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vincenzo mandalari

La cava di Bollate, Mandalari e le coincidenze

Ha fatto molto scalpore la retata di Cascina del Sole in via La Cava che pochi giorni fa ha portato agli arresti una banda che nascondeva in un appartamento della frazione bollatese armi da guerra e droga (cocaina).

Ha fatto scalpore non solo per il fatto in sé, ma anche per il luogo in cui è avvenuta la retata: a Cascina del Sole si trova la Cava Bossi, a lungo al centro di denunce e successive indagini che hanno portato con sé il sospetto della presenza della n’drangheta legata al movimento terra (denunciata anche da un comitato cittadino bollatese che si schierò tempo fa a favore della chiusura e bonifica della cava stessa).

Inoltre Cascina del Sole è stato il “feudo” di Vincenzo Mandalari, il boss dei boss arrestato nell’operazione “Infinito”.

Emerge qualche particolare in più dalla retata dell’altro giorno: l’appartamento soggetto alla retata è intestato all’unico italiano della banda.

La polizia sospetta che la banda si stesse preparando per una guerra territoriale contro altre bande rivali (ecco spiegata tutta la potenza di fuoco rinvenuta nell’appartamento). E si sfruttava il commercio e la gestione del traffico di droga per guadagnare il necessario per autofinanziarsi.

Inoltre gli esperti stanno analizzando l’abitazione e le armi per capire se queste siano state già usate in precedenti reati.

Eppure quando ne parlavamo qui, qui o qui eravamo proprio in pochi. I professori dell’antimafia erano impegnati nei saggi, loro.

Mi hanno promesso la morte, dicono.

Ieri sera ho avuto modo di vedere la testimonianza di Adamo Gasparetto dal sito dell’associazione Sos Racket e Usura e leggere l’articolo a corredo dei video.

Voglio essere chiaro: ho condiviso molte delle battaglie di Frediano Manzi che hanno poi avuto evidenti riscontri investigativi (perché qualcuno finge di dimenticarsele: l’arresto del Prefetto Ferrigno, la vicenda delle case popolari e della signora “Gabetti” e altre, basta cercare in rete). Non ho condiviso alcuni atteggiamenti di Frediano e altre storie. E l’ho fatto non attraverso la delazione sotto voce ma in Procura. Pur conoscendo le difficoltà umane che possono avere alimentato la dissennatezza di alcuni suoi gesti. Ma queste sono cose che qui, ora, non c’entrano se non per il poco spazio di metterle come inciso per evitare che qualcuno mi riproponga una storia che conosco fin troppo bene.

Così come ho conosciuto Adamo Gasparetto. Mi ha raccontato la sua odissea lavorativa e come si sia ritrovato praticamente fallito per amicizie sbagliate. Non sta a me sindacare l’attendibilità. Certo Gasparetto conosceva molto bene la geografia criminale della periferia milanese. Conosceva i nomi, i cognomi e non solo. E anche questo nostro colloquio è stato depositato in Procura che, lo apprendo dal video, non ha ancora ritenuto di convocarlo. Questa l’introduzione.

Gasparetto mi aveva raccontato della promessa di morte di Vincenzo Mandalari nei miei confronti, nei suoi e altri. Non mi aveva voluto specificare i nomi del tramite e altri particolari. Potrà sembrare strano (faccio fatica a raccontarlo anche alle persone più vicine) ma di avvertimenti ne arrivano molti. Troppi, certo. Ma ci si abitua a tutto. Quest’anno abbiamo deciso di evitare che si parlasse delle minacce arrivate. Di tenerle il più possibile tra noi, i carabinieri che mi tutelano da tempo e la Prefettura che si occupa di tutte le valutazioni del caso. So molti dei nomi che stanno dietro ai segnali di sorta. Purtroppo con qualcuno ho avuto modo di avere scambi diretti. Faccia a faccia, come in quei brutti film di para-mafia che tiravano alla tele fino a qualche anno fa.
Ma, l’ho sempre detto, non mi piace la spettacolarizzazione di scorte e minacce, non riesco a non viverla come un dolore troppo intimo per essere prostituito ciclicamente alla notizia e mi sento sempre irrispettoso verso i tanti in prima linea che non hanno luce e (troppo spesso) nemmeno l’adeguata protezione: penso ai testimoni di giustizia e molti altri con cui ho l’onore di condividere amicizie e collaborazioni.

