Vai al contenuto

Giulio Cavalli

Chi guadagna sulle carceri-lager

Lirio Abbate per L’Espresso:

NU_appello_madre_figlio_carceratoMentre in galera le condizioni sono sempre più disumane, emergono le spese folli dei super dirigenti: foresterie con Jacuzzi in terrazzo, tivù da sessanta pollici e tappeti persiani (ma anche scopini da bagno pagati 250 euro l’uno)
Il vitto di un detenuto costa allo Stato meno di quattro euro al giorno, una somma che dovrebbe garantire tre pasti quotidiani. Ma non sempre le imprese che si aggiudicano gli appalti per cifre così basse riescono a garantire quantità e qualità del cibo che viene distribuito nelle celle. E così i reclusi devono arrangiarsi, con i viveri che ricevono dalle famiglie o con le merci acquistate a carissimo prezzo negli spacci delle case di pena.

Una situazione che condiziona la vita delle oltre 65 mila persone rinchiuse nelle prigioni italiane, in strutture che dovrebbe ospitarne al massimo 47 mila. Allo stesso tempo, però, alcuni magistrati al vertice dell’amministrazione penitenziaria godono di benefit scandalosi: hanno diritto ad appartamenti anche nel centro di Roma con un canone di sei euro al giorno, acqua, luce, gas e pulizie compresi, che non tutti però pagano. Un privilegio che, come nel caso di Gianni Tinebra da sette anni procuratore generale a Catania, mantengono anche dopo avere lasciato l’incarico. E per arredare queste foresterie non si risparmia sui lussi: sul tetto-terrazza di una è stata installata una Jacuzzi con idromassagio, in salotto ci sono tv da sessanta pollici costate duemila euro, sui pavimenti tappeti persiani e si arriva alla follia di far pagare 250 euro lo scopino di un bagno.

L’elenco di queste spese “fuori norma” è stato depositato ai pm di Roma e alla Corte dei Conti che hanno avviato indagini. Ma è solo uno dei paradossi di un sistema carcerario che continua a essere una vergogna italiana. I nostri penitenziari sono una discarica di esseri umani dove non solo è negata ogni possibilità di rieducazione ma viene umiliata anche la dignità delle persone. «Più volte ho denunciato l’insostenibilità di queste condizioni ma i miei appelli sono caduti nel vuoto», ha dichiarato il presidente Giorgio Napolitano nella storica visita a San Vittore del 7 febbraio. Il dramma è stato praticamente ignorato dalla campagna elettorale, con l’unica eccezione dei Radicali, soli a portare avanti una battaglia di civiltà per l’amnistia: un provvedimento che il capo dello Stato ha detto di essere stato pronto a firmare «non una ma dieci volte».

A testimoniare quanto sia paradossale la situazione bastano pochi dati: ogni anno lo Stato destina due miliardi e ottocento milioni per l’amministrazione penitenziaria, ma l’88 per cento finisce negli stipendi del personale. Un altro 7,3 per cento viene impegnato per il vitto dei detenuti e così rimane meno del 5 per cento per qualunque altra necessità: 140 milioni per la benzina, le vetture, le divise, gli arredi, la manutenzione e le ristrutturazioni. Insomma, non ci sono fondi per mettere mano alle terribili condizioni delle prigioni, spesso ancora ospitate in monasteri ottocenteschi o vetuste fortezze. Se si investisse poco meno di 200 milioni di euro sulla ristrutturazione, come spiegano funzionari del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, si potrebbero ottenere subito nuovi posti per garantire spazi a 69 mila detenuti, solo per il circuito maschile: basterebbe puntare su un ampliamento degli istituti, senza impegnarsi nella costruzione di altre carceri.

La direzione generale risorse del Dap ha fatto un calcolo di quanto servirebbe per fronteggiare l’emergenza edilizia. La proposta è stata illustrata nei mesi scorsi al Consiglio d’Europa che si è svolto a Roma. Secondo il Dap oggi il valore convenzionale degli immobili è di circa cinque miliardi di euro: ci vorrebbero 50 milioni l’anno per la manutenzione ordinaria e 150 per quella straordinaria. La cronica carenza di stanziamenti oggi ha azzerato gli investimenti per nuovi padiglioni e l’assenza di manutenzione ha determinato la chiusura o il completo abbandono di intere sezioni che «attualmente si trovano in condizioni strutturali e igieniche assolutamente incompatibili con le finalità penitenziarie per cui gli spazi a disposizione dei detenuti si sono ulteriormente ridotti».

