventato chiaro e improvvisamente, ora, sono tutti d’accordo. D’accordo sulla modalità, sulla tempistica, sui numeri, sulle ragioni e sulla data del voto. Salvo sorprese che non ci dovrebbero essere la diciassettesima legislatura finirà entro l’ultima settimana di luglio e se tutto andrà nella modalità concordata da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi la direzione è segnata. Ieri pomeriggio Forza Italia ha presentato i quattro emendamenti che trasformeranno la legge elettorale attualmente in discussione alla Camera in commissione Affari costituzionali in una legge sul modello tedesco (soglia di sbarramento al cinque per cento sia alla camera sia al Senato). Martedì, in direzione, il segretario del Pd spiegherà perché il sistema tedesco è l’unico che può essere approvato in tempi rapidi e con numeri sicuri sia alla Camera sia al Senato. Nelle ore successive i due leader delle opposizioni (Matteo Salvini e Pier Luigi Bersani) daranno il proprio ok alla proposta. La legge dovrebbe essere votata alla Camera entro il 10 giugno. Berlusconi, intanto, ha dato al Pd la sua disponibilità a votare il testo entro il 30 giugno anche al Senato.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha comunicato una sua non preclusione allo scioglimento anticipato delle Camere per arrivare al voto già il prossimo 24 settembre. Le massime istituzioni europee, compreso il vertice della Bce, non hanno mostrato particolare preoccupazione di fronte all’idea di allineare il voto italiano a quello tedesco mettendo la prossima legge finanziaria nelle mani di un futuro governo che anche grazie alle legge elettorale tedesca non ha speranze di essere guidato da una maggioranza grillina. Molti ministri del governo (compreso Calenda) sono stati informati da Renzi in persona della possibilità concreta di fine anticipata della legislatura. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, è pronto a seguire l’indicazione del segretario del Pd e a dimettersi da capo del governo una volta approvata la legge elettorale (il pretesto per interrompere la legislatura potrebbe essere offerto dalla legge sui voucher che, se non verrà votata dagli scissionisti del Pd né alla Camera né al Senato, permetterà al Pd di certificare la morte della maggioranza). E anche molti investitori stranieri si stanno convincendo che il voto anticipato, come hanno riconosciuto ieri in un paper gli analisti di Citigroup, sia per l’Italia la soluzione migliore per evitare che sia un governo debole ad affrontare nei prossimi mesi, attraverso una Finanziaria preelettorale, i dossier delicati con cui dovrà fare i conti il nostro paese.

Le stelle sono dunque ormai allineate e il percorso sembra essere finalmente chiaro, ma al contrario di quello che tenteranno di dimostrare Renzi e Berlusconi in campagna elettorale il loro ritorno al dialogo è destinato a essere qualcosa in più di una semplice condivisione sulla soglia di sbarramento o sul numero di collegi. È destinato a essere l’embrione di un patto di sistema che solo la vittoria del Sì al referendum costituzionale avrebbe potuto evitare. E il paradosso è che tutti coloro che soprattutto a sinistra hanno votato No al referendum per evitare la nascita di un Partito della nazione ora dovranno rassegnarsi all’idea che il Partito della nazione sta nascendo davvero e sta nascendo grazie alla vittoria del No del 4 dicembre.

