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Campo largo, non così

Il primo risultato delle elezioni regionali non ancora svolte in Basilicata consiste nella dispersione di quel precedente mucchietto di speranza. Non era molto, certo, ma dopo le elezioni vinte in Sardegna e perfino dopo le elezioni perse in Abruzzo quel barlume di possibile futuro era l’unico capitale iniziale di una bozza di alleanza credibile. Questione di aritmetica, almeno. 

Il comunicato serale in cui Pd, M5s, Si, Ev, Psi, +Europa annunciano di avere estratto dal cilindro il nome di Piero Marrese, sindaco dem di Montalbano Jonico e presidente della Provincia di Matera, non basterà a risollevare l’elettorato locale sfibrato dal susseguirsi incerto e nevrotico di nomi, dal re delle cooperativa bianche Angelo Chiorazzo impallinato dal M5s, al chirurgo Domenico Lacerenza con il triste record di essere stato candidato nel giro di 72 ore fino alla ridda di veti, subbugli locali e rivendicazioni nazionali. 

Il campo largo (o giusto o stretto o come diavolo si voglia chiamare) non può essere uno stiracchiato incastro di veti con l’aria ogni volta di avere avuto fortuna. Il campo largo (o giusto o stretto o come diavolo si voglia chiamare) non può apparire agli elettori un affannarsi alla ricerca di un nome a poche ore dalla presentazione delle liste. Il campo largo (o giusto o stretto o come diavolo si voglia chiamare) non può essere un balletto orribile con i centristi che pregano la cenere per poterci ballare sopra. 

L’alleanza è necessaria ma lo stare insieme deve essere la maturazione di ragioni limpide. Il caso della Basilicata è un ingarbugliato bugiardino leggibile solo dalle segreterie, roba da caminetto. Veramente troppo poco per spingere fuori casa i possibili elettori. 

Buon lunedì. 

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Chi paga la costosissima ignoranza del Governo?

Quindi siamo di fronte all’ennesima grande idea che si è rivelata piccola, vigliacca e illegittima. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sottovoce lascia intendere che la cauzione di 4.938 euro prevista da un decreto del ministero dell’Interno, attuativo del decreto legge Cutro (n. 20/2023), per i richiedenti asilo che arrivano da Paesi sicuri e non vogliono essere trattenuti in centri per il rimpatrio (Cpr) o comunque in centri per le procedure accelerate di frontiera sarà cancellata.

Non è solo una questione di disumanità, qui siamo di fronte a una costosissima ignoranza

Un mese fa la Corte di Cassazione ha chiesto in via d’urgenza alla Corte di Giustizia dell’UE di valutare tale norma. Nei giorni scorsi la Corte UE ha rigettato la richiesta dell’urgenza: deciderà nel merito nei tempi ordinari. Ora il rischio per il governo è che un giudizio di illegittimità della Corte renderebbe illegittimo anche il trattenimento dei migranti in Albania, bloccando il relativo Protocollo celebrato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Che quella cauzione fosse al di fuori del diritto internazionale lo sottolineavano in molti, tra cui anche la giurista Vitalba Azzolini che ora sottolinea come il Protocollo ci costerà molti e molti soldi, e avrà solo l’effetto di tenere fuori dall’Italia poche migliaia di migranti e solo per qualche mese. Poi torneranno comunque in Italia, sia che vadano rimpatriati sia che abbiano diritto all’asilo. “Quando qualcuno chiederà a certi ministri/governi di restituire ai cittadini i soldi che hanno letteralmente buttato?”, chiede Azzolini. Ed è proprio questo il punto: non è solo una questione di disumanità, qui siamo di fronte a una costosissima ignoranza.

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Gasparri all’Antimafia: il revisionismo irrompe in Commissione

Il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri ha annunciato che entrerà a far parte della commissione Giustizia al Senato e della commissione Antimafia. Mentre il revisionismo storico sugli ultimi anni di mafia sta galoppando con ampie falcate la commissione Antimafia che dovrebbe fare luce sulla strage di via D’Amelio si ingrassa con la presenza di un senatore ex MSI, ex An e ora capogruppo in un partito fondato da un uomo in pieno collegamento con Cosa nostra (Marcello Dell’Utri) che ha speso i suoi ultimi anni a infangare chiunque abbia provato a fare luce sui primi anni ’90.