Ma invece di fare passi avanti, si continua a precipitare nel baratro. Perché sulla carta c’è «un numero eccessivo di istituti»: sono 206, ma di questi 120 hanno meno di duecento posti e 63 addirittura meno di cento. E le strutture piccole si trasformano in uno spreco di risorse, richiedono un numero più alto di agenti e personale rispetto al numero di reclusi. In teoria, l’Italia ha il miglior rapporto tra metro cubo di edifici e detenuti, senza però che questo dato statistico si trasformi in un miglioramento delle condizioni. Tutt’altro: secondo le analisi del Formez ci sono in media 140 reclusi per cento posti letto. Persone obbligate a vivere per ventidue ore al giorno in celle claustrofobiche, con tre-quattro brande sovrapposte, bagni minuscoli e pochissime docce.

(continua qui)

Forse ci manca

[…] il segreto di una classe politica consiste proprio nella sua capacità di non chiudersi in se stessa, di aprirsi alle contaminazioni e allo scambio con altri gruppi e forze sociali; che è poi l’unico modo per continuare a mantenere una qualche capacità di indirizzo e di governo e per superare le sfide imposte dal cambiamento dei tempi.

Alessandro Campi, Presentazione del Corso di sociologia politica di Roberto Michels, ed. Rubbettino 2009

La danza non è sordomuta

DANCE OF 1000 HANDS / BALLO DI 1000 MANI
 
Questo è un ballo chiamato il “Mille Mani Guanyin”. Tutte le 21 ballerine sono completamente sorde e mute. Seguendo i segnali dei direttori presenti ai quattro angoli del palcoscenico queste ballerine eseguono uno spettacolo straordinario, complicato e toccante. Il primo debutto internazionale più importante fu ad Atene durante la cerimonia di chiusura delle Paraolimpiadi 2004 e poi per anni questo gruppo si e’ esibito in più di 40 paesi. La prima ballerina si chiama Tai Lihua, ha 29 anni. Questo video è stato girato a Beijing durante la festa della primavera del 2012.
(Grazie a Pina Giorgio per la segnalazione)

Schermata 2013-03-10 alle 19.10.36

Scambiare il futuro per presente

twSuccede. Ed è un errore che ogni tanto paghi anche caro. Ieri discutevo nella cucina di un amico (le analisi politiche fatte nelle cucine degli amici mi appassionano molto di più delle liturgie da direttivi, ultimamente) di quanto sia facile credere che gli altri siano noi. Lo so, sembra una banalità detta così, a gli stessi risultati di Ambrosoli (vincente nelle città e sconfitto nelle valli e nelle periferie della Lombardia) dimostra come in fondo siamo caduti (tutti, io compreso, eh) nell’omologazione di credere che siano interessanti le cose che noi troviamo interessanti, che siano bisogni comuni i nostri bisogni personali, che il giusto linguaggio sia il nostro linguaggio. E così accade che ci immaginiamo l’elettore degli elettori (quella strana persona che è la gente) informato in rete, appassionato su twitter e accurato ricevitore di newsletter. Crediamo noi di essere tutti e che il futuro sia già presente e collettivo. Ed ho sbagliato anch’io.

E’ interessante l’analisi su rete e retorica fatta da Valigia Blu:

In definitiva, ci siamo innamorati di una retorica nuovista e dipendente da una presunzione di efficacia nei confronti della tecnologia che ha inficiato le nostre capacità analitiche rispetto al quadro complessivo di ciò che stava sedimentando nel corpo e nella testa dei cittadini. Non l’unico fattore, ma certo uno tra quelli di cui prendere nota per evitare che la prossima volta il risveglio dalle urne sia un incubo di irrilevanza dei media da cui non vediamo la via d’uscita. E che non eravamo stati in grado di anticipare in nessun modo, non certo calcolando la traiettoria di qualunque foglia si fosse mossa su Twitter.

L’articolo completo di Fabio Chiusi è qui.

