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speranza

Quattro domande da porre al vostro politico preferito

Che siate di destra o di sinistra, che siate sovranisti, che siate democratici, che impazziate per Bonaccini o Borgonzoni, che siate sardine o che siate in qualsiasi movimento che vorrebbe occuparsi di politica ecco qui quattro domande, facili facili, per uscire dal tunnel della propaganda e per valutare chi vuole fare cosa e soprattutto come.

I dati Oxfam e Eurostat danno numeri chiari, i numeri possiedono la bellezza di essere lì puliti da leggere e da interpretare.

Ad esempio, in Italia l’1% più ricco detiene la stessa ricchezza del 70% della popolazione. Metteteci anche che in Italia la povertà avanza e che si allarga il numero di persone che si trova a vivere al di sopra dei livelli minimi di dignità. Chiedete al vostro politico di riferimento: è giusto? È normale? E soprattutto: come si può risolvere questa situazione? Se vi basta vivere con la speranza di diventare quell’1% e se non ci trovate nulla di strano lasciate pure perdere.

Però qui c’è anche la seconda questione: il 23% degli under 29 versa in condizione di povertà lavorativa. La flessibilità del lavoro per molti è soltanto un impoverimento legalizzato. Chiedete al vostro politico di riferimento cosa ha intenzione di fare e come ha intenzione di farlo, quali siano le riforme che ha in mente e come potrebbero funzionare. Se non vi interessa, buon per voi.

Terza questione: in Italia crescono gli abbandoni scolastici. Eh sì, proprio così, l’Italia che si vantava di avere sconfitto l’analfabetismo ora subisce una preoccupante retromarcia. Se ne parla poco e spesso se ne parla male. Chiedete al vostro politico di riferimento: come si risolve? È normale? Quali sono gli strumenti per evitare la dispersione scolastica e inevitabilmente l’impoverimento culturale del Paese? Se non vi interessa, beati voi.

Ultima questione: c’è il 23,7% di differenza salariale tra uomini e donne. Persone che svolgono la stessa mansione nello stesso modo e per lo stesso tempo guadagnano diversamente in base al loro sesso. È normale? Va bene? Come si risolve? Chiedetegli anche questo. Se non vi interessa lasciate perdere.

Una nota di metodo: tutti i vostri politici di riferimento vi diranno che questi quattro punti sono una vergogna. Beh, crucciarsi non vale: i politici si valutano sulle proposte. Anzi a ben vedere il fatto che tutti i politici siano contrari a situazione che continuano tranquillamente a perpetuare non gioca molto a loro favore.

Buon martedì.

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Stringa forte suo nipote

Ieri è accaduto l’ennesimo omicidio: un bambino di 10 anni si è intrufolato in un carrello di un Boeing 777 che era decollato dalla capitale della Costa d’Avorio per atterrare a Parigi. Il bambino non è sopravvissuto alle rigidissime temperature dovute all’altitudine ed è arrivato morto. L’ennesimo morto mentre cerca il diritto di avere speranza. Muoiono per mare, per terra e per cielo: è una lezione per chi crede di potere fermare le persone quando scappano dalla fame e dal piombo.

La notizia ovviamente ha fatto il giro dei media e dei giornali e quindi anche dei social. Proprio sui social si sono sprecati i soliti commenti di chi vede l’immigrazione come un pericolo per il proprio piccolo cortile. Sono gli stessi che inneggiano a Trump e che poi si stupiranno per i profughi che la guerra in Medio Oriente irrimediabilmente riverserà in Europa. Sono quelli che agiscono e abitano negli spazi ristretti del proprio piccolo cortile assolutamente inconsapevoli della complessità del mondo e infatti non riescono a mettersi in discussione nemmeno per un bambino morto nel carrello di un aereo.

C’è una signora, di una certa età, che ha commentato la notizia scrivendo “ha pensato di farsi rimborsare il biglietto?”. È una signora che nella foto del suo profilo Facebook stringe in braccio una bambino. Scorrendo la sua bacheca si ritrova una donna anziana fiera di essere di destra che pubblicizza la sua pizzeria a Milano, che ci mostra il suo pane fresco e che offende quelli che votano il PD.

