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Diritto alla solidarietà

In tutti i campi. Ne parlavamo ieri e leggere il pezzo di Eugenio Occorsio ce lo conferma:

ROMA — «La parola d’ordine è solidarietà. Bisogna dare ai Paesi più indebitati, Italia, Spagna, Grecia, la possibilità di rinegoziare, allungare, rimodulare, i debiti. Ovviamente senza interrompere il corso delle riforme, ma senza forzature. Non c’è altra strada. Altro che fiscal compact. Con il rigore non si va avanti». James Galbraith, 60 anni, docente all’Università del Texas, ha un ruolo di primo piano fra gli economisti liberal americani così come lo aveva il padre, John Kenneth Galbraith, esegeta della crisi del ’29, organizzatore del piano Marshall, consigliere di Kennedy.
Anche Galbraith junior conosce l’Europa e ne interpreta i machiavellismi con arguzia: «Non sarei rassicurato dalle affermazioni di Draghi. Quando un banchiere centrale sente il bisogno di fare annunci così decisi, lo fa perché la situazione è drammatica».
Perché si è arrivati fin qui?
«Per incapacità o cattiva volontà, temo tutte e due. La chiave è in Germania. Ci sono forti gruppi interni, politici e finanziari, che l’euro l’hanno maldigerito e non perdono occasione per ostacolarlo. E poi ce ne sono altri, è il vero guaio, molto potenti, ai quali va benissimo una situazione di incertezza come questa. Pensate agli esportatori tedeschi. O alle banche: quando gli capiterà un altro periodo di tassi così bassi e nel contempo così alti in Paesi “fratelli”, con le possibilità di arricchirsi che ciò comporta? C’è pure, sotteso a tutto questo, un malinteso orgoglio tedesco per essere arrivati al vertice, aver riassorbito la Ddr, aver conquistato la leadership. Senza troppa voglia di dividerne i frutti».

Minetti(ti), quando era come Nilde Iotti

Commentando le dichiarazioni di Daniela Santanché che l’ha definita “inadatta alla politica” Nicole Minetti replica: “Mi domando se è la stessa Santanché che una volta mi paragonò a Nilde Iotti. Per carità, cambiare opinione è legittimo. Io comunque non mi sento finita”.

Servi che si incartano tra le parole servili. Senza nemmeno un filo di vergogna.

Fare gli Hollande con lo spread degli altri

Nel panico sempre più vicino, invece, il differenziale tra i titoli di Stato francesi e quelli tedeschi continua a scendere. Da quando c’è un socialista all’Eliseo il calo non si arresta: ora lo spread è a 85 punti base in discesa continua dal 15 maggio – qua il grafico – giorno in cui il nuovo presidente si è insediato.

Eppure Hollande parla apertamente di politiche espansive: ha promesso un piano per l’assunzione massiccia di nuovi insegnanti, ha proposto una supertassa sul reddito (75 per cento) per i ricchi, vuole fara la patrimonale e ha addirittura detto che lo Stato potrebbe assumere gli operai licenziati da Peugeot.

Vista da Parigi, dunque, la risposta alla crisi non è solo quella dei tagli. “I mercati non impongono per forza il ‘pensiero unico’ dell’austerity anti-sociale – scrive Rampini -. La lezione è che i mercati premiano la stabilità delle prospettive politiche a medio-lungo termine (…) e i “saldi” della finanza: se il risanamento si fa a spese dei ricchi come a Parigi, va benissimo“.

Semplice vero? Eppure qualcuno lo ha spiegato al governo Monti? Qualcuno l’ha detto agli omologhi dei socialisti in salsa italiana?

Lo scrive Federico Mello per Pubblico. Ecco il punto della coalizione: chi è disposto a costruire queste politiche. Senza troppi casini (maiuscolo o minuscolo, fate voi). E senza fare gli Hollande con con i partiti degli altri.

Vaghiamo come zombie

Dalla prigione per innocenti di via Corelli questo è quanto siamo riusciti a raccontare.
Luoghi fallimentari sotto ogni punto di vista: da quello scontato e minimo dei diritti umani, a quello di chi vuole espulsioni e politiche repressive verso i migranti: c’è da chiedersi, dal loro punto di vista, come possa essere considerato funzionante ed efficiente un sistema che tiene ingabbiata una persona fino a 18 mesi perchè non è in grado di identificarla.
Con tutto quello che questo comporta in termini di esasperazione nei centri e di soldi pubblici pagati. E di mesi di vita rubati.

