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Giulio Cavalli

Non c’è sinistra con l’ombra di Berlusconi

C’è un odore strano nell’aria. Non so se si sente anche dalle vostre parti ma qui comincia ad essere fastidioso e onnipresente: è l’odore marcio della “normalizzazione”, quel fine gioco delle parti una volta ostili (ostili, si fa per dire, per qualcuno di qualche parte) che ora tentano un ricongiungimento sotto traccia. Ci vogliono fare passare per “igienici” questi due cani che si annusano il culo anche se ogni tanto ringhiano in favore di telecamera: Cicchitto propone Violante per la Presidenza della Repubblica, Brunetta parla di un accordo “responsabile” che s’ha da fare e addirittura Berlusconi si consuma in elogi per Bersani mentre D’Alema (come sempre) rimane in auge come “pontiere” tra passato che non vuole passare e un futuro che continua ad assomigliare a se stesso.

Io vorrei essere chiaro e che ci fosse l’onestà intellettuale per dirsi che non esiste un progetto rinnovatore della sinistra (o da sinistra) che possa tollerare una larga intesa non potabile come questa. Vorrei che non succedesse anche a noi di credere che in nome di “una nuova sinistra di Governo” che l’accordo largo sia un passaggio inevitabile con il solito machiavellismo tutto italiano di credere che sia il fine ad interessarci e non i mezzi.
Dovremmo chiederci perché abbiamo perso la capacità di “stare in mare aperto” deludendo i pezzi di società civile che hanno la sensazione che SEL abbia rallentato (i più ottimisti) o si sia arenato. Perché volare in alto significa essere leggibili e coerenti, e i due ingredienti hanno bisogno di una mescola che sia di spessore politico per evitare che sembrino specchietti non compatibili tra lror e esibiti di volta in volta per colmare le lacune del consenso. Uno alla volta.

Perché c’è una parte di elettorato “extraparlamentare” che è “nostro” ma non ci ha votato perché ha avuto dubbi sulla nostra tenuta nella parte dei coerenti “scassaminchia”, e l’elezione del Presidente della Repubblica è il primo, fondamentale, bivio per dimostrarci all’altezza.
Perché voglio essere chiaro: non c’è un progetto serio di sinistra nemmeno con un alito in comune con Silvio Berlusconi e la sua storia politica e personale.

La partita delle commissioni e dei compagni poliformi

Dunque il PD ha fermato la costituzione delle commissioni. Ed è una grande occasione persa non solo per il partito di Bersani ma per tutto il centrosinistra, SEL incluso, di uscire dalla bolla di niente che continua a permettere al Movimento 5 Stelle di giocare di sponda senza nemmeno fare un’azione (odio le metafore calcistiche, giuro, ma questa mi ricorda tanto i tempi dell’oratorio quando alcuni scarsi ma furbi fingevano di nascondere un enorme talento e venivano creduti dai sognatori per indole).

E’ un peccato perché la posizione espressa a maggioranza è il contrario di quella interpretata dai piddini che per indole sentiamo più vicini (basta leggere Pippo per rendersi conto della “convergenza evidente”) ma soprattutto perché rinvia (un’altra volta e sempre più vicini all’essere troppo tardi) il confronto strettamente “politico”. Questo gioco strisciante di additare Bersani come il colpevole del ritardo della formazione del Governo rimanendone fuori.

E’ il momento di uscire dalla politica fatta sui giornali, sulle televisioni e con le interviste incrociate e ricominciare a costringere i deputati (quelli più o meno telecomandati) a votare sui temi e le commissioni sono il recinto migliore per l’esercizio del confronto che qui una volta chiamavano democrazia.

Saremmo confortati dalle incompatibilità evidenti tra il nostro programma e quello del solito Berlusconi, saremmo portatori (come siamo) di idee che Grillo spaccia per nuove e invece giacciono da anni in cerca di una maggioranza e finalmente saremmo chiari: chiari nelle parole, nelle scelte, nei voti, nei sì o nei no.

