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Giulio Cavalli

Questa mattina è stata portentosa.

Questa mattina è stata portentosa. Un po’ di neve
copriva il terreno. Il sole galleggiava in un limpido
cielo azzurro. Anche il mare era azzurro e verde-azzurro
fino all’orizzonte.
Neanche un’increspatura. Calmo. Mi sono vestito e sono uscito
a fare una passeggiata – deciso a non tornare indietro
prima d’aver assorbito tutto quello che la Natura aveva da offrirmi.
Sono passato accanto a vecchi alberi curvi.
Ho attraversato un campo disseminato di pietre
dove la neve s’era ammucchiata in banchi. Ho proseguito
fino ad arrivare alla scogliera.
Da lì ho guardato il mare e il cielo e
i gabbiani che volteggiavano sulla spiaggia bianca
laggiù. Tutto bello. Tutto immerso in una luce
pura e fredda. Ma poi, al solito, i miei pensieri
hanno cominciato a vagare. Con uno sforzo di volontà
ho cercato di vedere quel che vedevo
e nulla più. Mi sono dovuto dire che era questo
che contava, non le altre cose. (E ci sono riuscito,
per qualche istante!) Per qualche istante
sono riuscito a scacciare i soliti pensieri su
quel che è giusto o sbagliato – il dovere,
i teneri ricordi, i pensieri di morte, come dovrei comportarmi
con la mia ex moglie. Tutte le cose
che speravo sparissero questa mattina.
Le cose con cui convivo ogni giorno. Quel che
ho calpestato per continuare a vivere.
Per qualche istante mi sono distratto
da me stesso e da tutto il resto. Ne sono sicuro.
Perché quando mi sono voltato non sapevo più
dov’ero. Finché alcuni uccelli non si sono alzati
dagli alberi contorti. E sono volati
nella direzione in cui dovevo andare.

(Raymond Carver)

Signore e signori: Romoletto, il boss di Ostia

Tanto per uscire da stereotipi geografici su mafie, minacce ed estorsioni ecco il video della tentata estorsione di Carmine Spada detto “Romoletto”, considerato il capo clan della cosca di Ostia. Cambiano gli accenti ma le modalità sono terribilmente universali. Con lui è stato arrestato anche Emiliano Belletti, 41 anni, pregiudicato.

Serve avere il “coraggio” di raccontare anche il buono e il bello di Scampia, Napoli e il Sud, e senza vergognarsi.

Una bella, lucida e coraggiosa riflessione di Titti Marrone:

Serve avere il “coraggio” di raccontare anche il buono e il bello di Scampia, Napoli e il Sud, e senza vergognarsi perché “buonismo” suona come una parolaccia, senza aderire al conformismo sull’epos del male con location privilegiata a Napoli. Un epos che sa di retorica più che di scandalo. Perché dopo il libro, poi il film, poi la fiction – per non parlare del vero e proprio genere letterario-giornalistico dagli innumerevoli sotto-prodotti germinato dall’opera di Saviano – si rischia lo slittamento verso l’oleografismo noir, il “camorrismo” come canone di convenzionalità più simile a una gabbia – o anche a una caricatura – che a una denuncia. E “Genny ‘a carogna”, cui è stata data l’incredibile concessione di trattare per autorizzare l’incontro Fiorentina-Napoli all’Olimpico, gongolerà nel vedere ratificato il suo potere nelle immagini che lo ritraggono su tutti i giornali, ma a nessuno deve venire in mente che possa rappresentare davvero Napoli.

A proposito di comici e cantanti

“Sarebbe bene che comici e cantanti si occupassero del loro mestiere”

Alessandra Moretti (PD)

Ditemi, come avremmo reagito tutti se l’avesse detto Silvio Berlusconi o qualcuno dei suoi servi?

L’Unità e il “metodo Boffo”

Non sono d’accordo con quanto detto da Piero Pelù dal palco del concerto del 1 maggio. Non mi piace la superficialità del modo e dei contenuti e pur amando la musica di Pelù e nutrendo poca simpatia per Matteo Renzi trovo che  ci sia bisogno di risposte politiche e serie.

Però ciò che mi lascia più basito è la reazione de L’Unità che applica una controffensiva che non ha nulla del giornalismo o di politico. Prima parla (con toni tristi) di una disputa Renzi-Pelù sull’estate fiorentina (e la notizia per carità ci sarebbe ma la narrazione è quello che è) e poi si supera raccontando di un incontro tra Pelù e Gelli (inserito tra l’altro in un vhs dei Litfiba da anni) come se fosse uno scoop nascosto e soprattutto dando per scontata un’ammirazione tra i due.

