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sinistra

A posto così

  1.  La Boschi no, non ha querelato De Bortoli. No.
  2. Ghizzoni (Unicredit) non ha intenzione di dire se la Boschi davvero gli ha chiesto di intervenire in favore di Banca Etruria perché, dice lui, non può permettersi di mettere “a rischio la tenuta del governo”. Indovinate la risposta.
  3. Sono illegali le intercettazioni pubblicate di Matteo Renzi con il padre. Vero. Verissimo. Ma nell’inchiesta Consip si parla di politici al governo che avvisano dirigenti pubblici del fatto di essere intercettato. E quei dirigenti bonificano i propri uffici per tutelarsi. Segnarselo bene. E decidere, nel caso, la gravità dove sta.
  4. Leggete i giornali e saprete esattamente chi è contro la legge elettorale di qualcun altro. Vi sfido a capire quali siano le soluzioni proposte. “Essere contro Renzi” non è un gran programma di governo. No.
  5. Pisapia dice di voler andare contro Renzi ma di essere contro il renzismo. Renzi dice di non volersi alleare con Pisapia. Escono decine di editoriali che chiedono a Pisapia di federare. Renzi lo snobba. Lui insiste. Trovate il filo logico. Chiamatemi, nel caso.
  6. Salvini non vuole andare con Berlusconi. Berlusconi non vuole andare con la Lega. E poi finiranno insieme. Come negli ultimi vent’anni. Ci scommetto una pizza.
  7. Il “gigantesco scandalo” sulle ONG è finito in una bolla di sapone a forma di scoreggia. Eppure non ne parla nessuno. Tipo il watergate finito nel water.
  8. Tutti quelli che vogliono la “sinistra unita” poi scrivono dappertutto che “la sinistra non c’è più”. Così vincono in entrambi i casi. E vorrebbero essere analisti politici.
  9. Tutti i tifosi di Putin sono silenziosissimi. Putin gli è esploso in faccia ma loro usano la solita tattica: esultare per gli eventi a favore e fingere che non esistano quelli contrari. Le chiamano fake news ma in realtà è solo vigliaccheria.
  10. Ormai tutti cercano opinionisti con cui essere totalmente d’accordo su tutto. La complessità è come la Corte Costituzionale: un inutile orpello che non riesce a stare al passo dei tempi dei social, dove un rutto fa incetta di like.
  11. Gli intellettuali? Quelli che si indignano come ci indigneremmo noi. Gli vogliamo bene perché ci evitano la fatica di pensare e di scrivere e al massimo ci costano un “mi piace”. Opinioni senza apparato digerenti. Defatiganti. A posto così.
  12. Buon venerdì.

(continua su Left)

Caro Pd, Pasolini leggilo, prima di evocarlo (e di macchiettare bandiera rossa)

Il piazzista ha perso la verve e così la chiusura al Lingotto della Leopolda in bagna cauda non riserva nemmeno una delle scoppiettanti bugie per meritarsi un mezzo titolo sdraiato su giornali degli amici. Qualcuno scrive che Renzi non sia più lui e invece forse è proprio in stato di stress e usura che esce la sua natura: senza ridondanti storie da raccontare l’ex Presidente del Consiglio si sgonfia. Gli manca il lievito, poiché non ha un’idea di politica che non passi per forza dalla gestione (sua) del potere.

Il suo discorso di ieri è stata l’ennesima barbosissima (e biliosa) difesa del lavoro fatto (e quindi l’ennesimo rifiuto di riconnettersi con chi gli ha votato contro nel referendum del 4 dicembre scorso) e tutto un panegirico sul garantismo e sull’occupazione.

