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Giugno 2013

Bruno Caccia e un processo da riaprire

Sono passati trent’anni dall’uccisione di Bruno Caccia e ora spuntano nuove piste, nuovi documenti e uno scenario che potrebbe riscrivere quella storia. A casa di Rosario Cattafi (l’anello di congiunzione tra Cosa Nostra e strani servizi deviati) a Barcellona Pozzo di Gotto è stato ritrovato un documento che pone qualche legittimo dubbio.

 L’avvocato della famiglia Caccia, Fabio Repici, ritiene che esistano tutti gli elementi per una revisione del processo: “Sono documentate persino le riunioni tra emissari di Cattafi ed esponenti del Sisde che hanno come oggetto proprio le indagini sull’omicidio del Procuratore Caccia”.

Del resto la scalata mafiosa dei casinò del nord Italia, e in particolare quello di Saint Vincent, è una delle ultime inchieste di cui il procuratore Caccia si è occupato. Circostanza aggravata dall’inquietante parallelismo con l’attentato al pretore di Aosta Giovanni Selis, anche lui impegnato nelle indagini sul Casinò e vittima di un tentato omicidio dinamitardo, consumato pochi mesi prima del delitto Caccia e di cui non sono mai stati individuati i responsabili.

“Caccia era prossimo alla pensione. Bisogna capire quale era l’urgenza di ucciderlo in quel momento”, spiega l’avvocato Paola Bellone, che da più di un anno studia il caso. Ritiene che altre indicazioni potrebbero sorgere dalla collaborazione di nuovi pentiti calabresi e dalle inchieste di cui Caccia si stava occupando. Indagini da cui emergono i rapporti che la ‘ndrangheta coltivava, già allora, con la politica e le più alte cariche istituzionali.

Consumo di suole

Per ripensare un diverso consumo di suolo. Questa volte le brutte notizie arrivano dalla Puglia e le riporta Giuseppe: qui e qui.

Berlusconi

In questo momento è condannato a 12 anni: sette presi oggi, quattro per i diritti Mediaset, uno per l’intercettazione di Fassino.

Non so a quanti debba arrivare – ancora – perché l’etica prevalga sulla convenienza (o presunta tale) perché si capisca che governare insieme a quest’uomo e ai suoi sporchi affari è inaccettabile moralmente, prima ancora che politicamente.

Alessandro lo scrive qui.

L’Italia ingiusta e seconda in classifica per disuguaglianza

L’Italia è tra i paesi che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito nell’Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse. Non solo: nel nostro paese la favola di Cenerentola si avvera con sempre minore frequenza, nel senso che le coppie tendono maggiormente a formarsi tra percettori di reddito dello stesso livello; inoltre, gli estremi si allontanano, ovvero i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E la ricchezza si sposta sempre più nei portafogli della popolazione più anziana, a scapito delle giovani generazioni.

Sono queste le tendenze di fondo per l’Italia, che emergono dallo studio “Gini-Growing inequality impact” commissionato dalla Ue, nell’ambito del VII Programma quadro, a un pool di gruppi di ricerca di diverse università europee: un progetto, finanziato con oltre due milioni di euro e sviluppato per circa tre anni, i cui risultati saranno pubblicati in due volumi entro dicembre.
La disparità nella distribuizione dei redditi è stata misurata con l’indice di Gini: si tratta di un indice di concentrazione il cui valore può variare tra zero e uno. Valori bassi indicano una distribuzione abbastanza omogenea, valori alti una distribuzione più disuguale, con il valore 1 che corrisponderebbe alla concentrazione di tutto il reddito del paese su una sola persona.
Dallo studio emerge che, alla fine della prima decade degli anni Duemila, l’Italia ha un indice di Gini pari a 0,34: ovvero, due individui presi a caso nella popolazione italiana hanno mediamente, tra di loro, una distanza di reddito disponibile pari al 34% del reddito medio nazionale.

Lo scrive qui Il Sole 24 Ore.

L’uguaglianza come primo punto dell’agenda: diritti, lavoro, giovani, anziani, sanità e tutti i cardini della democrazia passano da qui. E poi mi dicono che non c’è bisogno di sinistra.