SEL (la SEL che in molti vogliamo) ha già scelto di chiedere l’insediamento delle commissioni, ora può misurare il proprio peso con il poliforme alleato democratico. Perché per essere un buon “pontiere” con il M5S (lo leggo dappertutto in questi giorni) bisogna prenderesi la responsabilità di smettere di essere pompiere con gli alleati e costringerli piuttosto ad un “incendio” di discontinuità. Siamo lì per questo, no?

L’Era Alemanna: il conto alla rovescia

coverAlemannaBNScrivere un libro che è anche un contenitore di progetti diversi. E’ la sfida (vinta) di Pietro Orsatti che esce tra poco con “L’Era Alemanna”.

Esce il 25 aprile, e non è un caso, L’Era Alemanna, un ebook scritto da Pietro Orsatti e edito dalla testata I Siciliani – giovani http://www.isiciliani.it (ne avete letto qui sul blog) che si ispira a quel mensile fondato e diretto nei primi anni ’80 da Giuseppe Fava. Un ebook che racconta il degrado dei 5 anni della peggiore amministrazione che abbia mai avuto la capitale: quella guidata dal sindaco Gianni Alemanno.

Esce a un mese dalle elezioni amministrative, come contributo al dibattito e narrazione di quello che ha vissuto la città. E anche per sostenere il progetto de I Siciliani – giovani. Perché il progetto della testata è anche quello di riportare in edicola e in libreria un prodotto collettivo rigorosamente eretico e che vuole investire sul lavoro e la creatività dei tanti giovani che vi hanno aderito.

Ne diamo l’annuncio anticipatamente anche perché intendiamo promuovere a Roma una serie di incontri e presentazioni per aprire un dibattito vero su quello che sono stati questi 5 anni e su cosa fare per uscirne. Quindi invitiamo a contattare l’autore sul suo blog http://www.orsattipietro.wordpress.com o la testata attraverso il sit o http://www.isiciliani.it e, ovviamente, ad acquistare attraverso il sito o attraverso le piattaforme http://www.lulu.com e http://www.amazon.com che lo distribuiranno. A un prezzo indicativo di 3 euro.

Ecco la premessa al libro scritta da Pietro:

Questa non è un’inchiesta, anche se spunti di inchiesta se ne troveranno e non pochi, quanto un reportage e diario politico e personale realizzato fra il 2007 e il 2013 e che mira a raccontare  gli effetti che ha avuto la giunta Alemanno sulla vita sociale, economica, morale e culturale della capitale.

Sei anni, perché il racconto parte appunto nel luglio 2007 con l’apparizione di Gianni Alemanno, in compagnia del suo allora camerata di partito Francesco Storace, alla manifestazione dei tassisti al Circo Massimo e si conclude con l’arresto nel marzo 2013  di Mancini, suo uomo di fiducia al vertice per lungo tempo dell’Ente Eur – forse il più ricco in termini di patrimonio immobiliare a Roma – per una storiaccia di presunte tangenti ricevute da un’azienda della galassia Finmeccanica, la Breda Menarini.

E in mezzo ci sta Roma. E i romani vecchi e nuovi, che siano nati al Testaccio o a Bucarest, a Primavalle o a Karachi.

Scrivevo un anno fa, all’epoca del fattaccio brutto di Torpignattara, quello in cui perse la vita un commerciante cinese e sua figlia nel corso di una rapina per strada: “Una città senz’anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale”.

L’Era Alemanna fa impallidire il disastro messo in piedi dal sindaco Giubilo negli anni ’80. Quel Giubilo che era diventato democristiano dopo una lunga militanza in quella destra (proprio la stessa) da cui proviene Gianni Alemanno. Giubilo creatura dello “squalo”, Vittorio Sbardella, passato alla storia per la sua giovanile partecipazione all’assalto della libreria Rinascita e poi per le 1200 delibere approvate nella notte che precedette la cessazione dei suoi poteri e l’insediamento del commissario prefettizio. Alemanno è riuscito a superare perfino quelle vette che si credevano irraggiungibili.