Il garantismo, innanzitutto, sembra la nuova ossessione renziana e fa niente che non ci sia nessuno di meno credibile come portabandiera dell’ipergarantismo di chi si ritrova sommerso (tra Lotti e babbo Renzi) proprio nel bel mezzo di un’inchiesta che lo travolge: il nuovo corso del Pd ricalca le orme dei berluscones (e non è una novità) condendoli con un po’ di cortesia istituzionale verso la magistratura. In mezzo alla retorica però arrivano due segnali più che preoccupanti: si fa avanti l’idea di decretare gli avvisi di garanzia per non “ledere” i diritti dell’indagato (chissà se Renzi, Migliore o Guerini sarebbero felici di iscrivere i propri figli in un asilo in cui c’è un maestro sospettato di pedofilia, senza saperlo) e si insiste nel volere che le indagini siano comunicate ai superiori (fino al Viminale) per, dicono loro, esigenze di coordinamento. In pratica si straccia il segreto investigativo in favore della politica e si istituisce il segreto di presunta colpevolezza in favore dell’indagato. Fate voi.

Poi, il lavoro. E sul lavoro, niente, Renzi non riesce proprio a non estrarre il feticcio di Marchionne, come ai bei tempi in cui qualcuno pensava che fosse solo un po’ di sano bullismo. E invece Marchionne è proprio la sua idea di lavoro, tanti che anche Pisapia non riesce a starsene zitto e interviene per dire che così non va.

Per carità, Renzi ha tutto il diritto di sostenere e divulgare le proprie idee. Un diritto però non può arrogarselo: quello di pronunciare con andatura canzonatoria il suo sarcasmo sulla sinistra, sulle macchiette e su “bandiera rossa”. Un mediocre democristiano (seppure travestito da futurista) non può banalizzare a proprio uso e consumo una storia di diritti e lotte distanti anni luce dalle beghe di questi scout in gita nei palazzi del potere. Questo no.

 

(continua su Left)

Per fare chiarezza su cosa succede a sinistra.

Una delle fortune del mio lavoro (anzi, di uno dei miei lavori) è di sciogliere i dubbi direttamente. Negli ultimi giorni per Fanpage ho intervistato le due anime di Sinistra Italiana (Nicola Fratoianni e Arturo Scotto) e Pippo Civati e ne è uscito un quadro generale che, condivisibile o meno, può risultare utile per orientarsi su ciò che accade anche alla luce della “discesa in campo” di Giuliano Pisapia.

In ordine cronologico:

l’intervista a Scotto è qui

l’intervista a Fratoianni è qui

l’intervista a Civati è qui

L’intervista a Pisapia arriva nei prossimi giorni.

 

Una brigata di talenti e intelligenze verso #giornimigliori (e, ancora, sulla “sinistra unita”)

E ora? Assisto a scene indimenticabili. E ora? mi chiede qualcuno, altri me lo scrivono. E ora? Ora ci si arrampica sulla cima più bella e ossigenata della politica: il programma. Che, se ci pensate bene, il programma è andato fuori moda in contemporanea all’abitudine dell’uomo solo al comando. Si vota Grillo, si vota Renzi, si vota la Meloni, si vota Silvio; provate a sperimentare quanta gente conosce il nome del partito che rappresentano e rimarrete esterrefatti. Il programma invece va letto e soprattutto va scritto. E rimane. Nessuna delega in bianco all’uomo della provvidenza: è lo streaming definitivo, il programma politico.

E quindi a chi mi chiede “e ora?” posso raccontare cosa ci siamo messi in testa di fare noi che alla provvidenza ci crediamo davvero poco ma che siamo convinti che sia arrivato il tempo di prendere il biglietto verso #giornimigliori. Come abbiamo scritto qui:

«Scriverlo, sembra banale, ma i programmi di governo, con i numeri a fianco, non li scrive più nessuno. Sono riusciti a fare addirittura tre governi in una sola legislatura, senza esplicitare se non a grandi linee (e a larghe intese) cosa avrebbero fatto e come. Anche Gentiloni non si sottrae alla regola, in un racconto fumoso, in cui in tono gentile si dicono le stesse cose che prima si dicevano in tono monumentale.

Invece, come diceva quella canzone, «bisogna solo scrivere e lottare».