Antimafia in buone mani con Gasparri

Il senatore Gasparri al grido di “Viva ai Carabinieri, viva il Ros, viva Subranni, viva Mori” è colui che sembra non avere letto la sentenza di Cassazione che riconosce che mentre l’Italia aveva le strade sporche di sangue una parte significativa dello Stato tramite il sindaco di Palermo Vito Ciancimino, un condannato mafioso all’epoca agli arresti domiciliari, aveva contatto Riina e chiesto ai vertici dell’organizzazione mafiosa “cosa volete per fare cessare le stragi?”.

Il senatore Gasparri è lo stesso che ripete che “Silvio Berlusconi è colui che ha combattuto la mafia più di tutti” e che chiede “un contributo di verità” non solo per Berlusconi ma perfino per Dell’Utri. Il senatore Gasparri ha presto dimenticato la sentenza di Cassazione che ha condannato Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: “La pluralità dell’attività posta in essere da Dell’Utri – scrivono i giudici -, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici”. Gasparri finge di essersene scordato.

Il senatore Gasparri è lo stesso che il 18 gennaio 2015 tre giorni dopo la liberazione delle cooperanti Vanessa Marzullo e Greta Ramelli imprigionate in Siria impugnò il telefono per twittare “Vanessa e Greta, sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo! @ForzaItalia”. Ovviamente si trattava di una diffamazione in piena regola ma Gasparri ci spiegò che si trattava di un’attività parlamentare e si nascose dietro l’immunità parlamentare concessa dai suoi amorevoli colleghi in Parlamento.

Il senatore Gasparri è colui che si è dimenticato di comunicare al Senato di essere presidente di una società di cyber security, la Cyberealm, e all’uscita della notizia promise querele a tutti. Alla fine si è dovuto arrendere dimettendosi dalla società con il capo chino. Sempre a proposito di mafia il senatore Gasparri è colui che a gennaio di quest’anno ha utilizzato la solita farsa del dossier “processo Mafia e appalti” come causa della morte di Paolo Borsellino per spazzare dal campo le altre ipotesi su cui si sta indagando nell’epoca stragista.

Cognac e carota

Peccato che quell’indagine non sia finita con l’eliminazione del magistrato. Questo Gasparri (insieme a Mori e De Donno) finge di dimenticarselo. Maurizio Gasparri è quel senatore che pochi mesi fa, il giorno dell’audizione del conduttore di Report Sigfrido Ranucci, in Vigilanza Rai metteva sul proprio banco una bottiglia di cognac e sfoderava dalla tasca una carota. Il senatore Gasparri che da anni attacca ignobilmente chiunque provi a fare luce sugli anni delle stragi ora è componente della commissione Antimafia.

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Meloni voltagabbana: ora si prepara a ribaciare la pantofola a Trump

Per la cooperazione con l’Africa nell’ambito del Piano Mattei, che interesserà aree di intervento quali “l’istruzione e la formazione, la Sanità, l’acqua e l’igiene, l’agricoltura, l’energia e le infrastrutture, sono nove le nazioni che abbiamo individuato: Algeria, Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Marocco, Mozambico e Tunisia”. Lo ha spiegato ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni intervenendo alla cabina di regia sul Piano Mattei  convocata in tarda mattinata a Palazzo Chigi.

Il doppio gioco di Meloni

La premier continua la sua cavalcata tutta retorica sullo schiacciare internazionale. L’impresa politica di trasformarsi in due anni da colei che ammirava il fascismo a quella che riesce a fingere statura internazionale prosegue a gonfie vele. Nemmeno scalfita dalle morti nel Mediterraneo di qualche ora prima Meloni è pronta a volare in Egitto domani per stringere nuovi accordi con il presidente egiziano Al sisi chiedendo sempre la stessa cosa: frenare le partenze con tutti i metodi possibili fregandosene dei diritti umani che sarebbero da rispettare e delle vite umane che andrebbero preservate.