Peccato che nel numero odierno si siano dimenticati di dare spiegazioni ai lettori su questa lettera che gli stessi giornalisti de L’Unità avevano scritto lanciando accuse ben più urgenti dello scufrugliamento nel passato di un rocker. Povero Gramsci.

Caro Fausto e caro Iaio

(Sempre tra gli scritti che furono ho trovato anche un testo per Fausto e Iaio. E dentro Aldrovandi. Era il 2006)

Caro Fausto e caro Iaio,

oggi è ancora via Mancinelli come l’anno scorso e l’anno prossimo e domani è anche la festa del papà: e sono trentuno anni che la festa del papà è un pensiero così tagliente e così tra la pelle che suona di metallo come uno sparo.  E sarà che con via Mancinelli mi viene sempre in mente mia nonna che mi diceva dell’uomo nero: non dire parolacce che arriva l’uomo nero, non parlare con i bambini negri che arriva l’uomo nero, non sperare ad alta voce che arriva l’uomo nero, non mangiare con le mani che arriva l’uomo nero, non chiedere spiegazioni che arriva l’uomo nero. Dalla mattina alla sera, tutti i santi giorni e dopo anche quelli laici, un uomo nero come edera mi si arrampicava sulle scarpe. Che avrò avuto sette o otto anni non di più, quel giorno laico che mi è venuto il dubbio “ma non ha niente di meglio da fare quest’uomo nero?”. Sono passati trent’anni, caro Fausto e caro Iaio, per capire che è stipendiato: l’uomo nero. È un buon lavoro: pulito, rispettato, con trasferte interessanti e che non sente mai la crisi. Anzi, nei periodi di recessione o nervosismo generale ne assumono anche di nuovi; me lo immagino l’annuncio “cercasi, per lavoro di distrazione, uomo nero automunito con onorevoli amicizie e precedente esperienza di domatore dell’opinione pubblica”. E ogni diciotto marzo andranno a ritirare la pensione nell’ufficio generale: la pensione morale delle gomme di stato.

Caro Fausto e caro Iaio oggi gli uomini neri sono diventati grandi, hanno pure cambiato nome: si chiamano neofascisti. Perché sono piccoli, neri, attaccati sulla pelle e se te ne accorgi sotto la doccia non riesci più ad evitare di incaponirti ogni mattina. Dice mia nonna che l’unica soluzione è il laser, come in Guerre Stellari, e poi comincia a ridere con la faccia ovale di quelle risate che sudano di malinconia. Di quel sorriso che hanno i nonni che hanno capito che gli hanno mentito. E tardi, l’hanno capito, troppo tardi. E ridono ovali mentre gli si sbriciola la fiducia nella memoria.

Caro Fausto e caro Iaio, magari tra trent’anni in via Mancinelli non riusciamo nemmeno più a montarci un palco: perché la sotterrano per farla diventare una fermata della linea 7 del metro, oppure perché ci mettono uno di quei parchi con gli scivoli dove tutti in costume a 5 euro si fanno il viaggio di nozze in piazzale Corvetto, oppure perché Letizia ci ha piantato un capannone espositivo di bovini ad idrogeno per l’Expo. Ma di questo non c’è mica da preoccuparsi Fausto e Iaio perché mentre marcisce questa di via Mancinelli in giro per l’Italia ne hanno seminate un sacco: c’è una via Mancinelli ogni volta che ci  vendono alle bancarelle la memoria nuova, quella Ikea, che ti lascia credere la puoi svitare ed avvitare. La memoria bomboniera, che per tenerla bella non la devi mai usare. C’è una via Mancinelli ogni volta che l’apologia diventa un fregio, condannato, rivendicato, impunito, interrogato e poi archiviato. C’è una via Mancinelli ogni volta che un partito da davanti è in cravatta e da dietro è un tombino: a raccogliere i voti di scolo che alla conta contano come gli altri. C’è una via Mancinelli ogni volta che un ragazzo, diciotto anni o poco meno, che si chiama Aldrovandi o poco meno, ogni volta che un ragazzo cammina verso casa, con il tatto del suo letto, e inciampa morto ritrovato al mattino. C’è una via Mancinelli ogni volta che nel titolo del giornale l’indiziato inizia con un colore, il suo stato e poi nell’occhiello (se ci sta) l’iniziale del suo nome. C’è una via Mancinelli ogni volta che arriva il maggiordomo, con il borotalco sul colletto e i guanti in pizzo, con l’odore rassicurante della sua targa di ministro, e sul vassoio anche per questo natale la memoria in scatola. C’è una via Mancinelli su tutta Milano, lungo la schiena, che vi dico che oggi, caro Fausto e caro Iaio, oggi per guardare in faccia i padri di eroina o cocaina come non dovevate fare voi, non ci si ferma più a Lambrate: è una riga lunga, una striscia a forme di strade che dall’aereo sembrano una tangenziale.

