Vai al contenuto

Giulio Cavalli

Interrogazione sull’Osservatorio epidomiologico di Mantova

INTERROGAZIONE CON RISPOSTA IN COMMISSIONE EX ART. 116 DEL REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO REGIONALE

Al Signor Presidente del Consiglio regionale

Oggetto: criticità in merito alla “riorganizzazione” messa in atto dal nuovo direttore Generale dell’Asl di Mantova riguardo all’ Osservatorio epidemiologico dell’ Asl di Mantova

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI REGIONALI

PREMESSO CHE

l’insediamento del nuovo direttore generale dell’Asl di Mantova non è certamente passato inosservato specialmente in seguito agli recenti cambiamenti operati come quello relativo al trasferimento ad altro servizio di chi ha avuto in cura la banca dati dell’Osservatorio epidemiologico, struttura che raccoglie le informazioni per studiare le patologie della popolazione mantovana;

PREMESSO INOLTRE CHE

il suddetto Osservatorio, che riveste una particolare importanza in quanto monitora l’insorgere di malattie legate soprattutto alla presenza di contaminanti provenienti e prodotti dal Polo chimico di Mantova, dal 1988 è diretto dal Professor Paolo Ricci che, appena dopo un anno dal suo insediamento, firmò la prima diffida  nei confronti del Petrolchimico mantovano (allora Montedison);

CONSIDERATO CHE

è tuttora in corso il processo per le morti di settantadue lavoratori al Petrolchimico avvenute tra il 1970 e il 1989 e che, secondo l’accusa, sarebbero state determinate da tumori sviluppatisi in seguito alla prolungata esposizione a sostanze cancerogene come benzene, stirene e amianto;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

la suddetta inchiesta prese l’avvio, otto anni fa, proprio a seguito di uno studio epidemiologico condotto dall’Asl di Mantova ed è proprio quella suddetta struttura che l’attuale direttore generale dell’ Asl di Mantova intende “riorganizzare”;

ATTESO CHE

tale riorganizzazione avviene proprio alle soglie della presentazione dei risultati sulla diversa incidenza delle malformazioni congenite nell’area cittadina di impatto del Petrolchimico;

INTERROGANO IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE

LOMBARDA, ROBERTO FORMIGONI, LA GIUNTA REGIONALE

LOMBARDA, L’ASSESSORE REGIONALE ALLA SANITÀ, LUCIANO BRESCIANI, E L’ASSESSORE AL BILANCIO, FINANZE E RAPPORTI ISTITUZIONALI, ROMANO COLOZZI, PER CONOSCERE:

  1. se non sia utile rafforzare anziché indebolire una struttura fondamentale per il controllo epidemiologico in un territorio, come quello mantovano, colpito e martoriato fortemente dalle conseguenze ambientali e sanitarie determinate dal Petrolchimico;
  2. quali siamo le misure che si intendono prendere al fine di permettere al Professor Paolo Ricci di poter svolgere il suo lavoro e all’Osservatorio epidemiologico di poter continuare la preziosa attività svolta;
  3. se non ritengano che la riorganizzazione dell’Osservatorio epidemiologico di Mantova voluta dall’attuale Direttore Generale sia una scelta determinata da motivazioni politiche;
  4. quali siano le motivazioni che hanno portato al trasferimento della persona che curava la banca dati dell’Osservatorio epidemiologico;
  5. se la suddetta struttura possa contare anche in futuro delle adeguate e necessarie risorse economiche e finanziarie.

 

Milano, 28 aprile 2011

 

Giulio Cavalli (IDV)

Francesco Patitucci (IDV)

Gabriele Sola (IDV)

Stefano Zamponi (IDV)

 

 

Lodigiano: la terra dei fuochi

Confesso che ho sempre avuto un rapporto difficile con Lodi e il lodigiano. Per una catena di “convergenze” (come le chiamerebbe Nando Dalla Chiesa) che mi si sono infilate a forma di lama. Dal 2006 a oggi. Eppure non riesco a non amare Lodi e i lodigiani con l’amore (anche rancoroso, nelle sue curve peggiori) che si ha per la città in cui camminano i propri figli.

