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Giulio Cavalli

Augurare le vertigini

PippiBelezzaRara (alias Valentina Stella) oggi si permette di volare altissima negli auguri per la piccola figlia:

Perché essere donna ha una profondità che dà le vertigini.

E te le auguro tutte, queste vertigini.
Ti auguro di amare il tuo essere donna senza mai cadere nei cliché dell’esserlo. Di saltellare di stereotipo in stereotipo avendo l’intelligenza di non rimanerne prigioniera. Di passare dai tacchi alle converse e dal rosa al blu con lo stesso sorriso con cui ora ti dichiari innamorata del “fuchias”.
Ti auguro di essere folle e libera come Pippi, coraggiosa come Merida (che tu chiami Meringa), simpatica come Peppa ma anche romantica come Cenerentola.
Ti auguro di amare come una donna sa amare, e di lottare come solo una donna sa lottare: con intelligenza, forza e passione.
Ti auguro di piangere senza mai aver paura di far vedere le tue lacrime, e spero che a piangere con te, di gioia, di allegria o di tristezza ci saranno amici che non avranno il timore di mostrarsi fragili.
Ti auguro di essere “sempre contro, finché ti lasciano la voce”.
Ti auguro di avere la parità, ma so che sarà una strada lunga e tortuosa, e allora ti auguro di avere l’energia e la voglia di lottare ancora. Per te e per le donne che vivono lontano da qua, e che non osano nemmeno sperare di avere gli stessi diritti di un uomo.
Ti auguro di vivere in un mondo in cui le donne non dovranno subire tutte le violenze che subiscono oggi, ma soprattutto ti auguro di abitare in una comunità in cui gli uomini non lasceranno le donne ballare da sole, e scenderanno anche loro in strada per dire stop agli abusi.
Ti auguro di amare le differenze, di esplorare ciò che sentirai più lontano da te, e di adorare il metterti nei panni degli altri.
Ti auguro di sentirti libera di essere qualsiasi cosa vorrai. E mi auguro di essere in grado di aiutarti a farlo.

Tanti auguri, piccola donna meravigliosa.

Per l’8 marzo scriviamo alle donne un’altra storia

rectangleL’uomo è cacciatore. 
È da quando ho le orecchie per sentire che questo modo di dire ritorna inesorabile in ogni discorso in cui si voglia giustificare in un uomo l’attitudine all’incostanza sentimentale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento o la frustrazione di chi si è visto sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo le regole del gioco di ruolo, gli ha imposto un rifiuto netto e non previsto. Lo dicono i padri ai figli e le madri alle figlie; se lo ripetono tra loro gli amici ammiccanti con una pacca sulle spalle e lo mormorano le donne alle amiche con un’alzata di occhi al cielo, tutti con la stessa leggerezza: “he, che ci vuoi fare… L’uomo è cacciatore e la donna è preda”. 
Magari dopo averla detta sorridono. 
Non realizzano di avere dentro alla testa l’associazione micidiale tra seduzione e morte
Fanno finta di non ricordarsi che il cacciatore la preda la insegue per ucciderla.

Le donne in quella frase ascoltano una storia dove si dice loro che essere desiderate implica il rischio di essere uccise. 
Ogni volta che quella frase viene ripetuta, si consolida inconsapevolmente in chi ascolta la convinzione che quello che viene messo in scena a parole sia non solo accettabile, ma faccia addirittura parte della natura della cose: l’uomo insegue, la donna scappa, l’uomo spara, la donna muore, amico: che ci vuoi fare? Il linguaggio comune è pieno di espressioni simili. Chi le usa non pensa ai loro sottotesti, ma questi passano anche se chi li veicola non ne è perfettamente consapevole, perché le parole hanno un grande potere: confermano immaginari, consolidano visioni e generano realtà.

Il numero di donne uccise dagli uomini ogni anno in questo paese parla chiaro: per quanto si cerchi ancora di rubricarli come casi singoli di follia circoscritta, i femminicidi appaiono sempre più chiaramente come un fenomeno culturale, la radiografia di una società maschilista in crisi dove il prezzo della vita delle donne è messo in conto come danno collaterale alla perdita degli equilibri di ruolo. In questo processo di minimizzazione le parole che usiamo per raccontare gli uomini, le donne e le loro relazioni hanno un peso enorme e ancora troppo poco considerato da chi pratica parola pubblica e ha la responsabilità di renderne conto.