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L’esproprio costituzionale e il modello di sviluppo

In silenzio su Pisa si combatte una battaglia che potrebbe avere risvolti fondamentali per la politica dei beni comuni e dello sviluppo sociale nella lettura della proprietà privata. Me lo segnala Alessandro Diano e tocca le fondamenta dell’articolo della Costituzione che dice “”L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. […]” nell’articolo 41. Come scrive Alberto Zoratti (Fairwatch/Municipio Beni Comuni):

Porre con forza la questione dell’acquisizione/requisizione/esproprio (anche e soprattutto senza indennizzo) di una proprietà che non è stata in grado di assolvere alla sua funzione ed alla sua utilità sociale, significa mettere mano ai meccanismi di riproduzione dell’attuale modello di sviluppo. Non a caso, sulla questione Ilva, ha alzato gli scudi persino Confindustria davanti all’ipotesi di commissariamento (neanche di esproprio). E’ un obiettivo politico, su cui concentreremo la tre giorni che stiamo organizzando a Pisa per il 20-21-22 settembre, che parla molto anche delle nostre attività ecosolidali, soprattutto quando collegate alla tutela dei beni comuni o, ancor più, della terra. Pensate come c’entra tutto ciò con il fatto che un agricoltore ha deciso nel SUO campo di piantare piante OGM, infischiandosene dell’interesse collettivo. O con l’impatto sociale ed ambientali che hanno certe aziende nel loro ciclo produttivo.

Ecco l’appello

“DESTINARE AD USO PUBBLICO L’EX COLORIFICIO TOSCANO”.

LA RICHIESTA INVIATA AL SINDACO DI PISA DA GIURISTI E STUDIOSI DI PRIMO PIANO E DA DECINE DI ESPONENTI DELL’ASSOCIAZIONISMO ITALIANO

Pisa, 20 giugno 2013 – “Il “diritto di proprietà privata”, accampato dalla J-Colors per il sequestro ed il relativo sgombero dell’Ex Colorificio occupato di Pisa “non ha fondamento giuridico, perché, a seguito dell’abbandono dell’attività produttiva, non persegue più la sua “funzione sociale”, ed è in contrasto con l’utilità sociale”, la sicurezza, la libertà e la dignità umana, come chiaramente espresso e richiesto dagli articoli 42 e 41 della Costituzione. E’ la richiesta chiara e diretta di acquisizione pubblica dell’ex Colorificio lanciata oggi in conferenza stampa a Pisa da un ampio schieramento di esponenti della società civile e dell’accademia italiana in sostegno all’azione del Municipio dei Beni Comuni che ha visto il recupero dell’area di oltre 14mila metri quadrati di via Montelungo a Pisa, dismessa diversi anni fa dalla multinazionale J-Colors. Una richiesta che parte da Pisa come esperienza concreta, ma che parla di fatto a nome di tutti gli spazi occupati e liberati del nostro Paese, tra cui il Teatro Valle occupato o il Cinema Palazzo di Roma, le ex Officine RSI occupate e lo spazio dell’ex motorizzazione di via Nola (ora SCUP) sempre a Roma o la Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio.

L’iniziativa vede l’adesione di personalità di primo piano del mondo del diritto e dell’accademia come il professor Salvatore Settis; i giuristi Ugo Mattei, Paolo Maddalena, Luca Nivarra, Maria Rosaria Marella, Alberto Lucarelli; l’urbanista Enzo Scandurra, l’economista Guido Viale ed il sociologo Marco Revelli. Una lista a cui si aggiungono decine di esponenti del mondo della società civile italiana, dal missionario comboniano Alex Zanotelli, al fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo Francuccio Gesualdi, al regista Massimo Lauria.

Una richiesta che diventa anche una petizione che pone nuovamente al centro la necessità di dare limiti al concetto di proprietà, come costituzionalmente garantito, dando responsabilità chiare all’ente pubblico, in questo caso il Comune di Pisa che in questa situazione, ha l’obbligo di tutelare la conservazione e l’uso del territorio comunale.