Con una legge elettorale sul modello tedesco – grazie alla quale Renzi e il Cav. avranno la possibilità di replicare in piccolo il modello della rottura macroniana presentandosi di fronte agli elettori senza essere ammanettati né con una melanconica sinistra a sinistra del Pd e né con una Lega che grazie a Salvini è più vicina al modello Cinque stelle che al modello Ppe – i neo nazareni hanno già calcolato che avranno i numeri per dar vita a un governo della nazione. E basterà che Pd e Forza Italia arrivino al 42 per cento dei voti (i sondaggi di Berlusconi dicono che la somma dei due partiti oggi è intorno al 45 per cento ed è destinata a crescere ancora) per mettere insieme una grande coalizione sul modello tedesco (magari con qualche innesto dalla Lega più vicina a Maroni e dalla sinistra più vicina a Pisapia). Ma per arrivare davvero a quella percentuale, non impossibile, Pd e Forza Italia hanno la necessità di concentrarsi non solo sulle soglie di sbarramento e sulla composizione futura dei collegi ma sull’unica carta possibile in loro possesso per evitare che la nascita del nuovo Partito della nazione si trasformi in un regalo alle forze anti sistema. In campagna elettorale, quando ci sarà, non basterà costruire una diga tattica di resistenza al grillismo. Sarà necessario dimostrare che l’alternativa agli anti sistema si costruisce opponendosi a ogni cialtroneria populista con quello che Macron ha giustamente definito il “coraggio della verità”. E la verità oggi è non avere paura di dire le cose come stanno sull’economia, la concorrenza, il fisco, la produttività, la giustizia, l’Europa, il lavoro, e non aver paura di far proprie, seppur da posizioni diverse, le uniche misure che possono permettere all’Italia di tornare a crescere.

Il Foglio ha presentato qualche settimana fa un suo manifesto del buon senso – sottoscritto da Silvio Berlusconi – con molti di questi punti, e attendiamo di sapere cosa ne pensa Matteo Renzi. Ma sottoscrivere un memorandum di buon senso preelettorale non è una fissa del nostro giornale. È l’unico modo per mostrare il volto sfascista, sovranista e ridicolmente anti produttivo delle forze anti sistema e non farsi trovare impreparati se davvero si andrà a votare alla fine di settembre. La data segnata sul calendario da Renzi e Berlusconi è il 24 settembre. La successiva legge di Stabilità andrà fatta entro il 16 ottobre. E per evitare che una legge di Stabilità fatta dal nuovo governo sia più pasticciata di quella fatta da questo governo conviene che Renzi e Berlusconi, una volta portata a casa la legge elettorale, trovino un modo per mettere insieme da subito le idee giuste per governare il paese. Firmare il memorandum del Foglio sarebbe un primo passo. Mettere insieme già in questa legislatura dieci misure per garantire la solidità finanziaria del nostro paese, anticipando così con un disegno di legge la prossima legge di Stabilità (il Portogallo ha seguito una strada simile prima delle ultime elezioni), sarebbe il modo migliore per mettere in sicurezza l’Italia, rassicurare i mercati nella fase elettorale e dimostrare che le forze anti populiste si possono combattere senza aver paura di mettere in campo l’unica arma possibile per sconfiggere i campioni delle bufale: il coraggio della verità.

Il tramonto (giudiziario) dei berluscones

Se avesse la solennità della tragedia, dovrebbe suonare il Crepuscolo degli Dei. Siccome assomiglia più al grottesco, potrebbe diffondersi la musichetta finale di qualche spettacolo del Bagaglino. La foto di famiglia di Silvio Berlusconi perde uno dopo l’altro i soggetti principali, da Nord a Sud, da Roberto Formigoni – condannato a 6 anni per corruzione – a Giuseppe Scopelliti – 5 anni per abuso d’ufficio e falso. In un giorno solo finisce in pezzi l’ultimo residuo della classe dirigente che ha guidato l’Italia per anni, almeno 15. Dal comandante fino ai colonnelli, il centrodestra non vivrà di soli ricordi, ma anche di sentenze e di processi, spesso finiti male. Non solo il leader del partito e capo del governo, non solo ministri, non solo sottosegretari e viceministri, non solo “mele marce” tra i parlamentari. Ma anche presidenti di Regione, ex sindaci, coordinatori regionali del partito. In Lombardia Formigoni, in Campania Cosentino, in Liguria Scajola, in Calabria Scopelliti, in Sicilia Dell’Utri. Non solo amministratori, ma anche dirigenti di partito, che avevano il potere di formare altri politici, di fare nomine, di “produrre” altra classe dirigente.

