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Morena Terraschi su Nuovissimo testamento

un paese in cui ogni emotività è bandita, in cui ogni persona viene privata dei propri slanci fin da neonata finché piccole sacche di ribellione che man mano si fanno rivoluzione cominciano un cambiamento traumatico

Giulio Cavalli ci riporta a DF, quel paese che aveva visto arrivare sulle sue coste una spaventosa marea di corpi senza vita e che si fece fortezza e galera. Lo ritroviamo a distanza di anni, ora a DF ogni emotività è bandita. Un vaccino somministrato agli abitanti fin da neonati ne inibisce per sempre i picchi emozionali, non li elimina del tutto ma li riduce e minimizza. Il risultato è una società monocolore, in cui tutto è programmato e incasellato: neonate e neonati vengono portati via alle madri e allevati tutti insieme, man mano che crescono vengono indirizzati al mestiere più adatto, un rigido sistema gestisce promozioni e privilegi, si sposano per 5 anni all’unico scopo di avere una figlia o un figlio, hanno una cerchia ristretta di persone con cui socializzare, a 70 anni si traferiscono nelle case del riposo. Vengono govevnati da una classe dirigente che non viene vaccinata, che quindi mantiene intatte le proprie emozioni e la propria capacità di controllo e repressione. Questo sistema che dura da lunghi anni però, comincia a rilevare delle crepe, ogni tanto qualcuno (come Fausto Albini dalla cui storia inizia il romanzo) ha una crisi, un mancamento emozionale e viene ricoverato allo scopo di ricalibrare le emozioni che stanno lentamente emergendo. Ci sono però dei ribelli, persone che nascondono accuratamente il loro risveglio emozionale, che si rivolgono al mercato nero per soddisfare i propri bisogni, ribelli che ad un certo punto diventano dei veri rivoluzionari, che riescono a risvegliare DF dal suo letargo emotivo con conseguenze meravigliose e spaventose. Una distopia sorprendente, coraggiosa nel usare come espediente narrativo un vaccino come strumento di controllo (praticamente la convinzione di moltissimi complottisti), mai facile nello sviluppo della trama, assolutamente non compiacente nella conclusione. Consigliato quanto se non più del primo.

(fonte)

Pop-eye su Nuovissimo testamento: “una non distopia delle emozioni”

Nuovissimo testamento di Giulio Cavalli è un romanzo di lotta contro una realtà esasperata, anestetizzata. Ma non così distante dalla nostra.

Eleonora R.

Nuovissimo testamento è un romanzo scritto da Giulio Cavalli e pubblicato da Fandango nel febbraio 2021. Cavalli, scrittore e autore teatrale, collabora con diverse testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, oltre che romanzi. 

Analfabetismo emozionale

“Quel crac delle vene mentre osservava il solco tondo in spiaggia fu un dolore che non lo lasciò respirare. Era svenuto di faccia, i suoi ristretti l’avevano caricato sul sedile posteriore per avviarsi verso l’ospedale come prevede la procedura se qualcuno non risponde alle sollecitazioni esterne per più di quindici minuti.”

Nuovissimo testamento, Giulio Cavalli

Nello Stato di DF il governo ha ideato un vaccino da somministrare alla nascita ad ogni cittadino per estirpare l’empatia e le emozioni

Sono eliminati tutti gli stimoli; i colori sono soprattutto bianco e grigio nelle diverse tonalità; l’arte, la musica, i libri, i film sono vietati. Il cibo somministrato, in base alla dieta settimanale, non ha nessun sapore: si mangia per nutrirsi, non per soddisfare le proprie papille gustative. Le coppie esistono solo per fare figli e i partner sono assegnati dal governo a turnazione. 
I bambini vengono allontanati dalle madri naturali e inseriti in istituti governativi; non si sa cosa succeda agli anziani dopo aver perso la funzionalità procreativa. 

“…stavi leggendo, ma non si possono leggere libri, aveva detto lei, hai portato in casa un libro e ci hai messo tutti nei guai, no no aveva detto Andrea ora lo butto…”

ivi, Cap. 4 

Solo i governanti, che vivono in una cittadella a parte, non hanno rinunciato alle emozioni. Nel reparto ospedaliero di Disturbi affettivi si incontrano i protagonisti di questo romanzo. Ognuno di loro è lì per una ragione: chi per essere stato scoperto a leggere, chi per aver pianto, chi per essersi aggrappato a un ricordo. 
Tutti campanelli d’allarme di un risveglio emotivo. 

Ricorsi storici tra le Brigate Sentimentali e Alan Moore

[ATTENZIONE: SPOILER]

È chiaro che per i governanti di DF sia molto facile controllare e guidare un popolo che non prova desideri, ambizioni ed emozioni. Ogni cittadino segue il protocollo che lo stato ha emesso, ognuno è solo, vige l’individualismo. Esiste però un movimento sotterraneo e silenzioso che spaccia libri, musica, abiti colorati, cacao, spezie, cibo e liquori che mandano in visibilio le papille gustative, fanno nascere fiammelle di speranza e voglia di lottare per il proprio diritto a provare emozioni. 

