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Giulio Cavalli

Ora è sentenza: chi incontrava Gasparri del clan Mancuso

Il Tribunale di Vibo Valentia ha depositato stamane le motivazioni della sentenza con la quale l’11 luglio scorso ha chiuso dopo 3 anni il processo nato dall’operazione antimafia “Minosse 2” che mira a far luce su collusioni, complicità e appoggi anche istituzionali di cui avrebbe goduto il clan Mancuso di Limbadi, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000. Fra i condannati a 5 anni di reclusione per corruzione aggravata dall’aver agevolato i Mancuso ad eludere le investigazioni vi è infatti l’ex maresciallo Maurizio Giliotta di Catania, all’epoca dei fatti in servizio al comando provinciale dei carabinieri di Vibo.

Le motivazioni della sentenza, contenute in 150 pagine, spiegano il percorso logico-giuridico seguito dai giudici per ritenere provati gli episodi di favoreggiamento del carabiniere nei confronti di Diego e Domenico Mancuso. Pienamente provata, per la sentenza, anche la preparazione del boss Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, difeso dagli avvocati Stilo e Marchese, di un incontro con Maurizio Gasparri, deputato alloggiato a Vibo in un hotel in occasione delle politiche del 2001. Nessun dubbio per i giudici neanche sul fatto che Pantaleone Mancuso ed il figlio Giuseppe abbiano estorto 400 milioni di lire all’anno ad un imprenditore di Capo Vaticano le cui dichiarazioni reticenti, e quelle di altri due imprenditori, sono state trasmesse dal Tribunale alla Dda di Catanzaro “per le determinazioni di competenza”.

L’organo collegiale al termine della camera di consiglio e di un dibattimento durato circa due anni, aveva condannato il boss Pantaleone Mancuso, 66 anni, di Limbadi, ed il figlio Giuseppe Mancuso, di 35 anni, alla pena di 7 anni e 4 mesi di reclusione e 1.200 euro di multa per estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Le altre condanne riguardano Gaetano Comito, 47 anni, di Vibo Valentia, a cui sono stati inflitti 6 anni ed mesi, più 900 euro di multa, e l’ex maresciallo Maurizio Giliotta, 53 anni, di Catania, all’epoca dei fatti in servizio al comando provinciale dei carabinieri di Vibo, condannato a 5 anni per corruzione aggravata dall’aver agevolato il clan Mancuso. In tutto 25 anni e 8 mesi. Assolti, invece, per non aver commesso il fatto Agostino Papaianni, 62 anni, di Joppolo, Giuseppe Corsaro, 35 anni, Michele Torre, 35 anni, entrambi di Limbadi, ed Agostino Papaianni, 62 anni, di Joppolo. Assoluzione “perchè il fatto non sussiste” per il boss Francesco Mancuso, 56 anni, detto “Tabacco”, di Limbadi, e per alcuni capi d’imputazione anche Gaetano Comito e Maurizio Giliotta.

(click)

Ai “vincibili” dunque

A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.

Ai pazzi per amore, ai visionari,

a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.

Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.

Agli uomini di cuore,

a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.

A tutti quelli che ancora si commuovono.

Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.

A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.

Ai poeti del quotidiano.

Ai “vincibili” dunque, e anche

agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.

Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.

A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,

ancora si sente invincibile.

A chi non ha paura di dire quello che pensa.

A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.

A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.

A tutti i cavalieri erranti.

In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…

a tutti i teatranti.

(Miguel de Cervantes)

Anche questo richiede talento

Mi ricordo la mia prima pubblicazione importante, un racconto apparso sulla rivista “Story” diretta da Whit Burnett e da Martha Foley, nel 1944. Gli avevo spedito un paio di racconti a settimana per circa un anno e mezzo. Quello che alla fine hanno accettato era piuttosto delicato rispetto agli altri. Voglio dire in termini di contenuto e di stile e di azzardo e di ricerca e tutto il resto. Più o meno nello stesso periodo hanno accettato un altro mio racconto nella rivista “Portfolio” curata da Caresse Crosby, e dopo quello ho piantato tutto. Ho buttato via tutti i racconti e mi sono concentrato sul bere. Non mi sembrava che gli editori fossero pronti e sebbene io lo fossi avrei potuto esserlo ancora di più ed ero anche disgustato da ciò che veniva accettato come Letteratura con la L maiuscola. Così ho cominciato a bere e sono diventato uno dei migliori bevitori al mondo, anche questo richiede un certo talento.