Possibile prosegue il proprio lavoro, alla ricerca del testo più preciso e condiviso possibile, appunto.

Lo farà a partire da un’anagrafe delle competenze, a cui potete partecipare immediatamente, segnalandoci la vostra qualifica (non solo il titolo di studio, ciò che avete imparato a fare) e segnalando soprattutto la vostra disponibilità a partecipare al nostro progetto

Una ricognizione di talenti e di intelligenze. Ecco. Una cosa così. E basta andare qui per rendersi disponibili.

E poi c’è la questione della sinistra unita. Insieme a quelli che chiedono “e ora?” ci sono quelli che insistono con il “con chi?”. Tra l’altro l’inverno sembra promettere un’ondata di convegnite senza pari (ne scrive Paolo qui). Lo continuiamo a dire (qui, qui, solo per fare un esempio): ci si allea con chi condivide la stessa idea di Paese possibile. Mi pare così semplice. E la nostra idea di Paese possibile è incompatibile con gli atti di questo governo (sul lavoro, sulla scuola, sulle disuguaglianze) e con chi aspira a esserne la stampella a sinistra. Questione di scelte: c’è chi (con tutto il nostro rispetto, eh) cerca di cambiare il PD e chi cerca di cambiare il Paese: in questo momento ci sono processi politici, anche a sinistra, che stanno sciogliendo questo nodo. E noi non abbiamo tempo di aspettare. È chiaro così?

Alleanze chiare, amicizie lunghe

“Unite la sinistra”, mi scrivono. E io ogni volta a spiegare che la sinistra si fa, non si dice e che molti di quelli che ce l’hanno sempre in bocca spesso poi hanno fatto cose di destra. Parlare di alleanze senza politica è un fallo di simulazione (ne avevo già scritto qui) e forse varrebbe la pena allearsi con le idee chiare:

Ci vogliamo alleare con tutti coloro che vogliono cambiare completamente l’impostazione del Jobs Act, della Buona Scuola, dello Sblocca Italia. Quindi, non con chi li ha votati. Semplice.

Non è questione di sigle, ma di sostanza. Di scelte, non di posizionamenti. Di sincerità, non di tattica.

Ci vogliamo alleare con le persone che hanno un’idea meno pervasiva del potere, all’insegna di una politica che non si risolve in esso, che è cultura e partecipazione. E trasparenza.

Ci vogliamo alleare con chi vuole applicare la Costituzione e la legge (già in vigore) sulla vendita di armi ai paesi in guerra.

Ci vogliamo alleare con chi vuole dare una misura di civiltà e di efficienza all’accoglienza, nella gestione più consapevole dei flussi migratori.

(continua qui)

Sì, ma parlare di alleanze senza politica è un fallo di simulazione

(scritto per i Quaderni di Possibile qui)

Quelli che sognano Civati-De Magistris-Fratoianni-Fassina-Bersani-Pisapia. Quelli che se Emiliano si prende il PD allora tutto con il PD. Quelli che c’è da fare un’alleanza con il Comitato del No e la CGIL. Quelli che “dobbiamo andare da soli”. Quelli che dobbiamo stare “tutti insieme”. Quelli che però “non bisogna mica ripetere la Sinistra Arcobaleno” e quelli che bisogna fare “come la Sinistra Arcobaleno”. Quelli che serve “più socialismo”. Quelli che serve “più comunismo”. Quelli che non bisogna “essere autoreferenziali” però tutti gli altri sono degli inetti. Poi ci sono quelli che “la gente vuole unità” ma poi specificano “mica l’unità con tutti”. Poi c’è la proposta Pisapia (di mettere tutti insieme tranne Ncd) mentre Delrio dice che il PD dovrebbe andare a elezioni “con Ncd”. E poi, da sempre, quelli che aspettano il messia. Laici ma sempre in attesa del messia.