Ho seguito da lontano questi ultimi mesi di fuochi, riunioni, esperti dell’ultim’ora e balletti istituzionali: corse da una stanza all’altra come un adolescente che deve sistemare casa prima del rientro dei genitori. A nascondere le tracce e, come sempre, tutti poi a minimizzarle al bar. Ma non è delle contromosse difensive che voglio scrivere (pur apprezzando lo spirito e l’impegno di Prefettura e di alcuni consiglieri provinciali sul tema con, intorno,  l’assordante silenzio dei soliti noti): il giudizio sulla “battaglia” ho deciso da un pezzo di lasciarlo ai nostri figli.

Mi tocca piuttosto questa terra ferita e bruciata come una donna lasciata sul marciapiede tra i cartoni, mi tocca la coltre intorno ai tanti giovani che continuano a scriverne e riunirsi e parlarne e alla fine rimbalzano, mi tocca la penna dei giornalisti e direttori che ne scrivono ma rimangono solo opinioni, mi tocca l’impegno di (troppo pochi) politici che vengono additati come esibizionisti e mi tocca la solitudine delle forze dell’ordine.

Mi tocca, più di tutto, una terra incapace di trasformare un allarme in un comune sentire.

L’anno scorso venni invitato, a Napoli, a parlare della “terra di fuochi”: un’isola tra Qualiano, Villaricca e Giugliano che brucia rifiuti come un fumento quotidiano di pneumatici, rottami e veleni. Una signora anziana mi disse che dalle città normali dovrebbero alzarsi i palloncini mica i fumi. Me lo disse con un dolore che non si riesce a scrivere.

Da qualche anno il Lodigiano ha smesso di liberare palloncini e ha cominciato ad annusare roghi. Numeri disarmanti, falò come un rito tribale per parlarsi con il fumo, «una strategia per alzare la tensione nel settore e per riprendersi fette di mercato, da parte di qualcuno, che sono state perse: una sorta di concorrenza scorretta ricorrendo a condotte di carattere criminale» dice il sostituto procuratore Paolo Filippini. Quindici incendi in impianti per lo stoccaggio o il trattamento dei rifiuti a partire dal 2003. Ben otto a partire dall’ottobre scorso. A gennaio si mette ad indagare anche l’antimafia. Impianti diversi dove si rincorrono gli stessi cognomi, come in un film dell’orrore con una trama annunciata. L’ultimo incendio, invece, è un incendio che lascia macerie a forma di macerie. Di quelle che ti rimangono nel naso per anni. Ne scrive Fabio Abati in questo articolo, ne avevo parlato qui (meritandomi una telefonata in cui mi si diceva che era “roba da cui stare attento”, come nei film western). Una storia con troppe ombre in cui galleggia una cooperativa all’interno di una cartiera con una donna alla presidenza. Una donna che qualche mese fa sparisce, viene messa sotto protezione, come nelle storie che stentiamo a credere: è la moglie di Giovanni Costa, nativo di Gela, poi camionista a Caserta, poi residente a Lodivecchio prima di sposarsi con la presidente della cooperativa e trasferirsi a Sant’Angelo Lodigiano. Giovanni Costa viene arrestato nel maggio 2010 nell’ambito di un’inchiesta dellaDda di Napoli sul “cartello” del crimine organizzato per il mercato ortofrutticolo nel centro-sud. Lui si professa innocente per bocca del suo avvocato ma qualche “vecchio amico” si convince che stia parlando troppo. Così scatta il programma di protezione.

Nicola Piacente, il procuratore antimafia che sta seguendo le indagini, lascia un frase sul marmo: “se le indagini stanno procedendo con queste tempistiche – si lascia sfuggire Piacente – e ancora nessuna risposta possiamo dare alla gente che si preoccupa di quello che gli accade sotto casa, è perché forse ci aspettavamo maggiore collaborazione da parte di chi quegli incendi li ha subiti”. Come nella terra dei fuochi.

La paura mangia l’integrità dell’uomo, diceva Karekin I, e la sonnolenza lo stordisce. C’è un pezzo di terra da difendere con i denti. Diceva Giuseppe Gatì: questa è la mia terra e io la difendo, e tu?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/26/lodigiano-la-terra-dei-fuochi/107151/

 

Un guastafeste ad Arcore c’è: Danilo Menga

Confesso che uno dei pruriti che mi toglierei subito è una corsa elettorale nel moderno reame di Arcore. Forse sarà che la sfida non è una mera questione di preferenze e voti, Arcore oggi nell’immaginario comune è il giardino del castello dove tutto è passato e tutto è passabile: le rose giganti senza spine che fischiettano sigle disneyane, le carte da gioco con l’elmo e la spada, i festeggiamenti ogni sera per il buon non compleanno del Re e il bianconiglio che citofona entrando dal retro. Ad Arcore Alice, invece, si è prostituita per molto meno di trenta denari.

