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sinistra

Però essere fieri di non saper comunicare no. Questo no.

Parto dal confronto di ieri tra Renzi e Zagrebelsky ma non è di riforma che vorrei parlare ora, piuttosto del tono dei commenti che piovono il giorno successivo e mi piacerebbe farlo (e discuterne) cercando di non turbare gli animi a sinistra. Se succede va bene lo stesso.

Ancora un volta colgo una reazione bifronte dopo un confronto con Matteo Renzi: c’è che si dice deluso per come l’oppositore sia stato “schiacciato” dal punto di vista televisivo e, insieme, chi invece rivendica orgoglioso proprio questa disabitudine ai modi della comunicazione più contemporanea: in pratica quando qualcuno si permette di dire che Zagrebelsky forse non sia proprio la persona giusta da contrapporre al premier in una trasmissione come quella di Mentana (e praticamente tutta la nostra televisione) viene assalito da chi invece ci vorrebbe convincere che essere poco avvezzi alla televisione sia un vanto. “Preferisco un professore poco comprensibile a un venditore di pentole.” Beh, scusate, io no. Io no.

Non sono appassionato ai venditori di pentole ma credo che l’abilità comunicativa non sia un vizio di per sé condannabile. Non sopporto le strumentalizzazioni, le bugie, l’irrisione delle parti opposte, la truffa sulle cifre, la banalizzazione, il capovolgimento della realtà e tutto il resto ma trovo stupido e controproducente accusare le capacità comunicative di qualcuno. Anzi, di più, sono molto dispiaciuto che qualcuno abbia potuto pensare che Zagrebelsky possa essere efficace in un campo che non è il suo e mi chiedo quando (e chi) abbiamo deciso che sia necessario essere stinti e pallosi e grigi per essere autentici? Perché io, se posso, non sono d’accordo. Ma proprio per niente. Perché la sinistra storicamente ha avuto leader che sono stati molto pop (ne senso etico del termine, mica quello neo melodico) tra gli stessi strati sociali che oggi mi pare che qualcuno dall’alto giudichi con uno stesso snobismo. Perché a me,  perdonatemi, interessa arrivare a tutti, almeno avere la soddisfazione di sapere se sono o no d’accordo con le mie posizioni; non mi accontento di avere una luccicante minoranza di menti eccelse che sono d’accordo con me. No.

Tutto questo mi ricorda alcune esperienze giovanili quando ci si ritrovava a partecipare a spettacoli di solidarietà o sensibilizzazione (a gratis) insieme a nomi anche molto popolari incappando in organizzazioni che sembravano volutamente sciatte. «Ma perché non avete preso un palco più funzionale?» chiedevo, e mi si rispondeva che non si poteva rischiare di sembrare berlusconiano. Come se il bello (e il funzionale, anche in televisione) fosse un tradimento.

Ecco io questa sinistra che oggi si fregia di comunicare peggio del Comitato del sì, proprio non la capisco. E non la condivido. Proprio no.

A sinistra, se il NO fosse occasione d’unione?

Convergenza di obiettivi, ideali e motivazioni: se esistesse una formula matematica per condensare la politica forse si partirebbe da qui, dalla comunione d’intenti e di modi. C’è un fronte del NO che si assomiglia moltissimo: sono gli stessi ostinatamente sparsi che in questi ultimi anni sembra che abbiano avuto difficoltà anche solo per accordarsi per un aperitivo insieme, sono gli stessi che si sfilacciano spesso quando sarebbe il caso di fare fronte comune e sono gli stessi che ci promettono a cadenza regolare di ricostruire ciò che loro hanno demolito.