Il Fantacalcio delle alleanze è un luogo affollatissimo: richiede poche competenze, poche idee e pure confuse e conforta nel suo non doversi applicare ai progetti restando sui nomi e al massimo le facce. Poi non importa se le figurine siano d’accordo o meno con le scelte politiche, sociali e economiche di questi ultimi anni, non conta nemmeno cosa ne pensino della riforma della scuola e come vogliano controriformarla, non ci si chiede se abbiano la stessa idea di benessere sociale, lotta alla povertà, gestione ambientale o rapporti con l’Europa. No, no: prima le facce e poi dentro tutto il resto, con la solita politica a polpettone per cui l’importante è che la crosta sia croccante e di ottimo colore. Così si gioca la partita delle apparenze e poi, quando si perde, ci si indigna per la vacuità del dibattito.

Ad oggi c’è un ex sindaco (Pisapia) che ritiene potabili le politiche renziane degli ultimi anni, un partito in scioglimento (SEL) che si prepara a un congresso per diventare altro (SI), comitati apartitici che vorrebbero essere partito, disillusi e disiscritti, sindaci sparsi tirati per la giacchetta e un po’ di classe dirigente che ha contribuito attivamente alle sconfitte degli ultimi vent’anni. Tutti potenzialmente vicini e potenzialmente opposti, tutti impegnati (giustamente) nello sciogliere riserve interne e scrivere la propria idea di Paese. Dico, non è un po’ superficiale, avventato e poco interessante parlarne? Non è “populista”, appunto?

Si fa politica. E quando le politiche si incontrano diventano comunità. Si fa così. O no?

Non c’è che dire: un successone il ritorno in campo di Pisapia, eh.

Ne scrive Nicola Corda per Huffington Post:

“Io voglio bene a Giuliano ma quest’operazione non ha prospettive”. Tutti formalmente stimano l’ex sindaco di Milano Pisapia ma il rilancio di un rassemblement della sinistra in dialogo con il Pd di Matteo Renzi non riscuote troppi entusiasmi. Solo i sindaci chiamati in causa (già coinvolti nelle prossime iniziative) come il bolognese Virginio Merola e il cagliaritano Massimo Zedda, mettono il segno positivo al progetto di rimettere insieme i pezzi di un centrosinistra che attraversa una fase delicata e contempla il futuro di più partiti.

“D’accordo sulla necessità di ricostruire un campo progressista partendo dai giovani ed è importante che Giuliano abbia deciso di spendersi in prima persona” dice Zedda. Il Sì al referendum li unisce, ma paradossalmente, è il vero macigno che fa bocciare il progetto da tutti coloro che sono chiamati in causa: da Sel fino a alla sinistra del Pd che specialmente in questa fase di estrema fibrillazione non intende mettere in discussione la permanenza nel partito. La sinistra “la voglio fare dentro il Pd, Pisapia è fuori” dice il bersaniano Nico Stumpo, che non dà molto credito all’ex sindaco di Milano. “Tutto questo casino per restare nel Pd e fare la nostra battaglia dentro, e poi ce ne andiamo?” commenta chi sta molto vicino a Bersani e Speranza.

Il dente avvelenato contro il traditore Pisapia, si coglie subito nelle parole di Sinistra Italiana, da Loredana de Petris che gli chiede con una punta di sarcasmo di “tornare a fare l’avvocato” al capogruppo alla Camera Arturo Scotto che dichiara “amicizia e affetto” ma gli ricorda che “non si può ricostruire il centrosinistra con il killer Matteo Renzi che lo ha distrutto spargendo macerie”. La possibile alternativa ad Alfano e Verdini non funziona: “sembra un’operazione furba e anche un po’ politicista”, lo specchietto che non toglie di mezzo il principale ostacolo che è il segretario del Pd. Che la sinistra arancione possa rinascere con questi interlocutori sembra difficile, almeno a sentire le reazioni, alcune rispettose, altre molto meno come quella di Pippo Civati che addebita a Pisapia la colpa di “mitragliare parole in libertà su una sinistra astratta” e lo accusa di mettere in piedi un piano da “soccorso arancio” a cui non credere come alle favole dei bambini.