Sono le Brigate Sentimentali alle quali si uniscono i protagonisti del romanzo prendendo parte alla lotta.

“Per questo avete provocato disperazione, per costruire emozioni bisogna averne il vocabolario mentre i cittadini di DF sono analfabeti.”

ivi, Cap. 15

Il primo attentato delle Brigate sentimentali avviene in metropolitana. 
Alcuni cittadini, travolti dalla Sinfonia n. 5 di Beethoven, resteranno interdetti dalla sua bellezza. Altri, in balia di un vortice di emozioni fuori controllo, perderanno la ragione e anche la vita: d’altronde, un mondo controllato dall’alto e in cui ognuno sa perfettamente cosa fare è confortante. 

Malinconia, di Munch (una delle tele, 1891 c.ca). Il pensiero di Kierkegaard ha influenzato molto l’artista norvegese.

Kierkegaard, filosofo danese, spiegò bene come l’uomo sia vittima della sua stessa libertà: la possibilità di scegliere pone l’uomo davanti a infinite possibilità, generando angoscia. Ecco come i cittadini di DF, non possedendo gli strumenti per riconoscere e gestire le emozioni, ne sono rimasti travolti.

Le Brigate Sentimentali escogiteranno, poi, un piano per somministrare l’antidoto al vaccino a tutti i cittadini, al fine di liberare le emozioni, sbaragliare la vecchia classe politica e dare vita a un Nuovissimo testamento. Qui inizia l’ultima battaglia a suon di democrazia. 

“…forse farsi governare è nell’animo umano più di quanto avessimo capito, ci vuole un’innaturale sconsideratezza per ambire alla libertà.”

ivi, Cap. 24

La Sinfonia n. 5 di Beethoven  ha uno stretto collegamento con il famoso fumetto (e film) V per Vendetta (Moore, 1982; McTeigue, 2005). D’altronde, Alan Moore ha utilizzato Beethoven anche nel suo Miracleman, mentre nella pellicola dedicata a gli è stato preferito Tchaikovsky, escludendo così il parallelismo tra la Quinta e il cinque in numeri romano.
Come ben sappiamo, ogni autoritarismo per reggersi deve controllare la cultura e l’arte principali nemici dell’ideologia. Infatti V userà queste due armi per risvegliare le coscienze e il libero arbitrio, proprio come le Brigate Sentimentali. 

La Quinta di Beethoven intreccia V per Vendetta e Nuovissimo testamento.

Visto che siamo in tema di riferimenti non possiamo non sentire il sapore Orwelliano tra le pagine di Nuovissimo testamento. In 1984, un classico della letteratura novecentesca, Orwell critica la società del tempo: come V per Vendetta anche qui troveremo un regime che, però, non mostrerà una speranza per il futuro nemmeno nel finale.

A proposito di conclusioni, quella di Nuovissimo testamento di Cavalli ha un sapore amaro: non tutti sono pronti ad essere liberi. L’autore non lascia via di scampo, la fiamma della speranza di rovesciare l’ordine costituito si spegne. Tutto cambia per restare uguale.

La trappola narrativa

Nuovissimo testamento è un romanzo in cui anche la struttura narrativa è perfettamente conforme alla storia. Le parole si susseguono una all’altra sulla carta come un fiume in piena, assumendo una forma ossessiva e urgente.

La punteggiatura e scarsa, pensieri e dialoghi si sovrappongono senza essere distinti con virgolette o trattini. Questo può rendere faticosa la lettura ma anche intrappolare il lettore in questo flusso di parole senza riuscire a chiudere il libro prima di essere arrivato all’ultima pagina. 

Auspicabile realtà o tremenda distopia?

Questo Romanzo potrebbe rientrare in un episodio di Black Mirror, Serie TV che ha giocato molto sulle rappresentazioni alternative della realtà. Si parte da un aspetto reale e lo si esaspera fino all’estremo; il pubblico rimane inizialmente sconcertato dall’apparente assurdità di quello che sta vedendo ma, dopo una breve riflessione, si accorge che la realtà prospettata non è così distante dalla propria.

La copertina di “The Entire History of You” (Black Mirror) immaginata da Butcher Billy.

Anche Cavalli in Nuovissimo testamento racconta una realtà estremizzata. Identificare questo romanzo come appartenente al genere “distopico” può essere ingannevole: il provare emozioni è talvolta considerato una debolezza nella società attuale, un lusso che non ci si può permettere. 
Inoltre non provare emozioni protegge dal dolore, dalla paura e dal sentire in generale: mica male, no?

Ci sono domande che sorgono spontanee durante la lettura di Nuovissimo Testamento:
Saremmo disposti a farci iniettare il vaccino per smussare le spigolosità e prediligere la più noiosa rotondità affettiva? 
Saremmo davvero propensi ad avere relazioni esclusivamente formali che non richiedano sforzo emotivo pur di calmierare il rischio di soffrire? 

