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Vittorio Mangano

Caro Berlusconi, le “pulizie dei cessi” te le facevano gli amici e le figlie di Mangano

Altro che lavoro adatto agli odiati avversari del Movimento 5 Stelle. La “pulizia dei cessi“, dalle parti del Biscione, era affare degli amici di Vittorio Mangano. E non è una metafora: negli anni Novanta le pulizie negli uffici di Publitalia le faceva un gruppo di cooperative di servizi basate a Milano e gestite dai messinesi Natale Sartori e Antonino Currò, che da diverse inchieste risultano essere stati in rapporti di amicizia con lo “stalliere” di Arcore condannato per mafia, morto nel 2000, e con l’allora braccio destro di Silvio Berlusconi Marcello Dell’Utri, ex numero uno della concessionaria pubblicitaria di Fininvest, cofondatore di Forza Italia, in carcere dal 2014 per concorso esterno in associazione mafiosa e appena condannato anche per la trattativa Stato-mafia.

Un legame anche lavorativo, visto che le tre figlie di Mangano – Cinzia, Loredana e Marina – erano amministratrici di una delle coop della galassia di Sartori, che offrivano oltre alle pulizie pure servizi di facchinaggio, trasporto merci e movimentazioni di magazzino.

Sartori e Currò furono arrestati una prima volta nel 1999 con l’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di droga e concussione. Per questi reati furono assolti e l’inchiesta sfociò solo in due condanne per reati minori.

Quattro anni dopo, nel settembre 2013, Cinzia Mangano e il cognato Enrico Di Grusa, marito di sua sorella Loredana, furono invece arrestati nell’ambito di un’altra indagine della Dda di Milano sulla stessa rete di cooperative. Nel 2014 la Mangano è stata condannata a sei anni e quattro mesi solo per associazione a delinquere semplice. Nel 2015 la condanna è stata confermata in appello.

(fonte)

Quelle cooperative legate a Mangano e Dell’Utri. Ancora.

Vittorio-Mangano

Sequestri milionari a Natale Sartori, titolare di Alma Group, finito in carcere nel 2014 con l’accusa di evasione fiscale per 31 milioni di euro ed emissione di false fatture per 91 milioni. Il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha sequestrato beni mobili e immobili e disponibilità finanziarie per 18 milioni di euro al messinese. L’inchiesta della Procura di Milano che portò in carcere Sartori fu coordinata dal pm Carlo Nocerino, ora procuratore aggiunto a Brescia. Sartori, passato poi agli arresti domiciliari, risulta legato alla famiglia Mangano, quella dello “stalliere” di Arcore, e a Marcello Dell’Utri. Il suo nome è già comparso in inchieste sulla criminalità organizzata. I sequestri di oggi rientrano in una attività di misure di prevenzione.

Nel 2014 Sartori fu arrestato con l’accusa di essere capofila di una serie di operazioni illecite che coinvolgevano il Consorzio Alma Group, di cui era a capo l’imprenditore messinese. L’azienda, specializzata in pulizie, trasporto merci per conto terzi e movimentazione di magazzino, si era aggiudicata decine di appalti privati, compresi quelli di alcune grandi catene di supermercati come Esselunga, Conad e Il Tirreno. Al gruppo facevano capo otto cooperative ritenute fittizie, le quali avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti per 91 milioni, Iva compresa, e mai versata, a favore di Alma Group consentendo a quest’ultimo di detrarre illegittimamente l’imposta.

Le indagini, coordinate dal pm Alessandra Dolci della Dda di Milano, hanno consentito di appurare come l’imprenditore fosse unsoggetto “abitualmente” dedito a condotte illecite di varia natura (reati tributari e contro la Pubblica amministrazione) e con la disponibilità di un patrimonio sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati. Il sequestro ha riguardato oltre 35 immobili e terreni, 9 auto, una barca, diversi conti correnti e una società.

