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Spettacoli

“Sono tutti uguali” di Giulio Cavalli e Giuseppe Civati: il crowdfunding

L’anteprima dello spettacolo (teatrale e politico) “Sono tutti uguali” ci ha dato soddisfazioni. Il teatro e la parola sono armi bianche che non si fermano, sono virali: un’etica infettiva (e una visione di mondo) che vogliamo raccontare. Ora è il tempo della produzione (delle scene, dei materiali, del lavoro grafico e di tutti gli ingranaggi amministrativi) e per tutto questo abbiamo attivato un crowdfunding (che è parola anglofona e cacofonicissima) che noi preferiamo chiamare “produzione sociale”. Se vi va, se vi piace, potete preacquistare i biglietti (e avere la nostra gratitudine) qui.
La cifra indicata è il limite minimo per “aprire il sipario” ma, appena partiti, abbiamo già un inaspettato sostegno. E più saremo e più, sono convinto, sarà un viaggio da ricordare.

 

 

Dove sono questa settimana: dalle parti di Bergamo a presentare Santamamma e a leggere Sciascia. E lunedì in scena a Pavia.

Questo fine settimana, se vi va, mi tocca fare cose molto interessanti, se vi va di venire con me.

 

Sabato 14 ottobre per la decima edizione di “Presente Prossimo” presento il mio romanzo Santamamma alle 18 alla biblioteca di Albino (BG). L’evento è qui.

 

Domenica 15 ottobre per la bellissima rassegna “Fiato ai libri” leggo “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia a Montello (BG) presso l’auditorium comunale. Mi accompagna alla fisarmonica l’insostituibile Guido Baldoni. E c’è bisogno di Sciascia, di questi tempi. L’evento è qui.

 

Lunedì si torna in scena. Con “Mafie maschere e cornuti” sono a Pavia per la XIII edizione del ciclo di conferenze “Mafie, Legalità ed Istituzioni” 2017, dedicato alla memoria del Prof. Grevi e riguardante i temi della lotta alla MAFIA. Ci vediamo in Università, aula del ‘400. Ingresso gratuito.

 

Tutti i miei appuntamenti li trovate qui.

Nanni Svampa: Nanni ’70 – I Peggiori Anni della Mia Vita. Il film.

Ho avuto il piacere di conoscere, ascoltare e avere mio ospite Nanni Svampa. Uno di quelli che, a un certo punto della carriera, hanno bisogno di morire per essere inseriti nel posto che meritano. Vabbè, ne rideva anche lui. L’importante è morire incazzati, diceva.

Di Nanni c’è un film, poco conosciuto, che è il modo migliore per conoscerlo e ascoltarlo. E allora forse anche ricordarlo. Regalatevi un’ora. Ne vale la pena. Davvero.

Eccolo qui:

Il (video)diario di tournée. Mafie Maschere e Cornuti.

Facciamo il lavoro più bello del mondo. Su e giù per l’Italia, questa volta con “Mafie Maschere e Cornuti”. Perché ridere è curativo. Ed è un antiracket culturale. Anche.

Mentre ci siete potete anche iscrivervi al canale YouTube (qui). Torneremo a renderlo vivo. E da lì faremo le prossime dirette. Ecco il video:

Faccio il lavoro più bello del mondo. E non sopporto lo sventolio della scorta.

Anche stasera. A San Didero, che è un comune a forma di gioiello pendente appeso al collo della Val di Susa. Qui dove la montagna è una religione laica da indossare con un certa fierezza. Essere montanari significa avere a cuore la propria terra, qui. La questione TAV non è una disquisizione tra tifosi, qui ti mangia il giardino e, se ti va male, la casa, anche.

Siamo andati in scena con Mafie Maschere e Cornuti davanti a un pubblico che non si aspettava mica uno spettacolo che schiaffasse in faccia quello che non vediamo per stare tranquilli. Qui, anche qui, si aspettavano di vedere “l’animale minacciato”, un tipico esemplare di personaggio televisivo che facesse il triste. E invece no.

In fondo, ci pensavo adesso che sto andando a dormire, faccio il lavoro più bello del mondo: racconto storie e mi diverto nell’appoggiarle in modo inaspettato. Dall’inaspettato, se siamo bravi, si accende la sorpresa e poi la sorpresa partorisce la meraviglia.