Oggi provare empatia viene spesso tradotto come buonismo, assumendo quindi un significato negativo. 
È terrificante: se l’essere umano perdesse la capacità di empatizzare e di provare emozioni, allora rinuncerebbe alla sua umanità. E questa sembra essere la lezione più profonda di Cavalli e del suo Nuovissimo testamento.

ER

(l’articolo originale è qui)

Vitaminevaganti recensisce Nuovissimo testamento

(fonte)

«Se l’uomo non si riconosce tra simili non riesce a dare un nome ai propri bisogni. Un uomo che non riconosce i propri bisogni non possiede il vocabolario della democrazia. Il potere che finge di istruire e invece governa con paternalismo ha la strada spianata. Il segreto del saper bene governare sta nel rendere i cittadini bene governabili, proni, incapaci di unirsi tra loro e con il mondo esterno».

Quando un libro si lascia divorare pagina dopo pagina, difficilmente delude. È quanto mi è accaduto qualche giorno fa con la lettura di Nuovissimo testamento, recentissimo romanzo di Giulio Cavalli, pubblicato a febbraio di questo anno. Non ne consiglio banalmente la lettura. Di più. Ne consiglio l’esplorazione appassionata di ogni pagina, addentando bramosamente capitolo su capitolo.

Il libro ci riporta nell’immaginario paese di DF, già luogo protagonista di Carnaio, l’altro suo bellissimo romanzo distopico che ho recensito per vitaminevaganti (https://vitaminevaganti.com/2020/10/17/carnaio-un-romanzo-di-giulio-cavalli/). È una distopia? Se restiamo al livello di analisi del genere letterario risponderei affermativamente, ma se leggiamo questo libro con la fame che chi — come me — ha di voler vedere realizzata una società più giusta, più empatica, più accogliente e meno aberrante, come quella che spesso ci circonda, allora ci si riscopre a non leggere una storia distopica, bensì la nostra storia attuale. Come già in Carnaio, Cavalli descrive il nostro tempo in modo spietato, senza sconti, metaforico solo per chi non sa leggere la realtà. Pagine memorabili, che spiegano quanto danno provoca il potere esercitato su una popolazione narcotizzata da una narrazione unica di questa realtà, ingannata e privata dell’empatia: «Nel governo di DF avevano infatti studiato a lungo il fatto che la mancanza di empatia fosse la garanzia più solida e importante per il mantenimento del potere e del governo».

La narrazione parte dal momento in cui alcuni cittadini di DF vengono portati d’urgenza al Pronto Soccorso perché manifestano segnali strani e preoccupanti: Fausto Albini ha disegnato un cerchio sulla spiaggia con un bastone, Manlio Cuzzocrea ha pianto per giorni senza motivo, Andrea Razzone è stato scoperto mentre leggeva, Angelo Siani sogna continuamente la madre biologica che non ha mai conosciuto. Già, perché a DF non esistono sentimenti, gli abitanti sono come narcotizzati secondo un programma del governo che prevede coniuge assegnato e variabile a rotazione, bambini e bambine che vengono solo concepiti e poi, una volta nati, affidati ai Centri per l’infanzia, anziani ed anziane spariscono una volta assolto il loro ciclo produttivo, esistono poche gradazioni di colore concesse per edilizia, arredamento, abbigliamento, il governo assegna ad ogni persona casa, lavoro, dieta settimanale, pacchetto di amicizie da frequentare. A DF, inoltre, non si possono leggere libri se non quelli assegnati per lavoro, non si possono ascoltare musica e guardare opere d’arte. Fino a quando questi ammalati, che manifestano evidenti anomalie agli occhi dei medici, non cominciano a pensare che dietro al sistema esistenziale di DF ci possa essere un preciso progetto previsto dagli «algoritmi del governo», dal quale si crede non ci si possa liberare. E invece Fausto, Manlio, Andrea, Angelo, insieme alla dottoressa Anna Cordio, a Bernadetta e all’uomo che indossa una giacca di velluto, cercheranno di innescare un vero e proprio movimento di resistenza fondando le Brigate sentimentali, per difendere il loro rigurgito di empatia e andare fino in fondo nella scoperta di cosa governa davvero DF e i suoi abitanti.

Lo stile è scorrevole, la pregiata scrittura mi ha rimandato molto al flusso di coscienza di James Joyce e Virginia Woolf e ricordato le migliori pagine distopiche di José Saramago, Dori Lessing e Aldous Huxley: penso in particolare ai libri Le intermittenze della morteDiscesa all’inferno e Il mondo nuovo.

Leggete Nuovissimo testamento, fatelo leggere e diffondetelo, perché questo libro esercita la funzione di dire la verità, quella scomoda, sul nostro tempo e sulle nostre profonde ipocrisie, funzione ormai esercitata solo dai folli, dai visionari e dagli artisti, e Cavalli è magistralmente ognuno di loro.

Alla fine del viaggio della lettura, all’autore di un libro che ti entra così dentro l’anima non puoi che dire una sola parola, sperando possa ascoltare il tuo commosso sussurro: GRAZIE.