[Charles Bukowski, Il sole bacia i belli, a cura di David Stephen Calonne, traduzione di Serena Viciani, Milano, Feltrinelli 2014, p. 296]

Per essere antipatici: una precisazione sugli spot antimafia di oggi

Come al solito senza peli sulla lingua Giovanna Maggiani Chelli, Presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, puntualizza qualcosa che conviene tenere a mente anche ai fidati consiglieri di Renzi che l’hanno convinto a pronunciare almeno la parola “mafia”:

Non abbiamo mai creduto agli spot antimafia sui beni confiscati a “cosa nostra“, perché poi abbiamo ben visto come è andata a finire, quando ci siamo presentati dopo una causa civile contro Salvatore Riina e Giuseppe Graviano, abbiamo trovato il Fondo 512 legge del 1999 per le vittime di mafia vuoto e ci sono voluti anni e abbiamo dovuto andare con gli striscioni di contestazione in via dei Georgofili, per sistemare la questione risarcitoria della nostra causa datata in via risolutiva ottobre 2007.
Peraltro oggi la situazione del Fondo 512/1999 legge apprezzata a livello mondiale, quale contrasto alle organizzazioni mafiose, non è poi così rosea come dovrebbe, perché ancora fatichiamo a far rientrare quelle insignificanti cifre che comunque spettano alle nostre vittime;
e inoltre il Fondo 512 è stato inglobato con altri fondi lacunosi che frenano irrimediabilmente i risarcimenti alle vittime di mafia che portano i criminali mafiosi prima in causa penale e poi in causa civile.
Quindi è con grande apprensione che ascoltiamo frasi ormai si può dire intrise di retorica per i beni confiscati alla mafia.
Temiamo ancora una volta la solita demagogia, il solito trionfalismo e soprattutto la solita ricerca affannosa attraverso spot e icone di confisca dei beni alla mafia per alimentare carriere politiche. Per non parlare poi di una voglia spasmodica che da anni sentiamo, quella di mettere le mani sui soldi che la mafia ha guadagnato illecitamente, non per fini di ritorno alle vittime di mafia, e ai territori depredati dalla mafia, bensì a chi dell’antimafia ha fatto un mestiere.

Una proposta concreta sul lavoro. Da SEL.

La proposta di SEL è scaricabile qui. 
Da Eddyburg un bel pezzo di commento:

Dall’opposizione Sinistra ecologia libertà prova a inserirsi in grande stile nel dibattito sulle prime misure economiche annunciate dal nuovo presidente del consiglio Matteo Renzi. Ieri Giorgio Airaudo ha presentato la proposta di legge per la «istituzione di un programma nazionale sperimentale di interventi pubblici denominato «Green New Deal italiano» contro la recessione e la disoccupazione», da attuare tramite l’istituzione di una Agenzia nazionale per gli anni 2014-2016.

Airaudo, presentando la proposta, ha ricordato i dati sconvolgenti pubblicati dall’Istat nell’ottobre 2013, quando i disoccupati erano arrivati a 3.189.000 e ha evidenziato che con queste cifre, anche «se il quadro economico mutasse e vi fosse un boom, occorrerebbero non meno di 15 anni per riportare l’occupazione a livelli che si possano considerare fisiologici e non si riuscirebbe comunque a tornare ai livelli precedenti (ad esempio al dato del 2005, che ha costituito l’anno migliore del nuovo secolo per l’occupazione nei Paesi Ue), tenendo presente che la maggior parte delle imprese stanno provvedendo a sostituire in misura e rapidità crescente il lavoro umano con varie forme di automazione».