Al suo fianco la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che pur di mantenere lo scettro è pronta a rimangiarsi il suo precedente programma elettorale spostandosi ogni giorno più a destra per plasmarsi agli equilibri del nuovo Parlamento Ue. Con l’Egitto l’accordo sarà di 7,4 miliardi di euro per sostenere le finanze pubbliche e frenare la migrazione (anche se il ministro delle finanze egiziano ha abbassato la cifra – tra 4,6 e 5,5 miliardi di euro).

La giustizia per Regeni e la manutenzione della malridotta democrazia sotto le piramidi possono aspettare. A giugno, gli europei andranno alle urne e il risultato probabilmente si tradurrà in un blocco di destra ampliato in Parlamento. La prima ministra italiana è pronta a diventare la leader spirituale di quel blocco, spingendo Bruxelles a destra su tutto, dalla politica migratoria al Green Deal, l’ambizioso pacchetto di leggi sbriciolato dai nuovi venti che spirano verso Bruxelles.

Poi ci saranno le elezioni in Usa, dove Meloni ha scelto da tempo il suo candidato ideale, Donald Trump. Da Palazzo Chigi la relazione con Trump viene definita “molto positiva”. Di sicuro il governo italiano si ritroverebbe ad essere uno dei più vicini in Europa alle bizze dell’eventuale presidenza trumpiana. Il trucco sarebbe sempre lo stesso, come già accade con Orbàn: appoggiarne gli estremismi in casa per accarezzare i propri elettori e poi fingersi mediatrice sul palcoscenico internazionale per accontentare gli equilibri che Meloni vorrebbe combattere. Un’illusione ottica in cui la presidente del Consiglio appare abile mediatrice mentre mette in atto una politica bifronte che si adatta al contesto.

Il bivio

Ma se Trump diventerà presidente per Meloni si aprirà un bivio difficilmente scavalcabile. Come farà la presidente del Consiglio a rimanere fedele alla linea pro Nato e pro Ucraina mentre Trump rovescerà la situazione? Per ora da un lato sta facendo molto per garantire che le sue credenziali pro-Ucraina e pro-Nato siano in buon ordine, incluso il viaggio a Kiev nel secondo anniversario dell’invasione della Russia a febbraio e l’hosting di un incontro speciale dei paesi del G7 incentrato sull’Ucraina nello stesso mese. D’altra parte sta facendo del suo meglio per corteggiare i repubblicani Maga anti-Ucraina costruendo legami con il campo di Trump grazie ai membri del suo partito, Fratelli d’Italia. Ma se accade davvero quello che spera, che farà poi Meloni?

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Il congresso Sigo-Agoi Puglia ovvero uomini che spiegano alle donne la maternità – Lettera43

All’appuntamento barese organizzato dalle società italiana di ginecologia e ostetricia e dall’associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani il parterre era composto solo di maschi. Dal ministro Schillaci al governatore Emiliano, fino a rettori e assessori. L’unica signora? Quella stampata sulla locandina.

Il congresso Sigo-Agoi Puglia ovvero uomini che spiegano alle donne la maternità

Il 14 e il 15 marzo nell’elegante cornice dell’hotel Villa Romanazzi Carducci di Bari si è tenuto il congresso regionale di Sigo-Agoi Puglia. Sigo è l’acronimo della società italiana di ginecologia e ostetricia, Agoi è l’associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani. Il titolo del congresso sta sospeso tra l’idea magica della donna come madre figlia di una madre e poi nonna di una nipote femmina: “Donna: nascita di una madre”. La dorsale femminile del Paese è la cura individuata da quest’epoca per risolvere il grave problema della denatalità in Italia. Il governo dio, patria e famiglia si ritrova con un amministratore delegato – dio – politicamente distonico con le scelte dell’esecutivo, con una patria ininfluente sullo scacchiere internazionale e con famiglie come rami secchi che con il loro smettere di fare figli fanno male al re. «Se vogliamo che le donne ottemperino al dovere di fare le madri», devono avere pensato, «bisogna schiacciare sul pedale della divulgazione scientifica e della divulgazione politica».