Oggi è stata la giornata della condanna in primo grado dell’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, in appello dell’ex governatore in Calabria Giuseppe Scopelliti e anche della requisitoria del pm nel processo più complicato per Denis Verdini, in cui il magistrato in aula ha detto che l’ex braccio destro di Berlusconi, coordinatore di Forza Italia, è “un truffatore” che con la sua attività al Credito cooperativo fiorentino, che ha guidato per vent’anni, ha “rovinato” quella banca. Verdini, imputato in 5 processi, è già stato condannato per corruzione in primo grado per un’altra vicenda (quella della Scuola dei Marescialli di Firenze), pena poi prescritta in appello. Per il poco che vale sempre oggi un ex parlamentare del Pdl, Alfonso Papa, napoletano, è stato condannato a 4 anni e mezzo, in primo grado, per i reati di concussione e istigazione alla corruzione.

I veterani
Dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sanno tutti tutto: la frode fiscale, la condanna definitiva, la pena dei servizi sociali, l’espulsione dalla politica attiva attraverso la decadenza da senatore e l’incandidabilità fino al 2019. L’ex senatore Marcello Dell’Utri, ideatore di Forza Italia e principale consigliere del leader, è in carcere da tempo per la condanna definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e è indagato e imputato in altri svariati processi, con accuse che vanno dal peculato all’esportazione illecita di opere d’arte fino alla frode fiscale e alla bancarotta. E’ stato condannato definitivamente, nel 2007, anche l’ex ministro della Difesa Cesare Previti: un anno e 6 mesi per corruzione perché secondo i giudici partecipò alla corruzione di un giudice (Vittorio Metta) perché la Corte d’appello di Roma desse la maggioranza della Mondadori a Berlusconi anziché alla Cir di De Benedetti. Previti ha poi scontato la pena sotto forma di affidamento ai servizi sociali.

Il ministro per 17 giorni
Berlusconi fece ministro per 17 giorni e sottosegretario per un totale di 7 anni anche Aldo Brancher, condannato in via definitiva a due anni di reclusione per ricettazione e appropriazione indebita nel caso Antonveneta, pena non scontata grazie all’indulto. Nel caso di Brancher si arrivò all’impudicizia: solo 5 giorni dopo essere stato nominato ministro “alla sussidiarietà e il decentramento”, chiese la sospensione del suo processo per “organizzare il nuovo ministero”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenne spiegando che Brancher era ministro senza portafoglio e non c’era nessun ministero da organizzare. Alla fine, prima di una mozione di sfiducia e le proteste generali, Brancher si dimise.

Ex governatori e ex capi regionali di partito
Anche l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino è in cella da anni: di recente è stato condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione camorristica e in precedenza aveva preso altri 4 anni per corruzione (entrambe le sentenze sono arrivate in primo grado). Giancarlo Galan, ex presidente del Veneto ed ex ministro, ha patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi per corruzione nell’inchiesta sul Mose restituendo tra l’altro 2,6 milioni di euro (a petto, secondo i pm, di oltre 15 milioni). Claudio Scajola, più volte ministro, è sotto processo per il presunto favoreggiamento di un latitante, l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato a 3 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ugo Cappellacci, ex presidente della Regione Sardegna, è stato condannato in primo grado a due anni e mezzo per bancarotta “per dissipazione e documentale”.

(fonte)

Si sbellicavano per Berlusconi. E ora hanno Trump.

“Italia: spaghetti, pizza, mamma, Berlusconi”. Come ridevano gli americani negli anni d’oro del berlusconismo. “Ma come fate con Berlusconi?”, “perché Berlusconi?”, ogni volta con Berlusconi pronunciato con la erre che cadeva e quattro elle polposissime. Gli Usa non si sono mai risparmiati quando c’era da fare ironia sulle gaffe internazionali di Silvio Berlusconi mentre era in carica alla Presidenza del Consiglio italiana e anche le testate giornalistiche (video e della carta stampata) hanno prodotto moltissimo materiale così è normale che oggi, con Trump diventato Presidente, Silvio ricompaia.