Oltre alle due parentopoli Ama e Atac c’è una lista impressionante di fatti e episodi: il consulente del suo Gabinetto Giorgio Magliocca indagato per concorso esterno alla Camorra in seguito e dopo un lungo iter giudiziario scagionato da ogni accusa e anzi probabile vittima di una “mascariata” messa in piedi dalla criminalità organizzata per colpire lui e forse condizionare in qualche modo le azioni future di Alemanno, la moglie Isabella Rauti indagata anche lei per concorso in abuso di ufficio, gli ex terroristi NAR assunti nelle partecipate, le presunte truffe sul sale della celeberrima emergenza neve del 2012 con il corollario grottesco di gaffe e polemiche propagandistiche mentre la città collassava in pochi centimetri di neve, le gare pubbliche con un solo partecipante (parlo di quella relativa alla Tevere SPA e all’affidamento di parte consistente del trasporto pubblico su gomma), le figuracce del GP di automobilismo e delle Olimpiadi (e delle ipotesi di speculazioni immobiliari mai abbastanza indagate come motivazione di quelle due candidature e probabilmente collegate alle ipotesi divariazioni de PRG se le due iniziative fossero andate in porto), E ancora, il suo addetto stampa che misteriosamente compare sul luogo di uno stupro alla vigilia delle elezioni, la prova di forza in consiglio comunale – sfregio al risultato del referendum sull’acqua pubblica – per la privatizzazione della partecipata Acea, il tentativo fallito, in concerto con il governatore della Regione Renata Polverini, sulla gestione dei rifiuti di favorire i soliti noti nell’effare colossale della gestione dei rifiuti della capitale fino all’inevitabile  collasso (con tanto di pricedura di infrazione avviata dall’Unione Europea) cercando prima di far partire una discarica davanti alla Villa D’Este di Tivoli (contro la quale si è pronunciata perfino l’Unesco) poi di favorire – dopo un balletto patetico mirato a determinare come unica scelta possibile davanti a un’emergenza da loro stessi creata e alimentata –  la proprietà della discarica di Malagrotta (ormai satura) con la creazione di un’altra discarica in un territorio già compromesso e a rischio da decenni. Ovviamente con tanto di conflitto con il governo nazionale.

E come potremmo dimenticare poi, gli affari e affarucoli della sua corte fra “magnate” di pajata con Bossi e feste dei cortigiani? Un’orgia di sottopotere esplosa sotto il suo regno e di quello della sua “socia” Renata Polverini governatrice della Regione.

E non dimenticherò di certo quella guerra di mafia in corso da almeno due anni per il controllo del racket e del traffico di droga negata a ogni morto ammazzato per strada (e ormai si parla di decine e decine di omicidi). Negata perché “la mafia a Roma non esiste”.

E ancora la beffa del comune che si presenta parte civile al processo sull’Ama ma solo per difendere l’immagine del sindaco danneggiata da quella vicenda. La sua immagine non la città, non confondiamoci.

Tutto questo c’è nell’Era Alemanna, ma non descritto attraverso un’esposizione asettica di fatti, ma nel racconto  di questa città che si degrada giorno per giorno grazie a questa gestione disastrosa. Un racconto partigiano. Come scriveva Saverio Lodato nell’introduzione del libro Quarant’anni di Mafia, non troverete in questo libro non troverete qui “un resoconto algido e asettico di quelle vicende, non essendo stato, io, inviato in terra straniera”.

Il racconto che state per leggere è costruito per frammenti non in ordine cronologico. Avanza per immagini, sensazioni, dati, racconti. È, credo, il modo migliore per rendere giustizia parziale a quello che abbiamo vissuto. A come l’ho vissuta io.