“Ridare sovranità alla comunità di cittadine e cittadine” chiarisce Francesco Biagi, del Municipio dei Beni Comuni, “passa attraverso la limitazione del diritto di proprietà sulla base della sua funzione ed utilità sociale. Nel momento in cui tutto ciò non fosse rispettato, il passo conseguente dovrebbe essere l’acquisizione da parte dell’ente pubblico dell’area in questione, arrivando persino all’esproprio, laddove fosse necessario”.

L’iniziativa viene lanciata in contemporanea con l’assemblea redigente della Costituente dei Beni Comuni, organismo formato da giuristi e da esponenti della società civile presieduto da Stefano Rodotà, che proprio il 20 giugno a Roma al teatro Valle occupato si occuperà di mettere nero su bianco un nuovo statuto dei beni comuni e del concetto di proprietà privata e pubblica.

“L’ex Colorificio Liberato di Pisa” chiarisce Ugo Mattei, docente di Diritto Civile Università di Torino e vice presidente della Commissione Rodotà per i Beni pubblici, “è un caso emblematico di come un distorto concetto di proprietà privata e della sua gestione possa essere affrontato con le armi del diritto e della politica. L’iniziativa che proponiamo, che nasce a Pisa, ma ha un respiro nazionale se non internazionale, mira a riconsiderare la centralità del ruolo del privato e dei mercati anche nella gestione degli spazi collettivi, intesi come bene comune e come territorio da preservare rispetto al consumo di suolo ed alla cementificazione a cui assistiamo quotidianamente”.

La petizione diffusa oggi, dal titolo “Io pratico la Costituzione”, ha l’obiettivo di raccogliere migliaia di firma a Pisa ed in tutta Italia attraverso una capillare mobilitazione sui territori e la raccolta di adesioni sul sito di Avaaz https://secure.avaaz.org/it/petition/Io_pratico_la_Costistuzione_Lex_Colorificio_e_proprieta_collettiva/. Un percorso che vedrà il suo punto di arrivo il 20 settembre prossimo in corrispondenza della sentenza di possibile sequestro dell’immobile, in contemporanea della quale all’ex Colorificio Liberato di Pisa verrà organizzata (per il fine settimana del 20, 21 e 22 settembre) una tre giorni nazionale che avrà l’ambizione di rilanciare su un piano di mobilitazione e di coordinamento tra le realtà di movimento italiane la questione della tutela dei beni comuni, della fruizione del territorio che appartiene ai cittadini e della funzione sociale della proprietà privata.

 

Primi firmatari

Paolo Maddalena, giurista, Costituente dei Beni Comuni

Ugo Mattei, giurista, Costituente dei Beni Comuni

Luca Nivarra, giurista, Costituente dei Beni Comuni

Maria Rosaria Marella, giurista, Costituente dei Beni Comuni

Enzo Scandurra, urbanista

Salvatore Settis, accademico dei Lincei

Marco Revelli, sociologo

Guido Viale, economista

Alberto Lucarelli, giurista

Livio Pepino, giurista

Agostino Petrillo, urbanista

 

Vittorio Agnoletto, Flare

Checchino Antonini, giornalista

Francesco Ciccio Auletta, Una città in comune (lista di cittadinanza, Pisa)

Marco Balconi, DES Brianza

Bengasi Battisti, sindaco di Corchiano, associazione Comuni Virtuosi

Giuliana Beltrame, ALBA, circolo de Il Manifesto Padova

Marco Bersani, Attac Italia

Valeria Bochi, REES Marche

Paolo Cacciari, Associazione Decrescita

Marco Calabria, Comune-info

Gianluca Carmosino, Comune-info

Alberto Castagnola, Reset/Comune-info

Giulio Cavalli, attore e scrittore

Roberto Ciccarelli, giornalista de Il Manifesto

Lorenzo Coccoli, ricercatore filosofia Università Tor Vergata, Roma

Emmanuele Curti, ALBA, professore Università degli studi della Basilicata

Giuseppe De Marzo, giornalista ed attivista

Ornella De Zordo, perUnaltracittà (lista di cittadinanza, Firenze)