Nessuna indulgenza, insomma, escludendo quei pochissimi che in Parlamento e dentro i partiti guardano con qualche interesse alla proposta di una seconda gamba di governo a sinistra ma fuori dal campo Dem. Uno di questi è Gennaro Migliore che individua la nota positiva “se la sinistra che ha votato sì, lavora a un progetto di governo che si propone di cambiare il paese”. Più critico Enrico Rossi, secondo cui Campo Progressista “sarebbe un’operazione nobile, che avrebbe un senso in un altro contesto”, perché “se non cambia il Pd e la sua leadership, l’operazione di Pisapia, di costruire un campo progressista a sinistra del partito, rischia di essere meramente ancillare e di servizio, di apparire come un soccorso a Renzi portato fuori tempo e fuori contesto”. Proprio quello stesso sospetto di un Pisapia “stampella di Renzi” che fa sì che la sinistra gli chiuda la porta in faccia.

«Lavoratori sono tutti coloro che hanno la dignità di poter essere dei liberi cittadini»: le parole di Emilio Gentile su Trump (e sulla sinistra)

Che gioiello l’intervista di Donatella Coccoli a Emilio Gentile per Left (la trovate qui):

Non ha affatto paura di Donald Trump il professor Emilio Gentile, anche perché aveva previsto il successo del candidato repubblicano. Anzi, alla fine della telefonata si lascia andare anche a una battuta. «Mi merito anche un piccolo premio Nobel per la profezia azzeccata», dice sorridendo. In effetti, lo storico noto a livello internazionale per i suoi studi sul fascismo, è autore di un libro fondamentale per comprendere la vera natura degli Stati Uniti (La democrazia di Dio, Laterza) in cui mette in evidenza la profonda religiosità degli americani che hanno addirittura nella loro moneta la frase “in God we trust”. Negli ultimi anni Gentile ha analizzato il rapporto tra leader e cittadini (Il capo e le folle, Laterza), e i cambiamenti della democrazia occidentale.

Professor Gentile, lei nel suo ultimo libro In democrazia il popolo è sovrano. Falso! per Laterza, parla di come oggi la democrazia sia diventata sempre più “recitativa”, con il capo che “ci mette la faccia”. Che cosa pensa della elezione alla Casa Bianca di Donald Trump?
Confesso che per me non è stata una sorpresa perché avevo immaginato che i motivi agitati da Trump fossero gli stessi che toccavano moltissimi americani. Sono tutti quei cittadini che non avevano il coraggio di dichiarare apertamente di votare per il candidato repubblicano e hanno dichiarato di votare per Clinton. Forse si sono vergognati di dire apertamente di accettare un candidato che tutta la stampa più autorevole e importante, tutti i canali televisivi e persino lo stesso presidente in carica consideravano un cialtrone o un pericoloso avventuriero, o peggio ancora, uno che rischiava di mettere in pericolo la pace nel mondo. È probabile che dietro a questo voto ci sia stato un risentimento per l’amministrazione di Clinton, per le stesse guerre di Bush e infine la delusione per il presidente Obama.

Chi sono gli elettori di Trump?
È la classe media degli stati centrali che soffre di più della globalizzazione e della riduzione dei salari che ha reso inadeguata la capacità di potere d’acquisto negli ultimi 35-40 anni. Per questo motivo gli americani a un certo punto hanno visto in Trump qualcuno che fosse disposto a gridare contro tutto questo. Senza che dall’altra parte ci fosse un candidato che desse veramente l’assicurazione di cambiare.
Probabilmente un personaggio come Sanders con la sua retorica più confacente ai deboli, ai disperati, avrebbe reso più faticosa l’ascesa di Trump. C’è una cosa che mi ha sorpreso, però.