In questo video, però, ci sono luoghi, date, nomi e cognomi. E una frase sinistra che è nel DNA delle ‘ndrine: “farla pagare, senza fretta, un anno, due anni, dieci anni, non è un problema”.
E c’è il chiaro riferimento ad un’intervista che a volto coperto abbiamo fatto ad Adamo Gasparetto. Tra gli intervistatori c’ero anch’io. E nessuno, certo, avrebbe pensato che potessero riconoscerci con questa facilità. Questa volta Adamo Gasparetto ha deciso (finalmente) di parlare chiaro:

Penso che a questo punto sia il caso di chiedere un riscontro a queste parole. Mica per essere tranquillizzato: ormai la paura è un fischio cronico all’orecchio. Riesco a leggere, scrivere, grattarmi e sbagliare comunque con molta naturalezza. E purtroppo il mio mondo è pieno di tanti piccoli Mandalari. Cambia il cognome, l’accento, qualche volta la professione, ma in fondo si assomigliano tutti per la banalità criminale e l’animalità delle minacce.
Ma confido nelle istituzioni perché le responsabilità raccontate in questo video vengano accertate.
Perché è una signora che merita rispetto, anche la paura.

‘ndranghetisti, condannati, confiscati e riaprono comunque: lo schiaffo della mafia alla Lombardia

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

Giuseppe Antonio Medici è cugino di Salvatore Muscatello, originario di Sant’Agata del Bianco e emigrato al nord nel 1994. Era già stato implicato nell’indagine”La notte dei Fiori di San Vito”in quanto ritenuto affiliato al locale di Mariano Comense; tuttavia in relazione a tale procedimento fondato sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia è stato assolto.

Oggi invece è in carcere, a Opera, dove sconta la condanna dopo l’ultima operazione Crimine-Infinito. E’ uno che conta Medici: secondo la sentenza di primo grado emessa dal giudice Arnaldi per la locale di Mariano Comense (coordinata dal cugino Salvatore Muscatello) Giuseppe Antonio Medici è il custode di armi e esplosivi n un box di via Rossini a Seregno e vicino a gente di elevato spessore criminale come Cosimo Barranca, Giuseppe Salvatore e Vincenzo Mandalari. Medici era anche amico di quel Carmelo Novella, capo del distaccamento ‘ndranghetista in Lombardia (chiamato, con un eccesso di fantasia appunto “Lombardia”) che verrà ammazzato per il sogno di una ‘ndrangheta lombarda federalista che cercasse la secessione dalla Calabria. Morto ammazzato Carmelo Novella, Giuseppe Medici è comunque rimasto amico del figlio. Insomma, uno che ci tiene ai rapporti. Niente da dire. E tra ‘ndranghetisti le relazioni sono importanti per essere considerati e aggiungere spessore, non è un caso infatti che ci sia anche lui al summit di Cardano al Campo il 3 maggio 2008 dove vengono “battezzati” Alessandro Manno e Roberto Malgeri, in quel gioco di riti e conviti mafiosi che si intrufola tra le pieghe dell’operosa e indifferente Lombardia. Anche i famigliari di Medici sono “battezzati”, secondo il Tribunale di Milano.

Ma la passione vera di Medici era il suo ristorante: il Re Nove, con uno di quei bei nomi frugali e rustici come succede spesso per i ristoranti di mafia. Ristorante in stile medievale, pizze grandi e ben cotte, tavoli in legno con re e principesse alle pareti e qualche problema di parcheggio da risolvere arraggiandosi lungo la provinciale. Appena Medici sente odore di confisca del suo amato ristorante, il Re Nove viene ceduto in affitto alla New Re IX srl (quando si dice la fantasia, eh) originariamente di Giuseppe Zoccoli (cugino di Giuseppe Medici) e successivamente con odio unico e amministratore Adelio Riva: noto prestanome al quale sono state intestate numerose autovetture da parte dei clan (secondo l’annotazione di polizia giudiziaria riportata nelle motivazioni sono arrivate ad essere addirittura 29 (tra le quali Ferrari, Lamborghini, Bentley, Aston Martin) compresa una Audi A3 in uso (quando si dice il caso) proprio a Medici.

Medici sparisce dalle carte come proprietario ma non cambia gli atteggiamenti: si preoccupa delle aperture, delle chiusure, dei conti, fissa appuntamenti nel grande salone e si preoccupa dei lavori di ristrutturazione. Riciclaggio, pizze e prestanomi: la faccia pulita della mafia qui su al Nord. La Procura ascolta, trascrive, indaga e ne decide la confisca: dietro al ristorante Re 9, dicono, c’è sempre il boss.

Fino a qui potrebbe essere una storia a lieto fine di indagini e magistrature. Succede, invece, che come i cani che segnano il territorio di fronte al Re 9, oggi, di fronte al ristorante confiscato, dall’altra parte della strada come uno schiaffo a mano aperta in pieno viso, i prestanome hanno aperto un nuovo ristorante. Esattamente di fronte. Con dentro le stesse persone. Come a volersi imporre nonostante le sentenze e il tempo.