Ad Arcore (e questa per il Re è una delle tante brutture della democrazia) fra poche settimane andranno di scena le elezioni amministrative. Capite che correre per diventare consigliere di un fazzoletto del feudo del Re è roba più da Lancillotto o Sancho Panza piuttosto che da strateghi delle poltrone: nel gioco tutto politico di simboli e sistemi Arcore è la spina nel fianco della corte e delle ballerine. C’è innanzitutto un grande lavoro di pulizia, pulizia delle strade biascicate dalle bave dei servi, pulizia di un territorio e di una comunità che non può (e non vuole) rimanere al guinzaglio del Sultano. Arcore è l’ombelico decifrabile e sintomatico del grumo di interessi della berluscocrazia di questi anni.

Dovessi spedire un uomo in avanscoperta ci manderei un guastafeste, uno scassaminchia, insomma uno che infila il dito dentro le carte e le parole del reame. Almeno perché in un Italia di vassalli, valvassori e valvassini si comincino a cancellare i feudi.

Conosco Danilo Menga da tempo. Ha la matrice genuina dell’antipatico e battagliero, di quell’antipatia sana e fondamentale per distinguere un compromesso da un asservimento. E’ la fotografia dei giovani che la politica hanno deciso di andarsela a riprendere sudandosi ogni centimetro. Come una tenzone da medioevo in cui spesso ricadiamo.

Per questo sostengo e vi invito a sostenere Danilo come guastafeste per il prossimo quinquennio. Sarò con lui l’11 maggio alle 21 per avere il piacere di essere al suo fianco in questa corsa, in una serata in cui la compagnia teatrale “Compagnia degli Stracci” metterà in scena uno spettacolo sulle mafie. Mentre ad Arcore e in Lombardia qualcuno fa campagna elettorale con la mafia, Danilo ha deciso di farla “contro” la mafia. E’ una differenza sostanziale. Se siete di Arcore, se non lo siete o semplicemente volete essere con noi, l’11 maggio ci troviamo lì.

Forza Danilo.

 

Restiamo umani, Vittorio

Vittorio Arrigoni è morto perché noi non siamo restati abbastanza umani. O forse, sulle storie e le nuvole sopra la Palestina, non lo siamo mai stati.

Ho sentito la voce di Vittorio per l’ultima volta pochi giorni fa, per una serata che avevamo organizzato a Milano sulla prossima partenza della Freedom Flottilla. Una serata silenziosa e buia. Parlare a Milano di Palestina è come scoperchiare un’isola che nessuno vuole mettere sulla cartina. La sua telefonata in quella serata è stata un ponte costruito in un attimo che ci ha spinto ad un cuore così uguale in territori così diversi. Aveva la voce ferma, chirurgica e tagliente dell’uomo che non può esimersi dall’essere consapevole. Ci raccontava di una generazione che non può non sapere. Aveva la fierezza dell’apolide che ha trovato il posto dove stare, la casa da costruire, la gente da abbracciare.

Vittorio non è un blogger, non è un giornalista freelance e nemmeno uno spirito samaritano, come leggo questa mattina. Vittorio è un volontario professionista: con la volontà del sentirsi coerente con se stesso e il professionismo di chi professa i propri valori in quello che si ritrova a fare ogni giorno.

In un paese dove si elemosinano diritti e pane, Vittorio era una delle tante briciole di democrazia. Restiamo umani, ci diceva. Lui questa mattina ci sarebbe riuscito comunque, con l’energia e la voglia di chi ha la sua isola da costruire. Per noi, è difficile. Ci proviamo, Vittorio, a restare umani.

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/15/restiamo-umani-vittorio/104664/

 

 

‘ndrangheta/ Cavalli: a Brescia la mafia non esiste, ma i Fortugno sì

‘ndrangheta/ Cavalli (IDV): a Brescia la mafia non esiste, ma i Fortugno sì

A margine della sua partecipazione alla manifestazione davanti al Tribunale di Brescia il consigliere regionale di Idv Giulio Cavalli afferma che  le condanne di primo grado a 10, 6 e 4 anni di reclusione dicono che chi ha additato i fratelli Fortugno come inquinatori organizzati del vivere civile imprenditoriale bresciano non può più essere definito visionario.