“Pensate che Trump sia un disastro? Chiedete di Berlusconi agli italiani”, titolava il primo agosto di quest’anno il quotidiano The Local: nel suo articolo il giornalista John Henderson analizzava “la storia che si ripete” per “mettere in guardia tutti quelli che hanno intenzione di votare Donald Trump”. Sempre con l’obiettivo di mettere in guardia gli elettori americani aveva scritto, quest’estate, anche Eric J. Lyman, firma di peso di USA Today, che in Italia ha vissuto e lavorato per alcuni anni proprio a cavallo del periodo d’oro del berlusconismo: “gli italiani – scriveva Lyman il 3 luglio 2016 – offrono un avvertimento a tutti i cittadini americani ì: pensateci due volte prima di votare Trump”. “I due hanno molto in comune. – scrive USA Today – Sono entrambi miliardari arricchitisi nel settore immobiliare che si sono presentati in politica incarnando il senso del “nuovo” e promettendo di mettere al servizio del Paese il proprio fiuto per gli affari per rivitalizzarne l’economia. Entrambi sono sfacciati e sicuri di sé, con una reputazione di grandi donnaioli. Entrambi vedono nell’immigrazione la colpa dei mali dei propri Paesi e si dimostrano impermeabili alle gaffe che avrebbero sicuramente affondato un politico comune.” “Hanno anche una preoccupazione in comune: – ironizza Lyman – entrambi sono ossessionati dai propri capelli”.

Ancora più pesante è Washington Post che in un pezzo di Rula Jebreal (dal titolo eloquente “Donald Trump è l’America di Silvio Berlusconi”) costruisce parallelismi: “Basterebbero lezioni di storia recente della politica italiana – scriveva il WP il 21 settembre scorso – per preoccupare gli elettori americani sulla possibilità di una vittoria di Donald Trump”. E poi: “chiedete agli elettori italiani che hanno trascorso ben nove anni governati da Silvio Berlusconi che è stato il più longevo primo ministro d’Italia. Ha iniziato come un demagogo ricco sull’orlo del fallimento, la sua celebrità – come per Trump – si è costruita nel campo immobiliare e dell’intrattenimento popolare. Berlusconi si è presentato come uomo forte ma con l’atteggiamento del pacchista, vendendo false promesse di ricchezze e grandezza per tutti. Come Trump Berlusconi si è presentato da estraneo della politica promettendo di riportare il Paese agli standard internazionali che gli competono. «Io sono il Gesù Cristo della politica. Mi sacrifico per tutti» diceva Berlusconi e così Trump ci promette di diventare «il più grande presidente degli USA che sia mai sabato creato»”. Il pezzo non si limita alla cronaca ma lancia anche un appello: “È urgente che l’America impari la lezione italiana. Quando l’Italia ha sottovalutato Berlusconi ritenendolo solo un buffone ignorante, una figura comica inadatta a guidare un Paese alla fine non riuscì comunque a fermarlo”.

(il mio editoriale per Fanpage continua qui)

Io non mi ammorbidisco per il compleanno di Berlusconi

È il compleanno di Silvio Berlusconi. Sono 80. E per lassismo di memoria qui da noi, chissà perché, superata una tal soglia d’età cominciamo a smettere di ricordare. Attenzione: non a perdonare, che di per sé sarebbe azione altissima, qui si tratta piuttosto di lasciar seccare il ricordo in una poltiglia inoffensiva e spenta. È successo per Andreotti (vi ricordate? “lasciatelo in pace che ormai è vecchio” ci dicevano, come se fosse etico lasciare invecchiare le pagine buie di un Paese), sta succedendo per Dell’Utri (non ne parla più nessuno, le responsabilità politiche si sono misteriosamente sciolte e la stessa richiesta di grazia altro non è che il tentativo di legittimare un intero periodo storico) e, vedrete, accadrà per Berlusconi.