E allora la sfida oggi esce dalle carte giudiziarie e diventa civile. Di formazione e informazione, di consapevolezza e curiosità per tutto quello che si costruisce e apre intorno ai nostri luoghi. Nella disarmante semplicità di una Regione che ha l’obbligo di sapere, isolare e scegliere. Perché il senso di impunità che sta dietro all’apertura di un ristorante della stessa “compagnia di giro” in faccia a quello confiscato dice che oggi, in Lombardia, i boss contano ancora su cittadini poco vigili. E le sentinelle, nelle battaglie di mafia, sono importanti.

Buon appetito.

Ndrangheta ignorante

Mandalari: «I tre re magi per esempio che c’entrano?».  Panetta: «I tre re magi sono della ‘ndrangheta».  Mandalari: «Perché erano cattolici!». Panetta: «E non lo so». Mandalari: «Infatti per quello dico io, no, ma gli altri li avranno inventati così. Per la rima forse. Audino, conte Audino». Panetta: «Gaspare, Melchiorre e Baldassarre». La ‘ndrangheta ignorante tutta da leggere.

Lettera a Mandalari. Preso.

Alla fine ti hanno preso Vincenzino. Ti hanno preso nonostante quella tua aurea da boss a cui, in fondo, nemmeno tra i tuoi di Bollate non ci ha mai creduto nessuno. Ti hanno preso tutto bello panciuto mentre latitavi a San Giuliano Milanese. Come un latitante co.co.pro., che deve rifugiarsi in periferia. Le carte dell’operazione INFINITO ci dicevano che a capo della “locale” di Bollate c’era il tuo sguardo da tipico italiano in vacanza mentre facevi finta di essere solo un imprenditore un po’ eccessivo nei modi a capo della tua IMES SRL: società (tanto per cambiare) di strade e costruzioni come tante altre qui da noi che fingono di fare imprenditoria concimandosi con il letame della vostra violenza ed arroganza. Ti hanno preso sul piazzale della stazione, come in noioso film francese in bianco e nero in cui la finta vedova si incontra nell’ombra. La tua finta vedova tutta risentita che ci ha sfidato con gli occhi mentre passava davanti alla tua casa bunker con quello sguardo bieco dei diritti e delle leggi diventati proprietà privata. Hai raccontato che sei scappato perché hai visto gli elicotteri. Poveretto. Vorresti essere un primula rossa e invece sei la fotografia esatta della ‘ndrangheta in mutande che perde nonostante tutto. Nonostante i mezzi che perdono i pezzi delle forze dell’ordine mentre ti inseguono e nonostante la tua storia e questa storia abbia fatto notizia per un paio di giorni. Poi è diventata strumentalizzazione politica, dicevano. Lo dicevano nel Consiglio comunale della tua città mentre ancora in molti sostenevano che comunque sei una brava persona.

Caro Vincenzino, sei finito come la fine del topo come nemmeno in una commedia di subordine. Hai fatto finta di fare il boss e invece eri un criceto sulla ruota. Chissà se adesso almeno non ti senti un po’ più al sicuro, almeno per quella tua bocca troppo larga che ha alzato il velo su questo letame sparso in Lombardia. Adesso sei al sicuro dai tuoi “amici” che non ti perdoneranno certo questa tua inclinazione a parlare troppo. Infami, li chiamate voi. Infami come la fine che ti ha aspettato nel piazzale.

Oggi la Lombardia è sulle spalle del lavoro sommerso e incessante del colonnello Giuseppe Spina che non ha mollato la presa. Oggi la Lombardia con il topo in gabbia sorride. Buona domenica, zio Enzo.

Dire le cose in faccia al Consiglio comunale di Bollate

A Bollate l’amministrazione comunale decide di tenere una seduta di Consiglio “aperta” per affrontare il problema delle infiltrazioni di ‘ndrangheta emerso violentemente dopo gli arresti di Luglio. In mezzo alla sonnolenza filosofica antimafiosa qualcuno ha cercato di fare nomi e cognomi e parlare di responsabilità. Nel poco tempo a disposizione io ho provato a raccontarlo così:

http://www.youtube.com/watch?v=1L16gzTdTWo

Bollate, giovedì 14 ottobre: NO MANDALARI DAY. Fuori la mafia!