Non so dire bene quando mi sono messo intesta di smetterla di fare “l’uomo lupo”, prodotto circense da portare in tournée per sfruttare il filone degli scortati.

Io sono io. Non sono le mie minacce (ho provato a raccontarlo in Santamamma). E ogni volta che qualcuno, sorpreso, mi dice che lo spettacolo è stato un bello spettacolo e che lo spettacolo non ero io mentre lo recitavo mi convinco di avere reso onore al privilegio che mi è capitato: raccontare storie.

E niente. Ve ne sono grato. Ecco. E fanculo le minacce e la scorta. Tutto qui.

 

Sono tutti uguali

Ci siamo messi in testa una cosa che non si era mai vista. Ma, si sa, a me piace così. Quando mi viene. E poiché da tempo mi dicono che il mio teatro è troppo “politico” (me lo dicono di solito i detrattori avviliti, quelli che hanno bisogno che non ci siano in giro tipi diversi dai falsi cortesi che sono) allora mi sono detto che è vero: che sono terribilmente politico in quelli che scrivo e che recito. Per scelta.

E allora ci siamo detti che in fondo sarebbe proprio una cosa mai vista che la politica entri in teatro. Senza infingimenti. E alla fine lo facciamo davvero: lo spettacolo si intitolerà “Sono tutti uguali” e in scena ci sarà anche un politico, davvero. Che tra l’altro è un amico. E una gran bella penna. Pippo Civati.

E ieri ci siamo permessi di parlarne e mostrare un’anteprima piccola piccola. Ecco: se avete voglia è tutto qui.

Sipario. Poi ne parleremo.

Huffington Post recensisce “Mafie maschere e cornuti”

(di Milene Mucci, fonte, la scheda dello spettacolo è qui)

Il teatro di Giulio Cavalli, un’amara risata sulla Mafia per una matura riflessione

A pochi metri dal palco, seduti in platea le “parole” ti piovono addosso. Dirette, come missili, come schegge di verità che, altrove, devi intravedere e faticosamente cercare. Ecco, questo realizzi immediatamente mentre ascolti Giulio Cavalli dire sul palcoscenico che “la parola contro le mafie funziona”. Questo realizzi quando ascolti che il teatro fa paura, il teatro dà fastidio.

Il suo teatro, dà fastidio. Perché il teatro, quello fatto cosi, è diretto, senza mediazione, senza nessun possibile, conciliatorio, tramite. Noi in platea e lui sul palco, che racconta. Non “solo” nomi e cognomi, verissime storie. Racconta di parole che ci hanno “portato via”, snaturandole, come “onore”per esempio.

Racconta di parole come armi, “antimafia culturale” per smontare e deridere quello che ci fanno credere invincibile ed invece non lo è.

“Non bisogna avere paura di ciò che non si conosce ma bisogna temere ciò che crediamo vero e invece non lo e'” ci dice, citando Mark Twain, inoltrandosi come un giullare del ‘500 contro il potere, nello smontare icone mafiose, da Riina a Provenzano. Facendoci capire così, fra un sorriso ed una battuta, che quello che appare non è che dietro, neanche molto distante, niente è a caso e il quadro è molto, molto più grande.

Ci fa capire che “commemorare” è praticare memoria ed è praticare memoria ciò che dà fastidio, così come dà fastidio riderne di mafia e di boss perché “la risata sbriciola ciò che ci hanno fatto sempre credere vero”, compresi certi miti.

Così scopriamo che Provenzano quando viene arrestato viveva in mezzo a cacche di capre, pentolini incrostati, collezioni di santini, pasta senza glutine e non nel bunker di Guerre Stellari che l’immaginario ci farebbe credere.

O che è inutile parlare di minacce ricevute perché fa, invece, bene sorridere, demolendola, sulla bara inviata in teatro e rivenduta perché lui, Giulio il destinatario, non sapeva dove sistemare.

Insomma, durante questa “giullarata” di “Mafie, maschere e cornuti” che sta andando in scena con ascolti storie che sono cresciute da sole, nonostante il silenzio complice e ignavo di Stato, silenzio che tutti tranquillizza e rassicura.