Èupolis e i concorsi su misura in Lombardia. Ancora si stupiscono.

logo1
Èupolis è l’ennesima scatola cinese del sistema Formigoni. Lì succedono cose così:

Quanto fa 31 più 46? Ottanta. E non 77, secondo l’aritmetica rivisitata di Èupolis, l’istituto di ricerca, statistica e formazione della Regione Lombardia. Come si possa essere arrivati a un calcolo così bizzarro, stanno cercando di capirlo i finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Milano. Ai quali è stata affidata, dalla Procura di Milano, un’inchiesta su un concorso dagli esiti sorprendenti: la selezione, avviata tra novembre e dicembre, quando l’era formigoniana volgeva ormai al tramonto, per l’assegnazione di quaranta borse di studio. I bandi sono due: uno per 31 “giovani laureati”, l’altro per nove “dottori di ricerca”. Ed è proprio uno dei candidati al secondo concorso che ha fatto partire le indagini con una dettagliata denuncia inviata al procuratore capo Edmondo Bruti Liberati.

Nell’esposto uno degli aspiranti ricercatori tagliati fuori, Antonio Alizzi, professore a contratto di management per l’editoria all’università di Verona, spiega come si sia ritrovato – a suo dire inspiegabilmente – dal primo al secondo posto in graduatoria per una delle nove aree messe a bando. Nella selezione per titoli era risultato, con 40 punti, in cima alla classifica. Alle prove orali, che si svolgono il 18 dicembre, totalizza altri 39 punti e arriva a 79. Ma davanti a lui c’è Filippo Cristoferi, brillante studioso molto inserito nei giri di Comunione e liberazione, tra le firme del Sussidiario – la rivista d’area del movimento – e già collaboratore e borsista di Éupolis. Cristoferi ha un punto in più di Alizzi: 80. Ed è molto curioso, osserva il suo concorrente, visto che nella valutazione dei titoli aveva solo 31 punti e per la prova orale altri 46. Come si arriva a 80? Con un incremento di tre punti della valutazione ufficiale, che nella somma finale viene portata da 31 a 34 punti.

Il resto lo potete leggere qui.

L’informazione si può fare quando ci si occupa della “casta”?

Beppe-GrilloScrivevo proprio qui qualche giorno fa delle normalizzazioni e delle strumentalizzazioni che Beppe Grillo (con la solita intelligenza utile) scrive per difendersi. Dicevo, appunto:  E’ la politica, bellezza. Stavate arrivando e ora siete arrivati.

Stefano Feltri riprende il tema (partendo proprio da qui) e lo sviluppa in modo interessante. Vale la pena leggerlo:

Benvenuto in politica, caro Beppe Grillo. Quando uno diventa un personaggio pubblico, specie se il più noto, deve dare per scontato che della sua vita tutto, ma proprio tutto, verrà analizzato e raccontato.
Sono le regole base dell’informazione e del giornalismo – quello più sano – che trova notizie e le racconta, lasciando poi al lettore il compito di farsi un’opinione. Funziona così, anche se chi magari vive soltanto sui blog, immune da ogni input sgradito, non se lo ricorda più.

L’Espresso, ormai lo saprete, ha rivelato che l’autista-factotum di Grillo, Walter Vezzoli, ha aperto diverse società in Costa Rica per costruire un fantomatico restort eco sostenibile mai realizzato, in compagnia della cognata di Grillo (all’epoca compagna di Vezzoli) e di un imprenditore accusato – e assolto – per traffico internazionale di droga.
L’inchiesta de L’Espresso, firmata da Vittorio Malagutti, Nello Trocchia e Andrea Palladino (il primo fino a poco tempo fa cronista finanziario di punta del Fatto Quotidiano, gli altri due collaboratori sia del Fatto che dell’Espresso) è, appunto, un’inchiesta. Che racconta una storia interessante, come dimostra il fatto che tutti ne stiano parlando, e che quindi meritava eccome di essere pubblicata.

La risposta di Grillo sul suo blog
 è, come prevedibile, la replica di un politico piccato, che non nasconde il suo disprezzo per i giornalisti (in questo Beppe ricorda Massimo D’Alema). E che non spiega nulla, non chiarisce e non replica a tono. E’ solo un Vaffanculo, difficile forse aspettarsi altro. Versione 2.0 del vecchio “Io sono io e voi non siete un ….”

Andiamo al sodo.

Grillo sfotte i giornalisti dell’Espresso invitandoli ad andare su Wikipedia per scoprire che “sociedad anonima” è l’equivalente di una semplice società per azioni. 
Visto che alcuni giornalisti hanno letto anche altro, oltre a Wikipedia, sanno che il punto non è questo: in Italia basta una semplice visura per scoprire chi c’è dietro a una società per azioni. Per esempio sul sito www.lince.it.
In altri Paesi – basti ricordare il caso di Santa Lucia e la vicenda dell’appartamento del cognato di Gianfranco Fini – invece è impossibile risalire ai soci. Quindi la società è davvero anonima, non soltanto nel senso che esiste come entità giuridica autonoma rispetto agli azionisti.