Una persona, una nonna, che mette mano alla tastiera per ironizzare su un bambino che potrebbe essere suo nipote e che invece riesce a trattare come oggetto estraneo semplicemente per il diverso luogo di nascita. Ora, sia chiaro, non è lei che ci interessa e non è lei il paradigma di tutti i problemi ma sarebbe curioso sapere cosa spinga una donna così a sputare su un bambino per il gusto di farlo.

Perché in fondo la chiave di questo pessimo momento è proprio nella cattiveria degli insospettabili, che sono poi gli stessi che portano gli impresentabili a poter raccogliere credibilità (e voti) che sono inimmaginabili.

Cara signora Marcella, cosa la spinge ad essere così gretta? Quale disperazione la spinge a desiderare così fortemente la disperazione degli altri? Ci pieghi, davvero.

E stringa forte suo nipote.

Buon giovedì.

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Continuare piuttosto che cominciare

C’è questa frase di Thomas Mann: «Il tempo non ha divisioni per segnare il suo passaggio, non c’è mai una tempesta di tuoni o squilli di trombe per annunciare l’inizio di un nuovo mese o anno. Anche quando inizia un nuovo secolo siamo solo noi mortali che suoniamo le campane e spariamo a salve».

Inizia il nuovo anno ed è costante la sensazione di scrollarsi quello vecchio. Tutti pronti a cominciare o a ricominciare come augurio del poter riuscire a fare ciò che non si è fatto. Ci basta poco, del resto, per tenere allenata la speranza: la chiusura di un capitolo trasmette la sensazione di libertà della pagina bianca come se tutto il pregresso ci impedisse la libertà.

Tutti ad aspettare il momento giusto. E quando il momento arriva e abbiamo la sensazione che non sia quello giusto (o semplicemente ci rendiamo conto di non potere raggiungere gli obiettivi) ecco allora che non vediamo l’ora che finisca il momento sbagliato in attesa del prossimo momento.

Il Capodanno in fondo sembra un condono del nostro passato, una cancellatura netta, come se tutto fosse un fardello. E invece mi viene da pensare che sarebbe bello e utile decidere di iniziare sempre, ovunque ci troviamo, e con qualsiasi strumento. Riuscire ad avere visioni lunghe e augurarsi il primo dell’anno di continuare.

E mi viene in mente Nicoletta Dosio che a 73 anni si ritrova in carcere per continuare la sua scelta. In carcere ha passato il Capodanno. Nicoletta è colpevole (secondo la sentenza) perché in una manifestazione No Tav “resse lo striscione ‘Oggi paga Monti‘” e “impedì fisicamente il transito degli automobilisti occupando, insieme ad altri la corsia del telepass”. “A nulla vale pertanto – si legge sempre nella sentenza – ribadire che l’imputata non ebbe alcun colloquio con gli automobilisti o che non ebbe a proferire espresse minacce”. Dal carcere ha scritto di essere contenta della propria scelta.

Ecco, continuare, senza bisogno di cominciare ogni volta.

Buon giovedì.

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Un augurio per il 2020: amate i deboli e i disperati


Per il 2020 vi auguro (ma lo auguro anche a me) di innamorarvi dei deboli e dei disperati. Vi auguro di togliervi dalla testa quella fottuta paura che vi prende, guardandoli, di diventare come loro. Se un disperato accende la disperazione allora significa che avete un serio problema con la speranza, con la vostra speranza, che non riuscite più ad accendere ogni mattina.
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Il compleanno vuoto di Silvia Romano, dimenticata dall’Italia che doveva riportarla a casa


Il compleanno vuoto di Silvia Romano, a un anno dal suo rapimento, si consuma sotto al silenzio dei suoi famigliari che continuano a scavare per cercare verità e per alimentare la speranza. C’è una tenacia, tra le famiglie delle persone scomparse o morte senza giustizia, che meriterebbe tutte le mattine, un levarsi il cappello e una luce leale e dritta.
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La cassetta degli attrezzi della speranza