(fonte)

Cavalli e la vicenda (dis)umana di Dell’Utri: un’intervista

(l’intervista è pubblicata sul sito QuartaParete qui)

Schermata 2015-10-16 alle 10.04.39Il racconto di Giulio Cavalli su Dell’Utri, accompagnato dalle musiche dal vivo di Cisco Bellotti, ha fatto tappa al Nuovo Teatro Sanità il 10 e 11 ottobre, aprendo di fatto la stagione di una tra le realtà più interessanti dell’ambiente teatrale napoletano. L’amico degli eroiParole, opere e omissioni di Marcello Dell’Utri ha raccolto un buon pubblico alla sua prima, nonostante il diluvio abbattutosi nella serata di sabato su tutta la Campania. Un buon inizio e un ottimo segnale per chi continua a svolgere orgogliosamente un ruolo di presidio culturale e artistico nel cuore della Sanità.
Quello di Cavalli è un ritorno: già due anni fa, infatti, fu ospite del ntS’ con L’innocenza di Giulio, inizialmente rinviato in seguito al rinvenimento di un’arma nei pressi del suo studio di Roma; sebbene dunque nel mirino della criminalità organizzata, Cavalli, anche scrittore  e giornalista, oltre che attore, non ha però perso il gusto di narrare di mafia e politica e di quel grigio che passa tra le due, dedicando, questa volta, le proprie attenzioni ad un personaggio molto chiacchierato: Marcello Dell’Utri, pienamente rappresentativo dell’ultimo ventennio berlusconiano; l’amico degli “eroi” (così come lui chiama Vittorio Mangano), mafioso che scelse di non riferire mai alla magistratura i propri rapporti con i vertici di Fininvest.
Ascoltando il monologo, in effetti, sembra di tornare a piè pari nei primi anni Duemila, a certe trasmissioni di Santoro (di cui non a caso sono proiettati frammenti del passato), ad un impegno antimafia che oggi appare sfumare nella retorica da Twitter che domina il dibattito politico sui media. La storia di Dell’Utri viene narrata quasi con un certo affetto nei confronti del protagonista; ne viene raccontata la vergogna per i genitori e, in generale, per i propri natali meridionali; l’amore per gli ambienti milanesi, tradizionalmente negati alla piccola e media borghesia palermitana di cui portava il marchio anche nell’amore per le cravatte (rigorosamente Regimental); unico elemento della scenografia, d’altronde, è proprio un’enorme cravatta, icona del tentativo mai riuscito di mimetizzarsi tra gli invidiati finanzieri della Milano da bere di trenta, quarant’anni fa.
Dell’Utri è il trait d’union tra Berlusconi e Mangano (gli altri due “protagonisti”), ma è anche profondamente diviso tra la volontà di essere come il primo e la vicinanza (per mentalità e provenienza) al secondo; in questa bivalenza si consuma la tragedia di Dell’Utri, che riuscirà a farsi accettare da quest’ambiente tanto ambito solo facendo da pontiere proprio con quella Sicilia da cui voleva allontanarsi. Cavalli tiene bene la scena e richiama l’attenzione del pubblico nei momenti in cui il susseguirsi di citazioni e sentenze rende la narrazione più ostica da seguire (“Cos’è questa, un’assemblea del Pd?” riprende la sonnacchiosa platea, scatenando immediata ilarità). Chiude con il richiamo all’articolo 4 della Costituzione (“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”), ideale contraltare all’Italietta provinciale e truffaldina rappresentata fino a quel momento.
Al termine dell’ora circa di spettacolo, l’attore lombardo si ferma qualche minuto con noi, approfittando della pioggia ancora battente che all’esterno inonda la Sanità. È abbastanza provato dall’interpretazione appena conclusasi, ma non per questo sembra meno lucido il racconto del suo personale rapporto con “l’amico degli eroi” del titolo.