Ci volevano convincere che qui è una strada chiusa ma la memoria è liquida: passa tra le scarpe, sotto le porte, dentro i calzini, e quando si incontra con il calore, il calore carne-pelo-pelle, quando evapora nella dignità, la memoria poi succede che sbriciola la storia. Ed è una memoria giovane, bella, sempre nel pieno della sua verginità.

Non prendetevela, caro Fausto e caro Iaio, è una memoria viva, a volte sembra che si cagli ma la nostra memoria, caro Fausto e caro Iaio, ha la scadenza che è una data lontana.

I ladri di spranghe e biscotti

Caro piccolo Mario,

questa sera la favola al telefono te la racconto di un paese lontano.

E siccome c’è un cielo che piove malinconia te la racconto all’incontrario.

Di quelle storie che non sai mai se la stai ascoltando  di diritto o di rovescio;

quelle storie che per capirle bisogna prenderle per i piedi e guardarle a testa in giù.

Dentro, come una favola che si rispetti,

c’è la squadra dei buoni e dei cattivi,

come nelle favole quelle semplici semplici, rassicuranti, banali, semplicistiche e politicizzabili.

La favola esiste da tantissimi anni,

da quando in casa alla sera si accendeva la candela

e per strada ad andar veloce si pedalava in bicicletta.

Questa storia da tre soldi , caro Mario,

ha tanti di quegli anni

che nessuna si ricorda chi per primo la inventò;

Se furono i nonni dei tuoi nonni

o qualche tizio roccoccò;

questa storia è così vecchia

che a fare il giro in tutto il mondo

non si trova nessun bimbo, babbo o nonno

che non l’abbia mai sentita,

neanche in Cina, in Argentina,

perfino in Africa o Indonesia.

È una favola leggera, senza morale

da ingarbuglio intestinale

che ad ascoltarla a tarda sera

scaccia via la paura nera.

È una favola banale,

di quelle buone per il giornale,

che partono partono in sottofondo,

ma poi fan sparlare a tuttotondo.

Ma è una storia che funziona,

di quelle che resiston come suole

perché ognuno ci ritrova

giusto quello che ci vuole.

Te la dico in tre parole,

prima che si abbassi il sole,

prima che il mio bambino

si prepari al pisolino:

“c’è un cattivo nero nero,

che ruba vero e di nascosto

il cestino al buono vero.

  • Io ti ho visto! – grida il buono

E da cattivo va  a rincorrere

Il mariuolo che soccombe.

  • Era Piero! – urlan questi,
  • No è Mario! Il cugino del fornaio! –  urlan quelli.

E la gente sulla piazza,

via si spinge e poi si accalca,

su quell’uomo moribondo

cattivo in cima e cattivo in fondo,

mentre l’altro che da buono,

pian pianino è diventato

un cattivo che era buono,

sotto sotto non ricorda

perché comincia quella ronda.”

(Una favola scritta nel 2001 o giù di lì. Mi è uscita stamattina da un cassetto.)

La camorra dietro i farmaci anticancro

Organizzazioni criminali, tra cui la camorra, sarebbero dietro un grande traffico di farmaci anticancro rubati e contraffatti in Europa. E’ la rivelazione del Wall Street Journal, che cita fonti italiane. Si tratterebbe di una rete organizzata e molto estesa che starebbe preoccupando moltissimo medici e farmacisti, in quanto i farmaci contraffatti sarebbero conseguentemente inefficienti o persino letali.

Una strategia internazionale. Il Wall Street Journal cita il direttore dell’Agenzia del Farmaco italiana, Domenico Di Giorgio, secondo il quale i furti di farmaci registrati negli ultimi mesi in varie parti di Europa non sarebbero incidenti isolati ma farebbero parte di una strategia precisa di varie organizzazioni criminali, tra cui la camorra e altri clan dell’Europa orientale, oltre a un non meglio precisato cittadino russo residente a Cipro. “C’entra sicuramente il crimine organizzato”, ha detto Di Giorgio al Wsj. L’indagine è condotta con i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (Nas) dei Carabinieri.

I furti di farmaci. Secondo fonti dell’inchiesta, “i farmaci vengono rubati negli ospedali o dai camion utilizzati per la distribuzione” per poi essere passati a un grossista italiano, come aveva già spiegato un mese fa l’Ema, senza però arrivare ai mandanti dei furti e a quella che sembrerebbe una regia coordinata a livello internazionale. Durante l’inchiesta è emerso che fino a cinque camion al mese carichi di farmaci anticancro sarebbero stati trafugati in Italia. Gli autisti avrebbero fornito giustificazioni insufficienti sulla sparizione della merce.

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