Il parterre del congresso è composto solo da uomini

Torniamo al nostro congresso pugliese. Giovedì 14 marzo il parterre era così composto: c’era il ministro alla Salute Orazio Schillaci, il vice ministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, il presidente Fnomceo (la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) Filippo Anelli, il Rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini, il preside della facoltà di Medicina della suddetta università Alessandro Dell’Erba, l’assessore alla Sanità della Regione Puglia Rocco Palese, il direttore dell’AReSS Puglia Giovanni Migliore e il direttore generale del Policlinico di Bari Antonio Sanguedolce. Notate qualcosa? Tutti maschi. L’ha sottolineato sul suo account X Mila Spicola chiedendosi e chiedendo: «Cosa volete ne sappiano, le donne, di donne e di maternità?». Manca solo la valletta travestita da conduttrice (o più elegantemente relatrice) che di solito viene infilata all’ultimo per salvare la faccia.

L’unica donna presente è quella stampata sulla locandina

L’elenco di uomini che discettano di donne che nascono madri rimanda alla celebre scena del Mistero Buffo in cui il giullare che recita il personaggio di Papa Bonifacio VIII viene accusato da Jesus di avere ammazzato dei frati e si difende: «Jesus Jesus vardame nei ogi, che mite vojo ben… che ai fraite? Ma no, che ghe vojo ben mi go sempre vorsudo ben ai fraiti», piagnucolando. A quel punto il Papa nella scena si rivolge a un chierico immaginario. «Manda a torme un fraite, svelto!», dice. Vammi a prendere un frate. Immagino i convegni di tutti maschi che discutono di questioni di donne. Maschi tronfi concentrati sull’ordine degli interventi e sugli aggettivi di usare nella cartella stampa. Solo di fronte alla bozza della locandina si accorgono che manca una donna, almeno un cenno di simulata inclusività, Ci sarà qualcuno di loro che si alza, presumibilmente il più altro in grado quindi il più maschio dei maschi, che scatta in piedi e chiede a qualche assistente lì intorno (ecco, quella potrebbe essere donna, pensandoci bene): «Manda a torme una femena, svelto!».

Il congresso Sigo-Agoi Puglia ovvero uomini che spiegano alle donne la maternità
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica).

A spiegare alle donne come fare le donne ci pensa una ciurma di uomini: tutto chiaro no?

Agli organizzatori del congresso non è venuto nemmeno quel dubbio. Niente di niente. Hanno stampato la locandina, l’hanno pubblicizzata nel mare mosso dei comunicati stampa e dei social e probabilmente quando Mila Spicola gliel’ha fatto notare qualcuno si sarà schioccato la mano sulla fronte esclamando un «ma che caz». Attenzione, si potrebbe dire che quell’incontro comprende titolari di ruoli istituzionali. Qualcuno potrebbe dirci che non è mica colpa loro se ministri, vice ministri, assessori, presidenti, rettori, presidi e primari che si occupano del tema sono tutti maschi. Qui si aprirebbe un bel dirupo: siamo un Paese che vuole risolvere il problema della denatalità spedendo in tour una ciurma di uomini che insegnino alle donne come debbano fare le donne. E questo pensandoci bene sarebbe il tema per un congresso strepitoso che è quello che si celebra nelle piazze quando le donne alzano la voce e i maschi cercano di zittirle con un mazzo di mimose.

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L’ultima follia di Orbán: marciare su Bruxelles

Sentite qua l’amico di Giorgia Meloni, Viktor Orbán, il presidente sovranista ungherese: “Una marcia su Bruxelles” contro l’Unione europea, che “vuole costringere ad accogliere migranti e a rieducare i bambini ad accettare l’omosessualità”. La frase è stata pronunciata nel discorso in occasione della giornata nazionale del 15 marzo, anniversario della sollevazione del 1848 contro l’impero asburgico, in cui il presidente ungherese ha sottolineato la differenza tra Budapest e i “governi occidentali”.