Che cosa professore?
Il tema della “democrazia recitativa” andrebbe rivisto alla luce di due risultati di queste elezioni. Intanto per la seconda volta perde una candidata che ha il maggior sostegno del maggior partito, che ha il sostegno del presidente uscente, che ha speso un miliardo e 300mila dollari, cioè ha fatto una campagna in cui si è dimostrato che il denaro non sempre garantisce una vittoria. E soprattutto l’altro risultato è il fatto che Trump ha combattuto contro il suo partito. Questo è davvero un fenomeno nuovo. Non ricordo, almeno nel secolo scorso, casi simili. Sì, ci sono stati alcuni presidenti che non erano quelli che il partito desiderava ma non si è mai verificato che un candidato venisse squalificato dal suo stesso partito come è avvenuto in queste elezioni.

E che cosa significa?
È ormai la conferma della tendenza a stabilire un rapporto diretto e quasi personale tra il capo e la folla e a scavalcare le strutture tradizionali. Il capo che sa intuire gli orientamenti della collettività in agitazione. Tra l’altro, è interessante che lui parli di movimento. Anzi, ha suscitato un movimento, è questo che tra l’altro ha detto nel suo discorso.

Quindi anche la forma partito viene meno?
Certo, Trump ha vinto contro il suo partito! Quest’uomo, sostanzialmente dall’esterno, ha conquistato il partito. Qualcosa di molto simile a quello che ha fatto Renzi nel Pd. Quindi si sta verificando ormai – e io posso pensare di essere stato tristemente profetico nel Il Capo e la folla – che la democrazia intesa come un complesso processo che si avvale di stadi intermedi per arrivare a rendere sovrano il popolo attraverso i suoi rappresentanti viene scavalcato da questo rapporto diretto tra un popolo che non si sa che orientamento ha, ma è pur sempre il popolo. Una mia amica americana mi ha detto che il popolo non è sovrano: eh no, questo è il popolo sovrano, solo che il popolo non sempre sceglie come noi vorremmo. Ma quando sceglie, lo fa sovranamente. In questo caso contro il partito, un presidente in carica, contro una candidata fortissima che per la seconda volta viene data per vincente e che ha impiegato una somma di denaro notevolissima. Da questo punto di vista tutte le nostre categorie razionali per spiegare fenomeni come questi saltano completamente.

Che cosa ha determinato la vittoria di Trump? La paura del ceto medio, la progressiva povertà?La paura, e dall’altra parte anche una volontà di riscatto. Lui ha agito come ha fatto Regan dopo Carter. E in questo caso Obama è stato visto come un presidente che ha reso quasi assente l’America oppure l’ha lasciata in balìa a un corso storico che ha visto emergere altre grandi potenze.

Però, come fa notare lei, se ci fosse stato Sanders…
Di fronte a una questione sociale molto forte come quella vissuta dagli Usa adesso, la carta da giocare era quella di Sanders.

È una lezione per la sinistra che non deve abbandonare il proprio popolo?
Questo dovrebbe essere fondamentale. Ormai il problema della sinistra non è più quello di pensare a un popolo inteso come un proletariato ma a tutti coloro che oggi vengono privati della possibilità di essere cittadini. Oggi il tema fondamentale non è la distinzione tra destra e sinistra, ma la nostra costituzione che almeno nei principi che nessuno dice di voler toccare, parla della Repubblica fondata sul lavoro, dove i lavoratori sono tutti coloro che hanno la dignità di poter essere dei liberi cittadini. È questo che ha travolto l’America, loro si sentono sempre meno cittadini. Da questo punto di vista Trump è un uomo di destra che ha usato un linguaggio di sinistra e per questo è stato riconosciuto negli Stati dove ci sono le classi operaie, come la Pennsylvania che ha sempre votato democratico.