Flanerì su Nuovissimo testamento

(fonte)

In un reparto dell’ospedale dello stato di DF – il più celato e spaventoso, quello dedicato ai Disturbi affettivi – sono ricoverati alcuni pazienti. Manlio Cuzzocrea, che ha pianto per nove giorni di seguito, senza dormire né mangiare, consiglia a Fausto Albini, l’ultimo arrivato, di imparare in fretta il senso della misura, e cioè cosa gli conviene fare e cosa non fare: se vuole uscire da quel posto orribile, infatti, è bene che si comporti a modo fin da subito. Fausto è svenuto dopo aver disegnato un cerchio sulla sabbia, gesto che gli ha riportato in mente qualcosa, forse l’abbozzo di un’emozione e quindi di una colpa.

In reparto ci sono anche Andrea e Angelo, responsabili rispettivamente di aver letto dei libri e sognato la propria madre. In ognuno di loro qualche meccanismo deve essersi inceppato: il vaccino iniettato agli abitanti di DF alla nascita, che cancella sentimenti, emozioni ed empatia – e che quindi garantisce una società più ordinata, felice e produttiva –, non ha funzionato bene. Rinchiuderli, curarli, e in casi estremi condannarli, è l’unico modo per evitare uno scoppio di emotività incontrollata. È proprio tra le mura dell’ospedale, però, che si diffonderà il germe di una rivolta; rivolta che esiste ma che all’inizio i protagonisti non riusciranno a capire cosa rappresenti, se voglia di vivere, rabbia, oppure disperazione.

L’ultimo romanzo di Giulio CavalliNuovissimo testamento (Fandango Libri, 2021), è una distopia atipica. Già il titolo, con il suo esplicito richiamo alla seconda – e discordante rispetto alla prima – parte della Bibbia, rivela come il cuore del libro sia la rottura, la violenza – e la speranza – insita nel cambio di paradigma, nell’annuncio di qualcosa di totalmente nuovo. Anzi, nuovissimo: il monito del superlativo mostra che ogni rivoluzione – o rivelazione – ha bisogno ciclicamente di essere riaggiornata, o meglio ricordata, ribadita.

A DF tutto è studiato nei minimi particolari per evitare l’emergere spontaneo di emozioni: matrimoni e amicizie sono stabilite dall’alto e ruotano periodicamente, mentre i bambini vengono separati alla nascita dai genitori; le inclinazioni lavorative sono decretate dagli algoritmi del governo; la società è divisa in livelli, e avanzare di classe sembra l’unico – per quanto imposto – desiderio presente nei cittadini. Letteratura, musica, arte ovviamente sono bandite. Perfino i palazzi hanno una tonalità grigia e triste, pensata anch’essa a mo’ di anestetizzante. La prosa di Cavalli, ossessiva e a tratti volutamente meccanica, racconta con un realismo paradossale questo universo da incubo:

«Le abitazioni degli abitanti in classe cinque di DF erano tutte a due piani, tutte dipinte all’esterno di grigio quattrocentoventotto, così come i muri interni. La casa era composta da un ingresso stretto e lungo, a destra una mensola grigia quattrocentoventidue, per svuotare le tasche, a sinistra un attaccapanni per giacche e cappelli grigio quattrocentoventidue, poi un salone centrale arredato con un divano angolare nero settecentoventisette, un tavolinetto basso in plastica nero settecentoventisette, una televisione che per gli abitanti di classe cinque era di quarantanove pollici e un vaso di fiori finti con gambo verde trecentodue e petali verdi trecentosedici, colori utili al rilassamento defatigante […]».

L’utilizzo martellante delle ripetizioni, la sintassi ipotattica e la punteggiatura fluida e spesso mancante esibiscono linguisticamente la fallacia principale del progetto politico alla base di DF: una società priva di emozioni, infatti, è la più ossessiva e morbosa che si possa immaginare. La freddezza inscenata allo scopo di annullare ogni malattia possibile è in realtà una malattia essa stessa. Il merito maggiore della prosa di Cavalli è quello di agire direttamente sul contenuto, svelandolo e perfino modificandolo; la sua scrittura è debitrice di Bolaño e soprattutto di Saramago: come nei romanzi dello scrittore portoghese (si pensi in particolare a Cecità o Le intermittenze della morte), in Nuovissimo testamento a dominare è il racconto corale. La scelta di alternare costantemente personaggi e punti di vista, di raccontare la storia attraverso una sorta di voce molteplice, che si spezza però in mille direzioni, è vincente, perché amplifica e al contempo contrasta l’ossessività della lingua e della vicenda.

Nuovissimo testamento, d’altronde, è un romanzo tutto costruito sui paradossi: ogni immagine, ideologia, emozione, possiede per Cavalli un volto segreto, una possibile lettura antitetica. Quando le Brigate Sentimentali – questo il nome del gruppo rivoltoso che, partito da quell’orribile reparto di ospedale, decide di risvegliare con ogni mezzo l’empatia negli abitanti di DF – compiono un “attentato” sparando a tutto volume in metropolitana la Sinfonia 5 di Beethoven, il risultato è sconcertante: la gente, scioccata da quell’inaspettato turbinio di emozioni, quasi impazzisce; uno si cava gli occhi, altri finiscono schiacciati da un treno – c’è anche chi, però, rimane paralizzato in balia dell’estasi.