Una splendida e appuntita Michela Murgia, come sempre, da leggere piuttosto della mimosa.

Uomini, mica funghi

20130307-181459Andrea Riscassi è un giornalista ma soprattutto è un curioso. E per i giornalisti essere seri e curiosi è uno dei difetti più raccomandabili. Andrea si è fatto carico della memoria di Anna Politkovskaja quando è scesa la lacrima breve della notizia e l’ha trasformata in memoria quotidiana e seriale. Una di quelle passioni che rendono inspiegabilmente fondamentali gli interessi di qualcuno per tenere in vita una storia che altrimenti sarebbe andata perduta troppo presto tra i libri di storia contemporanea. Andrea ha scritto libri, lavori teatrali (che abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro piccolo Teatro Nebiolo) e continua con i suoi incontri e soprattutto con i ragazzi. In questa scuola che resiste al degrado economico e strutturale esistono insegnanti con il nerbo dei partigiani che si preoccupano di raccontare la storia di  Anna Politkovskaja ai nostri figli: per questo non riesco a non essere ottimista per il futuro di questo Paese che per forza deve rinascere dalle proprie ceneri. Per forza.

Andrea è stato a Tavazzano con Villavesco. Tavazzano cosa? chiederete voi. Già vi vedo. E’ che io a Tavazzano ci sono anche cresciuto. E per questo mi sorride il cuore. E Andrea a Tavazzano ha vissuto la luce che vediamo sempre noi che abbiamo la fortuna di frequentare le scuole per raccontare le storie degli altri. Perché veniamo accolti come sciamani della memoria e alla fine lasciamo una memoria appallottolata da portarsi a casa insieme alla cartella.

Vale la pena leggere nel suo blog come la racconta Andrea, e come la raccontano i ragazzi qui.

Mentre leggevano quel che hanno percepito di Anna e della sua storia mi sono più volte emozionato.
Perché hanno colto l’essenza di una storia che si svolge in Russia ma che parla a tutti noi.
Nei loro testi, i ragazzi hanno più volte ripetuto una frase di Anna che adoro. Rivolta com’è a quella zona grigia che (a Mosca come a Roma e Milano) tace di fronte ai soprusi ed è sempre pronta a inchinarsi al capo di turno: “Per il mio sistema di valori è la posizione del fungo che si nasconde sotto la foglia. Lo troveranno, lo raccoglieranno e lo mangeranno. Per questo, se si è nati uomini, non bisogna fare i funghi”.
Cara Anna, stamattina ho trovato 85 ragazze e ragazze che si sono impegnati a non fare mai i funghi. A non nascondersi. A camminare a testa alta.
Che mi hanno insegnato molto.
Il merito è tutto tuo.

 

Wu Ming 1 su internet e Movimento 5 Stelle

internet_009Ecco l’audio della puntata di «Tutta la città ne parla» dedicata all’uso di Internet da parte del Movimento 5 Stelle. E’ andata in onda su Radio 3 la mattina del 6 marzo 2013. Conduce Giorgio Zanchini, le voci sono quelle di Luca SofriWu Ming 1Matteo Mangiacavallo (deputato M5S), Lella Mazzoli e Juan Carlos de Martin. Dura 43 minuti. L’ascolto è interessante perché la rete è libera ma terribilmente seria, soprattutto quando si parla di democrazia.

Vale la pena ascoltarlo. E per me vale la pena sapere cosa ne pensate. Qui il parere dei Wu Ming sul loro sito:

E’ doveroso incalzarli sulle loro contraddizioni, facendo esempi esempi esempi, chiudendo loro le scappatoie e prevenendo l’uso di formulette standardizzate. E’ necessario farlo, per incrinare la facciata del “feticismo digitale” grillino e rivelare il “doppio” verticistico e autoritario di quella che chiamano “democrazia diretta”, che in realtà sarebbe tutt’altra cosa.
Solo così, scegliendo non l’accondiscendenza ma la schiettezza, faremo un favore alle tante persone che hanno scelto il M5S credendo in un cambiamento democratico etc. Bisogna far notare che tra quel che Grillo dicee quel che Grillo fa c’è di mezzo un mare, e non è attraversabile a nuoto.