Ci sono due blocchi contrapposti. Anzi, a dire la verità ce n’è uno che esercita la sua egemonia culturale e dall’altra parte quelli che provano a rispondere ricadendo nella stessa malefica retorica: in Italia, in Europa e in un pezzo del mondo la gente ha scelto (più o meno consapevolmente) di farsi guidare dalle paure, dagli orrori percepiti (non importa se siano o meno reali) e dalle emergenze costruite. In pratica significa svegliarsi ogni mattina con la brama di difendersi, anche se non si sa bene esattamente da cosa e da chi, rimanendo sempre in difesa, spremendosi in un arroccamento sempre più duro e sempre più ristretto, convinti di non avere occhi e energie per nient’altro che non sia la preservazione di se stessi. Il risultato è semplice: un Paese contrito, infeltrito, che sogna gabbie e che si incattivisce per proteggersi. Ecco.

L’opposizione si scorge anche semplicemente rovesciando le parole. Immaginate gente che decida di farsi guidare dalla speranza, al contrario della paura: gente che ogni mattina si svegli respirando a larghe falcate verso il progetto di futuro, allargandosi alle possibilità, aprendosi alle interferenze vissute come occasioni, impegnata a essere più larga possibile per non perdere nemmeno un particolare.

Solo che per apparecchiare ogni mattina una speranza serve una cassetta degli attrezzi già pronta ai bordi del letto: contiene fiducia, prospettive più lunghe della probabile paga al massimo fino a fine mese, la sensazione di potersi fidare di una giustizia sociale, la certezza di potersi appoggiare a un solido sistema sociale. La cassetta degli attrezzi per architettare la speranza è la risposta politica a questo tempo lugubre. Non serve urlare quanto siano brutti e cattivi quegli altri: tocca esercitare alternativa.

Ieri a Bologna è accaduto esattamente questo: c’era il palazzetto leghista che ha soffiato sulla paura (mentre Zaia lasciava annegare Venezia per tenere sorridente un cartello in mano sul palco bolognese, a fare la majorette per servire il suo padrone) e c’era la piazza strapiena di gente che fieramente vuole essere alternativa. Solo che a quella gente, quella che manifestava per contarsi e per contare alla faccia di Salvini, bisogna offrire la cassetta degli attrezzi. In fretta. In modo credibile.

Questo manca.

Buon venerdì.

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Cenere e libri

Brucia una libreria. Mica una libreria qualunque. Brucia la stessa libreria di Centocelle che la mattina del 25 aprile, nel giorno che doveva avere il sapore di una Liberazione, era già bruciata. E ora brucia di nuovo. “La pecora elettrica” è una libreria che ha coraggio, come bisogna avere coraggio oggi a occuparsi di libri e di librerie, in un quartiere come quello dove ogni luce accesa è un fastidio per gli affari loschi dello spaccio e dei criminali che si ritengono proprietari del quartiere.

Dice in un’intervista un dipendente della libreria, visibilmente provato, che la cosa che più l’ha colpito è lo stesso odore di cenere che erano libri che aveva annusato il 25 aprile. E la sensazione delle periferie che diventano discariche di oppressioni e di disperazioni è proprio quella cenere di qualcosa che diventa difficile ricomporre, fare ritornare all’idea originaria.

C’è tutto lo sgomento per l’incendio dei libri: i libri bruciati, un’immagine che riaffiora dolorosa da tempi nerissimi. Ma lì di fronte c’è anche la pizzeria di un giovane ragazzo, anche quella gestita con il coraggio di chi decide di essere luce nel quartiere che i prepotenti vorrebbero buio, che qualche giorno fa ha subito lo stesso trattamento: fuoco, danni, fatica, e quelle disperazione che sta tutta nella fatica di svegliarsi ancora capaci di fabbricare speranza.

