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Ridefinire il coraggio

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Forse bisognerebbe provare a ripartire da Mark Twain, lo scrittore statunitense dei primi del ‘900, e la sua definizione: “Il coraggio è la capacità di resistere alla paura, di dominare la paura: non è l’assenza di paura.” In tempi in cui il terrore si è fatto “sistema” conviene spendere qualche pensiero sulla ridefinizione del “coraggio” che, in questi ultimi giorni dopo i cadaveri di Parigi, continua a rimbalzare nei diversi articoli di cronaca e negli editoriali.

Il terrorismo non ci chiede di essere coraggiosi nel senso più brutale del termine come sventolato dai soliti avvoltoi che a destra e a sinistra cercano di capitalizzare in voti lo smarrimento, come necrofili mai sazi. Il coraggio muscoloso e bruto è il migliore regalo che si possa fare al terrorismo e ai suoi adepti: contrapporre bestialità a bestialità, fare la guerra alla guerra con la guerra significherebbe accettare la discesa in un campo in cui non contano i valori civili di una democrazia ma piuttosto l’affilatura delle armi e la predisposizione all’orrore. Il terrorismo gioca a farci diventare mostruosi per normalizzare la propria natura, il terrorismo ci vorrebbe sadici per confermare il ritratto che vuole imporre di noi. Per questo le uscite infelici dei Salvini o dei filofascisti di turno non sono nient’altro che il lievito (sbagliato) di una guerra che chiede di essere sgonfiata, prima che combattuta.

E allora che forma ha il coraggio che ci servirebbe? Forse dovrebbe essere, come scriveva Twain, un coraggio che non dissimuli la paura ma che ne prenda pienamente coscienza: coscienza di un mondo in cui la contrapposizione è molto più complessa di come appare e entrambi le parte non sono esenti da colpe. Non è il “cattivissimo ISIS” contro il “buon Occidente”: questa guerra è tra l’assembramento criminale di criminali (islamici in gran parte ma certamente favoriti da criminali pratiche occidentali) che sfidano un sistema politico ed economico in cui noi siamo semplicemente la “terra di mezzo”. Insieme al cordoglio ufficiale e istituzionale di questi giorni è facile trovare anche gli articoli che ci dicono di come l’ISIS sia stato armato dai suoi stessi nemici e, a volte, anche usato dallo stesso Occidente che vorrebbe combattere. Li armiamo per combatterli, insomma, non solo con gli strumenti militari che a molti Paesi del G20 fa comodo vendere ma anche con una libertà d’azione che per un certo periodo è stata concessa al califfato in nome di qualche “liberazione” comoda per interessi petroliferi.

Per questo oggi avere “solo” paura è il miglior regalo che possiamo fare alle parti in guerra […]

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Tutto bello e commovente, certo. Ma Lea Garofalo non è un film.

lea_garofaloDoverosa premessa: che ci sia sempre qualcuno con la voglia, lo spirito e la bravura di Marco Tullio Giordana che anche senza guanti decide di mettere le mani in mezzo all’immondizia dove ogni tanto finiscono per indifferenza storie importanti come quella di Lea Garofalo e della sua coraggiosa figlia Denise. Portare in prima serata la storia di chi si ribella alle mafie avendole in casa è meglio di qualsiasi discorso di qualsiasi presidente della Repubblica: è l’esempio dato con le scelte della vita, con le azioni e senza curarsi della retorica e delle posture. E davvero la storia di Lea è stata anche la storia del risveglio di tanti (giovani e non, lombardi e non) che hanno imparato il dovere e la bellezza di stare vicini alle persone che non hanno paura. Se dovessimo immaginare un modello di televisione etico, ecco, ieri sera sarebbe stata una buona serata per il nostro Paese.