Consiglio non richiesto: una legge per l’autismo

intolleranza-al-glutine-e-autismo1 bambino su 88 è autistico. Ce se ne accorge sempre con un po’ di fatica, noi genitori siamo fatti così: per amore dei figli ogni tanto allontaniamo anche i dubbi. Eppure una diagnosi precoce è fondamentale per riuscire ad intervenire ad un’età in cui i processi di sviluppo possano essere ancora modificati. Uno screening nei giusti tempi (e in tempi ragionevoli per analizzare il dubbio) è fondamentale. Lo Stato Italiano (e Regione Lombardia) ha regolamentato gli screening oncologici ma ha dimenticato gli screening precoce per la diagnosi dell’autismo.

Tra le terapie più note per curare i bambini autistici spicca, per riconoscimenti scientifici e per efficacia, l’A.B.A. (Applied Behavior Analysis). L’Aba è basata su un approccio comportamentale. Negli Usa questo metodo si utilizza in modo intensivo da oltre un decennio, mentre in Italia se ne parla diffusamente solo negli ultimi anni.

Nonostante sia consigliata dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Sinpia) e nell’ottobre 2011 lo stesso Istituto Superiore di Sanità abbia pubblicato linee guida ufficiali che che ne indicano l’efficacia, la maggioranza dei centri di neuropsichiatria non offre questa terapia.

I genitori che hanno le disponibilità economiche riescono ad accedere privatamente  questi percorsi mentre i cittadini “normali” (ancora meno quelli che abbiano poche possibilità di informarsi) non hanno possibilità di accedervi.

La Lombardia che vogliamo è all’avanguardia nel trattare i pazienti tutti allo stesso modo senza differenze di orientamenti sessuali, possibilità economiche, fede religiosa e professione.

Un bella legge per aprire la legislatura. In Parlamento e in Lombardia.

Ferite a morte

ferite-a-morte“Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti, l’ha detto mia mamma agli inquirenti, avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti. Era lì che fumava vicino al caminetto e non ce ne siamo accorti, avevamo il mostro proprio in casa e non ce ne siamo accorti, guardava la partita e non ce ne siamo accorti. Ma neanche il mio marito se n’era accorto, dico, lui che aveva proprio il mostro dentro non se n’era accorto, poveraccio, c’aveva sempre da fare, avanti e indietro con il Pandino, anche quando m’ha messo incinta per la terza volta non se n’è accorto. Di figli ne ho solo tre: uno l’ho perso appena nato e l’altro mi è rimasto in pancia sette mesi e non è più uscito. Sono morta prima”.

Ferite a morte, il nuovo libro dal progetto teatrale sul femminicidio di Serena Dandini.

Città della scienza: come contribuire

859307_492521760807848_1353605032_oPer contribuire singolarmente alla ricostruzione di Città della Scienza è disponibile il conto corrente, intestato a Fondazione Idis Città della Scienza – IBAN IT41X0101003497100000003256 – causale Ricostruire Città della Scienza.

Sarebbe un bel modo anche per cominciare la discussione sui contributi elettorali: cominciare a vedere i partiti contribuire.

Intanto brucia la scienza

 