C’è sinistra, nel NO. Ci sono tutte le sinistre. E se è vero che hanno pensieri diversi sul rapporto con il potere è pur vero che hanno (se non mi sbaglio) un impianto comune nella valutazione negativa degli effetti di questa riforma costituzionale. Allora senza perdersi troppo sulla provocazione del “votate come i fascisti” come dicono i renziani (a proposito: potete tranquillamente rispondere che undici ex Presidenti della Corte Costituzionale sono contro la riforma) si potrebbe per una volta, se non costa troppa fatica, vedere il bicchiere mezzo pieno. Che non è sicuramente un banchetto ricco, per carità, ma è un punto reale e politico da cui ripartire.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

A Capalbio non è sinistra, semplicemente.

Che agosto questo della sinistra italiana: prima il deputato Sannicandro (SEL) che dichiara di non essere mica una metalmeccanico (e poi ovviamente ci dice di essere stato frainteso e poi che sono demagoghi quelli che lo attaccano, come se un semplice “scusa” fosse troppa fatica) e poi l’intellighenzia sinistra di Capalbio che inorridisce per i rifugiati arrivati a sporcare la vista mare. «La sinistra non sa più comunicare» scrive qualcuno crucciandosi di presunti arrugginimenti di presunte neosinistre. E se fosse tutto molto più semplice? E se semplicemente non fossero di sinistra questi che si spacciano come intellettuali (o parlamentari) imbolsiti da se stessi?

Se coloro che dovrebbero rappresentare la categoria dei metalmeccanici (per rimanere sull’esempio, ma vale per tutti) non possiedono più il vocabolario del lavoro, del reddito e dei diritti che si fa? Si decreta il fallimento della rappresentanza, semplicemente. Si alzano le mani e si dichiarano falliti i membri della classe dirigente. Semplice. E invece? E invece si leggono editoriali e opinioni che vorrebbero infilarci l’idea opposta: sono sbagliati i metalmeccanici che se la prendono, dicono loro. Che schifo di metalmeccanici, già.
A Capalbio succede lo stesso: gli esimi sottoscrittori di appelli solidali s’intristiscono per l’arrivo di qualche rifugiato nella nota località vacanziera. Il motivo? Rovinano una delle bellezze d’Italia, dicono loro, e così, senza accorgersene nemmeno aprono a un nuovo concetto di federalismo dell’accoglienza: i poveri vanno con i poveri, gli sporchi con gli sporchi, gli ultimi si accolgono in mezzo agli ultimi o penultimi, i bisogni vanno risolti senza sbrodolare fuori dalla classe sociale in cui emergono. E le difese sono ancora peggio: dicono che rovinano il turismo (e invece Lampedusa evidentemente è fogna, per questi), provano a spiegarci che è questione di rapporto tra abitanti e rifugiati (quindi A Pozzalo dovrebbero esserci un massimo di rifugiati, secondo i loro calcoli) e, per ultimo, abbozzano il solito “io non sono razzista ma”. E su quel ma, al solito, scatta il conato.

(il mio editoriale per Fanpage continua qui)

La sinistra Capalbio esclusa

Se c’è una cosa che mi atterrisce è l’essere d’accordo con persone che disistimo profondamente. Così vedere gioire Salvini, Meloni per la vicenda di Capalbio mi procura ancora più fastidio per questa “sinistra” sinistrata, scolorita e indegnamente rappresentata. Il federalismo della solidarietà è l’ennesima trovata di una classe dirigente che è aristocratica nei diritti e socialista con i doveri degli altri.

“Sinistra al caviale” ha detto Nencini. Nencini, nuovo Psi, viceministro: oggi sono stato d’accordo anche con lui, per dire.

La vicenda è raccontata qui.

Sono di sinistra, mica metalmeccanici, eh.

Arcangelo Sannicandro, una vita nel fu Pci poi in Rifondazione comunista e poi in Sinistra Ecologia e Libertà che in realtà sarebbe Sinistra Italiana: uno di quelli che la sinistra (e i metalmeccanici) dovrebbe averla come stella polare. Ma tant’è: Sannicandro alla Camera ha pensato bene di pronunciare fiero una frase così: «Non siamo lavoratori subordinati dell’ultima categoria dei metalmeccanici! Da uno a dieci noi chi siamo?» ha detto il senatore durante la discussione sul taglio degli stipendi agli onorevoli (Sannicandro ovviamente era contrario).