“Marcello, Rocco e Gaetano Fortugno si contrappongono – continua Cavalli – a quella società civile che dopo la manifestazione di oggi (e con le condanne inflitte) vuole dire ad alta voce che per loro, così come per le altre famiglie che inquinano le nostre zone, a causa dei loro metodi di fare business non c’è più posto e non saranno più tollerati”.

Dice il consigliere Cavalli che “questa sentenza è l’apertura di un percorso che deve obbligare i cittadini ad essere più consapevoli e a prendere una posizione netta di fronte a reati dal retrogusto mafioso”.

“Del resto, aggiunge Cavalli, nonostante la desolante esibizione di uno dei fratelli Fortugno che, come nelle peggiori commedie ha dichiarato che a Brescia la mafia non esiste, oggi a Brescia sappiamo che esistono i Fortugno”.

“La sentenza di primo grado proietta l’immagine di un intreccio di malaffare e criminalità diffuso sul territorio bresciano che, però, è già accaduto. E’ necessario arginare ciò che sta accadendo ora e che le carte giudiziarie non possono dirci”.

 

 

Formigoni patetico antimafioso da urlo

Facciamo un patto. Un patto sociale antimafioso, un contratto con gli italiani come lo chiamava lui. Ma firmiamolo subito, con urgenza. A destra, a sinistra, sopra e sotto mettiamoci d’accordo per un limite alla decenza, alla legalità e soprattutto all’opportunità. Decidiamo tutti insieme (se lo facciamo con una richiesta di voto segreto, in Consigliosi richiede con almeno cinque consiglieri e allora ci mettiamo le 900 vittime di mafia di questo Paese). Possiamo discutere, litigare e avere diverse visioni sulle responsabilità sparse per la Lombardia. Possiamo vedere sfrenati allarmisti o attendisti fin troppo tiepidi, possiamo anche sopportare i polituncoli che si dicono “io ne ho uno ma voi ne avete due”. Ma non possiamo sopportare, non dobbiamo sopportare che Roberto Formigoni affronti impunito l’argomento. Peggio ancora se perde le staffe come uno scolaretto con le mani nella marmellata. Dobbiamo impedirgli di parlare di lotta alla criminalità organizzata con quella faccia sulfurea da intoccabile, e dobbiamo ricordargli che non ha nemmeno il diritto di scomporsi.

Ci dia risposte su Massimo Ponzoni.

Dia un segno di vita su Carlo Chiriaco, Pino Neri e i loro presunti rapporti con Giancarlo Abelli.

Ci racconti dei rapporti che spuntano dalle indagini di questi anni tra esponenti di Comunione e Liberazione e uomini di mafie.

Ci racconti cosa lo costringe a difendere ad oltranza (imbarazzando i suoi alleati) Pietrogino Pezzano.

Ci racconti perché le associazioni di categoria stringono patti etici fotografandosi con lui e in questi anni non hanno mai espulso un loro iscritto.

Ci racconti e ci spieghi chi sono, secondo lui, gli “indifferenti” di cui parlano puntualmente ad ogni conferenza stampa i magistrati lombardi.

Ci racconti chi in questi anni ha sottovalutato il fenomeno mafioso essendo al potere illegittimamente da un ventennio.

Noi, in cambio, promettiamo che ascolteremo cosa ha da dirci sull’argomento.

 

 

Io a Cesano Boscone: il mutevole racconto dei fatti

Passano pochi giorni, apro la posta, leggo in rete e scopro novità che si sono autoprodotte e riprodotte in modo autonomo. Come tante piccole mezze verità che ciondolano contente come fossero mezze bugie. Qualcuno scrive Cavalli si sarà convinto che D’Avanzo è uno degli angioletti dipinti sulle volte degli altari? Oppure gli sarà stato imposto il silenzio, essendo anche un esponente di spicco dell’Italia dei Valori a livello regionale, sui giornali scopro di avere addirittura fatto pace (!) con il Sindaco D’Avanzo che scrive “equivoco chiarito”.