Storie come il funerale “oscenamente privato” di Ambrosoli a Milano, sepolto in fretta d’estate solo con la moglie, i figli e l’amico maresciallo della Guardia di Finanza, o quella dei nomi che non si possono fare nelle storie dei mercati ortofrutticoli o quella dimenticata, e ancora da chiarire, di Bruno Caccia, magistrato ucciso a Torino nel 1983 nell’attimo di libertà in cui passeggiava col cane.

Storie come quella di Denise, figlia di Lea Garofalo o di altri testimoni di giustizia, gente che in Italia troppo spesso deve sparire, mimetizzarsi, dimenticare la propria vita invece di poterla riprendere orgogliosamente in mano, come sarebbe naturale dopo tanto coraggio.

Perché “siamo un paese che si innamora delle fragilità sbagliate”, che non sa proteggere chi merita,un paese che ci fa intendere le intercettazioni come pratica brutale contro la privacy dei potenti “, un paese dove “se hai uno spettacolo antimafia non esci neanche sul gazzettino della parrocchia, mentre se sei al 41 bis ti ascoltano”.

Insomma, il tempo passa veloce mentre Giulio e Francesco Spina, il suo musicista, sono sul palco.

Passa veloce mentre ti scorrono nella mente le immagini della tua città, delle tante città in Italia dove vedi materiaizzati quei soldi di cui sta raccontando, quei “soldi che non devono avere più la forma di soldi”, che diventano ristoranti inspiegabilmente sempre vuoti, centri commerciali stranamente uno accanto all’altro, bar, casermoni di appartamenti deserti o file di capannoni fantasma in aeree industriali di città impoverite.

Ritornano a bomba queste parole nella nostra mente e ci toccano proprio per la semplicità estrema, la forza con cui sono dette. La stessa con cui dobbiamo trattenerle. Perché è un dovere farlo, un dovere portarsele a casa.

Un dovere ricordare quella seconda parte, dimenticata e così poco in luce, dell’art. 4 della nostra Costituzione che ci viene ricordata.

Quella sommersa dalla prima, così fondamentale sul valore del lavoro ma in cui si recita straordinariamente che come cittadini abbiamo il dovere di svolgere secondo le nostre possibilità “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”!

Il dovere. Insomma, dove ci viene detto chiaramente che “l’indifferenza è incostituzionale” e che è un dovere, quindi ,essere di parte, scegliere da che parte stare. Essere “partigiani”, sempre ,ancora, nel senso autentico della parola.

Essere partigiani chiedendosi cosa abbiamo fatto e cosa facciamo, alla fine, per Denise, per Lea e per tutte queste altre storie che commemoriamo e che ci sono state raccontate.

Si ritorna a questo teatro, che poi teatro alla fine poi non è, perché vivo vero, irridente e demolitore. A questo teatro che ” funziona solo se ce ce lo portiamo a casa”.

Le luci si spengono, la platea si svuota, la convinzione che Giulio ce l’abbia fatta anche stasera a lasciare ancora qualcosa. La capacità di deridere quello che ci fanno vedere e di cercare, invece, seriamente ed ogni giorno quello che ci nascondono.

Insieme all’immagine evocata che, prima o poi, dal fondo della platea si alzi Denise, la figlia di Lea, che salutandoci serena possa dire: “Io sono qui. E sono IO”.

Semplicemente.

“Il governo dà i soldi a Barbareschi e dimentica gli altri teatri”: la lettera del Teatro di Roma

Questa è la lettera che hanno scritto il presidente Emanuele Bevilacqua e il direttore Antonio Calbi del Teatro di Roma sulla vicenda degli 8 milioni al Teatro Eliseo