Buon compleanno Silvio ed è tutto un pullulare di articolesse che ci dicono che sì, certo, ha combinato i suoi guai, ma adesso che ha ottant’anni e che ci si presenta vecchio e stanco forse sarebbe il caso di soprassedere. Soprassedere è il metodo più in voga per non dover spiegare, per permettere di non raccontare. Soprassedere è il verbo migliore per disegnare un tempo in cui i nodi si scavalcano senza farsene carico.

Allora forse, al di là degli auguri di rito, sarebbe il caso di segnarsi su un foglietto l’impatto di Silvio Berlusconi sulla tenuta democratica di questo Paese, a futura memoria, come un pizzino (legalissimo) da lasciare ai figli e ai nipoti.

Berlusconi è l’uomo politico, dopo Andreotti e più di Andreotti, che ha legalizzato la mafia. Si è seduto con i boss mafiosi per studiare strategie imprenditoriali (se a sua insaputa comunque con la piena coscienza del suo braccio destro Marcello Dell’Utri, condannato anche per questo), ha costruito una propaganda elettorale eccezionalmente convergente con gli interessi di Cosa Nostra, ha ospitato un noto mafioso all’interno della sua dimora (Vittorio Mangano, teniamocelo a mente, segnatevelo, prima che scenda la nebbia) e ha costruito un movimento politico che è stato sponda di un altissimo numero di politici legati alla criminalità organizzata. Ma non solo, Berlusconi ha sdoganato culturalmente la mafia e questa forse è una colpa ancora più grave: con la sua simpatia di plastica e paratelevisiva ci ha convinto che Cosa Nostra fosse un’accolita di inoffensivi contadini a cui non prestare troppa attenzione, ha deriso chi ha speso una vita nella lotta al crimine organizzato, ha innalzato l’omertà a inestimabile virtù e definito eroico un boss mafioso. Silvio Berlusconi è stato il più potente spot di Cosa Nostra.

Silvio Berlusconi ha sdoganato la cinica spericolatezza e l’individualismo. Se oggi la tenuta etica del Paese si è ammorbidita a tal punto da esser pronta a piccole illegalità personali pur di ottenere comunque dei benefici pubblici è perché Silvio e la sua banda sono riusciti ad inculcare l’idea che “per arrivare in alto bisogna sporcarsi le mani”. Così fa niente se ci scappa un’evasione fiscale, qualche atto di corruzione o un paio di leggi ad personam: invocando una presunta invidia degli avversari il berlusconismo ha legalizzato la competitività che esce dalle regole. Il mito (scadente e patetico) dell’imprenditore (e del governante) che ha bisogno di forzare le regole per “fare del bene al Paese” è la realizzazione piena del berlusconismo. Mica per niente anche la parola “libertà” oggi è diventata sinonimo di “liberi dai lacci della solidarietà”.

Silvio Berlusconi ha impiantato in Parlamento il presidenzialismo culturale. Senza bisogno di leggi o di riforme (o forse senza la sfacciataggine che invece hanno questi nel proporle) Berlusconi ha trasformato il Parlamento in un votificio a disposizione del premier svuotandolo definitivamente di ogni autonomia decisionale. Berlusconi ha negato la Carta Costituzionale più di qualsiasi referendum e se n’è andato con un lascito pesantissimo: ora ci dicono che i suoi modi incostituzionali Berlusconi li usasse per se stesso mentre oggi servono per il bene del Paese. Ma quei modi restano.

Silvio Berlusconi ha nobilitato l’ignoranza. Ha chirurgicamente sviluppato il pensiero comune che chi ha troppo studiato e troppo si impegna intellettualmente sia un fannullone, un depravato intellettuale, un inoperoso, un ostacolo alla turboproduttività. Grazie anche a una televisione usata come arma di ignorantizzazione di massa Berlusconi ha reso démodé il pensiero autonomo, la critica e il dibattito preferendo il machismo, il tifo sguaiato, il bullismo ormonale e la comodità del pensiero unico. La linea editoriale di Berlusconi (in tutti i campi in cui si è ritrovato ad operare) è l’ebetismo comodo e funzionale. Funzionale ai cazzi suoi, principalmente.