Pietro Orsatti, Roma, marzo/aprile 2013

Che pena, di morte

Seicentottantadue esecuzioni di condanne a morte. Sono quelle che Amnesty International ha registrato nel 2012 e di cui fornisce dettagli nel suo rapporto sulla pena capitale nel mondo, pubblicato questa mattina. Ma sono molte di più: ancora una volta la Cina ha tenuto segreti i propri dati sulle esecuzioni capitali.

“I governi che usano ancora la pena di morte non hanno più scuse. Non c’è più alcuna prova che indichi che la pena di morte abbia un potere deterrente speciale contro il crimine” – ha affermato Salil Shetty, segretario generale Amnesty.

“La vera ragione per l’uso della pena di morte può spesso essere trovata altrove. Nel 2012, abbiamo ancora una volta assistito con grande preoccupazione all’uso della pena di morte per quelli che sono sembrati essere scopi politici, o come misura populista o come strumento di repressione” – ha concluso Shetty.

Ogni tanto sembra di ritrovare qualche angolo in cui abbiamo lasciato una vergogna internazionale. Nell’angolo della pena di morte varrebbe la pena passarci più spesso, per pulirsi.

Tenerezza Lega

Insomma Roberto Maroni insiste nel dire che nella Lega tutto va bene, che Pontida è stata un grande successo e che la base è unita.
Ha solo aggiunto che qualche “stronzo” sta cercando di dividere il partito.
Oggi possiamo dirlo: lo stronzo indicato da Maroni evidentemente è il suo Presidente Umberto Bossi. Basta leggere le sue dichiarazioni di oggi a L’Unità:

In 23 anni a Pontida di fischi del genere non ne avevo mai visti. La gente veniva per applaudire. Altroché. E se tanta gente viene così arrabbiata vuol dire che nella Lega c’è qualcosa che non va, un problema di democrazia interna che dobbiamo assolutamente risolvere. Non si può continuare a prendere a calci nel sedere gente che la Lega l’ha fondata con me.

Il resto delle carezze a Maroni dell’Umberto le trovate qui.

Gianni Valle

Qualche giorno fa se n’è andato Gianni Valle. Gianni è stato uno dei professionisti del teatro milanese che ho avuto l’onore di conoscere durante il mio lavoro e una mente coerente e lucida della cultura. Ha ragione Anna Bandettini quando scrive “se ne è andato con la stessa leggerezza e semplicità con cui ha vissuto il teatro e il suo ruolo di ideatore e organizzatore teatrale: preferibilmente nell’ombra”.
Mi rimane quella sua cautela nel dispensarmi consigli che con il tempo ho ritrovato fondamentali e la sua generosità. Mancherà Gianni. E vale ricordarlo con le parole della Shammah. Con Andrée Ruth Shammah ha avuto un rapporto di amicizia profonda e dunque animata anche da numerosi litigi e distacchi. La direttrice e regista del Parenti ora lo ricorda così:

Dopo più di quarantasei anni passati con lui accanto a pensare, sognare, costruire come il teatro poteva e doveva contenere la vita, non riesco a farne un ritratto « possibile» anche perché non c’è più lui accanto, con la dolcezza di chi capisce esattamente quello che dico, perché lo dico e cosa sento quando lo dico. Se ne è andato in punta di piedi, con grazia. Come è sempre stato. Presente, generoso, sempre disponibile, intelligente, altruista e instancabile. Lui era così.Un uomo colto che ti sorprendeva per la sua ironia e per la sua coerenza. Una delle persone più intelligenti, più curiose, più ironiche, una delle persone migliori del teatro milanese. Che ha dato e insegnato molto sempre con discrezione, sapendo con un sorriso dare fiducia a tutti e mettere in evidenza le potenzialità inespresse di ognuno.
Gianni o della curiosità disponibile, dell‘intransigenza istintiva . Gianni, tu compagno di banco con poche gnagnere, anzi nessuna, grazie.