Vista da qui, del resto, sembrerebbe una piccola diatriba da cortile che merita solo di lasciare cadere la polvere ma qualche minuto per puntualizzare credo che sia ben speso per i pochi affezzionati di questo blog:

– ho preferito non ricevere alcun compenso a Cesano Boscone perché ostinatamente rivendico il dovere dell’opportunità nei rapporti che intrattengono i pubblici amministratori. A Cesano Boscone pezzi della politica hanno dialogato con imprenditori (Alfredo Iorio in primis) che sono i terminali finanziari della cosca Barbaro-Papalia. L’ha descritto perfettamente David Gentili (nel suo blog, qui), riportando con esattezza le carte giudiziarie. Concordo in pieno con l’analisi di David sull’inopportunità politica di alcuni componenti della Giunta. Lo dico con forza e lo rivendico. Il senso della mia scelta di non intrattenere rapporti economici diretti con il Comune è tutto qui. Senza fantasiose reinterpretazioni.
– “A 100 PASSI DAL DUOMO” è uno spettacolo teatrale. Uno spettacolo  cui sono affezionatissimo per l’enorme lavoro che abbiamo fatto insieme io, Gianni Barbacetto e Gaetano Liguori. Uno spettacolo teatrale che racconta (tra le altre cose) il puzzo intorno alla società Kreiamo e agli imprenditori con predisposizione criminale sullo stile di Alfredo Iorio. Per questo A 100 PASSI DAL DUOMO ha bisogno di andare in scena senza rimbalzi o ombre intorno alle persone che raccontiamo. Chi si aspettava che tra Calvi, Sindona, Ambrosoli e Liggio ci prendessimo la briga di ficcare le vicende politiche cesanesi ha una certa disabitudine alle pratiche “di scena” che sono diverse dalle dinamiche di comizio. Per questo sono molto deluso da chi prospettava un nostro “comizio politico” dimostrando un’abissale ignoranza per il mezzo teatrale. Su Iorio ci siamo soffermati con molta calma, a Cesano. Abbiamo raccontato come l’imprenditoria prostituita alle cosche sia un cancro ancora più terribile delle cosche stesse. E quindi quanto la politica debba starne lontano al telefono o con eventuali ex collaboratori, com’è successo a Cesano.

Su eventuali riavvicinamenti o altro non c’è da aggiungere. Abbiamo preso una decisione e continuiamo a mantenerla. Ipotizzare scene da figliol prodigo e di pacificazione è una mezza bugia che non interessa a nessuno: non è né arte né politica. E noi tutti abbiamo altro su cui lavorare.

P.S. Qualcuno mi dice che i due eletti IDV stanno in silenzio su questa questione. Se è vero, peggio per loro. Significa che perdono una buona occasione per dimostrare come l’obbligo morale su questi temi sia di verificare sé stessi e le proprie coalizioni prima degli altri. Ce l’ha insegnato un certo Pio La Torre, mica uno per caso.

 

 

In scena a Cesano Boscone, ma con riserva

Questa sera sarò in scena con lo spettacolo A 100 PASSI DAL DUOMO nel Comune di Cesano Boscone (Mi), per un’iniziativa in occasione della Giornata della Legalità.

Andrò in scena con la solita gratitudine verso il mio pubblico e tutte le persone che seguono i nostri spettacoli e le nostre tourné. Alcuni giorni fa sono venuto a conoscenza di contatti, negli ultimi anni a Cesano Boscone, tra alcune persone della Pubblica Amministrazione e imprenditori legati alla ‘ndrangheta.

Al di là dei profili giudiziari e delle soggettive valutazioni politiche rivendico il mio diritto e il mio dovere (soprattutto oggi, in Lombardia) di difendere il valore dell’opportunità.

Per questo ritengo opportuno essere in scena per il pubblico, per chi si è adoperato nell’organizzazione della serata e soprattutto per il rispetto al mio lavoro ma altresì ritengo doveroso rinunciare al mio cachet pattuito con l’Amministrazione Comunale per marcare la distanza da comportamenti e ombre inopportune che mi auguro vengano presto dissipate.

 

Riportiamo un intervento di David Gentili, consigliere milanese del Partito Democratico e membro del Comitato Antimafia, pubblicato sul proprio blog.

Tratto da: www.davidgentili.it

D’Avanzo non si difenda sui giornali, ma davanti ai garanti del Partito

Alcune intercettazioni telefoniche richiamate in un’informativa della Dia narrano di contatti tra Alfredo Iorio, Presidente di Kreiamo condannato ad un anno e 6 mesi, patteggiati, per associazione mafiosa e Vincenzo D’Avanzo Sindaco di Cesano Boscone.