E fa niente se la brutta figura avrebbe potuto rientrare con un “scusate, ho sbagliato, ho detto un cazzata”, no, il parlamentare ha deciso di giustificarsi sfiorando il ridicolo: «Tentavo di stabilire – ha dichiarato Sannicandro – alcuni dati essenziali per affrontare il problema dell’indennità di carica dei deputati in modo oggettivo e non demagogico. Ho chiarito preliminarmente una ovvietà che è scomparsa dal lessico e dall’orizzonte culturale di tanti sia a destra che a sinistra, e cioè che i deputati e i senatori non sono lavoratori subordinati né autonomi. E cioè non sono operai, impiegati, artigiani, commercianti o liberi professionisti. Così come dice la Costituzione siamo rappresentanti attraverso cui il popolo esercita la sua sovranità. Se ciò non fosse sufficientemente chiaro, aggiungo che i deputati non sono assicurati né all’Inps e né all’Inail e né ricevono le prestazioni da questi all’occorrenza erogate, né sono inquadrati in un contratto collettivo nazionale.»

(il mio buongiorno per Left è qui)

Quelli che a sinistra si attaccano alle braghe di De Magistris

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A urne chiuse, tra vincitori e vinti, rimbomba la caduta di una sinistra che ormai sembra sprofondare nell’endogamia politica e culturale. Mentre il PD perde voti, in un momento che sarebbe stato ghiottissimo per riproporre quegli stessi temi che Renzi ha definitivamente abbandonato (e che il PD sembra incapace di sostenere dopo la sua mutazione genetica), la sinistra riesce non solo a non guadagnarne ma, dati alla mano, nemmeno a mantenerli. Banalmente: la sinistra non vota più il PD ma non vota nemmeno questa sinistra. Pensa te.

I deludenti risultati di Fassina a Roma, Giraudo a Torino e Basilio Rizzo a Milano hanno aperto una crisi interna (Sinistra Italiana è in pieno subbuglio ma anche gli altri non stanno meglio) che ripropone per l’ennesima volta il tema di una credibilità che si fatica a ricostruire. La sinistra (anzi sarebbe meglio dire le sinistre) ha perso la connessione con il suo popolo ma in questo momento sembra immobilizzata dalla miopia delle sue letture della realtà.
Come ripartire? La moda delle ultime ore porta al nome di Luigi De Magistris. Dovrebbe essere lui, secondo i calcoli dei dirigenti a sinistra, l’uomo nuovo su cui puntare e fa niente se fino a qualche settimana fa lo stesso De Magistris è stato trattato come disturbante “elemento esterno” della sinistra nazionale: nel disastro c’è sempre bisogno di una salvatore, evidentemente. Anche a sinistra.

(continua qui)

Sinistra? Que se vayan a la mierda

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Alla fine si è riusciti a fare peggio di Renzi. Dico il giorno dopo, ieri, quando davvero a sinistra abbiamo dovuto ascoltare le voci di chi vorrebbe convincerci che non sia andata così male, che è un buon inizio, e addirittura che a sinistra le cose sono andate così così per colpa del PD. Incredibile: i democratici perdono voti che la sinistra non riesce a raccogliere e nemmeno così è colpa loro. Così ieri Matteo Renzi che gigioneggiava riconoscendo l’insoddisfazione per il risultato (pur scansandolo) è apparso più autentico della sinistra soddisfazione simulata di chi esulta per percentuali da prefisso telefonico. Renzi più innovativo anche nella sconfitta, pensa te.

