Vai al contenuto

Blog

Di mafia e di bavaglio a Pavia

mauroLeggete e seguite cosa sta succedendo a Pavia. Prima sul sito dei Wu Ming:

[Chi bazzica queste lande si è imbattuto tante volte in Mauro Vanetti. Oltre a essere uno dei commentatori di Giap –  e guest blogger – più acuti e apprezzati, è stato anche il curatore dell’antologia Tifiamo Asteroide. Mauro è un informatico e un attivista politico.  Nella sua città, Pavia, è tra i protagonisti di una multiforme battaglia contro le mafie e il business legale del gioco d’azzardo, nonché tra i promotori di Senza Slot e co-autore del recentissimo libro Vivere senza slot. Storie sul gioco d’azzardo tra ossessione e resistenza (nuovadimensione, 2013).
A monte di tutto questo, Mauro è un militante comunista, membro del PRC e della Tendenza Marxista Internazionale, che in Italia si raggruppa intorno al giornale Falcemartello.
E’ proprio dal sito di Falcemartello che riprendiamo la seguente chiamata alla solidarietà, perché Mauro sta subendo un attacco e bisogna aiutarlo a difendersi e contrattaccare, al di sopra delle differenze, delle diverse appartenenze e dei tribalismi delle tante sinistre.
A noialtri, poi, usare Giap per difendere un giapster sembra il minimo.
N.B. In generale, a Pavia c’è un clima pesante. Emblematico quel che è accaduto a Giovanni Giovannetti, autore del libro Sprofondo Nord( 2011). Non solo Giovannetti ha subito un fuoco di fila di querele: ha avuto anche la casa incendiata, e nel rogo è andato distrutto il magazzino della sua piccola casa editrice, Effigie.]

E il pensiero su discutibili.com:

La persona in questione è Mauro Vanetti, un attivista politico che ho conosciuto e frequentato – anche se non molto – all’università, attivo nella discussione sulle mafie nel nord e fervente sostenitore di posizioni contrarie alle slot-machine, che costituiscono un giro d’affari di cui Pavia rappresenta un centro propulsore di rilievo tristemente eccezionale. È stato chiamato in causa per diffamazione, per aver fatto riferimento, su Facebook, a un “picciotto”, in un thread polemico a cui aveva preso parte il signor Trivi. Questi, pur non comparendo il suo nome nel commento in questione, vi si è probabilmente riconosciuto, e avrebbe ritenuto di cogliere un’allusione alla propria persona nell’affermazione, stando alle fonti ugualmente priva di nomi, secondo cui: “Uno dopo l’altro, tutti i politici pavesi che se la intendono con la mafia la stanno facendo franca. Non saranno i giudici a levarceli dai piedi, dovremo pensarci noi”, con successivo chiarimento del pensiero dell’autore: “non penso che la mafia sarà mai sconfitta in tribunale se non viene prima sconfitta nella società, semplicemente perché gran parte di ciò che fa la mafia non è tecnicamente illegale”.

Beh, la sentenza di questo processo arriverà lunedì, scopro oggi. E quello che c’è da aggiungere è questo: che se la controparte è abituata a cavalcare sottigliezze processuali, chi si batte con impegno per un’idea di solito non ama perdercisi in mezzo. Ma in questo caso forse vi sarebbe di che eccepire, dato che, stando alle informazioni presenti in rete, i querelanti hanno proceduto senza presentare, come prove, altro che alcuni screenshot di Facebook sui quali non è stata eseguita alcuna perizia. A me, in questi casi, viene da sperare che le cose si concludano in modo giusto e ragionevole, ed equo. Ma poi mi chiedo anche se ha senso che io abbia fiducia nelle istituzioni, e, se sì, in quali. Non credo di poter aggiungere molto alla vigilia della fine di questa vicenda, che commento troppo tardi.

A proposito di Letta, diritti e olimpiadi

Vale la pena leggere l’intervista a Ivan Scalfarotto e Anna Paola Concia:

SCALFAROTTO: “Nascondersi dietro l’Onu è veramente ridicolo. Se fai la lista di chi va e di chi non va a Sochi, il risultato è solo imbarazzante. A Merkel, Obama, Cameron e Hollande non è bastata la presenza di Ban Ki-moon”.