Un personaggio pieno di contraddizioni è viceversa il presidente di DF, Andrea Bussoli, inquietante rappresentazione del potere: mentre infatti il popolo conduce la sua esistenza sedato, non è così per la classe governante, che, trincerata in una cittadella, non ha affatto rinunciato alle emozioni. Eppure, nei momenti di crisi che seguono ai “focolai di empatia”, il presidente sembra ripetutamente non reggere l’ansia e la paura che sono la controparte del suo stato di privilegiato; è Bussoli stesso, in fondo, a desiderare che gli venga somministrato il vaccino, che anche lui possa smettere di “sentire”.

Dopo Carnaio, con cui era stato finalista al Premio Campiello e aveva già raccontato violenze e disumanità del presente, in Nuovissimo testamento Cavalli continua la sua straniante esplorazione narrativa dei mali della contemporaneità: in una società come la nostra, basata sulla ricerca dell’emozione a tutti i costi, la scelta dello scrittore di dipingere un mondo privo di empatia è più coraggiosa, e originale, di quanto si possa credere. Cavalli mostra infatti che il possesso della libertà comporta una grande dose di fatica, e conduce a varie contraddizioni: per essere liberi bisogna assumersi delle responsabilità, accettare anche delle brutture. Sentire, insomma, fa malissimo, ma è necessario. Il sentimentalismo spicciolo però, le emozioni usa e getta da cui siamo circondati – o meglio imprigionati, asfissiati non meno degli abitanti di DF –, non hanno niente a che spartire con le sensazioni contrastanti e complesseche assalgono i personaggi di Nuovissimo testamento una volta liberi dal giogo del vaccino. L’apatia di DF assomiglia a quella della nostra società, in superficie colma di emozioni (false e in fin dei conti sedative), ma nel profondo mostruosamente ipocrita.

Giulio Cavalli ha insomma ripreso alcuni topos della letteratura fantascientifica e distopica per poi complicarli, evitando ogni soluzione facile: la visione del mondo di Nuovissimo testamento è inquietante, a tratti spietata. Sul finale d’altronde il libro sprofonda in un pessimismo disarmante e per questo realistico; quello dello scrittore non è un semplice monito, quanto un fedele ritratto del presente. Una cronaca dei meccanismi profondi piuttosto che una mera previsione. Proprio per questo la speranza – che nel romanzo assume vari nomi: lotta, rivolta, empatia – si coglie costantemente tra una riga e l’altra; e non potrebbe essere altrimenti, perché Nuovissimo testamento è un libro politico nel senso che è vivo, che smuove il lettore, lo stimola all’azione.

(Giulio Cavalli, Nuovissimo testamento, Fandango Libri, 2021, pp. 288, euro 19, articolo di Claudio Bello)

Fa uccidere l’ex moglie e usa la figlia come alibi: l’orrore del femminicidio di Ilenia Fabbri a Faenza

Contiene tutti i caratteri che ci sono in tanti ex mariti assassini e per questo la storia di Ilenia Fabbri, l’ennesimo femminicidio avvenuto a Faenza lo scorso 6 febbraio, va raccontata. Ieri le forze dell’ordine hanno arrestato Claudio Nanni, 53 anni, ex marito di Ilenia ritenuto mandante dell’omicidio e Perluigi Barbieri, 51 anni, un picchiatore conosciuto lì in zona, un professionista di spedizioni punitive e di vigliaccheria che è già stato condannato per atti di violenza contro un disabile.

Negli atti del gip c’è il solito uomo che ritiene sua moglie, anche se ex, una proprietà privata che non ha nessun diritto di sopravvivere alla fine di un rapporto e che deve essere annientata per espiare la sua colpa di essere libera: Nanni dal 2017 aveva continuato a minacciare e aggredire l’ex moglie, era preoccupato per una causa che lei gli aveva intentato per il lavoro che aveva svolto nella sua officina di famiglia senza mai essere pagata, non versava i 500 euro mensili per la figlia Arianna e aveva deciso che l’omicidio sarebbe stato il modo migliore per risolvere il problema.

“Avido, paranoico del controllo, privo di scrupoli”, scrive di lui il gip Corrado Schiaretti che ha ripercorso le tappe dell’omicidio: il 10 dicembre Nanni è rinchiuso in casa per Covid e contatta Barbieri per fare “tutte le cose che bisogna fare”, il 20 e il 29 dicembre i due si incontrano, si scambiano le chiavi di casa, pianificano il percorso del killer nell’abitazione e probabilmente fanno un sopralluogo.