Senta professore, ma lei è preoccupato per l’elezione di Trump?
Io sinceramente, pensando al caso di Nixon o di Regan – forse più Nixon – ritengo che i presidenti che si presentano con una faccia trucida, con messaggi violenti, sono quelli che, adattandosi al realismo, riescono poi a fare delle scelte che un presidente di sinistra non può fare. Ad esempio, il discorso dopo la vittoria ha fatto fa vedere un altro Trump. Molto cavalleresco nei confronti di Hilary Clinton, il che è una cosa straordinaria. Ha anche detto che non sarà contro nessuno e cercherà un accordo con tutti. Non ha usato nessuna metafora di tipo aggressivo, polemico, razzista, addirittura ha detto che tutti devono unirsi al di là della razza o della religione. Certo, è un po’ tipico degli americani fare il presidente di tutti, però vedremo quanto farà, tenendo conto anche del fatto che possiede un potere che Obama non ha, avendo tutto il congresso repubblicano. Una cosa è sicura, poi. Lui non è stato protetto dalla destra religiosa, non è molto amato anche perché non rappresenta un esempio illuminante dal punto di vista della morale. Comunque rispondendo alla domanda,  non ho paura, perché la paura viene dalle cose impreviste. Questa era prevista.

Due tre cose che non so sulle elezioni americane, col cuore in mano.

Stamattina ho pensato che con questa figura di merda colossale degli analisti, degli editorialisti, dei sondaggisti e dei millemilioni di esperti di elezioni americane almeno ci saremmo risparmiati per qualche ora il profluvio di analisi. E mi sbagliavo. E in fondo ho anche ringraziato la mia buona stella di avere colleghi nelle redazioni in cui lavoro che si sono dovuti prendere la patata bollente della sfida americana lasciando a me la sola incombenza di scrivere su questo mio personalissimo blog che Trump non mi piace. E anch’io, del resto, sono in minoranza e me ne farò una ragione.

Ma alcuni pensieri sparsi oggi li vorrei appoggiare qui perché ancora una volta ho la sensazione che ci sia da parte di una certa classe giornalistica (e di intellettuali, anche se solo a scriverlo mi si anchilosano le dita) una supponenza che nemmeno il tonfo Trump abbia messo in discussione: la gente la pensa diversamente dalla gran parte dei cosiddetti influencer. In sostanza chi è pagato per scrivere opinioni sul mondo ne è piuttosto scollegato. E questa è un prima notizia. Non buonissima.

Poi c’è la democrazia ad personam: una nuova formula politica per cui l’ideale sarebbe vivere in un Paese in cui abbia diritto di voto solo chi la pensa come noi altrimenti il “suffragio universale” è uno schifo (oggi l’hanno detto diversi autorevoli esponenti). Gli analisti fallimentari al posto di chiedere scusa per avere sbagliato l’analisi sui candidati spostano le proprie energie sull’analisi degli elettori. Peccato che mettere in dubbio la dignità di voto sia la peggior riforma costituzionale che si possa provare a iniettare nel dibattito pubblico. Molto peggio della pessima riforma a cui ci stiamo opponendo in questi giorni: contestiamo l’autoritarismo degli altri e poi ci lanciamo in pareri che sono l’esplosione del nostro ego. Anche questa non mi pare una buona notizia, sinceramente.

Francesco Piccinini, direttore di Fanpage, nel suo articolo lo scrive chiaro e tondo:

«Trump è stato eletto perché ha parlato – anche – a quella “massa silenziosa” che non risponde ai sondaggi, a quelle “legioni di imbecilli” che Eco non riusciva a comprendere. Quel popolo di Jersey Shore al quale l’intellighenzia democratica non ama più parlare. Perché le “legioni di imbecilli” non sono i commentatori da tastiera ma i giornalisti, gli scrittori, i politici che restano chiusi nelle proprie stanze. Legioni di imbecilli che credono di essere migliori dei propri lettori, dei propri elettori. Così tanto “migliori” da non riuscire a trovare le parole per parlargli. Le legioni di imbecilli non si nascondono dietro Facebook ma siedono ogni giorno dentro le redazioni dei giornali, nelle sedi di partito, nei salotti che fanno tanto ‘900 ma che nulla hanno a che vedere con la modernità. Quelli che sanno solo ripetere “l’America di 8 anni fa non avrebbe mai votato Trump”. Come se la modernità dovesse chiedere permesso. Come se la modernità non fosse davvero qualcosa che “non si ferma davvero davanti a un portone”.»

