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Agosto 2011

Un giro in bocca alla Lega

Mentre i leghisti protestano contro sè stessi (la vicenda della provincia di Lodi è abbastanza esemplificativa: tutti contro le provincie. Tranne la propria. E maggioranza e opposizione sono tutti d’accordo. Il federalismo della miopia. Bipartisan) e mentre Bossi continua il suo percorso di politica dai toni bassi e buone maniere, mi piacerebbe capire cosa ne pensano i loro elettori. E allora niente di meglio che andare da loro. Domani (23 agosto) sono (gradito ma sgradevole) ospite della festa leghista ad Alzano Lombardo. Si parlerà di tutto. O almeno ci proviamo. Magari ricordandoci tutti che un partito fondato sull’idea di secessione è un partito incostituzionale. Se avete voglia di farci, per una sera, tutti un po’ del male ci vediamo lì. Mi raccomando: non ordinate kebab al ristorante e datevi una ripassata all’inno. (E non dite di essere giornalisti).

Teatro Valle, magia in corso

Magie in corso a Roma nella pancia del Teatro Valle: dal 14 giugno il teatro è occupato da elfi, clown, ballerini, registi. Proprio mentre la politica decide di dismettere un centenario gioiello della storia del Teatro Italiano, come nelle drammaturgie più fiabesche (ma adulte) la scure si trasforma in una bacchetta e oggi il silenzio del legno e dei muri è un laboratorio di intelligenza ed azione.

Perché a profumare di ottimismo non sono solo i laboratori (sempre esauriti, un’altra fiaba) o gli eventi e gli spettacoli che accarezzano un palco mai orfano, ma sono l’intelligenza e la bellezza che hanno imbevuto le maglie che la vorrebbero soffocare. Perché la cultura può essere sfiancata, osteggiata o impoverita ma rimane indomabile. Ed è per questo che il Valle occupato è un teatro che decide di occuparsi di teatro e di arte ma senza delegare: standoci, piantandosi con le radici forti della professionalità di ognuno (che sia un ballerino, un regista, un attrezzista o un Otello non ancora struccato) perché ogni teatro è l’album fotografico di un pezzo d’Italia, è l’esercizio ostinato (e spesso contrario) di una memoria che non può fare a meno di essere collettiva e partecipata.

Il premio Gibellina Randone quest’anno è andato “al Teatro Valle occupato” per il suo essere “luogo di confronto, di dibattito e di riflessione su natura e destino del valore del teatro come bene culturale collettivo“: un teatro ‘istituzionalmente’ chiuso che viene premiato è il trofeo all’inettitudine culturale di Stato.

Occupiamoci del Valle occupato, perché gli incapaci e i presuntuosi davanti alla cultura e alla bellezza sono sempre con le spalle al muro.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/19/teatro-valle-magia-in-corso/152380/

Cabaret Lombardia. Rifacciamola insieme. Subito.

Formigoni contesta la manovra e dichiara morto il federalismo. La Lega attacca Formigoni mentre il leghista sindaco Fontana guida la rivolta contro la manovra del suo partito a Roma. Manifestano tutti contro sè stessi: in piazza contro le poltrone che hanno ancora la loro forma di culo (si può dire?). Nel centrocentrosinistra qualcuno sottovoce dice ‘per fortuna è successo a loro’. E quelli che qualche settimana fa rassicuravano di volere le provincie oggi dicono sì ma con qualche ni: tutti contro le provincie tranne la propria.
C’è da fare respirare la Lombardia migliore che c’è già, anche se seppellita da questo cabaret di incapaci. Cominciare a costruirla. Subito. Togliendo le foglie secche di chi ha l’orecchio solo sui prossimi posti a Roma, cancellando i lobbisti rossi ma identici agli azzurri, e ritornando alle persone piuttosto che alle cose. Perché la gente, anche in Agosto, ha le idee per una regione ventosa e bellissima.

Non nominare Expo invano?

Hanno ragione Patrizia Quartieri e Mirko Mazzali (capogruppo e consigliere comunale SEL in Comune a Milano): Se si dovesse arrivare alla dolorosa scelta di stabilire una priorità tra l’onorare la nostra quota di partecipazione in Expo pari a circa  30 milioni di euro o intervenire per mantenere l’attuale erogazione dei servizi alle persone con disagio, agli anziani, all’infanzia, crediamo non ci debbano essere dubbi. Il rispetto della dignità e della qualità del vivere dei cittadini vale sicuramente più di ogni manifestazione, seppure di grande rilevanza. E come sono prevedibili e stonati certi nervosismi anche nel centrosinistra lombardo (centrocentrosinistra, insomma, i soliti). E un plauso a loro (e a noi) per avere dissacrato un idolo fieristico che qualcuno vorrebbe come unico guru di governo per il prossimo quinquennio. Perché se è rivoluzionario preferire i servizi sociali ad un esposizione significa proprio che abbiamo finito per assomigliare troppo agli altri. E marcare le distanze è sempre un bel respiro.