Foto di Mario Gelardi

In questi giorni, Napoli ospita il tuo spettacolo e riapre alla città (anche se solo per un giorno) la biblioteca dei Girolamini in passato depredata da Dell’Utri; sembra quasi che un’intera città stia cercando di prendersi gioco dell’ex senatore siciliano. Viene spontanea allora la domanda: perché proprio Dell’Utri dopo aver parlato di Andreotti ne “L’innocenza di Giulio”?
Perché su Dell’Utri abbiamo molte più prove, paradossalmente, di quante non ce ne fossero per Andreotti; è tutto fotografato nelle sentenze. La storia di Dell’Utri è quella di un siciliano che sogna di essere milanese, quella di un milanese (Berlusconi) che disprezza intimamente ogni meridionale – ma meglio di chiunque altro ne riuscirà a sfruttare il senso di fedeltà – e quella di un mafioso da discount come Mangano. E’ una storia in cui gli opposti si attraggono, che ci racconta molto di un Paese in cui uno di questi protagonisti è ancora lì a riscrivere gli articoli della Costituzione.
Viviamo ancora nello stesso Paese della “trattativa Stato-mafia” che oggi emerge dai processi di Palermo?
Si cerca troppo spesso di raccontare il presente con le sentenze, ma le sentenze non sono che le macerie del passato; al di là di quella giudiziaria che poi verrà fuori, una verità “culturale” già la sappiamo ed è quella – e non le sentenze – che dovrebbe darci le chiavi di lettura del presente.
Cosa intendi?
Ad esempio, è già ora evidente che Mancino ha una paura enorme data dall’aver camminato troppo tempo nella penombra; così com’è evidente che Dell’Utri è stato condannato perché già sostituito con “qualcos’altro”. Non c’è bisogno di aspettare una sentenza per poterlo dire.
Perché Dell’Utri s’è lasciato sostituire, alla fine?
Da un lato, c’è quel meccanismo che porta ogni servo a vedere la propria salvezza nel padrone, anche quando è evidente che il padrone l’ha ormai abbandonato. Dall’altro, Dell’Utri ha monetizzato la propria dipartita sistemando le prossime quattro o cinque generazioni di Dell’Utri.
Cosa pensi del suo atteggiamento ironico e strafottente?
Sentendo le parole di chi lo ha conosciuto di persona, mi son fatto l’idea di uno che è intimamente convinto di essere superiore a Berlusconi; che pensa che in un mondo ideale sarebbe stato Berlusconi a fargli da vassallo e non il contrario. Da questa convinzione viene il suo atteggiamento sprezzante. Quando ha saputo di questo spettacolo, ha detto al suo avvocato: “Finalmente scrive di me qualcuno bravo e non i soliti giornalisti”.
Condividi l’immagine che di Dell’Utri ha dato la serie “1992”?
No, non l’ho vista, cerco di salvarmi da queste serie.
Cos’è cambiato in Lombardia negli ultimi due anni? (il 9 ottobre Mario Mantovani, vicepresidente della Regione, è stato arrestato per corruzione, ndr)
I centocinquanta arresti hanno inciso, indubbiamente. A scuola si parla di mafia e c’è una generazione che sta crescendo con una forte sensibilità antimafia; mentre quella precedente non ha gli strumenti, probabilmente, per sviluppare questa sensibilità. Ci siamo affezionati, nel frattempo, a dei simboli: io stesso, in quanto “attore con la scorta”, sono stato un simbolo; però poi ti accorgi che ogni folata di luce in più che ricevi avvicina la gente al tuo feticcio e l’allontana dal fulcro della questione.
Un corto-circuito, in pratica.
Un corto-circuito dal quale noi per primi dobbiamo allontanarci. Io ammetto che da questo punto di vista ho commesso degli errori, per questo cerco di non parlare della scorta.
Credi che una responsabilità l’abbiano anche i media e la rassegnazione del pubblico?
Il “savianismo”, che io definirei più che altro “mondadorismo”, ci ha raccontato che la lotta alla criminalità possono farla solo gli eroi; e così non abbiamo protetto abbastanza chi ha il diritto di avere paura di dover lottare in prima persona.

Foto di Mario Gelardi

Può essere il teatro una chiave per diffondere queste informazioni che oggi difficilmente “passano” sulla stampa (anche perché i giornalisti che se ne occupano, come Ester Castano a Sedriano, sono puntualmente boicottati)?
No, se devo essere sincero non credo che il teatro possa addossarsi questa responsabilità. Così come la letteratura e la magistratura, da sole, non possono nulla; e non credo nemmeno a questa puttanata che “la parola” possa sconfiggere le mafie. Il teatro deve fare la sua parte, per carità. In questo quartiere, la criminalità organizzata fa venire l’acquolina al gommista, per dire una categoria a caso, con il suo potere. Col teatro non posso liberare il “gommista” ma posso gettare dei semi che, se coltivati, possono arrivare a liberarlo; ma da solo il teatro non può risolvere granché.
Com’è cambiata la sensibilità degli artisti ed il gusto del pubblico negli ultimi venti anni di Berlusconi?
Il pubblico continua a chiedere “teatro di impegno civile”, perché vuole sentirsi raccontare il presente senza necessariamente ricorrere ad Aristofane o Platone. Questa fu l’intuizione di Marco Paolini con Vajont ed è ancora validissima.
Cosa manca allora al dibattito sulle criminalità organizzate?
Mancano gli intellettuali. Abbiamo lasciato la patente di intellettuali ai soli magistrati, i quali spesso sono, sì, ottimi professionisti ma si sono dimostrati anche pessimi intellettuali. Non possiamo lasciare che siano loro a tradurre nel sociale il significato delle sentenze; per questo lavoro ci vorrebbero delle figure che al momento mancano. E poi ovviamente c’è il problema che metà degli attori e giornalisti italiani è stato a lungo (e forse è tuttora) sul libro paga di una sola persona.
Ultime due domande per finire. Se questi venti anni fossero una pièce teatrale, in quale genere si inserirebbero?
(sorride) Non so, dovremmo chiedere a Dario (Fo). Sicuramente una farsa…
E questo momento storico attuale?
(prende un sospiro) Questa è la polluzione notturna degli ultimi vent’anni.