CONCIA: “Rimango senza parole. Non c’è proprio bisogno di nasconderci dietro qualcuno. Quello che conta è che il premier italiano va allo show di Putin e i capi di Stato delle principali democrazie del mondo invece se ne restano a casa. Il resto, lo ripeto, sono giustificazioni inconsistenti e tardive”.

La trovate qui.

Grazie a Novellara

Dove ragazzi freschissimi e attivi stanno organizzando una serie di incontri che allenano il muscolo della curiosità. Il loro resoconto della serata è qui.

1622832_10203419849282654_219270850_n

Solidali tra sodali

A Milano i pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio stanno seguendo un’inchiesta che andrebbe studiata in sociologia e antropologia:

Il ‘metodo Kaleidos’. Una apparentemente modesta società di car sharing di Saronno, nel Varesotto, che improvvisamente, nell’arco di sei anni, mette le mani sui più succosi appalti pubblici regionali e sbaraglia ogni concorrenza. Tutto grazie a un dettaglio, raccontano oggi le carte di un’inchiesta: l’appartenenza dei manager Kaleidos, e dei funzionari regionali chiamati a indire i bandi di gara, alla Compagnia delle Opere. Tutti o quasi. Solo apparentemente aperti al mercato, alla concorrenza, a chi garantiva le condizioni migliori.

Kaleidos, raccontano le carte dell’inchiesta realizzata da carabinieri e Procura, dettava le linee per configurare gare su misura. Consigliava i funzionari regionali sulle condizioni da includere negli appalti, a volte chiedeva perfino che si “alzasse la base d’asta” per ottenere guadagni più vantaggiosi. Ovviamente, per garantirsi una vittoria scontata. Ed erano talmente sicuri di rimanere impuniti che tutte le irregolarità si consumavano senza alcuna precauzione, soprattutto attraverso i messaggi di posta elettronica. Dal 2005, per sei anni, sono stati 150mila quelli che i vertici della società Kaleidos – azienda con sede a Saronno, sulla carta esperta di auto a noleggio per aziende pubbliche e private – si sono scambiati con i funzionari della Regione, di Metropolitana Milanese, Aler e Ferrovie Nord.

Compagnia delle Opere, Comuione e Liberazione e Regione Lombardia. Solidali tra sodali, al solito. Tre o più persone che si mettono d’accordo per accrescere il proprio bene ai danni del bene pubblico. E’ così diverso dal reato di associazione a delinquere o dalla mentalità mafiosa?

Quale errore!

Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.

Giovanni FalconeCose di Cosa Nostra, 1991

Morire a Roma con sei colpi addosso

Si sono avvicinati in moto e con sei colpi di pistola lo hanno freddato. Un’esecuzione in piena regola quella che è andata in scena a Roma, in via Torresina, quartiere Tor Vergata, poco prima delle 21. La vittima è un giovane di 22 anni, Edoardo Di Ruzza, con precedenti per droga e già arrestato tre anni fa dai Carabinieri per porto abusivo di armi. La prima ricostruzione dei fatti parla di due killer, su una moto, che si sono avvicinati e hanno iniziato a sparare. Indaga la polizia.

A proposito di quello che si scriveva giusto qui.

La mia prefazione per “Grande Raccordo Criminale”

romadi Giulio Cavalli – 6 febbraio 2014
C’è qualcosa di peggio dell’ignoranza sulle mafie: l’indifferenza. L’abbiamo letto e sentito mille volte nei libri, nelle campagne elettorali, nei convegni e, se siamo fortunati, nelle cerchie di amici anche tra i discorsi da aperitivo. Eppure l’indifferenza che sta sopra Roma e il Lazio in generale è un’indifferenza come la trovi solo qui: ostile, arrabbiata, confusa, infastidita. Proprio mentre al Nord gli arresti e la società civile aprono finalmente una lucida discussione sulle mafie senza fermarsi alle negazioni e agli allarmi, mentre nel Sud sono centinaia i focolai di rivoluzione e bellezza, Roma cova silenziosamente le proprie braci mafiose come se fosse stata saltata a piè pari dalla scossa della consapevolezza nazionale.
Ecco perché questo libro di Floriana Bulfon e di Pietro Orsatti abbiamo il dovere (noi, cittadini di questo centro d’Italia) di farlo diventare essenziale: non c’è bisogno di previsioni o di sospetti poiché le mafie della Capitale sono già tutte nelle cronache quotidiane, tra gli articoli che nessuno vuole prendersi la briga di mettere in fila o tra le storie che troppo in fretta abbiamo deciso che sono terminate.