Ma ci deve essere qualcosa di oscuro in questo magma che riesce ad avere dinamiche solo endogamiche a sinistra del Pd. Perché se è vero che la sinistra (ed esiste, eccome, pur disordinatamente diffusa)  è una speranza accesa (e una storia prorompente, non dimentichiamolo) ad oggi mancano gli eletti e gli elettori. Perché? Eccola l’annosa domanda che si ripete ogni volta. Ed ogni volta è un profluvio di risposte infiorettate e all’uncinetto. Sbagliate, evidentemente.

E così ieri si è alzato il venticello della sinistra che deve tornare unita. «Ripartire tutti insieme» si legge da qualche parte, come se la somma dei fallimenti possa essere la soluzione. Tutti che invocano un cambio di paradigma ma non sono nemmeno disposti a mettersi in discussione davanti alle macerie. Anzi la novità dell’ultima ora è quella di ripartire da De Magistris, fingendo di non sapere che la sua vittoria ha provocato lancinanti mal di pancia proprio tra i maggiorenti della Sinistra. Il nocciolo forse sta proprio tutto qui: nella mancanza di coraggio fingendosi uguali e in dirittura di accorpamento. Qui, a sinistra, c’è un popolino di dirigenti che si accontentano di sentirsi capi anche senza elettori.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Due pensieri veloci sulle elezioni

elezioni

In attesa di riprendersi dalla disincronosi circadiana della nottata elettorale oggi ho scritto di Beppe Sala a Milano (per Fanpage, qui) e ho provato a riordinare le idee su ciò che è Possibile (per i quaderni di Possibile, qui).

Poi in realtà ho un pensiero fisso sulla sinistra (che esiste, eccome) ma intanto credo valga la pena leggere Ilaria nel suo editoriale di oggi (qui). Ecco, io di sinistra ne scrivo domattina. Tanto per darsi il buongiorno. Appunto.

La sinistra che “gioca vecchio”

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L’analisi di Ilaria Bonaccorsi:

«Sui grandi giochi si scriverà. Scriveranno tutti. Su chi ha vinto pure. Sul fenomeno M5s che costringe al ballottaggio un Pd brutto leggeremo i pezzi migliori. Io mi fermo solo per scrivere un pensiero veloce sulla Sinistra a cui avrei tenuto. L’ho osservata in silenzio, da febbraio. Dal congresso fondativo di Sì, alla candidatura “sciolta” di Fassina, ai veleni, ai doppi giochi di Sel, a nessun gioco in generale.
Ho un amico che quando perdo, o mi incastro in situazioni ferme, mi sfotte dicendomi «Hai giocato vecchio». È l’unica cosa che riesco a dire oggi di quella che dovrebbe essere la mia parte. «Avete giocato vecchio». E in quel vecchio c’è tutto. C’è non vedere, non riconoscere, non cercare, non andare al di là di quello che avete già visto, cercato, riconosciuto. Siete rimasti là.

Facciamo l’esempio di Roma, uno per tutti: Fassina scarta e si presenta contro tutto e tutti. Contro una Sel che gioca a briscola col Pd, pochi fuoriusciti malmentati da Renzi, un Possibile che non riesce ad essere alternativo, a unire, a forzare, ad allargare. Niente. Che si mette in scia silenzioso e forse consapevole del futuro massacro. La Sinistra non c’è. Non nella politica, non siamo “pochi ma belli”, siamo pochi e malmessi (neanche il 5%).

Sarebbe bastato poco, che è molto moltissimo. Sarebbe bastato non ripetersi. Non riproporre sacrosante tematiche sociali senza mai far volare. Senza mai far capire cosa avrebbe fatto stare bene le persone se ci avessero votato. Perché la Sinistra è lì. Deve capire e dire cosa fa stare bene le persone. In piena trasparenza, con grande coerenza. Senza fare appelli a papi o ad antenati senza più carne né ossa. Al contrario dovrebbe trasmette un hic et nunc forte come una casa. Imperdibile. Un “qui ed ora” senza macchie. Perché poi bastava poco che è tantissimo, mi ripeto.»

(continua qui)