Per questo sono paradisi fiscali: perché quando una società non è riconducibile a nessuno, è libera di fare quello che vuole. Tutti i grossi scandali italiani, tipo quello del Banco Ambrosiano, sono passati per società di quel tipo.

Grillo richiama i cronisti alla “verifica delle fonti”, sostiene che la Costa Rica non è più nella lista dei paradisi fiscali dal 2011.
Ma Grillo, oltre alle fonti, dovrebbe leggere anche gli articoli: nell’intervista al Fatto Vezzoli dice che aveva aperto quelle società quando pensava di costruire un villaggio eco sostenibile nel 2007. Quattro anni prima che il Costa Rica passasse dalla black alla grey list dei paradisi fiscali.

Quindi le risposte di Grillo, oltre che un po’ supponenti, sono inutili
E le domande che solleva l’inchiesta dell’Espresso restano tutte in campo:

– Perché l’autista di Grillo apre 13 società in Costa Rica? Accettiamo la sua spiegazione: abitava lì e quindi ha seguito il diritto locale. Ma perché 13? A cosa servivano? Non ne bastava una? Chissà.
– Non so voi, ma se io pensassi di costruire un resort in un paradiso turistico, prima mi porrei il problema della fattibilità del progetto, poi cercherei i finanziatori e alla fine aprirei delle società.Perché Vezzoli fa il contrario? Una spiegazione ci sarà, ma lui, che al Fatto dice “non avevo un centesimo”, non la fornisce. E se “non aveva un centesimo”, chi ha versato il capitale sociale? Per 13 società ci vogliono alcune decine di migliaia di dollari.
– Grillo sapeva che il socio del suo autista era un tizio, Enrico Cungi, accusato di traffico internazionale di droga? Non è stato condannato, ma è stato estradato in Italia e condannato in primo grado per aver venduto due grammi di cocaina (non risultano condanne successive, quindi si immagina poi assolto). Nel link postato da Grillo si legge che il Costa Rica è uno degli snodi chiave del traffico internazionale di coca. Grillo si è mai informato sui rapporti tra il suo autista-factotum e Cungi? Non ce lo spiega.
– Quelle società sono poi state chiuse? In caso contrario, che senso hanno e che funzione hanno svolto? L’Espresso nota che la società Ecofeudo, per il progetto del mai realizzato resort, è ancora attiva. A che scopo, visto che Vezzoli dice che quel progetto è abbandonato? Tenere società opache in un (ex) paradiso fiscale ancora molto apprezzato dagli imprenditori per la riservatezza che garantisce non è un bel biglietto da visita per chi predica trasparenza in politica e vuole abolire le scatole cinesi in Borsa (Vezzoli era sul palco di piazza San Giovanni da cui Grillo urlava queste cose).

Nessuno sta facendo illazioni su Grillo (che pure qualche guaio con l’agenzia delle entrate ce l’ha, per una storia di Irap, ma non l’ha mai negato neppure lui). Ma in questi anni abbiamo passato al setaccio i collaboratori di tutti i protagonisti della scena politica (segretarie, portaborse, assistenti ecc.). Ora tocca anche a Grillo.

Ce lo concede, lui e i suoi sostenitori che inondano di insulti e spam chiunque non sia fedele alla linea del movimento, o l’informazione si può fare quando ci si occupa della “casta”?

*aggiornamento*

scopro di conoscere uno dei “fantomatici” soci: lo conosco e mi racconta. Il fatto in sé è una bufala buona per un dossier che duri qualche giorno. Ecofeudo è l’ennesimo sperimento di alcuni ragazzi (non li conosco tutti) molto “spericolati” nelle loro visioni. E’ un’idea, un sito e niente più. E una società che costa (lì) poco e niente di apertura e zero di mantenimento.