I giornalisti entrano nel CIE di via Corelli, a Milano. Lo raccontano MilanoX, e Redattore Sociale.

Cara Curia, concordiamo un concordato

Che la Curia milanese abbia tutto il diritto di dire cosa ne pensa del registro delle coppie di fatto della Giunta di Pisapia. Ci sta. Magari con teoremi meno sciocchi del “rischio poligamia” perché così offendono l’intelligenza di troppi fedeli e degli studiosi che le appartengono. Facciamo finta di non leggere parole come quelle del Movimento Cristiano Lavoratori che scrivono “per un cattolico appoggiare l’operazione Pisapia significa cancellare il senso del peccato e dare copertura giuridica a devianze sessuali e sociali”.

Ma che la Curia milanese si faccia difendere da Formigoni, da questo Formigoni di questi ultimi tempi, dal Formigoni su cui non ha speso una parola una, allora proprio non si tollera. No. Perché la pietà cristiana non è ad uso e consumo. La pietà cristiana è una critica intellettualmente onesta su quello che accade intorno. E se concordano tra lestofanti il principio e il valore diventano un coagulo antisociale. Sulla pelle di qualcuno. Oggi i gay. Domani altri. E allora si facciano partito. Per partito preso. Piuttosto.

I tecnici e i puttanieri

Una volta c’era Silvio (e c’è ancora). Lo spread volava alto. Berlusconi era (e lo è ancora) la sintesi dell’Italia che inizia sulle stragi del ’92 e della politica a uso e consumo personale. E tra l’altro era un gran puttaniere. Eppure difendeva le famiglie. Preferibilmente quelle che rientravano nello schema dei suoi grandi elettori. Però Silvio andava rimosso mica per una gestione politica antitetica e lobbystica, no, andava rimosso per lo spread. Dicevano. Ci avevano fatto anche un prima pagina chiara, sul punto:


Fate presto. Diceva.

E poi ci hanno detto dei tecnici. Che conoscevano i mercati. Che ci avrebbero salvato. Si sono messi tutti in fila a sostenerli. Tutti tranne qualcuno. Pd, Pdl, Udc insieme. L’importante era che Silvio non fosse più Silvio (e intanto lo è ancora).

Oggi dicono che non governeranno insieme. Anzi, che non è pensabile che il PD si allei con l’UDC (bravo Pippo, a proposito, e grazie alle voci di Albinea). Anche se oggi il PD, in fondo, al governo è proprio con l’UDC, e anche il PDL (e Silvio c’è ancora). Un’alchimia di sigle e partitismi.

Ma non è importante pensare alle sigle, ci dicono, è tutto sotto il grande ombrello della “responsabilità”. Va bene.

E oggi lo spread è a 520.

Ma i titoloni non ci sono più. Perché il viceministro Ciaccia dice che sono i mercati che non ci capiscono. Che è colpa loro. Come l’altra volta ma finalmente senza Berlusconi (che c’è ancora) e di stare tranquilli. Capito?

Se l’economista si vergogna

Di avere lavorato per il Fondo Monetario Internazionale. E nella sua lettera di dimissioni scrive:

Dopo vent’anni di servizio, mi vergogno di aver avuto qualsiasi rapporto con il Fondo. Questo non solo per l’incompetenza che è stata parzialmente raccontata dal rapporto dell’OIA sulla crisi globale e dal rapporto del TSR sul monitoraggio prima della crisi dell’euro. Ancora di più, mi vergogno perché le difficoltà sostanziali in queste crisi, come in altre, sono state individuate ben in anticipo, ma qui sono state nascoste.

Siamo ancora sicuri che le proteste in Spagna, le critiche al sistema finanziario europeo e le analisi del fallimento del sistema liberista siano solo i vaneggiamenti di pochi? Perché quando la Spagna varcherà i confini forse ci sentiremo così patetici ad avere perso il tempo nel discutere di (o con) Casini e altre bazzecole senza marcare il punto sull’economia e sul lavoro. Forse.