Sdegno di tutti i politici. Ci mancherebbe. Molto sulla libreria, molto meno sul coraggio di raccontare un quartiere che è sfuggito di mano come sfuggono di mano porzioni intere di un Paese che si sgretola, perdendo quartieri fisici e quartieri sentimentali, dove il buio diventa fin troppo facile da cavalcare in senso fisico e in senso trasfigurato. Notizie da parte dei campioni della sicurezza che passano tutto il giorno a leccare le forze dell’ordine non ne sono arrivate: in un attentato senza negri e per di più con i libri non sanno proprio cosa dire, gli sanguina il cervello.

Però c’è una buona notizia: questi vigliacchi sono talmente vigliacchi che si spaventano per un libro e per una pizza, si squagliano di fronte a una luce. Fare luce: se ci pensate sarebbe il comandamento della politica e della comunità. Non dovrebbe essere così difficile.

Buon giovedì.

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Il diritto di essere malati, come si vuole

Vivere comunque, nelle disgrazie e nella malattia, si chiama vita. Ognuno ha il diritto di affrontare questo percorso come se lo sente; chi con grinta, chi con speranza, chi con il sorriso, chi con rassegnazione.

Sana e robusta Costituzione

Articolo 10 della Costituzione:

«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

Articolo 2:

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»

Articolo 11:

«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.»

Articolo 13:

«La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.»

Articolo 21:

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.»

Articolo 26:

«L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.»

Basta leggerli così, con una conoscenza che sia magari un po’ sopra all’università della vita, gli articoli della Costituzione per rendersi conto che il Decreto Sicurezza è qualcosa che esce dai limiti stabiliti dai padri costituenti per limitare ogni forma di violenza, di disuguaglianza e di disumanità. Ci si potrebbe aspettare anche che il presidente della Repubblica faccia il Presidente della Repubblica, ma è speranza debole. Alla fine ci penserà la sana e robusta Costituzione.

Buon mercoledì,

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La disillusione in coda

Volete un sintomo per toccare con mano il mondo del lavoro giovanile in Italia? Vi bastava mettere la testa fuori e osservare la coda alla Fiera di Roma, dove 54.000 persone (cinquantaquattromila persone, uno stadio di calcio) sono state per ore in coda per il concorso per diventare navigator, la figura pubblica individuata dal ministro del Lavoro Luigi di Maio per seguire far trovare lavoro a chi incassa il reddito di cittadinanza. Cinquantaquattromila persone che formavano un serpentone lunghissimo sotto il sole cocente che è il sentiero (senza sbocco) di un’Italia in cui anche un contratto di due anni (questo è il tempo in cui i prescelti lavoreranno in Anpal Servizi, la società in house al ministero del Lavoro che si occupa del reddito di cittadinanza) è una speranza che vale la pena inseguire.

54.000 persone per 2.980 posti. E siccome sono tutti laureati e sanno bene far di conto sanno bene che le speranze sono ridotte al lumicino, tutti pronti a mettere 100 crocette in 100 minuti su cui si giocano almeno un biennio di respiro, di reddito e di normalità che dovrebbe essere sancita dall’articolo 1 della Costituzione.

E badate bene: questi 54.000 sono quelli che hanno superato la preselezione. Sì, erano molti di più, 79.000, per la precisione. Questi sono quelli che hanno ottenuto il diritto di provarci. E sono arrivati da tutta Italia con la loro valigia, come fecero i loro genitori, ma con molte speranze in meno. L’età media è di 30 anni e per molti di loro un contratto biennale è una chimera che solitamente non si possono nemmeno permettere di sognare, sempre precari appesi al filo di una vita che si vive un mese alla volta senza sapere come sarà il prossimo, con l’impossibilità di costruirsi un futuro e di poter programmare la propria vita, le proprie speranze e, perché no, perfino una famiglia a forma di famiglia.

E forse sarebbe valsa la pena provare a scendere lì con loro a toccarla, la disillusione che si portano addosso. Convinti che non ci sia alternativa, che ormai sia così, e che non esista il diritto di aspettarsi di meglio.

Come scrisse il filosofo scozzese Thomas Carlyle: «Un uomo che vuol lavorare e non trova lavoro è forse lo spettacolo più triste che l’ineguaglianza della fortuna possa offrire sulla Terra».

Buon mercoledì.

 

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