“Bruxelles non è il primo impero che ha messo gli occhi sull’Ungheria”, ha detto Orbán, accusando l’Unione di voler portare il Paese “per forza in guerra contro la Russia. I popoli europei oggi hanno paura che Bruxelles porti via la loro libertà. Se vogliamo preservare la libertà e la sovranità dell’Ungheria, non abbiamo scelta: dobbiamo occupare Bruxelles”, ha aggiunto. Come ungheresi “siamo stati fregati, è tempo della rivolta”, ha spiegato il presidente ungherese. Da qui l’idea di “una marcia su Bruxelles per realizzare un cambiamento”.

Orbán ha promesso che non permetterà all’Unione europea di “intaccare la libertà: l’Ungheria rimarrà libera e sovrana. Le nazioni dell’Europa oggi temono per la loro libertà” minacciata “da Bruxelles. L’Ungheria rifiuta la guerra, è impegnata per la pace” ma “dall’Ue riceviamo guerra, invece della pace”. È la fotografia di quello che ci aspetta nei prossimi mesi: una campagna elettorale per le elezioni europee in cui distruggere l’Europa per accaparrarsi un seggio in Europa. Sembra una contraddizione, è vero, ma è il sale della propaganda sovranista. Come Meloni, del resto.

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Caos Centrosinistra in Basilicata, a rischio la candidatura di Lacerenza

La cosa certa è che la preparazione delle prossime elezioni regionali in Basilicata per il centrosinistra – che sia un campo largo, un campo giusto o un qualsiasi altro campo – è un pessimo spettacolo. A poco più di 24 ore dalla sua designazione come candidato del centrosinistra (Pd più M5S) per le regionali in Basilicata, il nome di Domenico Lacerenza viene messo in discussione all’interno della coalizione.

“Ritirare la candidatura di Lacerenza o promuoviamo il polo dell’orgoglio lucano”, chiedono attivisti, sindaci, amministratori, sindacalisti e dirigenti del Pd e del centrosinistra lucano in un documento diffuso da Giovanni Petruzzi, all’epoca coordinatore della mozione Cuperlo. Petruzzi ha definito anche “quanto mai opportuno ed urgentissimo” che sia convocata la direzione regionale del Pd, “che non ha mai discusso né deliberato la candidatura a presidente di Lacerenza”.

Lacerenza candidato in Basilicata, strada subito in salita

Lacerenza il giorno dopo la sua designazione avvenuta di corsa per trovare un sostituto al precedente candidato Angelo Chiorazzo si è confrontato sul programma con la segreteria dem, Elly Schlein, e con il presidente pentastellato, Giuseppe Conte. Ma quasi subito è salita la tensione con l’ex Terzo Polo e si erano soprattutto rincorse le voci su un nuovo, clamoroso colpo di scena: pur di allargare il perimetro della coalizione, si punterebbe su un nome nuovo al posto dell’oculista. “Se volete vincere dovete mettervi d’accordo, se volete perdere continuate così”, sono state le parole rivolte da Romano Prodi a Conte durante la presentazione del libro Capocrazia di Michele Ainis, a Roma.

Bastian contrari

Carlo Calenda attacca il Pd: “Ma vi rendete conto dello scempio che state facendo per andare dietro a Conte”, chiede su X. Il suo uomo forte sul territorio, l’ex presidente Marcello Pittella, lascia intendere che le trattative con il candidato di centrodestra Bardi siano più che possibili sottolineando come Lacerenza “non è caduto ma per molti del tavolo e per molti aspetti non ha una vocazione politica particolarmente spiccata”.

Attacca inevitabilmente anche Matteo Renzi: se insegue Giuseppe Conte il centrosinistra è finito. Prima o poi lo capirà anche il Pd, non dispero che questo avvenga il prima possibile”. “Mi colpisce molto questa involuzione del centrosinistra. Quando c’ero io si facevano le primarie, adesso chiamano il primario. Questo primario di oculistica che è talmente una situazione incredibile che potremmo dire che hanno scelto un oculista perché non li hanno visti arrivare”, ha detto a margine della fiera LetExpo a Verona.