La ‘ndrangheta che cambia

C’e’ anche una citazione di Giovanni Falcone nelle motivazioni della sentenza del processo contro il gotha della ‘ndrangheta scaturito dall’operazione Crimine-Infinito coordinata dalle Dda di Reggio Calabria e Milano che nel luglio 2010 porto’ all’arresto di oltre 300 persone. ”Come ha ben evidenziato in un suo famoso scritto del 1991 un magistrato martire del contrasto statuale alla mafia – scrive il gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli – quest’ultima ‘si caratterizza per la sua rapidita’ nell’adeguare i valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilita’ nel confondersi con la societa’ civile, per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacita’ ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa’. Ha, quindi, aggiunto significativamente che ‘e’ necessario distruggere il mito della presunta nuova mafia o, meglio, dobbiamo convincerci che c’e’ sempre una nuova mafia pronta a soppiantare quella vecchia”’.
”La verita’ – prosegue il gup – e’ che, come e’ stato ben evidenziato, non esiste la ‘vecchia mafia’ e la ‘nuova mafia’. Esiste la mafia, che pero’ e’ cambiata nel tempo perche’ si e’ adattata ai cambiamenti dell’economia e della societa’ in genere. Gli arresti giurisprudenziali passati in giudicato dimostrano che sempre, in una prospettiva diacronica, si e’ assistito a ricambi generazionali e ad una evoluzione di
strumenti e modalita’ di attuazione del programma criminoso, che resta sempre e comunque di estrema pericolosita’ per le fondamenta dello Stato democratico. Riprendendo questi concetti, perfettamente applicabili al fenomeno ‘ndrangheta, a giudizio del Tribunale e’ evidente che non puo’ parlarsi di una ‘ndrangheta vecchio stile, che si limita a rituali inoffensivi, e di una ‘ndrangheta militare o che si insinua negli affari o che si dedica al narcotraffico”.
”La ‘ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche – scrive il gup – e’ quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la ‘globalizzazione’ del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione ed il suo ‘valore aggiunto”’.

La ‘ndrangheta? Un arcipelago

”La ‘Ndrangheta, storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria ha assunto via via nel tempo ed in un contesto di trasformazione ancora non concluso, una strutturazione unitaria, tendente a superare il tradizionale frazionamento ed isolamento tra le varie ‘ndrine”. E’ quanto scrive il gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli nelle 860 pagine di motivazioni della sentenza del processo Crimine, depositate nel pomeriggio di ieri, che nel marzo scorso ha portato alla condanna a pene variabili dai 14 anni ed otto mesi di 94 tra boss e gregari.
Una sentenza che ha confermato l’assunto della Dda di Reggio Calabria sull’unitarieta’ della struttura ‘ndranghetista. Ed infatti il gup aggiunge: ”l’obiettivo che la Dda si era proposto di raggiungere e che, secondo questo giudice, e’ stato provato, era quello di delineare la struttura dell’organizzazione nel suo complesso, di individuare gli organi che la compongono e le ‘norme’ che regolano i rapporti al suo interno. Ed e’ questo, indubbiamente, l’elemento di dirompente novità apportato dalla presente attivita’ di indagine”. ”La ‘ndrangheta – prosegue – non puo’ piu’ essere vista in maniera parcellizzata come un insieme di cosche locali, di fatto scoordinate, i cui vertici si riuniscono saltuariamente (pur se a volte periodicamente), ma come un ‘arcipelago’ che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilita’ e di specifiche regole. L’unitarieta’, a differenza di quanto e’ stato giudizialmente accertato per la mafia siciliana fa pienamente salva la persistente autonomia criminale delle diverse strutture territoriali. Tuttavia (ed e’ questa la novita’ del presente processo), l’azione dell’organismo di vertice denominato Crimine o Provincia, la cui esistenza e’ stata inoppugnabilmente accertata, seppur non sembra intervenire direttamente nella concreta attività’ criminale gestita in autonomia dai singoli locali di ‘ndrangheta, svolge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo, innanzitutto attraverso la tutela delle regole basilari dell’organizzazione (una sorta di ‘Costituzione’ criminale), quelle, in definitiva, che caratterizzano la ‘ndrangheta in quanto tale e ne garantiscono la riconoscibilità’ nel tempo e nello spazio, anche lontano dalla madrepatria Calabria”