Antonio Indolfi

La bellezza di andare in scena (con ‘L’amico degli eroi’)

Schermata 2015-10-09 alle 20.35.05Eccoci alla fine siamo andati in scena. Tutti. Con Cisco dal vivo e la solita meraviglia che è il Teatro Fraschini quando Pavia è appena appena autunnale.

E posso dirvi che “L’amico degli eroi” è diventato adulto, respira a tempo e ha la forma che avevamo in testa. Se piace o no certo ce lo dirà il tempo, i chilometri e principalmente vuoi ma di sicuro siamo riusciti a mescolare i fatti (fatti, eh, mica opinioni: fatti accertati) insieme a quel tono di teatralità che ci interessava più di tutto. La storia dei tre (Marcello, Silvio e Vittorio) è la storia di un Paese che scopre convergenze tra persone inimmaginabili e credo che davvero sull’asse Berlusconi-Dell’Utri-Mangano-Cinà si potrebbe scrivere un manuale di patti mafiosi in salsa lombarda.

Ancora una volta, come ci era già successo per Andreotti, tocchiamo con mano quanto poco sia conosciuta la sentenza e quanto poco sia stata raccontata la verità. E allora noi proveremo a teatrare ancora più forte.

Insomma ieri l’abbiamo fatto tutto

10639423_708070405960440_2361917412700541641_nTutto dall’inizio alla fine. Con tutti i video. Con tutte le musiche di sottofondo. Per vedere la forma che fa. Quando provi davanti ad un pubblico, per la prima volta, tutto insieme uno spettacolo teatrale nuovo hai la sensazione di inaugurare un complicatissima caldaia, qualcosa tutto viti, bulloni e marchingegni e devo dirvi che ‘L’amico degli eroi’ ieri non solo si è acceso al primo colpo ma ha viaggiato a buona andatura senza preoccupanti cigolii. Ci siamo. Dobbiamo limare i tempi, arrotondare le luci, certo, quelle cose di manutenzione ordinaria per uno spettacolo che si prepara alla tournée, ma sono convinto che abbiamo colto il dellutrismo. E ovviamente mi viene da pensare alla pazienza dei nostri centocinquanta produttori, il cuore pulsante di questa articolata “operazione culturale”. Ora iniziamo il viaggio. Iniziamo un buon viaggio. E grazie agli amici del ‘Gruppo dello zuccherificio’ che hanno riempito di senso questo nostro battesimo.

Processo-Trattativa parla il pentito Luigi Giuliano: “Dell’Utri minacciava Mangano per non farlo pentire”

La cronaca dell’udienza raccontata da Lorenzo Baldo:

mangano-berlusconi-dellutri“Vittorio Mangano? Qualche volta gli si accendeva la scintilla (di voler collaborare, ndr)… ma aveva paura, quasi da infarto… aveva ricevuto minacce che se si fosse pentito la sua famiglia sarebbe scomparsa e sciolta nell’acido”. La voce del collaboratore di giustizia Luigi Giuliano, “O’ rre”, arriva nitida dal sito riservato collegato in videoconferenza all’udienza odierna del processo sulla trattativa. “Ma da chi era minacciata la famiglia di Mangano?”, chiede il pm Francesco Del Bene. “Mangano mi fece il nome di Dell’Utrio (Marcello Dell’Utri, ndr)… che aveva rapporti con lui… un potente della politica”. Il riferimento è all’ex braccio destro di Berlusconi, attualmente in carcere per scontare una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’ex boss camorrista, già a capo della “Nuova Famiglia”, riaccende quindi l’attenzione sui suoi contatti con l’ex “Stalliere di Arcore” morto di cancro nel 2000. “Vittorio Mangano l’ho conosciuto nei primi anni ’70 a Milano perché era amico di un mio amico che si chiamava Nunzio Guida, legato a Michele Zaza”, racconta Giuliano. “Successivamente, intorno al ’99, sono stato detenuto nel carcere di Secondigliano al 41bis, c’era un reparto adibito all’ospedale… per pochissimi giorni siamo stati nella stessa stanza con Mangano”. Ed è in quelle condizioni che l’ex capo della “Nuova Famiglia” riceve alcune “confidenze” da parte del defunto reggente di Porta Nuova.  “Vittorio era assai preoccupato perché temeva che fuori dicessero che lui potesse accedere al pentimento…lo hanno minacciato che avrebbero fatto a pezzi la sua famiglia… anche se non prendeva questa decisione qualcuno poteva far passare la notizia che collaborava…”. Il pm riprende un verbale del 2002 nel quale lo stesso Giuliano era stato decisamente più esaustivo: “Mangano conosceva tantissime cose e più volte ha fatto riferimento a Berlusconi e Dell’Utri, Mangano mi disse che la carriera politica di Berlusconi era la prosecuzione della carriera politica di Andreotti”. L’ex boss conferma quanto dichiarato tredici anni fa aggiungendo che “quello era un motore per portare avanti un sistema criminale mafioso… si doveva far abolire il 41bis, i benefici per i pentiti… che bisognava distruggere”. Berlusconi e Dell’Utri? “Erano la stessa cosa, me lo diceva Mangano: Berlusconi-Dell’Utri-mafia… uno stesso sistema criminale. Mangano voleva farmi intendere che la mafia aveva questa potenza con loro…”. Giuliano spiega quindi di essersi pentito nel 2002 per “una conversione spirituale” legata alla figura di Gesù Cristo. “Anche se salvo una sola vita – ribadisce il collaboratore –  ho il dovere di farlo davanti alla giustizia di Dio e degli uomini. Mi hanno ammazzato tre persone care, tra queste anche mio figlio…”. Alla domanda del pm se avesse mai conosciuto Totò Riina, Giuliano replica di averlo incontrato nei primi anni ’70 “quando (Riina, ndr) frequentava i night club in via Caracciolo”. Il legale del capo di Cosa Nostra chiede in seguito in quale occasione avrebbe avuto con Riina “un contatto diretto per parlare di un argomento specifico”. “Ci siamo parlati… un discorso fugace… alla villa di Nuvoletta a Marano in piena guerra con Cutolo”, replica l’ex boss. Che non intende approfondire l’argomento in quanto a suo dire rientrerebbe all’interno di indagini in corso. Immediata la contestazione da parte dell’avv. Cianferoni fortemente dubbioso sulla spiegazione fornita dal collaborante. La questione sollevata si conclude lì.

(fonte)

“Vittorio Mangano portava fiumi di miliardi a Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi”

berlusconi-mangano-dellutri“Vittorio Mangano negli anni Settanta portava fiumi di miliardi da Palermo a Milano. Erano soldi del traffico di droga di cosa nostra che Mangano consegnava a Marcello Dell’Utri, poi Dell’Utri li consegnava a Berlusconi che li investiva nelle sue società, mi pare anche per Milano due”. Lo ha detto il pentito di mafia Gaetano Grado parlando, in videoconferenza, al processo sulla trattativa tra Stato e mafia, in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. “La mafia ha bisogno di investire – continua Grado – Siccome i soldi della droga erano talmente tanti che non si sapeva più quanti fossero, Mangano esportava fiumi di denaro su a Milano”.

Il pentito aggiunge: “Li dava a Dell’Utri che li investiva nelle società di Berlusconi. Questa cosa me la disse Vittorio Mangano. Non si parla solo di alcuni miliardi ma di svariati miliardi. Mangano mi diceva che andava in macchina, ma io non chiedevo che macchina era, perché in Cosa nostra meno domande si fanno e meglio è”.