Ieri il tavolo del centrosinistra si è protratto per ore. Sul piatto, al momento, c’è la blindatura “romana” di Domenico Lacerenza, che alla luce del sostegno di Pd, M5s, Avs, e +Europa, ha definito prive di fondamento le voci di un suo ritiro. Nella sede del Pd lucano, i dirigenti dei partiti della coalizione hanno continuato tuttavia a esprimere alcune perplessità sul nome di Lacerenza. Nel corso della discussione sarebbe stata infatti esaminata anche la possibilità di scegliere un candidato governatore diverso (tra una rosa di nomi fatti al tavolo) che permetterebbe di allargare il perimetro della coalizione.

Oggi il leader di Azione Carlo Calenda sarà a Matera e il nodo potrebbe sciogliersi con l’uscita di Azione dalla coalizione. Comunque vada a finire il vento che tira da queste parti è ben diverso da quello vittorioso in Sardegna e da quello carico di speranza in Abruzzo. Il “campo largo” ha bisogno di partiti che siano capaci di stare stretti e per il Pd la missione è molto più difficile del previsto.

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Centro rimpatri in Albania. L’Ue rovina i piani della Meloni

Brutte notizie per Giorgia Meloni dalla Corte europea chiamata a pronunciarsi dal Viminale dopo che la Cassazione aveva rinviato tutto a Strasburgo a proposito di un ricorso sulle procedure accelerate di frontiera compresa la cauzione da 5mila euro che l’Italia vorrebbe applicare anche nei rapporti con l’Albania. Ora il memorandum firmato dalla presidente del Consiglio con il presidente albanese Edi Rama è a rischio. Per il verdetto potrebbero servire diversi mesi dopo che da Strasburgo è arrivato il rifiuto di trattare la questione con urgenza.

La Corte europea boccia la procedura accelerata di frontiera. Ora è a rischio pure il memorandum per i rimpatri in Albania

La Cassazione chiedeva “se la direttiva “2013/33/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”, ostino “a una normativa di diritto interno che contempli quale misura alternativa al trattenimento del richiedente (il quale non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente), la prestazione di una garanzia finanziaria il cui ammontare è stabilito in misura fissa anziché in misura variabile, senza consentire alcun adattamento dell’importo alla situazione individuale del richiedente, né la possibilità di costituire la garanzia stessa mediante l’intervento di terzi, sia pure nell’ambito di forme di solidarietà familiare, così imponendo modalità suscettibili di ostacolare la fruizione della misura alternativa da parte di chi non disponga di risorse adeguate, nonché precludendo la adozione di una decisione motivata che esamini e valuti caso per caso la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura in relazione alla situazione del richiedente medesimo”. Il quesito è però arrivato ben dopo i tempi stabiliti.

Il Viminale aveva chiesto alla Cedu di pronunciarsi dopo che la Cassazione aveva rinviato tutto a Strasburgo a proposito di un ricorso sulle procedure accelerate di frontiera

“Per la Corte di Giustizia non si tratta quindi di una questione da affrontare con procedura di urgenza – dice all’Agi l’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro, che difende i migranti nei due casi portati all’attenzione della Corte di giustizia europea -, ma da affrontare con procedura ordinaria. Due visioni della fattispecie che differisce tra i due massimi organismi, uno nazionale e l’altro europeo”. La legale dei migranti che hanno presentato il ricorso spiega di “avere ricevuto soltanto la comunicazione sintetica che non è stata approvata la procedura d’urgenza, ma non ne conosco le motivazione”. Ritengo probabile che i giudici hanno ritenuto non sussistere l’urgenza perché i destinatari del provvedimento sono liberi”, dice l’avvocata Lo Faro che rappresenta i migranti al centro della decisione.

“La palla è stata rimessa al centro – aggiunge – e la decisione credo impatti anche sul protocollo siglato tra Italia e Albania che prevede vengano applicate le procedure accelerate di frontiera, compresa la cauzione da 5.000 euro”. “C’è stato – osserva l’avvocata Lo Faro – un rimpallo tra le varie istituzioni, e adesso la palla torna al centro e ci vorrà del tempo per le decisioni, in attesa delle quali tutto resta fermo, compresa l’applicazione del decreto Cutro, e non solo in Italia perché le procedure accelerate, con il pagamento della cauzione di 5.000 euro, sono previste anche nel protocollo firmato con l’Albania”. “Per la Corte di giustizia europea – aggiunge la legale – il tema non è da affrontare con procedura di urgenza, ma, secondo il presidente che tratta il caso, da affrontare con la procedura ordinaria. Due visioni contrapposte quelle di due Istituzioni, che ha portato per il momento allo stallo, con la palla che torna al centro”.