Illustre Presidente Gentiloni,
Illustri Presidenti Boldrini e Grasso,

come sapete, lunedì 29 maggio scorso, alla Camera dei Deputati, è stato approvato un emendamento inserito nella “manovra correttiva” della Legge Finanziaria che regala ben 8 milioni di euro in 2 anni al Teatro Eliseo di Roma, un contributo pubblico concesso fuori da ogni regola e contro il parere del Ministro del Bilancio Padoan e del Ministro della Cultura Franceschini. Ciò che è accaduto è un vero e proprio atto di “sfascismo”, permetteteci il neologismo, uno sfregio nei confronti della nostra già fragile Democrazia. Garantendo una cifra così cospicua di danaro pubblico, in modo del tutto discrezionale, a un teatro privato e che oggi, dopo un cruento cambio di gestione, continua nella sua forma giuridica a essere un’impresa privata (e che a sua volta gestisce un teatro di proprietà privata), gli Onorevoli Deputati hanno: 1. inferto un colpo ferale alla regola dell’equità di trattamento delle diverse istituzioni culturali del Paese; 2. messo in luce la mancanza di visione complessiva del sistema teatrale della Nazione; 3. vilipeso il Decreto Franceschini, che dal luglio 2014 regola il settore dello spettacolo dal vivo. Disorienta il fatto che gli Onorevoli Deputati si siano lasciati irretire, con colpevole superficialità, da due loro colleghi, uno del Pd e uno di Forza Italia, firmatari di un provvedimento ad personam, destinato prima che a un’istituzione di interesse culturale, a un impresario privato, che non deve rispondere se non a se stesso, a differenza delle istituzione culturali pubbliche.
Il sostegno e il soccorso alla cultura è doveroso e necessario ma deve rispettare leggi e regolamenti. Nel caso specifico l’iter adottato viola palesemente tutto questo e risulta del tutto forzato: inserirlo nella manovra correttiva, che in Senato sarà verosimilmente approvata con la fiducia, ne garantisce il buon esito. Il quantum, poi, è vergognosamente fuori scala per un teatro la cui nuova gestione è partita soltanto a fine 2015 ed è già in affanno. La tragica commedia che si è consumata alla Camera ha hypocrites di professione e comparse ingenue: la garanzia della copertura in bilancio assicurata dal viceministro all’Economia è verosimilmente stata interpretata dagli Onorevoli Deputati come un via libera all’avallo del contributo straordinario rivendicato dal nuovo patron del Teatro Eliseo. Il risultato è un puro utilizzo privato del potere pubblico. Vi domandiamo se gli Onorevoli Parlamentari abbiano contezza delle numerose istituzioni e imprese culturali in stato di sofferenza del Paese, chiuse o sull’orlo del fallimento? Sanno gli Onorevoli, che un Teatro Pubblico come lo Stabile di Catania è praticamente fallito? Che il Teatro Valle, il più antico teatro della Capitale (1727), di proprietà pubblica, a oggi può contare su un quarto del fabbisogno economico necessario al suo restauro? Sanno che Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, non ha un teatro agibile e le altre infrastrutture necessarie a non sfigurare a livello internazionale, a un anno e mezzo dall’evento? Sanno che il Teatro di via Nazionale a Roma, rivendica un contributo pubblico annuo per la sua gestione, oltre agli 8 milioni straordinari per ripianare i debiti, assai superiore a quello che ricevono molti teatri pubblici, i quali continuano a perseguire le proprie missioni, rispettando, con ardito sforzo, i parametri fissati per loro dalla legge?
Ogni museo, auditorium, cinema, teatro, biblioteca che chiude è un colpo inferto alla nostra civiltà, che della cultura ha fatto un valore e un bene imprescindibile. Nell’aiuto di Stato a un singolo teatro, a vocazione privata, non c’è alcun eroismo perché con esso vengono lese equità, trasparenza, equilibri, dando un nuovo esempio di cattiva politica, di subalternità al richiedente di turno travestito da guascone. Non si creda, dunque, di aver onorato l’Articolo 9 della nostra Costituzione: al contrario, con lo strabico voto alla Camera esso è stato reso vacuo, perché, oggi, ognuno è legittimato a rivendicare qualsiasi cosa, ad agire in ordine sparso, ricorrendo a scorciatoie e stratagemmi, ad appoggi e conoscenze dirette, pur di ottenere l’ingiusto a fini squisitamente personali. Magari per acquistare un teatro privato da privato cittadino, senza dover dar conto a chicchessia. Ma con fondi pubblici.
Quante altre imprese culturali private sono in difficoltà e non beneficiano di aiuti di Stato elargiti “fuori sacco”? Perché un intervento ad hoc per il Teatro Eliseo e per gli altri no? Perché cedere alle lusinghe furiose di un ex parlamentare – trasformatosi ora anche in direttore di teatro, accanto alle attività di produttore per la tv e il cinema, e che bene conosce non solo i corridoi e le stanze dei poteri ma anche le pieghe di un bilancio di Stato -, e non avere orecchi per altri? In Europa si tratterebbe di concorrenza sleale, di posizione di vantaggio, mentre da noi è pratica spudoratamente resa lecita. A furia di procedere a colpi di emendamenti, di Milleproroghe (un nome, un programma!), di manovre correttive, si delegittima la linearità della politica: sono strumenti col tempo distorti e abusati al limite della costituzionalità e dove possono esservi nascosti, in modo opaco o occultati fra infiniti altri emendamenti, interventi che scompaginano un intero sistema, incentivano al non rispetto delle leggi, invitano a usare il ricatto e l’urlo. L’emendamento pro Eliseo ha tutta l’aura dell’abuso di potere, di ruolo, di spreco di danaro pubblico: chi garantisce che l’investimento vada a buon fine? E qual è il fine ultimo?
Con questo gesto iniquo si è inoltre svilito il ruolo e il lavoro delle associazioni di categoria, Agis, Federvivo, Platea. E non ci si risponda che ora, grazie a questo emendamento ad aziendam, tutte le imprese culturali e artistiche del Paese potranno ricorrere agli stessi aiuti straordinari perché sappiamo bene che questa via non è praticabile, sia sul piano economico sia sul piano giuridico. La regola civile insegna ad agire in lealtà e nel rispetto delle regole, sale primo di una società democratica. Noi, nonostante tutto, ci crediamo ancora e vogliamo continuare a onorare la nostra personale e comune etica. L’amarezza è tanta, ma anche la certezza che urge voltare pagina una volta per tutte, con una legge, in fase di elaborazione, che contempli e regoli anche il soccorso alle imprese in difficoltà. Vi chiediamo, dunque, alla luce di quanto accaduto, di vigilare ancora più serratamente sui meccanismi che regolano il lavoro del Parlamento, e di ricondurre a rigore, trasparenza, equità, legittimità le azioni degli Onorevoli Deputati e Senatori, da tutti noi eletti nostri rappresentanti.