 

 

Giuseppe Mancuso e l’orchestrina della ‘ndrangheta

Giuseppe Mancuso
Giuseppe Mancuso

Via Pietrasanta, a metà strada tra la periferia e il centro di Milano. Verde in modica quantità, edilizia residenziale, qualche lascito dell’epoca fordista riconvertito in costosi loft e l’insegna di una meta fissa della movida come la discoteca Magazzini generali. Al civico 14 c’è la sede della Live Nation Italia, holding internazionale che si occupa di organizzare concerti per cantanti come Vasco Rossi e Laura Pausini. Quotidianità alla milanese che s’increspa il 15 aprile 2010, quando gli investigatori del Ros di Milano, su delega dei colleghi di Catanzaro, attendono, vedono e fotografano l’arrivo di Giuseppe Mancusofiglio di Pantaleone, padrino di ‘ndrangheta e capo assoluto del comune di Limbadi in provincia di Vibo ValentiaIl giovane boss, finito in carcere assieme ad altre 23 persone, arriva in zona poco dopo le 13. Non è solo, ma in compagnia di Filippo Mondella, figlio di Antonino, vecchio uomo dei clan in Brianza. Con i due si fa vedere anche Nicola Castagna, giovane imprenditore come il padre e come il genitore, ragionano gli investigatori, uomo vicino ai Mancuso. Lo stesso vale per Luigi Pisciottano, pure lui presente in via Pietrasanta. Che ci fa la ‘ndrangheta in questa zona? Progetta di infilarsi nel ricco business dei concerti e della loro logistica. Non è, infatti, un caso che per il 15 aprile è fissato un appuntamento con Riccardo Genovese della Live Nation Italia (non coinvolta penalmente). Il professionista, pur citato dai carabinieri, non finirà indagato in questa inchiesta. Il contatto con il giovane boss arriva tramite i rapporti con Pisciottano, già amministratore della Sud concerti, una srl, cancellata nel dicembre 2012, ma per anni attiva nel settore artistico.

Calabria-Milano. La rotta è obbligata. I Mancuso lo sanno e si mettono in marcia. Perché il business sta qui, sotto la Madonnina. Ai nastri di partenza dell’ultima frontiera degli affari mafiosi c’è la Ca&Mo service srl gestita ufficialmente da Mondella e Castagna. I carabinieri però non sembrano avere dubbi: quei due nomi sono solo un paravento per nascondere gli interessi di Giuseppe Mancuso definito “socio occulto con ruolo sostanziale direttivo (…) attivamente coinvolto e presente nelle decisioni strategiche imprenditoriali”. Insomma, come capita spesso, il boss c’è ma non si vede. Si sente, invece. Lo ascoltano i Ros di Catanzaro. “Dobbiamo distinguere le cose – dice Mancuso – l’amicizia è una cosa, gli interessi sono un’altra (…) io voglio sapere tutto della ditta”. Chiarissimo. Come i soldi che Mancuso vuol tirare fuori dai conti dell’azienda: 200mila euro da girare ai suoi fiancheggiatori calabresi. “Prima di ogni cosa, vanno cacciati ‘sti soldi (…) e si devono portare al posto dov’erano!”.

Il boss ordina e dispone. In testa ha l’affare dei concerti. E così, ancora prima del 15 aprile 2010, gli investigatori intercettano telefonate tra Giuseppe Mancuso e Pisciottano, il quale, pressato dal capo cosca, risponde: “Adesso chiamo (…) penso verso il quattordici, quindici, (…) lui mi ha detto dal tredici al diciotto”. Inizialmente l’appuntamento è fissato a Torino “perché lui è lì con la Pausini e Vasco Rossi”. In un secondo momento, l’incontro si sposta a Milano.

E così il 15 aprile 2010, poco dopo le nove del mattino, Giuseppe Mancuso esce dalla sua casa di Agliate frazione di Carate Brianza. Ad attenderlo c’è il cognato Pasquale Santoro, brianzolo di nascita e amministratore unico della Cupido Wings. La società, con sede a Carate Brianza, ha per oggetto la distribuzione di tutti i prodotti commercializzati con il brand Cupido drink, la bevanda “che ti fa innamorare”, così almeno recita il sito internet che mostra una bottiglietta dal design rifinito. Il marchio rappresenta la bevanda ufficiale della casa di Romeo e Giulietta a Verona. Gemellaggio sancito nel 2010 alla presenza del marhaja di Jaipur Arvind Singh Mewar.