All’alba del 6 febbraio Claudio Nanni passa a prendere la figlia Arianna, 21 anni, al mattino presto, ha intenzione di usarla come alibi mentre il killer le uccide la madre. Barbieri entra in camera da letto ma Ilenia combatte, scappa per le scale, lui la massacra di botte e infine la sgozza.

In casa però c’è la fidanzata di Arianna che sente il trambusto, chiama Arianna, padre e figlia tornano indietro, Arianna chiama la polizia e urla al padre di accelerare. Nanni a quel punto, scrive il gip, piange in maniera incontrollata, consapevole di ciò che sta accadendo invita la fidanzata della figlia a non uscire dalla stanza e nascondersi.

Quando arrivano davanti alla casa, Nanni non scende dall’auto, non ha bisogno di vedere, sa già tutto. Manda la figlia. Un uomo che ha usato la figlia come alibi e che l’ha delegata a vedere il corpo morto di sua madre. La sua messinscena di una rapina andata male è fallita. Ora è in carcere e ancora una volta noi siamo qui a scrivere di una donna che prima di Natale aveva confidato alla sua avvocatessa di volere fare testamento. Ed è finita proprio come temeva. Perché l’assassino delle donne, qui in Italia, ha quasi sempre le chiavi di casa della sua vittima.

Leggi anche: 1. Violenza sulle donne, le scarpe rosse di Loredana Bertè a Sanremo non bastano più /2. Massacrata dall’ex, Clara si era pagata il funerale da sola: già sapeva di morire e nessuno ha fatto niente /3. Tremavo, ero un corpo vuoto: vi racconto cosa si prova durante uno stupro” | VIDEO TPI 

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«Madre, ti lascio parole infinite»

_78534384_77921881Tutta una vita in un messaggio vocale. Il testamento di Reyhaneh Jabbari, 26 anni, impiccata dal regime per avere ucciso l’uomo che voleva stuprarla. Il 1 aprile, una volta saputo della sua condanna a morte, aveva registrato per la madre un audio messaggio con le sue ultime volontà. Qui sotto il testo integrale della lettera:

Cara Shole,
oggi ho appreso che e’ arrivato il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime ndr). Mi sento ferita, perché non mi avevi detto che sono arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non pensi che dovrei saperlo? Non sai quanto mi vergogno per la tua tristezza. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?

Il mondo mi ha permesso di vivere fino a 19 anni. Quella notte fatale avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in un qualche angolo della città e, dopo qualche giorno, la polizia ti avrebbe portata all’obitorio per identificare il mio cadavere, e avresti appreso anche che ero stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato poiché noi non godiamo della loro ricchezza e del loro potere. E poi avresti continuato la tua vita nel dolore e nella vergogna, e un paio di anni dopo saresti morta per questa sofferenza, e sarebbe finita così.
Ma a causa di quel colpo maledetto la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato via, ma nella fossa della prigione di Evin e nelle sue celle di isolamento e ora in questo carcere-tomba di Shahr-e Ray. Ma non vacillare di fronte al destino e non ti lamentare. Sai bene che la morte non è la fine della vita.

Mi hai insegnato che veniamo al mondo per fare esperienza e per imparare una lezione, e che ogni nascita porta con sé una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna combattere. Mi ricordo quando mi dicesti che l’uomo che conduceva la vettura aveva protestato contro l’uomo che mi stava frustando, ma quest’ultimo ha colpito l’altro con la frusta sulla testa e sul volto, causandone alla fine la morte. Sei stata tu a insegnarmi che bisogna perseverare, anche fino alla morte, per i valori.

Ci hai insegnato andando a scuola ad essere delle signore di fronte alle liti e alle lamentele. Ti ricordi quanto hai influenzato il modo in cui ci comportiamo? La tua esperienza però è sbagliata. Quando l’incidente è avvenuto, le cose che avevo imparato non mi sono servite. Quando sono apparsa in corte, agli occhi della gente sembravo un’assassina a sangue freddo e una criminale senza scrupoli. Non ho versato lacrime, non ho supplicato nessuno.  Non ho cercato di piangere fino a perdere la testa, perché confidavo nella legge.

Ma sono stata incriminata per indifferenza di fronte ad un crimine. Vedi, non ho ucciso mai nemmeno le zanzare e gettavo fuori gli scarafaggi prendendoli per le antenne. Ora sono colpevole di omicidio premeditato. Il mio trattamento degli animali è stato interpretato come un comportamento da ragazzo e il giudice non si è nemmeno preoccupato di considerate il fatto che, al tempo dell’incidente, avevo le unghie lunghe e laccate.

Quanto ero ottimista ad aspettarmi giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai nemmeno menzionato che le mie mani non sono dure come quelle di un atleta o un pugile. E questo paese che tu mi hai insegnata ad amare non mi ha mai voluta, e nessuno mi ha appoggiata anche sotto i colpi dell’uomo che mi interrogava e piangevo e sentivo le parole più volgari. Quando ho rimosso da me stessa l’ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata premiata con 11 giorni di isolamento.