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Carlo Cosco, Lea Garofalo, il perdono e le strategie

CarloCoscoCarlo Cosco, assassino della moglie Lea Garofalo e padre della coraggiosa Denise, chiede scusa alla figlia rendendo dichiarazioni spontanee alla prima udienza del processo d’appello dopo essere stato condannato all’ergastolo in primo grado.

«Io adoro mia figlia, merito il suo odio perchè ho ucciso sua madre. Guai a chi sfiora mia figlia, prego di ottenere un giorno il suo perdono»

Ha dichiarato davanti al Giudice, aggiungendo:

 «Mi assumo la responsabilità dell’omicidio, merito l’odio di mia figlia»

Un Carlo Cosco molto diverso da quello che spadroneggiava in aula negando e minacciando, e che dichiarava che Lea Garofalo probabilmente era semplicemente “andata all’estero” (questa era la tesi dell’avvocato della difesa, per dire). Che sia un pentimento o una strategia processuale sarà da vedere: la folgorazione in corso è comunque tardiva sui tempi della vita di Lea Garofalo.

Tre poli opposti e gli argomenti comuni

Un’analisi di Openpolis:

Quando il 15 Marzo 2013 i due rami del Parlamento hanno avviato i lavori della nuova Legislatura, il primo riscontro è stato che nelle Aule di Montecitorio e Palazzo Madama i protagonisti erano cambiati. Fra le fila di Deputati e Senatori c’è stato un evidente rinnovamento.

Il 64% dei Parlamentari non ha preso parte alla Legislatura precedente e il 39% è al suo primo incarico pubblico. Gli stessi Presidenti della Camera dei Deputi e del Senato della Repubblica sono alla prima esperienza come rappresentanti dei cittadini. Altri elementi di novità sono l’abbassamento dell’età media dei Parlamentari e il forte aumento della presenza femminile, nella storia Repubblicana mai erano state elette così tante donne alla Camera (31,3%) e al Senato (28,6%).

A tale composizione del Parlamento i partiti hanno contributo in modo diverso. Ad esempio risaltano, il ruolo innovatore del M5S, la scelta conservativa del Pdl o la totale mancanza di donne fra gli eletti della Lega. Diverse sono le similitudini con un altro periodo della storia politica del Paese, la XII Legislatura che nel 1994 segnò l’inizio della “Seconda Repubblica”. Infatti, non sono cambiati solo molti volti della politica italiana ma anche e soprattutto gli equilibri e i rapporti di forza. Se negli ultimi 20 anni si sono fronteggiati due schieramenti all’interno del bipolarismo fra centro-sinistra e centro-destra, che per alcuni anni sembrava volgere verso un bipartitismo fra Pd e Pdl, l’affermazione del M5S ha ora imposto un sistema politico a Tre Poli.

L’attuale Legislatura, limitata dalla mancanza di una riforma elettorale, probabilmente sarà insufficente per un passaggio completo ad una “Terza Repubblica” ma il percorso sembra avviato. Nell’attuale fase di incertezza parlamentare occorre comunque che i partiti rispondano alle esigenze del Paese, verificando innanzitutto possibili convergenze sui provvedimenti la cui urgenza è maggiore. Confrontando le posizioni che i partiti hanno dichiarato in campagna elettorale per partecipare a Voi siete qui con la consistenza degli attuali gruppi parlamentari ci si rende conto come la strada del dialogo, se intrapresa, può portare a risultati concreti. Infatti, affrontando singolarmente i 25 temi chiave individuati su ben 21 ci sarebbe una maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato. Mentre, solo su 4 la posizione predominante risulterebbe differente fra i due rami del Parlamento. Può essere anche questa una base di interlocuzione fra le forze politiche per evitare una fase di inerzia e stallo istituzionale.

Il mini dossier è scaricabile qui.