Però Lea Garofalo, al di là del mito e dell’agiografia, è stata una donna che ha deciso di uscire dal programma di protezione perché alla fine non ci ha creduto più ad uno Stato che avrebbe dovuto proteggerla. Anche questo è coraggio: viene un momento, per le vittime o i famigliari di vittime di mafia, in cui ci si accorge che il male e il bene non è per niente così bianco e così nero come si legge su alcuni libri e in alcuni film, ma che si muore spesso per mano di mafia e con il contesto come suo alleato migliore, come direbbe Sciascia. Lea Garofalo aveva chiesto aiuto alle istituzioni in molte delle sue componenti, dalle più alte fino agli uomini che quotidianamente ne avrebbero dovuto assicurare la protezione. E Lea Garofalo, la Lea che è stata fatta potabile da una prima serata con tutti gli onori, per quelli che avevano in mano il suo destino da nascosta e sempre in fuga Lea Garofalo era spesso descritta come tossica, poco di buono e altre velenose infamità. Inseguita dalla mafia ma calunniata dallo Stato.

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Quanto valgono i terrori del mondo

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Sul numero di LEFT in edicola sabato proviamo a capire come li armano e poi li combattono.

Io mi occupo della strana morte del signor Rossi, del Monte dei Paschi di Siena, della riapertura dell’indagine sul suo conto e di un legame che non è mai stato scritto con uno strano testimone di giustizia che forse ne sa qualcosa.

Il sommario lo trovate qui. Come sempre aspetto curioso le vostre critiche, proposte e consigli.

Ci diamo il buongiorno tutti i giorni

Testata_Left_2015L’appuntamento è per le 9.30 sul sito di LEFT. Un buongiorno per cercare di imparare a guardare anche altrove, pensare senza correnti e semplicemente ritrovarsi. Oggi ho voluto cominciare chiedendomi (e cercando una risposta) dove siano l’ISIS e le altre organizzazioni armate quando non fanno la guerra, lo trovate qui.

Stiamo pensando al nome da dare all’appuntamento quotidiano. Si accettano suggerimenti.

Ah: dal lunedì al venerdì, perché il sabato LEFT dovete andarvelo a prendere in edicola o qui. Perché sono i lettori, che ci fanno giornale.

In centro a Milano la banca la fa la camorra

182639186-6ac49f6f-6579-448d-8160-475586f6bae4-300x225“Vieni a prenderti un caffè”. Non parlavano mai di soldi al telefono, con l’esperienza tipica dei criminali scafati e del resto Vincenzo Guida e Alberto Fiorentino sono criminali a Milano da circa quarant’anni e ormai sanno bene come non lasciare indizi in giro. Vincenzo Guida è il fratello del più famoso Nunzio che dagli anni ottanta fu il proconsole della camorra in Lombardia, alla guida di una famiglia che è riuscita negli anni a stringere accordi importanti con ‘ndrangheta e Cosa Nostra in una federazione criminale che funziona a pieno ritmo.

I due avevano organizzato una vera e propria banca in grado di prestare cifre considerevoli in brevissimo tempo (un imprenditore ha ricevuto 300.000 euro) applicando prestiti usurai e intimidendo poi le vittime con “sottili metodi di stampo camorrista”. L’operazione (denominata “Risorgimento” perché proprio in piazza Risorgimento a Milano i due avevano adibito i tavolini esterni di un bar come proprio “ufficio”) ha portato anche al fermo di altri due italiani, Giuseppe Arnhold e Filippo Magnone, con l’accusa di riciclaggio, mentre per Guida e Fiorentini rimane in piedi l’accusa di esercizio di credito abusivo aggravato dall’uso di metodi mafiosi. Le prime perquisizioni hanno trovato già tre milioni di euro in contante suddivisi in mazzette pronte per il prestito nell’abitazione di Guida. E la frase “vieni a prenderti un caffè” era la formula convenuta per fissare l’incontro.

Ma è la Boccassini a tratteggiare un pezzo di Milano collaborante piuttosto che vittima dichiarando senza mezzi termini come fossero spesso gli imprenditori a bussare alla porta dei criminali, sapendo esattamente di poter trovare una liquidità che difficilmente sarebbe stata reperibile nei canali legali. Per questo l’attività “parabancaria” in realtà presume anche l’esistenza di una classe imprenditoriale “paralegale” nella gestione dei propri interessi. “C’era gente che doveva restituire fino a 75 Mila euro al mese” ha spiegato il capo della Squadra Mobile di Milano, Alessandro Giuliano. Nessuno degli imprenditori ha denunciato. Nessuno. E anche questo è un dato da annotare per tutti quelli che ancora pensano che le “mafie” siano questioni non settentrionali.