Marica Di Pierri, Asud/Reset

Monica Di Sisto, Fairwatch

Haidi Gaggio Giuliani, Comitato Piazza Carlo Giuliani

Francuccio Gesualdi, Centro Nuovo Modello di Sviluppo

Alfonso Gianni, Fondazione Cercare Ancora

Federica Giardini, Ricercatrice in Filosofia politica, Roma Tre

Laura Greco, Asud/Reset

Lorenzo Guadagnucci, Comitato Verità e Giustizia

Maurizio Gubbiotti, Legambiente

Monica Lanfranco, giornalista, Marea

Fabio Laurenzi, Cospe

Massimo Lauria, giornalista e regista

Cristiano Lucchi, Comunità delle Piagge di Firenze

Luca Martinelli, redattore Altreconomia

Angelo Mastrandrea, giornalista, Il Manifesto

Tomaso Montanari, docente di storia dell’arte Università di Napoli

Roberto Musacchio, Altramente

Grazia Naletto, Lunaria

Jason Nardi, Solidarius Italia

Ciro Pesacane, Forum Ambientalista

Martina Pignatti Morano, Un ponte per…

Anna Pizzo, giornalista

Matteo Pucciarelli, giornalista, La Repubblica

Pietro Raitano, direttore Altreconomia

Giovanna Ricoveri, studiosa di beni comuni

Marino Ruzzenenti, Fondazione Micheletti, Brescia

Annarita Sacco, ass. La Strada/Comune-info

Alessandro Santoro, prete della comunità delle Piagge di Firenze

Andrea Saroldi, esperto di economia solidale

Patrizia Sentinelli, Altramente

Gigi Sullo, giornalista

Massimo Torelli, libero pensatore

Riccardo Troisi, Comune-Info/Reset

Giuseppe Vergani, DES Brianza

Aldo Zanchetta, Fondazione Neno Zanchetta per i popoli indigeni latinoamericani

Alex Zanotelli, Missionario comboniano

Alberto Zoratti, Fairwatch

F35 e le promesse implose

Alla fine siamo arrivati alla settimana “benedetta” della discussione alla Camera sull’acquisto dei cacciabombardieri F35. La campagna “Taglia le ali alle armi!” ha posto all’attenzione pubblica un tema che avrebbe rischiato di rimanere nascosto tra le pieghe (sempre abbastanza profonde) del bilancio militare. Sono mesi che ne parliamo e ne scriviamo, anche qui, tanto da avere avuto bisogno anche di riordinare le idee su tutti i passaggi della discussione (qui) e le improbabili parole del Ministro Mario Mauro che definisce i caccia “strumenti di pace”.

In campagna elettorale Bersani ha ‘ceduto’ alle richieste del fronte del NO dichiarando che il PD avrebbe distratto quei soldi su altre priorità, e poi sappiamo tutti com’è andata a finire. Certo che la questione degli F35 è uno di quei soliti nodi in cui i democratici (e non solo) si incagliano smentendosi rispetto alla campagna elettorale senza nemmeno la fatica di trovare delle giustificazioni. Allo stato attuale esiste una mozione che chiede di cancellare l’acquisto (firmata da M5S, SEL e una porzione piccola di PD) e esiste un fronte militarista (i soliti noti).

Siamo in molti a ostirnarci a credere che questo Governo possa comunque siglare segnali importanti di cambiamento almeno in piccoli passi e passaggi parlamentari in cui una maggioranza parlamentare è possibile. Ecco: un inciampo benefico sugli F35 sarebbe una buona notizia. Un inciampo come strumento di pace.

 

Imparate a sentire profondamente tutte le ingiustizie compiute contro chiunque, in qualunque posto al mondo

Ai miei bambini

Cari Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto

Se mai leggerete questa lettera, sarà perché non sono più con voi. Non vi ricorderete quasi più di me, e i più piccoli non mi ricorderanno affatto.

Vostro padre è stato un uomo che si è comportato secondo il suo credo, ed è stato pienamente fedele alle sue convinzioni.