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Dopo i manganelli di Stato. I carabinieri picchiatori

Dunque a Modena un carabiniere nel tentativo di fare salire in auto un arrestato lo prende a pugni in faccia, prima fuori e poi dentro l’auto di servizio. Il video è stato girato da un passante ieri mattina in pieno centro storico, lungo Largo Garibaldi, a due passi dal teatro Storchi. La giustificazioni degli uomini dell’arma sono che il tizio fosse sospetto. Un altro piccolo particolare, è nero.

A Modena un carabiniere nel tentativo di fare salire in auto un migrante arrestato lo prende a pugni in faccia

Eppure dopo essere arrivato con un barcone in Italia lo sventurato non ha mai commesso reati (con grande scorno per leghisti, razzisti e fascisti) e soprattutto è molto apprezzato dal titolare del ristorante in cui lavora come lavapiatti. “Hanno preso un granchio, la persona sbagliata. Sono sei anni che lavora per questo locale, non ha mai fatto nessun errore. Non ha ancora capito cosa gli è successo” dice Mario Campo, il titolare del Ristorante Pasticceria Siciliano “Cirisiamo” di Modena dove da sei anni lavora il 23enne.

L’avvocata Barbara Bettelli, che difende il 23enne guineano, ha la pazienza di spiegare che “a Modena non si è mai vista una cosa del genere, finora cose così le avevo viste solo nei filmati americani. Si sono accaniti con una violenza non necessaria. Se una persona si oppone a un controllo legittimo va contenuta, non picchiata”. Lui all’Ansa ha raccontato di essere stato in attesa dell’autobus e di non avere i documenti con sé.

“Ho spiegato che potevo chiamare un mio amico che me li avrebbe portati. Ma loro volevano buttarmi in macchina. Io lavoro, non ho mai fatto nulla di male”. I carabinieri, fa sapere l’Arma, sono stati assegnati a altro incarico. Chissà, forse meriterebbero di essere candidati alle elezioni europee.

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Esseri precari

Qui intorno una volta era tutto un filosofare sulla precarietà poi improvvisamente abbiamo smesso. Solo che i precari sono aumentati, eccome, e il processo di normalizzazione sembra essere perfettamente riuscito. 

Dice l’Istat che sono 3 milioni gli occupati a termine in Italia e sono impiegati in tutti i settori, nel privato come nel pubblico, al Nord come al Sud e al Centro. Secondo le rilevazioni Inps per il settore privato, la retribuzione media annua di una persone con contratto a tempo determinato è di 10.400 euro, il numero di giornate retribuite 155, pari a circa 6 mesi. Sono soprattutto giovani under 35 (il 48,9 per cento), più uomini che donne (52,4 contro 47,6), tra i settori spiccano noleggio, agenzie di viaggio, supporto alle imprese (21 per cento) e alloggio e ristorazione (15 per cento).

Nel settore pubblico i numeri sono spaventosi. 500 mila dipendenti a termine, di cui più di 100 mila nella pubblica amministrazione, dalla sanità alle funzioni locali, 205 mila docenti nella scuola, altri 200 mila lavoratori del settore della conoscenza (scuola, ricerca, università alta formazione). I numeri sono la faccia del disinvestimento nel settore pubblico a discapito dei servizi che andrebbero offerti. 

In cambio ci offrono un’ampia letteratura secondo cui essere precari significherebbe essere smart, imprenditori di sé stessi, perennemente in sfida. La precarietà è bella – vorrebbero convincerci – perché ci permette di rimanere vigili. Così accade che la sanità pubblica preconizzata non riesca a offrire servizi stabili a lavoratori precari che non hanno comunque soldi per affidarsi alle cure private. Bello, no?

Buon venerdì. 

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