(continua qui)

L’orrore delle bugie su Parigi

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Arianna Ciccone e tutti quelli che scrivono per Valigia Blu hanno cominciato da tempo una battaglia per ottenere dal giornalismo anche un po’ di serietà. Sembrerebbe una questione simpatica scritta così se non fosse che sulle false notizie che rimbalzano su tutti i socialcosi del mondo stanno contribuendo a minare una credibilità già piuttosto pericolante dopo anni di servilismi e scendiletto. Per questo vale la pena investire qualche minuto nel post in cui si stila un veloce elenco delle bugie più grosse raccontate sui fatti di Parigi (che dovrebbero avere anche l’aggravante di apologia al lutto) e l’articolo (tradotto) di Claire Wardle sulla necessità di un debunking in tempo reale che i media devono riuscire a fare in tempo reale.

Sono riflessioni che farebbero bene a tutta la categoria.

Detto da un abusivo, poi. Che sono io.

Non un poliziesco ma un’orazione civile (Gazzetta del Sud su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’)

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«Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani». Giulio Cavalli queste cose le conosce bene. La promozione della cultura della legalità contro quella mafiosa è il suo pane da attore, autore e da (ex) politico. Tanto da portarlo, dal 2007, a vivere sotto scorta, dopo la scoperta d’un progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ‘ndranghetista De Stefano-Tegano.

«Ispirato alla vera storia della famiglia Landa – racconta l’autore – il romanzo girerà l’Italia in un reading teatrale. Se mi avessero chiesto un romanzo civile, ecco, io, avrei scritto questo libro qui». Anche perché non si nasconde che con questo libro Cavalli spera di dare un contributo alla riapertura del caso – il cadavere di Michele Landa, guardia giurata, venne trovato in un’auto bruciata nel settembre del 2006 – ancora senza colpevoli.

«Quando Angela mi ha raccontato la storia di suo padre, che è poi anche la sua – ha spiegato l’autore – io che la storia l’avevo già ascoltata da un giornalista e un amico, Sergio Nazzaro, mentre l’ascoltavo in diretta, così, ho avuto la sensazione che colasse. Non c’era niente di più da estrarre o da spulciare, sarebbe bastato un contenitore. Ecco, questo libro è la pinta di quella storia».

Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, in un Sud con l’acqua alla gola, che forse non assomiglia alla città dell’Expo, ma alla Milano delle intimidazioni agli imprenditori in provincia, al racket degli alloggi popolari, al business “calabrese” del movimento terra, ai piccoli negozi incendiati, alle riunioni di affiliazioni nei ristoranti comprati con i soldi riciclati. (f.c.)

Finalmente, arresti tra i “Fardazza” Vitale a Partitico

0Gli uomini sono in carcere e le donne assicurano la guida e gli affari della cosca. E’ quanto accertato dalla Polizia di Stato di Palermo che ha arrestato per ricettazione in concorso, aggravata dal metodo mafioso, Maria Gallina, 59 anni, e Maria Vitale, 40 anni, rispettivamente moglie e figlia del boss Leonardo Vitale, gia’ recluso in carcere per mafia. Viene, cosi’ duramente colpita, afferma la polizia, ‘una delle cosche mafiose piu’ pericolose della provincia di Palermo’. Le indagini hanno accertato che mentre i capi del clan dei ‘Fardazza’ di Partinico erano in carcere, le donne della cosca continuavano a reggerne le sorti e gli interessi.

Il palazzo degli orrori

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A Caivano, quartiere Parco Verde, emerge un palazzo degli orrori in cui le violenze su bambini si mischiano con le loro morti mai chiarite. Un buco nero dentro la città che riesce a tessere un silenzio alto quanto un condominio. E torna subito in mente la frase sullo spaventoso “silenzio degli innocenti” che permettono o colpevolmente non si accorgono di quello che succede sullo stesso pianerottolo. Il male ha bisogno del terreno giusto dove l’indifferenza e la disattenzione sono il fertilizzante perfetto. Sarebbe bello sfrugugliare lì in mezzo.