Un losco figuro si aggira per le campagne lombarde. Ha la lingua lunga (e intercettata) ed è il nuovo che avanza della ‘ndrangheta lombarda. I nuovi boss che si nascondono sotto il tappeto. Ad ascoltarli fanno tenerezza. Lontani anni luce dall’icona del boss tra cacchette di capra e ricotte che scriveva in codice sui pizzini stropicciati come Binnu Provenzano, oggi gli aspiranti boss lombardi sono un misto di prepotenti con la cazzuola ed esosi da periferia. Il guappo Vincenzo Mandalari al telefono nel febbraio del 2009 si incensa come fanno le sciantose sotto il portico della Scala: “C’è stato un momento, in cui ad Assago comandavo io! credimi! per mia negligenza, sempre per il fatto di essere abusivista, io ce l’ho nel sangue di essere abusivista!”. Poi, resosi presto conto che “i politicanti vedi che sono scemi” decide di scendere in campo. Aveva in mente di darsi da fare a Bollate per le elezioni comunali. Una strategia precisa: far cadere l’attuale amministrazione, prima, ed eleggere un sindaco amico, poi. “Adesso riusciamo a farla cadere, perché io mi sono intrufolato in politica»”dice in una conversazione del 13 febbraio 2009 Mandalari, e poi l’idea di fondare un partito “non è importante destra o sinistra a livello locale”. Un politico con le idee chiare, senza dubbio. Se è vero che Calderoli è diventato ministro non possiamo che ringraziare la Boccassini per avere frenato la rincorsa di Vincenzino verso la Presidenza del Consiglio. Ma la lingua lunga, nell’opera buffa della ‘ndrangheta milanese si paga: così oggi al Mandalari latitante per la sgarrupata periferia milanese forse converrebbe una residenza certa in carcere piuttosto che un bossolo lucido infilato nella schiena. Le malelingue dicono che stia facendo le primarie per decidere se costituirsi.Intanto, di sicuro, ha chiesto che vengano dissequestrati i suoi beni perché in questi tempi di crisi anche le latitanze costano.

Domani, giovedì 14 ottobre, dalle ore 18.30/19.00 nella piazza di fronte al Comune di Bollate (MI) proveremo tutti insieme a raccontare e fare chiarezza sulle vicende che qualcuno vorrebbe taciute con una manifestazione tra le gente: NO MANDALARI DAY.

Siamo scesi in piazza per condonati, prescritti e salvati. Domani scendiamo in piazza per sgretolare l’onore.

Chi è Vincenzo Mandalari? Ecco cosa scrive l’ordinanza di cattura:

MANDALARI Vincenzo è il capo della locale di Bollate. In apparenza è un incensurato imprenditore, impegnato nel settore edilizio e delle compravendite immobiliari. Nel contesto ‘ndranghetistico ha ereditato il ruolo dal padre Giuseppe, da lui indicato come uno dei fondatori della “Lombardia”. Unitamente al fratello Nunziato ed a numerosi altri soggetti fu denunciato per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. dai Carabinieri della Compagnia di Rho nell’ ambito di indagini che prendevano lo spunto dall’omicidio ALOISIO e da altro evento omicidiario, sempre commesso in Rho il 18.01.1991 in danno di STASI Giuseppe (vedasi comunicazione di notizia di reato dei CC Rho del 18.11.1991). Il suo nome era emerso in occasione delle indagini sul sequestro SGARELLA, poiché, come si è già evidenziato trattando della “ Lombardia”, già all’epoca gli orti di Novate Milanese erano luogo di ritrovo degli affiliati ed egli ha paretecipato al summit del 30 maggio 1998 (come l’esame dei nastri allora registrati ha mostrato). MANDALARI Vincenzo era presente presso la pensione “SCACCIAPENSIERI” di Nettuno il 30 aprile 1999 in occasione di quello che fu definito dagli investigatori un summit di ‘ ndrangheta. In tale occasione erano presenti oltre a NOVELLA Carmelo, all’epoca capo della lombardia, GALLACE Giuseppe, figlio di GALLACE Vincenzo, BARRANCA Cosimo, BARBARO Domenico detto “l’australiano”, attualmente detenuto per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., MOLLUSO Giosofatto, affiliato al locale di Corsico, MINASI Saverio, affiliato al locale di Bresso, RISPOLI Vincenzo, capo del locale di Legnano, MANDALARI Nunziato, affiliato del locale di Bollate, PANETTA Pietro Francesco, PANETTA Salvatore, LAVORATA Vincenzo e BELCASTRO Pierino, capo ed affiliati del locale di Cormano, dunque, un nutrito gruppo di affiliati della “lombardia”. MANDALARI Vincenzo, come si è detto, si intrattiene quotidianamente a bordo della propria autovettura con PANETTA Pietro Francesco, con il quale è legato dalla comune appartenenza alla ‘ndrangheta, ma anche da vincoli di amicizia. Le conversazioni tra i due sono state una inesauribile fonte di informazioni sulla regole di ‘ndrangheta, sulla struttura e sulla organizzazione delle cellule di base, le locali, e degli organi di rappresentanza, la Provincia. La figura di MANDALARI è quella di un navigato uomo di ‘ ndrangheta che esprime tutta la sua ammirazione ed il suo sostegno nei confronti di un soggetto carismatico quale era NOVELLA Carmelo (anch’egli originario di Guardavalle).