Santoro e Mancuso lasciano Agliate poco dopo le dieci del mattino del 15 aprile. Particolare: sono a bordo di una Renault Megane intestata alla moglie di Germano Brambilla, imprenditore lombardo in ottimi rapporti con il boss della ‘ndrangheta. Poco dopo l’una del pomeriggio, Mancuso varca il portone della Live Nation Italia. L’incontro durerà quaranta minuti e si concluderà bene. Questo almeno è il dato che gli investigatori traggono da un’intercettazione di Nicola Castagna al telefono con un parente. Dice: “Noi siamo a un appuntamento di lavoro per i concerti di Milano, alla Milano Concerti quelli che fanno i concerti in tutta Italia e adesso loro sono chiusi sopra, perché i tecnici devono parlarsi”. Annotano i carabinieri: “Si registra una prima conferma che l’incontro di lavoro, presso la Live Nation Srl, è andato a buon fine. Nicola Castagna, conversando con una conoscente le riferisce di aver ‘preso’ il concerto del noto cantante Nek”.

Ma non è finita. Giuseppe Mancuso in Lombardia vuole investirci. E oltre ai concerti, mette in pista anche un incontro con un imprenditore vicino alla dirigenza della Chateau d’Ax, la nota azienda che vende mobili. Spiega il boss: “Domani andiamo a parlare con quello della fiera… del giro di chateau d’Ax… per vedere se riusciamo a entrare la… Chateau d’Ax… perché questo ci fa entrare”. La storia continua.

(via Il Fatto Quotidiano)

Rifondazione, rivoluzione o evoluzione

6958649e9c75d0802d4483a672aa295403a1cbf4a7d5a9ac245954eeAldo Giannulli sul suo blog affronta in modo sfrontato (che è un sinonimo spregiativo del tanto benvoluto “a viso aperto” la questione di Rivoluzione Civile, Rifondazione, Sinistra Critica e SEL ipotizzando scenari che hanno dell’apocalittico in un ecosistema a sinistra portato al conservatorismo che progredisce al massimo per frammentazione. Le conclusioni sono nette:

Debbo anche precisare che non ritengo affatto che una confluenza di Rifondazione in Sel risolva il problema di costruire un vero soggetto della sinistra radicale. Peraltro guardo con molta attenzione ad Alba e Cambiare si può oltre che Sinistra Critica. Però, Cambiare si può, Alba e Sinistra Critica sono un po’ un gioco di scatole cinesi, in cui una cosa sta nell’altra, ma le persone sono più o meno le stesse. E sono poche, molto poche. D’accordo che Csp ha inaugurato un metodo di lavoro interessante, però, date le scarse forze di cui dispone, è difficile che dia risultati in tempi brevi e qui i tempi sono stretti. Non dimentichiamoci che a giugno 2014 ci aspettano le elezioni europee, nelle quali si vota con sistema proporzionale ma con clausola di sbarramento al 4%. Dopo una nuova sconfitta, quel che resta della sinistra rischierebbe di disperdersi del tutto. E teniamo presente che neanche Sel ha il 4%.

Peraltro, alle Europee non ci sono le coalizioni ed ognuno corre per suo conto. Nel frattempo, c’è un’ emergenza: che si fa dei resti di Rifondazione che, nel complesso, dispone ancora di diverse migliaia di militanti e di sedi un po’ in tutta Italia? Teniamo conto che, allo stato attuale, non ha mezzo euro da spendere e che la prospettiva è quella di una nuova traversata del deserto senza parlamentari. Il rischio evidente è che, nel giro di qualche mese, si squagli tutto, se non c’è un approdo, per quanto provvisorio, verso il quale dirigersi per riprendere fiato.

Considerato che il suo attuale gruppo dirigente è al di sotto di ogni sospetto, la cosa più probabile è che, qualora restasse in sella, farebbe probabilmente due cose:

a- liquidare quel che resta del patrimonio immobiliare del partito per spartirsi con l’apparato il magro gruzzolo a titolo di  ultimi stipendi e liquidazioni

b- nascondersi dietro Ingroia, che è l’unico che continua a credere che Rivoluzione civile esista ancora, per poter andare a battere alle varie porte vicine (M5s, Sel, Pd..) nella speranza che se ne apra una.

Ovviamente, la seconda operazione ha ottime probabilità di fallire e, a quel punto, Rifondazione (posto che ci sia ancora) si disintegrerebbe del tutto. Di qui la necessità di liberarsi di questo branco di parassiti che “dirigono”: non ho detto “sfiduciare il gruppo dirigente”, intendo dire proprio ruzzolarli dalle scale (metaforicamente parlando… si intende).