A seguito di queste notizie il Centrodestra di Cesano ha presentato una mozione di sfiducia al Sindaco. La Federazione delle sinistra ne chiede le dimissioni.

Ho letto con attenzione la lettera del Sindaco D’Avanzo inviata a L’Incontro, periodico on-line di Cesano Boscone, a seguito di un articolo che raccontava i contenuti delle intercettazioni.

Mi colpisce una frase: “Perché in oltre due anni e mezzo da quei fatti non ho mai (e ripeto MAI) ricevuto neanche un’informazione di garanzia da parte della magistratura.”

Qui non si sta parlando di responsabilità penali. Qui si parla di questioni che riguardano le eventuali responsabilità politiche.

Se dovessimo aspettare gli avvisi di garanzia o i rinvii a giudizio, oppure la Cassazione, per sapere se un amministratore amministra correttamente, saremmo spacciati.

Dalle intercettazioni del gennaio 2009 emerge che D’Avanzo chiede a Iorio di aiutare una persona che sta cercando lavoro, in quelle del maggio 2009 D’Avanzo chiede aiuto a Iorio per la vicenda della Demas e per l’opposizione che ha incontrato in Consiglio nel portare la richiesta dei proprietari di aumentare la superficie commerciale in un consiglio straordinario prima delle amministrative.

Tre sono le domande: è giusto che un Sindaco chieda ad un imprenditore di assumere una persona? Come faceva D’Avanzo a non conoscere chi era e di cos’era accusato Alfredo Iorio?
Come faceva a non conoscere il vice Presidente della Kreiamo Andrea Madaffari figlio di Domenicantonio (salumiere a Cesano) coinvolto nel rapimento Rancilio (morto durante il sequestro), insieme ad esponenti delle cosche Mammoliti e Sergi e cugino di Salvatore Madaffari ucciso nella notte tra il 22 e il 23 settembre del 1979 a Buccinasco, mentre era in compagnia di Saverio Sergi, vero obiettivo dei killer?

Provo a rispondere alla seconda. Secondo me è impossibile non sappia chi è Alfredo Iorio e che non sappia che è implicato nel riciclaggio dei beni delle famiglie Barbaro, Papalia.

Durante la commissione Affari istituzionali del Consiglio Provinciale del 23 febbraio 2009 (ben tre mesi prima delle intercettazioni che riguardano la Demas), viene resa pubblica la relazione che il 27 novembre 2007 Ferdinando Pomarici, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Milano, consegna alla Commissione parlamentare Antimafia presieduta da Francesco Forgione.
La relazione produce effetti dirompenti: le opposizioni in Consiglio provinciale chiedono le dimissioni di Bruna Brembilla, allora assessore in Provincia e Penati riesce ad arginare le richieste perché Minale gli comunica che il procedimento, che coinvolge la Brembilla, citato da Pomarici, viene archiviato il 2 dicembre 2008.
Nella relazione antimafia, resa pubblica, viene scritto che Alfredo e Andrea Iorio insieme al padre Achille possedevano l’Immobiliare Iorio, alla quale è stato, nel 2007, ceduto tutto il capitale della Immobiliare Buccinasco, azienda legata ai Barbaro: Salvatore Barbaro coniugato con Serafina Papalia figlia di Rocco Papalia, era titolare del 90 % delle quote della Immobiliare Buccinasco.

Non è possibile che il Sindaco di Cesano Boscone non sappia nulla del documento che viene distribuito in aula. Tre mesi dopo decide ugualmente di riconoscere a Iorio il ruolo che gli può permettere di portare a casa la delibera Demas prima della chiusura del mandato e gli chiede un favore: convincere un consigliere di opposizione a non opporsi.

Nelle motivazioni della sentenza che ha portato a fine ottobre 2010, alla condanna a sei anni per associazione mafiosa di Andrea Madaffari vice di Iorio nella Kreiamo, si ricorda che presso la Kreiamo ha luogo anche “la famosa riunione del 16 settembre 2008, in cui gli indagati Madaffari e Iorio con i loro collaboratori discutono di contabilità occulta e pianificano la strategia da seguire con gli inquirenti, per distogliere i sospetti dal loro operato e creare una barriera artificiosa tra la stessa Kreiamo e i Barbaro.”