Sel parte da una convinzione che è l’esatto contrario della ricetta neoliberista: «È l’occupazione che genera sviluppo, non il contrario. I dati relativi al tasso di disoccupazione nel nostro Paese mostrano un quadro di assoluta gravità che continua a peggiorare. Si tratta di una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l’enorme crescita di quanti si dicono “scoraggiati”, che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo. La disoccupazione continua a crescere anche nell’ambito del lavoro precario, a riprova del fatto che la scelta di favorire contratti non a tempo indeterminato ha poco o scarso impatto sul problema occupazionale, mentre priva i lavoratori di molti diritti fondamentali».

Airaudo, in una conferenza stampa con Luciano Gallino, vero ispiratore del Green New Deal, ha detto che l’obiettivo della proposta di legge è quello di «creare 1 milione e mezzo di posti di lavoro in tre anni, impegnando circa 17 miliardi, con lo Stato che diventa datore di lavoro di ultima istanza». Si tratta della trasposizione in proposta legislativa di quell’Agenzia per l’occupazione ipotizzata da tempo dal sociologo torinese, che ha descritto più di un anno fa anche sulle pagine di greenreport.it.

Gallino ha dunque sottolineato che «la priorità di questo Paese è il lavoro, che è una cosa molto concreta che richiede risposte precise. Se ci si affida al mercato e agli incentivi è impossibile risolvere il problema della disoccupazione». Per Gennaro Migliore, capogruppo di Sel alla Camera, il Green New Deal italiano sarebbe «uno choc positivo per l’economia che però dovrà avere effetti benefici anche sull’ambiente e non devastarlo. Anche la competitività delle imprese italiane non verrebbe intaccata dall’impegno pubblico. Non si può affidare al mercato quello che il mercato non vuole e non può fare».

Ma dove prendere i soldi? 17 miliardi di euro non sono così pochi, di questi tempi. Airaudo ha però puntualizzato subito che «la copertura dell’investimento triennale dovrebbe venire dall’uso dei fondi della Cassa depositi e prestiti, anche attraverso l’emissione di obbligazioni, e dai Fondi strutturali europei. Con una responsabilizzazione degli enti locali, attraverso l’allentamento del patto di stabilità interno. Ma attenzione, con una clausola sull’occupazione netta: chi vincesse a livello locale questi appalti dovrebbe non aver licenziato nei 24 mesi precedenti e impegnarsi a non licenziare nei 24 mesi successivi». Un punto controverso, questo. Se da una parte si tratta di una strategia per evitare escamotage da parte dei soliti furbi, dall’altra rischia di penalizzare anche quelle imprese che negli ultimi due anni hanno giocoforza dovuto affrontare licenziamenti per poter sopravvivere.

La moglie del boss querela il giornalista

Ricevo e condivido una lettera aperta sottoscritta da alcuni familiari di vittime della mafia indignati per l’ultima, teatrale esibizione di Cosa Nostra: la notizia che la signora Rosa Pace, vedova del noto boss Mariano Agate, ha querelato il giornalista Rino Giacalone.