Morire di carcere

Gli ultimi dati penitenziari confermano la Lombardia quale Regione d’Italia con la più alta presenza di detenuti ed una situazione complessiva allarmante. Alla data del 31 luglio scorso erano infatti detenute nei 19 penitenziari lombardi 9.343 persone a fronte dei 5.652 posti letto regolamentari. Nel corso dell’anno 2010, in Lombardia, ben 105 detenuti hanno tentato il suicidio, 523 hanno compiuto atti di autolesionismo e 259 hanno posto in essere ferimenti. Cinque detenuti sono morti suicidi e 14 per cause naturali. Questo ultimo anno abbiamo visitato le carceri lombarde raccontando la disumanità della situazione. E continueremo a farlo. E continueremo a dirlo. Perché non vogliamo essere complici.

Non lotta di classe: diritto alla decenza

Macelleria sociale, attuazione del piano del venerabile Gelli, iniquità al potere, disuguaglianza per decreto: la manovra estiva del governicchio in castigo è riuscita ad allargare (se ancora fosse possibile) il vocabolario dello sdegno. Eppure oltre la questione finanziaria questo conato estivo per scansare il fallimento ha aperto l’oscenità di una cultura dell’impunità che passa non solo dalle aule giudiziarie ma anche (e soprattutto) dalle ipotesi indecenti e intollerabili che ci vengono propinate con la postura dei buoni padri di famiglia.

La notizia arriva da Venezia e ha come protagonista il presidente di Confindustria Veneto, nonché Presidente di Lotto Sport Italia Spa, Andrea Tolmat che propone una ricetta per uscire dalla crisi semplice semplice: i lavoratori rinuncino alle ferie per aiutare l’economia. Testualmente: «regalando cinque giorni lavorativi all’anno per un periodo limitato, diciamo cinque anni» perché, ci dice, «non bisogna guardare alla singola azienda ma al sistema. Cinque giornate lavorative consentirebbero di aumentare la produttività e la competitività per le imprese, si riuscirebbe ad abbassare i costi dei prodotti, anche ad ampliare le possibilità di aumentare le assunzioni».

Verrebbe da chiederai cosa ne pensano i sindacati (o i lavoratori, meglio, di questi tempi) ma Tolmat ha la risposta ad eventuali critiche: «Teniamo presente che già oggi c’è un numero elevato di giorni di ferie – sottolinea – da 25 potrebbero passare a 20 con sacrificio: non se ne accorgerebbe nessuno». E i sacrifici delle aziende? «Le aziende pagano già il 60 per cento di imposte»: capitolo chiuso.

Agosto 2011, Italia: Giuliano Amato disse nel 1992 “in Italia le misure si riescono a prendere solo quando è crollato il soffitto”, oggi, sotto le macerie (già appaltate), la vera lotta di classe è una resistenza all’indecenza.

Pubblicato anche su IL FATTO QUOTIDIANO

Contro le spese militari. Un impegno politico.

È uno dei capitoli di bilancio meno discusso. È un ‘recinto’ di giochi per pochi. Le spese militari italiane navigano (da tempo) nella classifica dei primi dieci stati al mondo. Nello stesso Paese in cui il Servizio Civile è stato tagliato del 70%, i fondi per la cooperazione internazionale sono stati tagliati del 50% raggiungendo il punto più basso degli ultimi anni nel 2010 si sono spesi Oltre 23 miliardi di euro. Adesso è ora di prendere posizione e dire basta. Basta all’esportazione di democrazia che costa troppo a tutti e giova sempre a pochi. Basta senza temere di scostarsi dalle ‘buone maniere’ della politica che frena sulle scelte di campo. Farlo tutti, tutti insieme e cogliere un occasione per essere integralisti al contrario. Un impegno che mi assumo (e ci assumiamo, vero?) da subito in tutti i modi che ci sono possibili. Al massimo rischieremo di essere additati come fastidiosi pacifisti.

Perché leggere Massimo Gramellini

Mi chiamano Medio Alto, ma il mio soprannome è Rintracciabile. Sono quello che non può nascondersi, quello che paga. Anche stavolta. Il governo della Libertà mi impone tasse svedesi per continuare a fornirmi servizi centrafricani. E io le verserò fino all’ultimo centesimo, senza trucco e senza inganno, da vero scandinavo. Poi però rimango un italiano e allora mi si consenta di essere furibondo. Per pezzi così.