A questo punto e da ottobre che lo chiediamo e lo chiediamo con insistenza: perché D’Avanzo non ritira le deleghe a Francesco Francica, attuale assessore al Bilancio della sua Giunta, Presidente del collegio dei revisori della Kreiamo dal 9 luglio 2007 e restato in carica, si legge nel Cerved del 28 ottobre 2010 fino all’approvazione del bilancio, il 31 marzo 2010.

D’Avanzo dice: “esercitava un controllo legale sui conti e non aveva alcun incarico e controlli nelle società del gruppo. Essendo un professionista di indubbia capacità, onestà e preparazione, il commissario giudiziale nominato dalla Procura della Repubblica ha voluto respingere le sue dimissioni, chiedendogli di rimanere al suo posto.”

Della contabilità occulta Francica non se n’è accorto. Lo stesso Francica, per rispettare pienamente l’Istituzione che rappresenta, dopo le gravissime accuse e le condanne a Presidente e vice Presidente di Kreiamo, dovrebbe togliere di imbarazzo la Giunta e dimettersi.
Le dimissioni possono, al limite, essere interpretate in questa accezione: non sono colpevole, neanche dell’accusa di aver interpretato il mio ruolo con superficialità, ma non voglio che la Giunta di Cesano Boscone venga continuamente messa in discussione a causa mia.

E poi un’ultima questione. È mai possibile che noi (inteso consiglieri comunali del Pd) non si possa attaccare Fabio Altitonante, Consigliere comunale e assessore in Provincia, enfant prodige della destra milanese, che nella stessa informativa della Dia viene citato in più di un passaggio, intercettato telefonicamente e ambientalmente negli uffici della Kreiamo, finché non si fa chiarezza a Cesano?

Al momento ritengo un rinvio dell’intera questione, alla valutazione del Collegio dei garanti del Partito Democratico la traiettoria più breve ed efficace, nello stesso interesse del Sindaco D’Avanzo. Ciò deve accadere nel più breve tempo possibile, pochi giorni e comunque prima che la mozione presentata dal Centro destra cesanese venga portata in aula.

Rimuovere Pezzano. Ci riproviamo.

(ANSA) – MILANO, 14 MAR – La Giunta lombarda revochi la nomina a Pietrogino Pezzano, il direttore generale dell’Asl Milano 1 fotografato in compagnia di due boss della ‘Ndrangheta nell’ambito dell’inchiesta ‘Infinito’. Lo chiedono il Pd e ilconsigliere Idv, Giulio Cavalli, in una mozione che approda domani all’esame del Consiglio regionale.

Non facciamo spegnere Mauro Rostagno

In questi giorni si tiene un processo che nessun cittadino eticamente e costituzionalmente vivo può permettersi di non ascoltare e seguire. Mauro Rostagno è stato ucciso a 46 anni per mano di mafia. Seguo il processo cercando briciole in giro per la rete e studiando le poche carte che sono riuscito a recuperare. Mauro Rostagno è una noce di impegno e rifiuto del compromesso nella nebbia trapanese. Ogni volta che leggo le parole e i fatti sento il peso insopportabile e pluriomicida di un’antimafia che dimentica per comodo o sottovaluta il dovere di esercizio della memoria. Mauro Rostagno è una favola che addolcisce, e appena si comincerà seriamente a raccontarla avremo la colpa di essere in ritardo.

Le parole di Maddalena (sua figlia) sono il ritratto di un dolore che non si spegne sotto la brace. Mi sono commosso a leggerla. Sono le parole che sanguinano di una storia ancora viva, come un’aragosta. Con un lamento quasi impercettibile. Seguiamo il processo Rostagno: cerchiamolo nei blog, parliamone al bar, agli amici, chiediamoci tutte le mattine come andrà a finire. Teniamo acceso questo fuoco.

di Maddalena Rostagno – Nei giorni della camera ardente io stavo fuori dalla porta, senza entrare, a guardare i volti delle persone che entravano a salutarti. Ti ho salutato per ultima, all’ultimo, da sola. Al funerale non sono venuta. Ti ho salutato da sola, al cimitero, scavalcando il muretto. I nostri saluti sono una cosa nostra, intima, privata. Se ogni tanto diventano cosa pubblica è solo per avere lo spazio per farti ricordare.