Cara Shole, non piangere per quello che senti. Il primo giorno che nell’ufficio della polizia un agente anziano e non sposato mi ha colpita per via delle mie unghie, ho capito che la bellezza non è fatta per questi tempi.  La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, la bella calligrafia, la bellezza degli occhi e di una visione, e persino la bellezza di una voce piacevole.

Mia cara madre, il mio modo di pensare è cambiato e tu non sei responsabile. Le mie parole sono senza fine e le darò a qualcuno in modo che quando sarò impiccata senza la tua presenza e senza che io lo sappia, ti verranno consegnate. Ti lascio queste parole come eredità.
Comunque, prima della mia morte, voglio qualcosa da te e ti chiedo di realizzare questa richiesta con tutte le tue forze e tutti i tuoi mezzi. Infatti, è la sola cosa che voglio dal mondo, da questo paese e da te. So che hai bisogno di tempo per questo. Per questo ti dirò questa parte del mio testamento per prima. Per favore non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e presenti la mia richiesta. Non posso scrivere questa lettera dall’interno della prigione con l’approvazione delle autorità, perciò ancora una volta dovrai soffrire per causa mia.  È la sola cosa per cui, anche se tu dovessi supplicarli, non mi arrabbierei – anche se ti ho detto molte volte di non supplicarli per salvarmi dalla forca.

Mia buona madre, cara Shole, più cara a me della mia stessa vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio cuore giovane diventino polvere. Supplicali perché subito dopo la mia impiccagione, il mio cuore, i reni, gli occhi, le ossa e qualunque altra cosa possa essere trapiantata venga sottratta al mio corpo e donata a qualcuno che ne ha bisogno. Non voglio che sappiano il mio nome, che mi comprino un bouquet di fiori e nemmeno che preghino per me. Ti dico dal profondo del cuore che non voglio che ci sia una tomba dove tu andrai a piangere e soffrire.  Non voglio che tu indossi abiti scuri per me. Fai del tuo meglio per dimenticare i miei giorni difficili. Lascia che il vento mi porti via.

Il mondo non ci ama. Non voleva il mio destino. E adesso sto cedendo e sto abbracciando la morte. Perché nel tribunale di Dio incriminerò gli ispettori, l’ispettore Shamlou, il giudice, i giudici della Corte suprema che mi hanno colpita quando ero sveglia e non hanno smesso di abusare di me. Nel tribunale del creatore accuserò il dottor  Farvandi, e Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza o menzogna mi hanno tradita e hanno calpestato i miei diritti.
Cara Shole dal cuore d’oro, nell’altro mondo siamo io e te gli accusatori e loro sono gli imputati. Vediamo quel che vuole Dio. Io avrei voluto abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene.

Reyhaneh

(fonte)

Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo.

Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo.
Ti lascio il sole che lasciò mio padre a me.
Le stelle brilleranno uguali e uguali ti indurranno
le notti a dolce sonno.
Il mare t’empirà di sogni. Ti lascio
il mio sorriso amareggiato: fanne scialo
ma non tradirmi. Il mondo è povero
oggi. S’è tanto insanguinato questo mondo
ed è rimasto povero. Diventa ricco
tu guadagnando l’amore del mondo.
Ti lascio la mia lotta incompiuta
e l’arma con la canna arroventata.
Non l’appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno.
Ti lascio il mio cordoglio. Tanta pena
vinta nelle battaglie del mio tempo.
E ricorda. Quest’ordine ti lascio.
Ricordare vuol dire non morire.
Non dire mai che sono stato indegno, che
disperazione mi ha portato avanti e son rimasto
indietro, al di qua della trincea.
Ho gridato, gridato mille e mille volte no,
ma soffiava un gran vento e pioggia e grandine
hanno sepolto la mia voce. Ti lascio
la mia storia vergata con la mano
d’una qualche speranza. A te finirla.
Ti lascio i simulacri degli eroi
con le mani mozzate,
ragazzi che non fecero a tempo
ad assumere austera forma d’uomo,
madri vestite a bruno, fanciulle violentate.
Ti lascio la memoria di Belsen e di Auschwitz.
Fa’ presto a farti grande. Nutri bene
il tuo gracile cuore con la carne
della pace del mondo, ragazzo, ragazzo.
Impara che milioni di fratelli innocenti
svanirono d’un tratto nelle nevi gelate
in una tomba comune e spregiata.
Si chiamano nemici; già. I nemici dell’odio.
Ti lascio l’indirizzo della tomba
perché tu vada a leggere l’epigrafe.
Ti lascio accampamenti
d’una città con tanti prigionieri,
dicono sempre sì, ma dentro loro mugghia
l’imprigionato no dell’uomo libero.
Anch’io sono di quelli che dicono di fuori
Il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no.
Così è stato il mio tempo. Gira l’occhio
dolce al nostro crepuscolo amaro,
il pane è fatto pietra, l’acqua fango,
la verità un uccello che non canta.
È questo che ti lascio. Io conquistai il coraggio
d’essere fiero. Sforzati di vivere.
Salta il fosso da solo e fatti libero.
Attendo nuove. È questo che ti lascio.