Crescete da bravi rivoluzionari. Studiate tanto e imparate a usare la tecnologia, che ci permette di dominare la natura. Ricordatevi che la rivoluzione è quello che conta, e che ognuno di noi, da solo, non conta niente.

Ma più di ogni cosa, imparate a sentire profondamente tutte le ingiustizie compiute contro chiunque, in qualunque posto al mondo. Questa è la qualità più importante di un rivoluzionario.

Per sempre, bambini miei. Spero comunque di rivedervi.

Un grosso bacio e un grande abbraccio,

Papà

Ernesto Che Guevara – rivoluzionario, medico e guerrigliero argentino – in una lettera ai suoi figli scritta nel 1965.

Idem come sotto

Quello che penso su Josefa Idem l’ha scritto meglio di me Alessandro Gilioli:

qui sotto:

In altre parole: quello che ha fatto Idem non è cosa “da massacro” e non si tratta di un comportamento paragonabile a quello dei farabutti di ogni partito che vediamo ogni giorno all’opera. E’ stata però una scorrettezza che – proprio per non essere né sembrare tutti uguali e proprio per non mostrare attaccamento alla poltrona – andava fatta seguire subito da una serena, dignitosa e nobile letterina di dimissioni. Sottolineando così la propria dirittura morale e la propria superiorità nei confronti degli evasori e dei delinquenti che stanno in politica. E giovando quindi anche alla propria reputazione, sul medio-lungo termine, in modo molto più robusto rispetto a quella che pare una disperata arrampicata sugli specchi.

Vale la pena leggerlo tutto qui.

L’umanizzazione della cura

‘Restare umani” non è uno slogan. L’hanno usato con superficialità, forse, rinchiuso nella prigione delle frasi “da maglietta” ed è stata strumentalizzata da inetti destrorsi per rinchiudere Vittorio Arrigoni nel recinto dei “comunisti” da non rimpiangere. Eppure dentro il “restare umani” c’è una visione politica che sarebbe la chiave per ripensare molti dei settori di questo Paese che si incaglia sulle somme, le sottrazioni e i compiacimenti da mantenere.

Le parole di Paolo Veronesi (con cui mi trovo spesso in disaccordo su alcune visioni) sono le parole di buon senso che forse non dovrebbero nemmeno stupire ma suonano come rivoluzionarie in un momento come questo:

I “medici-clown” svolgono un lavoro meraviglioso, ma non dovrebbero essere i soli ad occuparsi del malato come persona: tutto l’ospedale, nel suo insieme, dovrebbe rispettare il principio dell’umanizzazione della cura, e non solo nei reparti pediatrici.

Questo significa, per esempio, che già nella sua progettazione la struttura deve essere concepita come “la casa del malato”, in cui ogni aspetto, dagli arredi all’organizzazione,restituisca a chi è ricoverato comfort, serenità e sicurezza: l’opposto di quel senso di estraneità che spesso si prova entrando in un ospedale tradizionale. Ma non solo: l’organizzazione stessa deve adottare orari e comportamenti rispettosi dei normali ritmi di vita del paziente, ad esempio facilitando le visite di familiari e amici, riconsiderando gli orari dei pasti – inspiegabilmente molto anticipati rispetto alla consuetudine – e rispettando la privacy del malato mettendo a sua disposizione camere singole.

Un ospedale così concepito, permette ai pazienti di sentirsi quanto più possibile a loro agio, proprio come in una casa dove si va a vivere in particolari circostanze, dolorose certamente, ma a causa delle quali la nostra vita non deve cambiare, nei limiti del possibile, ritmo e abitudini. Per dare vita a questo luogo di accoglienza e di attenzione, devono essere abolite tutte le regole che rendono l’ospedale punitivo e lontano dalle abitudini di vita delle persone sane, in nome di un’unica regola: considerare il paziente, prima che un malato, una persona da rispettare nella sua globalità.

E se partissimo dall’umanizzazione non sarebbe facile poi che etica, solidarietà e giustizia venissero ovviamente al seguito?