Matteo Messina Denaro che organizza l’America’s Cup

Beni per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro sono stati sequestrati agli imprenditori edili trapanesi Francesco e Vincenzo Morici, padre e figlio, di 79 e 50 anni, ritenuti dagli investigatori appartenenti al ‘cartello’ legato al boss latitante Matteo Messina Denaro e che per un decennio avrebbe condizionato appalti pubblici a Trapani. Il sequestro ha riguardato anche societa’ impegnate nel cantiere del porto di Trapani. Per gli inqirenti, nelle commesse venivano usati materiali non conformi, tali da pregiudicare la durata delle opere.

L’operazione, denominata “Corrupti Mores” ed eseguita dagli agenti della Divisione Anticrimine della Questura di Trapani e dai finanzieri del nucleo di Polizia Tributaria a Trapani, Roma, Milano, Gorizia e Pordenone con la collaborazione dei reparti territoriali delle fiamme gialle e della Divisione anticrimine della Questura di Roma, scaturisce da un provvedimento emesso dal presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani su proposta del questore Carmine Esposito. Il sequestro ha colpito 142 beni immobili, 37 beni mobili registrati, 36 conti correnti e rapporti bancari, 9 partecipazioni societarie e 6 societa’, sequestrate e sottoposte ad amministrazione giudiziaria, tra cui il cantiere sull area portuale di Trapani. Secondo gli inquirenti, i Morici appartengono a un gruppo di imprenditori utilizzati da Cosa nostra per condizionare, a partire dal 2001 e per circa un decennio, le fasi di aggiudicazione di importanti appalti pubblici a Trapani, l’esecuzione di opere e le relative forniture. Gli elementi che hanno portato al sequestro sono emersi dalle carte del processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico del senatore trapanese del Pdl Antonio D Ali’, in corso davanti al gup di Palermo.

Il gruppo dei Morici si sarebbe accordato con Cosa nostra per aggiudicarsi la gara di strutturazione del porto tra il 2001 e il 2005 in occasione della preregata della Coppa America “Louis Vuitton act 8 e 9” e, da alcune intercettazioni, emergerebbe, scrivono gli inquirenti, l’esistenza di intese con il boss mafioso Francesco Pace, esponenti politici e altre imprese partecipanti, per favorire i Morici nell aggiudicazione e utilizzare materiali non conformi, tali da alterare la stabilita’ dell’opera nel tempo. Il vertice mafioso, secondo gli investigatori, avrebbe gestito, tramite i Morici, e altri imprenditori contigui, i meccanismi di controllo illecito sull aggiudicazione dei lavori pubblici e sulla esecuzione del lavori, prevedendo che l’impresa aggiudicataria versasse una percentuale ai funzionari pubblici corrotti ed alla famiglia.

Dove sono tutti? (Di Matteo)

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Ma c’è un altro ringraziamento che invece elaboro più col cervello ed in tanti anni di indagini di questo tipo. 
Ed è il grazie di chi sa che l’attenzione dell’opinione pubblica, della parte più informata e sensibile, costituisce per noi tutti da una parte uno scudo vero e reale e dall’altra un ulteriore sostegno per andare avanti nel nostro lavoro. È confortante vedere e sapere che una parte bella della nostra città si mobilita quando non c’è stato ancora nessun evento luttuoso. E questo probabilmente nella storia italiana era accaduto poche volte. Siete un segno di una mentalità che cambia. Siete il segno di una città, di una terra, di un Paese che vuole lottare contro la mafia e vuole anche cambiare quella mentalità mafiosa che si è insinuata troppo nell’esercizio del potere, anche del potere ufficiale.
Io credo che noi vi possiamo solo ringraziare, sopratutto perchè ci ricordate la cosa essenziale del nostro lavoro e del nostro ruolo: che non è un ruolo di potere ma di servizio nei confronti della collettività. E questo credo sia il segnale più bello che potevate darci.

Sono le parole di Nino Di Matteo al sit in di solidarietà organizzato per lui a Palermo. E sono parole importanti che forse avrebbero meritato qualche riga in più sugli organi di informazione e qualche momenti di riflessione politica. Forse. In un Paese più equilibrato nelle sue priorità.