Da minima & moralia. “Testamento” del greco Kriton Athanasulis (Tripoli, Arcadia 1917 – Atene 1979) è una delle sue poche tradotta in italiano (da Filippo Maria Pontani). Uscì per la prima volta nella raccolta Due uomini dentro di me (1957).

Il silenzio colpevole uccide più delle mafie

pauraLettera di Carlo Pascarella, giornalista. Non servono commenti.

E’ proprio vero, il silenzio uccide e scriverò un libro sulla camorra per dimostrarlo: non si offenda nessuno, altro che Gomorra. Non mi importa se lo leggerò solo io, non mi interessano i soldi, lo farò per mia figlia Francesca, la mia dolce bimba di 4 anni che voglio cresca in un mondo migliore. Sarà il libro in cui racconterò le cose che finora non ho detto perché troppo preso a difendermi dagli attacchi della camorra e dal moralismo “aberrante” di uomini di potere che hanno tentato di chiudermi la bocca senza riuscirci.

Racconterò anche di come l’anticamorra per alcuni colleghi, anche di Pignataro Maggiore, sia diventata una moda più che un dovere. Qualche collega forse mi odia, qualcuno mi invidia, qualcuno mi vuole bene. E’ un periodo durante il quale mi sento isolato in una folla oceanica, anche se accanto a me in redazione sento stima ed affetto.

E il libro che scriverò sarà una sorta di mio testamento. Ho insegnato il lavoro a tanti colleghi, molti dei quali hanno fatto poi carriera. Ma ora di me non si ricordano più. Ci sarà un motivo. Forse perché sono rimasto l’unico della carta stampata che scrive ancora su Pignataro Maggiore? Comunque non fa niente, prendo atto di chi mi ha dimenticato.

Chiedo perdono a qualche mio collaboratore con il quale ho sbagliato, il mio carattere di merda che avevo prima mi ha fatto commettere degli errori. Adesso sono un uomo diverso da quello di tre anni fa. Anche i miei maestri sono diversi, si ricordano tuttora di me, che sono stato un umile loro allievo. Ora non mi sento in pericolo, nonostante la mia storia di denunce alla camorra sia finita su quattro libri, ultimo “Il Sud che resiste” di Pasquale Iorio. Nonostante il clamore mediatico scatenato dalla telefonata che mi fecero i boss della camorra casalese Michele Zagaria e Antonio Iovine che mi ha portato su tutti i giornali, anche nazionali. Nonostante “Porta a porta”, nonostante “Anno Zero”, nonostante le tante interviste da me rilasciate a l’Espresso, al Giornale, a Repubblica e a tanti giornali nazionali.

Nonostante tutto resto qui a Caserta a scrivere di camorra: spero ne valga la pena, lo spero davvero. Ma perché ora ho tanti dubbi? Non mi sento un eroe, sono un cronista, ora troppo solo.

Dopo 13 anni vissuti a Caserta da qualche mese sono tornato a vivere nel mio paese, a Pignataro, nel cuore della mafia che ho denunciato. Nulla è cambiato, noia, noia, noia e una cappa opprimente. E non è solo colpa dei camorristi, posso dirlo io che li combatto da anni, nel mio piccolo.

E’ anche colpa di chi ha voluto portare ad ogni costo sul fronte politico, con diatribe da quattro soldi, una battaglia antimafia che andava combattuta tutti insieme, senza il colore o il simbolo di una bandiera. E qualche errore forse l’ho commesso anche io, forse sono caduto in una trappola.

Presto andrò via per sempre da Pignataro, perché quelle poche volte che esco vedo la bellezza dei luoghi della mia infanzia, incontro i miei vecchi amici, ma sento dell’oppressione, dell’isolamento. E’ come se fossi un uomo scomodo. Devo tanto alla mia famiglia, che ha subito attentati, minacce, soprattutto per colpa mia. Ma mi hanno dato la forza di andare avanti. Fanno piacere le pacche sulle spalle di chi mi dice di aver fatto una bella carriera, di essere stato coraggioso.

Ma vi chiedo: è servito a qualcosa? Mi dicono di sì, ma io comincio a capire che la marea non è cambiata. Il sole c’è a Pignataro, ma ci sono ancora tante nuvole. Il sole c’è anche nelle terre del clan dei Casalesi, ma lì c’è ancora un temporale in arrivo. Perché la mafia si ricicla continuamente. Povero Giancarlo Siani, ucciso per amore della verità, per la passione innata per questo mestiere bello ma che talvolta distrugge l’anima.

La camorra va combattuta tutti insieme.

Non so se resisterò, ci proverò con tutte le mie forze a lottare, per 13 anni ce l’ho fatta. Adesso mi sento un po’ stanco. Come un guerriero ferito dall’indifferenza. Eppure sono vivo, ho la mia piccola Francesca e questo mi basta. Molti di voi no, io invece vi amo tutti. Anche coloro i quali pensano sia un mitomane, anche coloro che mi vogliono morto o altrove.

Carlo Pascarella