Poi c’è questo partito democratico USA che assomiglia terribilmente agli smunti democratici de’ noantri: «Non deve spaccare il partito» dicevano a Sanders. La voce che circolava tra i maggiorenti democratici era che la candidatura di Sanders fosse contro il “bene del partito” oltre che contro la Clinton. Vi ricorda qualcosa? Bene, forse sarebbe il caso appuntarsi che dello stato di salute dei partiti non se ne preoccupano in molti. Un candidato non ha il compito di preservare l’apparato politico che lo sostiene: i risultati politici in giro per il mondo premiano chi alza la voce contro le disfunzioni e i loro responsabili. Il Partito Democratico non è riuscito a proporre un candidato migliore di un Segretario di Stato da tempo sulla scena politica. Ha funzionato? A voi il giudizio. Su questo ne ho scritto stamattina, proprio per Fanpage, qui.

A proposito di sinistra: ma davvero c’è ancora qualcuno che crede che travestire da sinistra un liberismo turbospinto da lobby finanziarie funzioni? Ma davvero non è chiaro che la gente si sia frantumata le palle, un po’ dappertutto in giro per il mondo, dell’establishment in tutte le sue forme? Come scrive Pippo Civati qui:

«A un certo punto bisogna decidere cosa costa di più, se rinunciare ai grandi finanziatori o rischiare di perdere le elezioni perché si passa per essere al loro servizio. Penso, da anni, che il problema della disuguaglianza e dell’arroccamento del sistema sia il pericolo più grande. E, se siamo tutti d’accordo sull’analisi e sul quel malessere, il messaggio non può essere che non c’è alternativa: si può fare di meglio. Temo invece che, come spesso accade, negli stessi di cui sopra scatterà l’irresistibile tentazione non della ricerca di un’alternativa, cosa molto difficile, ma all’imitazione, che è decisamente più semplice. Così al prossimo giro vincerà un candidato che farà apparire Trump moderato, e così via all’infinito.»

Poi ci sono tutte le ricadute: quelli che strumentalizzano la vittoria di Trump per il prossimo referendum sulla riforma costituzionale (da entrambe le parti), quelli che “oddio adesso gli USA bombarderanno il mondo” (come se finora avessero esportato pace per davvero) e quelli del mal comune mezzo gaudio che siccome ci prendevano in giro per Berlusconi ora li perculiamo noi per Trump.

Ah, e poi c’è la Clinton che è sparita senza riconoscere pubblicamente la sconfitta. Proprio quello che gli analisti ci hanno detto che avrebbe fatto Trump.

«Pensioni basse? Ipotecate la casa» parola della deputata Morani (PD)

Ne scrive l’HP qui:

«Esiste uno strumento che conosciamo poco, che è fatto apposta per gli anziani proprietari di casa che percepiscono pensioni basse, che si chiama prestito vitalizio ipotecario”. Scatena l’ìinferno l’affermazione di Alessia Morani, vicecapogruppo del Pd alla Camera, che durante una puntata di Quinta Colonna, avrebbe trovato la soluzione per gli anziani che percepiscono pensioni basse e non riescono a sopravvivere.»

Dopo aver escogitato un prepensionamento finanziato con un mutuo (sostanzialmente un welfare a piccole comode rate) ora gli esponenti della maggioranza propongono agli anziani prossimi alla pensione di utilizzare la propria casa (solitamente frutto della fatica di una vita) come garanzia d’accesso alla pensione. Lo Stato Sociale di questo Paese è diventato lo zerbino di quattro arroganti al governo.

Dicono che sia morta la sinistra, dicono; sicuramente ha perso.