Grado spiega anche di quando conobbe Mangano, morto qualche anno fa. “L’ho allevato io Vittorio Mangano – dice – L’ho conosciuto intorno al ’69, era un poveraccio, un nullatenente, sposato con due figlie. Me lo sono messo vicino, l’ho aiutato, di tanto in tanto mi facevo accompagnare in macchina a Milano a trovare mio fratello. Quando tornavamo gli davo 1,5 milioni di lire. Si era attaccato molto a me. Lui commerciava in bestiame. Fu Girolamo Guddo a presentarmelo, insieme con Giovanni Lo Cascio. Mangano non era uomo d’onore all’epoca, lo è diventato dopo avere conosciuto me. Era una persona scaltra, aveva capito che ero un uomo d’onore. Quando andavo in giro, molta gente mi vedeva e mi faceva festa. Si era avvicinato nella speranza che venisse messo in famiglia. Poi diventò compare di mio fratello Antonino”.

(clic)

 

 

Io vorrei farlo con voi


Il #crowdfunding per produrre il nostro prossimo spettacolo (e il suo libro) sta continuando a tamburo battente. Abbiamo deciso di riportare in luce il processo Dell’Utri perché (l’avevamo già imparato con Andreotti) ci sono processi e sentenze che qualcuno vorrebbe seppellire il più velocemente possibile e invece un muscolo della memoria ben allenato è un ottimo vaccino. Sempre.

Coprodurre con noi significa preacquistare il biglietto dello spettacolo (e ili libro) con quote di partecipazione diverse (in base alle vostre possibilità e soprattutto alla vostra volontà). Sono convinto che uno spettacolo già nato “libero” non possa che fare bene.

Qui trovate la pagina per partecipare all’iniziative e qui sotto una piccola spiegazione video. Io vorrei farlo con voi. Ci conto.

Anche oggi

Siamo al lavoro per ultimare il libro e lo spettacolo “L’amico degli eroi” sulla vita, opere e omissioni di Marcello Dell’Utri. Il crowdfunding continua e vi chiedo una mano: condividetelo, fatelo sapere agli amici. Casa per casa, come diceva qualcuno.

Trovate tutto qui.

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Parlano di noi e di voi: Fanpage.it sul #crowdfunding de L’Amico degli eroi.

da fanpage.it:

di Enrico Colaiacovo

Schermata 2015-01-10 alle 15.27.43In passato ho sostenuto progetti di crowdfunding e ne sono stato davvero felice. Il primo è stato Comando e Controllo, un docufilm del bravissimo giornalista Alberto Puliafito. Un lavoro che ha fatto capire a noi aquilani tutto quello che non riuscivamo a spiegarci della gestione dell’emergenza da parte della Protezione Civile di Guido Bertolaso. In quella circostanza il contenuto emotivo del sostegno al progetto fu enorme, con un risultato straordinario.
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Sono stato contento di sostenere altri progetti di crowdfunding. Uno è stato Quando la città soffre, un film documentario di Carla Grippa, Marco Bertora e Giacomo Toricelli che affronta il tema del disagio sociale nelle sue manifestazioni urbane. Un tema delicato e importante, sul quale in passato non sono mancate iniziative di tipo giornalistico e altre ce ne saranno, ma che è importante affrontare e indagare senza mai risparmiarsi.

Un altro progetto che ho sostenuto con grande interesse è stato At Home, l’ultimo lavoro di un mio carissimo amico, il bluesman Pierluigi Petricca. Un CD al quale non avrei proprio rinunciato, per molte ragioni. Per Pierluigi e per la passione con la quale si è dedicato alla musica. Perché mi piace davvero molto. Perché il tipo di blues adatto al mainstream non lascia spazio a questo tipo di approfondimento musicale, a questi canoni stilistici e, più banalmente, a chi non ha un pubblico vasto.

Il caso del lavoro di Giulio Cavalli vale tutte queste considerazioni insieme. Il teatro, d’altra parte, è la sintesi di tutte le forme d’arte e come ci ricorda il motto che Nicola Piovani ha voluto per il suo sito web: il teatro è il linguaggio del futuro. Un futuro al quale guardiamo con la speranza di non commettere più gli errori del passato, di non subire più i soprusi del passato, di non vedere più il nostro paese nelle mani della mafia. L’amico degli eroi parla della storia dei fondatori di un partito che ha governato dieci anni negli ultimi venti avendo saldamente il ruolo di primo partito del paese. Uno di questi fondatori, Marcello Dell’Utri, l’amico degli eroi, dal 2014 sconta una pena di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ecco, per dire, noi siamo amici di Giulio non degli eroi. Noi sosteniamo il progetto.