Il tuo funerale. Due giorni fa ero in aula di tribunale mentre il generale Nazareno Montanti, capo del reparto operativo dei carabinieri che si occupò delle indagini, fin da subito. Ha detto che lui non guardava la televisione, che sapeva dai suoi sottoposti che avevi uno spazio a RTC, che forse ti occupavi di temi sociali e non di denuncia. E che comunque non eri molto seguito. Ringrazio Enza Rando, legale di Libera, costituitasi parte civile nel processo, per il suo intervento. Per aver dato voce al mio dolore e soprattutto al falso storico. Il tuo funerale l’ho visto pochi giorni dopo, da sola, lo custodisco e mi è capitato in questi quasi 23 anni di riguardarlo. Al tuo funerale non c’erano solo i tuoi familiari, in prima fila vicino a Chicca, un’anziana signora che avrebbe potuto essere tua mamma. Non c’erano solo i numerosi tuoi amici arrivati dal Nord. Al tuo funerale c’era la città di Trapani, o almeno una consistente parte di essa. La chiesa era stracolma durante la bellissima omelia di monsignor Adragna. Quando hanno preso la tua bara e sei uscito dalla chiesa c’erano tantissime persone, le strade piene, a darti un’ultima carezza. Arrivati in piazza, stracolma di gente, loro, le persone hanno fischiato e/o applaudito gli interventi. E dopo sono stati intervistati tanti giovani, che avevano la mia età, che ti ascoltavano. Che ti avevano scelto come punto di riferimento.

Se è stato concesso al Generale di dire questo nell’aula, senza che l’avvocato della comunità Saman, anch’essa costituitasi parte civile nel processo, abbia sentito il dovere ed il bisogno di controbattere. Spero venga accolta la mia preghiera, nella prossima udienza, di acquisire agli atti il girato del tuo funerale. Ma questo è molto sentimento.

Mi chiedo dove siano i tanti giornalisti che si definiscono tali e d’inchiesta. In molti ti ignorano, altri -pochi-scrivono di te senza essere mai andati al tribunale, a leggere i 35 faldoni e più delle carte che ti riguardano. Certo, ci vuole tempo e passione. E‘ più facile fare copia e incolla da articoli di colleghi, rischiando di riportare, ancora e ancora, come vere falsità. Un piccolo esempio la frase di Renato Curcio e di un colloquio con Mariano Agate avvenuto nel carcere di Favignana. Dove a domanda di Renato gli viene risposto che è cosa vostra, cosa nostra non c’entra. Falso. io ho letto il verbale, ma forse sono l’unica ad averlo fatto. Curcio smentisce tale circostanza davanti al pm. Ma siccome qualcuno lo ha scritto una volta, altri copia e incolla continuano a riportarlo come fatto vero, effettivo, accaduto. E così si continua a mascariare il Contesto, a gettare fango e rendere sempre più lontana e impossibile la verità

Io non sono una giornalista. Ma le fonti, le fonti primarie?

Perché nessuno di loro si è mai posto alcune domande. Perchè la necessità di denigrare ed escludere la pista mafiosa sin dal “rapporto preliminare”? Per quale ragione “alcuni” non diedero mai impulso al compimento di atti di indagine finalizzati ad appurare la veridicità delle circostanze poste a fondamento delle valutazioni contenute nel rapporto preliminare, specie di quelle a fondamento della esclusione della pista mafiosa? E’ ammissibile che ciò sia avvenuto in assoluta autonomia? E perché nessuno è interessato ad un esposto che è stato fatto contro Montanti & co?

Più facile scrivere della teoria del “pompino divino”. Pensa Mauro, c’hai avuto la sfortuna di infrattarti con una moglie di un generale in un campo e guarda caso di vedere un aereo atterrare e il verificarsi di strani scambi. E casualità, tornandoci un’altra volta, questa seconda fornito di telecamera, hai avuto la stessa sfacciata fortuna – o sfortuna- di riassistere allo stesso episodio. Il “pompino divino” e non, mi pare più verosimile, una soffiata o una collaborazione ed indagine con terzi. Ma si sa, certe cose tirano di più.

Radio radicale sul sito propone l’audio integrale di tutte le udienze. Noi familiari, credo tutti, siamo disponibili ad aiutare eventuali giornalisti pronti e volenterosi, necessariamente forniti di un po’ di tempo ed umiltà per leggersi alcune cosuzze, prima di scrivere, e contribuire al mascariamento.