Ma, anche dopo questa sana disinfestazione del partito (chiamiamolo ancora così), resterebbe il problema di cosa fare, senza denaro, senza accesso alle istituzioni ed ai media, con una base in grave crisi psicologica. Per risalire la china ci vorrebbe un colpo d’ala: un’ iniziativa politica forte ed innovativa, ma questo, a sua volta, esigerebbe un nuovo gruppo dirigente, che sappia prendere in mano le redini ed invertire la tendenza. Ma dove lo trovano?

Pensare che, dopo anni di sonno bertinottiano e di catastrofi ferreriane, dopo anni di assenza di idee politiche e di discussione vera, possa venir fuori d’improvviso un nuovo gruppo dirigente, come Minerva armata dal cervello di Giove, è solo una illusione illuministica. Dunque, le premesse per una ripresa immediata non ci sono, mancano i mezzi e la gente è fortemente sfiduciata. Che si fa? Si aspetta che tutto finisca per consunzione e che l’ultimo spenga la luce? Se non vogliamo che tutto evapori nel giro di una manciata di mesi, occorre dare “un tetto” a quel che resta e l’unica possibilità è Sel, che a sua volta deve iniziare un ripensamento molto serio di tutte le sue scelte. Inoltre, le critiche che vengono mosse circa l’alleanza di Sel con il Pd non tengono conto che:

a- c’è una consistente possibilità che muti la legge elettorale e che le coalizioni non si formino più, ma si vada al voto su liste scollegate

b- non è scritto da nessuna parte che si riformi l’intesa Pd-Sel e che magari non venga fuori un cartello Pd-Monti che obbligherebbe Sel a cercare altre strade

c- il Pd è sottoposto a forti sollecitazioni interne che non è escluso possano sfociare in aperte rotture, nel qual caso l’esistenza di un polo di sinistra piccolo, ma di qualche solidità, potrebbe risultare molto utile.

Insomma, non sto affatto proponendo di ridurre tutta la sinistra radicale a Sel, ma solo di iniziare un percorso di rifondazione (questa volta vera e non solo slogan) che porti alla nascita di un efficace partito di sinistra anticapitalistica. Su questa strada occorre anche lavorare con Alba, Csp e Sinistra Critica, d’accordo, ma intanto occorre evitare la diaspora finale.

La discussione sul futuro della sinistra diffusa è il santo graal di questi ultimi anni per tutto quel pezzo che passa dall’ala sinistra del pd fino ai gruppi più oltranzisti (e lo dico con affetto) a sinistra e la soluzione paventata alla fine è quasi la stessa: mettersi insieme. Eppure sfugge come il punto politico oggi sia questa idiosincrasia ad un percorso identitario reale prima di pensare alle somme: come un accorpamento di corpi celesti di cui non si conoscano ancora perfettamente le sostanze che li compongono ma che debbano stare insieme per la caratteristica comune di “essere troppo piccoli da soli”.

Io non credo che Rivoluzione Civile abbia fallito in questa ultima tornata elettorale (e, attenzione, ritengo che anche SEL esca sconfitta rispetto agli obiettivi) perché non ci sia bisogno di una sinistra in questo paese quanto piuttosto essere risultata una somma con poca identità. Chi come me ha partecipato ai direttivi nazionali (nazionali, attenzione) di IDV non può credere che il dialogo con Diliberto e Ferrero sia frutto di un percorso d’intenti piuttosto che di un calcolo algebrico e nemmeno posso pensare che Ingroia o De Magistris (e con entrambi mi lega una profonda stima e riconoscenza per la loro intelligenza) abbiano potuto credere il “pericolo Monti” potesse essere un valore fondante per una coalizione che vorrebbe guidare l’Italia. Ancora di più oggi che è chiaro che Monti è solo una scheggia rispetto al confronto doveroso con il Movimento 5 Stelle. E nemmeno posso credere che l’ipotesi di una Cosa Seria (e qui, come Puffo Quattrocchi, mi ripeto) con punti precisi e chiari (si possono leggere qui e guarda caso alcuni sono i punti che hanno fatto forte anche il M5S) sia stata vissuta come un azzardo inconcludente.

Ora siamo qui, con un Governo che forse non si farà e con un cerchio in cui non si capisce nemmeno chi ha la palla e chi sta sotto. E sembra impossibile che non si sia capaci di vedere il futuro come nascita piuttosto che conseguenza.