Silvio Berlusconi ha svilito la politica. In cento modi, in mille sensi: dai senatori comprati, al gossip come arma, alla derisione pubblica dell’avversario (anche questa tutt’ora molto in voga pur senza di lui) fino alla demolizione dell’autorità dello Stato. L’antipolitica attuale, badate bene, è figlia di una lunga opera di banalizzazione che ha eroso le istituzioni. La magistratura? Una casta corrotta. Il Presidente della Repubblica? Un pupazzo in mano ai comunisti. La Corte Costituzionale? Un bivacco di vecchi invidiosi. L’opposizione? Coglioni. Gli elettori? Coglioni. I dissidenti? Venduti e traditori. Il Senato? Un’inutile rottura di palle. Le leggi? Liberticide. La Costituzione? Anacronistica. L’Anpi? Una banda di nostalgici. L’Antimafia? Un covo di comunisti. E così via. Ah, se trovate pericolose assonanze con il presente fate due conti.

(continua su Fanpage qui)

Renzi che si infila nel lettone di Berlusconi

Sarebbe bello potersi stupire del fatto che questo Senato di servili servitori abbia deciso di salvare Silvio Berlusconi negando l’autorizzazione alla Procura di Milano per l’utilizzo di alcune intercettazioni. Sarebbe facile perché significherebbe essere riusciti a bersi la storia che il patto del Nazareno sia solo un’invenzione giornalistica mentre il Pdl (o Forza Italia o come volete chiamare i berluschini) si è dissolta perché non ha nemmeno bisogno di esistere per garantire a Silvio le indispensabili garanzie.

Questo Senato ieri ha salvato Berlusconi perché semplicemente è berlusconiana (per storia, per convergenza, per affezione o per semplice predisposizione alla prostituzione) la maggioranza trasversale di questo Governo che vorrebbe apparire nuovo e invece si tiene in pancia tutti i germi degli ultimi vent’anni.

Il Senato salva Berlusconi perché questa è la sua matrice politica: centrodestrista e dedito all’autopresarvazione. E la scenetta del dopo voto è ancora peggio: bambini dell’asilo Mariuccia che si rimbalzano la colpa. La politica che diventa poltiglia da cortile mentre tutto intorno avanzano stragi, si sbriciolano i diritti, muoiono battaglieri della morte degna e L’Europa affoga.

Il Senato. Il Senato che vogliono rifondare. Il Senato che mette mano alla Costituzione.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Ah, Bertolaso si è assolto da solo. Ed è pronto per Roma.

bertolaso

Irriducibili. Come le piaghe, come un tic e come il vicino di casa insolente. Guido Bertolaso, l’ennesimo “uomo del fare” che in questo Paese si è sbriciolato come al solito per qualche favore; Guido Bertolaso, l’uomo che si è costruito una credibilità (e se l’è persa) sulle emergenze degli altri oggi si dichiara disponibile a candidarsi sindaco di Roma. Dice:

“[…] se ci fossero le condizioni per una candidatura al di sopra delle parti e dei partiti, penso a una lista civica con un programma molto preciso, potrei prenderla in considerazione perché io amo Roma e mi addolora vederla ridotta così. Ma servono le condizioni, senza questi giochetti politici. Io non sono mai stato un politico, e mai lo sarò”.

Ma non è indagato Bertolaso? Nessun problema, si è già assolto da solo:

“Spero che entro giugno [il processo collegato a La Maddalena] sia concluso […].Basta leggere le carte e verbali per capire che non solo sono assolutamente estraneo ai fatti che mi sono stati imputati ma anzi che sono stato rigoroso controllore di quelle che erano attività in corso”.