Emanuele Bevilacqua, presidente
Antonio Calbi, direttore
Teatro di Roma Teatro Nazionale

Questa settimana Asti, Cuneo, Roma, Crotone, Lucca. Basta così?

Sono sul treno che oggi mi porta in Piemonte per un doppio appuntamento. Alle 18 sono con i compagni di Possibile a Casa Delfino in corso Nizza 2 a Cuneo per discutere di cultura e territorio con il candidato sindaco Nello Fierro. Alle 21.15 sono a Asti nella Sala Platone del Comune con il candidato sindaco Beppe Passarino.

Domani (mercoledì) a Roma presento Santamamma alle 19.30 al Circolo Sparwasser in via Del Pigneto 215. L’evento fb è qui.

Giovedì e venerdì sarò in Calabria per discutere delle ultime operazioni antimafia, del porto di Gioia Tauro e per la prima tappa del nostro tour della curiosità antimafiosa, insieme a Andrea Maestri, deputato di Possibile. Nei prossimi giorni mettiamo tutti i dettagli.

Sabato si torna in scena. A Seravezza in occasione di Memofest torna Mafie maschere e cornuti in una ricca giornata con Ilaria Cucchi e Piercamillo Davigo. Il programma è qui.

Napoli, Bassano del Grappa e Marano Vicentino: dove sono questa settimana

Martedì sono alla libreria Io Ci Sto (che ha una storia meravigliosa, la trovate qui) per presentare il mio romanzo Santamamma. A proposito: mi arrivano delle mail meravigliose di lettori bellissimi, che siete voi. Ci vediamo alle 18.30, con me ci sarà il direttore di Fanpage Francesco Piccinini. La locandina è qui.

Venerdì 12 maggio ci si vede a Bassano del Grappa, Teatro Remondini, per l’anteprima del nuovo spettacolo Mafie maschere e cornuti e non sapete quanto sono felice. Sul palco, con me, Guido Baldoni alla fisarmonica. La locandina con tutte le informazioni è qui.

Il giorno successivo, sabato 13 maggio, sono a Marano Vicentino, sempre provincia di Vicenza, sempre con Mafie maschere e cornuti nell’ambito della stagione di teatro civile “Infrangere il vero”. Tutte le informazioni sulla locandina qui.

Il mio calendario lo potete consultare qui ed è sempre in aggiornamento.

Siamo in viaggio, insomma. Vi aspetto.