2427_2013-10-10_125842Noi familiari di vittime della mafia manifestiamo stupore e indignazione per l’ultima paradossale esibizione di persone legate al mondo di Cosa Nostra. Ci riferiamo alla decisione della signora Rosa Pace, vedova del noto capomafia Mariano Agate, deceduto il 3 aprile 2013, la quale, querelando per diffamazione a mezzo stampa il giornalista Rino Giacalone, pretende di tutelare la buona reputazione del marito, un criminale condannato a vari ergastoli per i suoi truci delitti coinvolto in fatti di sangue disumani.
la querela si riferisce ad un articolo in cui il giornalista, dopo aver ricapitolato la carriera del boss, ha espresso con le parole colorite proprie del linguaggio comune il disprezzo che tutti noi proviamo per le sue imprese sanguinose.
Parte di Rino Giacalone incriminata è la seguente:
“le stragi dove furono uccisi Falcone, Borsellino, quelle di Roma, Milano e Firenze, portano la sua firma, così come le guerre di mafia più violente tra Trapani e Palermo. Oggi bisogna dire che la sua morte toglie alla Sicilia la presenza di ‘un gran bel pezzo di merda virgolette”.
La frase è forte, non è elegante, ma non può essere considerata offensiva, poiché esprime una opinione fondata sui dati di fatto e di diritto. Come può danneggiare la reputazione di un criminale riconosciuto colpevole di omicidi truci e di vere e proprie barbarie? Di un uomo al quale il vescovo di Mazara del Vallo Mons. Mogavero ha rifiutato i funerali religiosi, con ciò attirandosi da parte della stessa signora Rosa Pace l’accusa di “fare propaganda giustizialista”, di aver fatto dalla sua famiglia “carne da macello”?. Invece di offendersi, la signora Rosa Pace, dovrebbe mettersi nei nostri panni, nei panni dei familiari delle vittime. Queste famiglie, non la sua, hanno il diritto di lamentare di essere state trasformate ingiustamente in carne da macello, Come carne da macello sono stati uomini, donne e bambini strappati alla vita per responsabilità di quel capomafia, alcuni perché servivano fedelmente lo Stato, altri perché erano casualmente nei luoghi dove è stata seminata la violenza. 
La signora Pace abbia la dignità di prendere le distanze dalle imprese criminali del marito e ritiri questa querela che ci offende. Se non lo farà, la magistratura dimostri che esiste una giustizia giusta, pronta e incontaminata. Lo dimostri archiviando subito questa pretesa di difendere una buona reputazione inesistente, questo tentativo di abusare della giustizia per indirizzare messaggi intimidatori a Rino Giacalone, al quale esprimiamo solidarietà, e a tutti giornalisti che, come lui, di fronte all’indifferenza generale hanno il coraggio di di ricordare gli atroci crimini di cui si sono macchiate determinate persone, e di dire che i cosiddetti uomini d’onore, in realtà, non hanno nessun onore.



Margherita Asta, Francesco Bommarito, Anita Bonfiglio, 
Lucia Calì, Gabriella Carfora, Antonio Castelbuono
, Maria Irene Ciccio Montalto, Nando dalla Chiesa, Ferdinando Domè, 
Fabrizio Famà, Pino Fazio, Marisa Fiorani
, Chiara Frazzetto, Michele Giordano, Teresa Giordano, 
Franco La Torre, Salvatore La Porta, Teresa Lacovara
, Paolo Marcone, Viviana Matrangola, Angelo Mizzi, 
Matilde Montinaro, Filippo Palmeri, Michele Panunzio, 
Mariacarmela Rechichi, Liliana Riccobene, Carla Rostagno
, Alberto Spampinato, Alessandro Tedesco, Piera Tramuta, 

Salvatore Borsellino, Maddalena Rostagno
, Mario Catalano
, Flavia Famà, 
Mara Fonti
, Piero Invidia, 
Daniela Marcone, 
Federica Montalto, 
Annarita Rechichi

Che pena, Penati

Se qualcuno oggi ha voglia di perdere un minuto per chiedersi come sia possibile che Maroni sia governatore in Lombardia soprattutto dopo l’ultimo Formigoni decaduto anzitempo per indecenza etica oltre che politica, può leggere le ultime disgustose novità su Filippo Penati. E non conta solo che Penati abbia accolto la prescrizione a cui aveva promesso di rinunciare ma soprattutto conta il fatto che Penati (anche da onesto, se onesto) sia stato un mediocre politico diventato classe dirigente a livello nazionale del Partito Democratico e soprattutto vero rais dei democratici lombardi per lungo tempo.

E il fatto che oggi nessuno dei suoi ex allievi (ci sono anche neoministri, eh) si senta in dovere di dire una parola una la dice lunga sullo scollamento tra realtà e partito. Quello scollamento che rende tutto molto meno credibile.