nap_01_941-705_resizeCittà della Scienza, nata da un’intuizione di Vittorio Silvestrini e dalla volontà politica di Antonio Bassolino, era molto di più di un centro di eccellenza e di un luogo di cultura scientifica tra i migliori in Europa. Ridare vita ad un luogo attraverso la scienza, l’educazione, l’innovazione, là dove prima era l’acciaio, il rumore della fonderia, il fischio della sirena a scandire i tempi di Bagnoli, significava immaginare un futuro diverso per Napoli, fondato sulla società della conoscenza, su un rinnovato rapporto con il mare e con l’ambiente, su uno sguardo finalmente rivolto al futuro. Lì dove gli operai e gli abitanti di Bagnoli avevano respirato veleni ed erano stati ammorbati dai fumi delle ciminiere, i loro figli avrebbero finalmente avuto una vita diversa, si sarebbero riappropriati del territorio, avrebbero trovato lavoro puntando sulla formazione e sulla cultura. Per questo motivo Città della Scienza rappresentava la rinascita della Napoli degli anni ‘90, molto di più di Piazza del Plebiscito liberata dalle macchine. Perché mentre la seconda era una cartolina ad uso e consumo di chi a Napoli non viveva, la prima era l’immagine di una Napoli che cerca riscatto puntando sul futuro. Chi ieri ha dato fuoco a Città della Scienza non solo ha distrutto quei luoghi, non solo ha lasciato senza lavoro centinaia di persone, non solo ha privato migliaia di Napoletani di un museo straordinario amatissimo dai bambini. Chi ha dato fuoco a Città della Scienza ha accoltellato, ha ferito a morte chiunque immagini una città diversa, liberata dagli stereotipi e dai suoi vizi endogeni. Chi ha dato fuoco ieri notte a Città della Scienza, ha dato fuoco a ciascuna delle nostre case.

Ora a Coroglio l’odore acre dei luoghi devastati dell’incendio è insopportabile, un odore terribile che quasi ricorda i veleni della fonderia. Quando invece entravi nel Museo della Scienza sentivi quell’odore tipico dei luoghi della conoscenza, come nelle Biblioteche e nei Teatri. Lì andavo spessissimo con mio figlio Emanuele, stavamo ore a giocare con gli esperimenti di fisica, guardavamo stupiti nel buio le stelle del Planetario. Attraverso il gioco e la scoperta, Emanuele era stimolato a farmi moltissime domande a cui ovviamente mi arrabattavo a rispondere.

Quando mi chiederà di riportarlo lì di nuovo, sarà un dolore fortissimo dirgli che qualcuno ha dato fuoco a quel luogo da lui così amato. Da cittadino e da padre pretendo che tutte le istituzioni, dal Governo, alla Regione Campania, al Comune di Napoli, facciano qualcosa e lo facciano presto. Per Emanuele e per tutti i bambini come lui.

Francesco Nicodemo racconta il senso di un incendio che porta più distruzione di quella semplicemente materiale. Mentre parliamo di corse in spiaggia, di come sarebbe stato “se” e dei governi tecnici, sarebbe bello che i partiti chiedessero tra gli interventi dei primi 100 giorni la ricostruzione della Città della Scienza. Insieme a loro il Presidente della Repubblica e i cittadini. Per risistemare l’asse delle cose che ontano, almeno.

La normalizzazione e le strumentalizzazioni

IMG_1281Ho letto con attenzione il post dell’onorevole del Movimento 5 Stelle Roberta Lombardi con cui si difende dalle accuse di filofascismo piovute un po’ da tutte le parti per le sue dichirazioni su Casapound. Dico subito che non mi interessa più di tanto entrare nel merito della disputa essendo profondamente antifascista, iscritto all’ANPI e dalle posizioni chiare. Mi interessa però leggere le parole con cui i capigruppo di Camera e Senato del Movimento si dichiarano sotto attacco e sotto assedio per ogni virgola che esca dalla loro bocca: ebbene sì, è il controllo democratico, signori, quella pressione che garantisce il rispetto delle regole e la conoscenza dei particolari. Ogni volta che sento parlare di “strumentalizzazioni” in politica penso a quanto sia duro pensare che l’esposizione pubblica di ognuno di noi (e non solo politica) ci sottoponga ad un’attenzione mediatica che ci rende ancora più responsabili nelle nostre parole e nelle nostre azioni. E’ la stessa pressione che ha dato così tanta soddisfazione a Beppe Grillo e i suoi mentre veniva compiuta dalla rete e ora si deve gestire dall’interno del palazzo. Per questo non mi interessano tanto le parole scritte e le varie interpretazioni sul fascismo della Lombardi quanto questo fastidio nell’essere osservati. E’ la politica, bellezza.

Stavate arrivando e ora siete arrivati

(Vale la pena anche leggere Alessandro qui).