Grande Raccordo Criminale collaziona finalmente le famiglie facendo i nomi e i cognomi, andando a riprendere i protagonisti della banda della Magliana che si sono riciclati in anelli di raccordo con la criminalità organizzata, reinserisce i Casamonica in un contesto più ampio e smette (finalmente) di considerare Ostia un’enclave criminale apolide così come le confische del centro città romano come piccoli “avvertimenti” da sbattere in prima pagina per un paio di giorni. Serve tirare le fila, serve mettersi con dovizia, intelligenza e amore (perché c’è tutto l’amore che si potrebbe trovare in un romanzo sulla difesa della propria terra, in questo libro) a studiare, scriverne e farne parlare. Quando le mafie si attorcigliano tra politica, estremismi e pezzi di istituzioni diventano qualcosa difficile da raccontare e descrivere, cominciano a contare su un’impunità culturale oltre che troppo spesso giudiziaria: così le sparatorie in giro per la città, la condanna di Carmine Fasciani posto al 41bis oppure la colonizzazione dei bagni al lido di Ostia (senza dimenticare l’emblematico caso Fondi) non riescono a scuotere le coscienze soprattutto grazie ad una mancata coesione sociale sul tema (quella politica facciamo che per ora non ce l’aspettiamo nemmeno). Roma e il Lazio hanno bisogno di un’evoluzione consapevole e veloce, devono tirare le fila di un’antimafia sociale, politica e culturale che decida per davvero di mettersi in gioco per strutturare un presidio antimafioso di studio e di racconto che spalanchi gli occhi su una città sommersa tra le slot machine, i compro oro pubblicizzati finanche all’interno degli ospedali, le discariche come percolato della legalità, i bingo e il gioco d’azzardo che tengono lati interi di strade al limite del raccordo, di ipermercati che non hanno giustificazione di mercato e un’edilizia selvaggia com’è selvaggia l’edilizia al soldo del riciclaggio; poi c’è la droga (e finalmente se ne parla) che per chissà quali strani percorsi dell’informazione sembra diventa roba calabrese e lombarda dimenticando quanto la capitale sia snodo fondamentale per i commerci: droga finalmente riportata anche qui, dove l’attività giudiziaria la racconta sempre in transito; poi le minacce: negozi bruciati, uomini gambizzati, usurai fuori dai bar come nei sottofondi di qualche città sudamericana e invece si è appena di qualche chilometro in periferia. Questo libro è un primo fondamentale avviso: le mafie ci sono, stanno bene, godono di ottima salute e continuano a saccheggiare Roma per riciclare soldi, fare soldi e costruire alleanza. Se le mafie in un territorio stanno bene quindi significa che lo Stato (in tutte le sue forme da quelle politiche a quelle civilissime e sociali) non le combatte abbastanza o addirittura ha trovato l’accordo.
Per questo la speranza di questo libro è che si accenda qualcosa dopo, appena sfogliata l’ultima pagina, per riappropriarsi della propria terra e tirarla fuori finalmente da questo alone di incompetente nebbia che è scesa (o salita) fino a qui.

Tratto da: granderaccordocriminale.wordpress.com

* La prefazione di Giulio Cavalli al libro “Grande Raccordo Criminale” di Floriana Bulfon e Pietro Orsatti per Imprimatur editore (marchio Aliberti Editore) in uscita nella seconda metà di febbraio

Morire di carcere

Riguardo il reato di tortura e la dignità di un popolo che si misura dallo stato delle sue carceri vale la pena guardare la prima parte dell’inchiesta di Antonio Crispino per il Corriere della Sera. Perché il tema carceri è uno di quelli che non interessa a nessuno finché non abbiamo la sensazione che ci possa mai toccare da vicino mentre si pontifica sulle pene nei salotti televisivi. La riforma che ci si aspetta è invece politicissima e spetta proprio alla politica:

 

Finalmente un’indagine per favoreggiamento musicale alla ‘ndrangheta

malavita_MGzoomLa notizia dell’indagine aperta nei confronti di Francesco Sbano e Demetrio Siclari (cantori della criminalità organizzata con film e canzoni) è una buona notizia che potrebbe portare risultati e futuri inattesi. Mi è capitato spesso, qui e negli incontri, di chiedere una “sommossa civile” al reato di “favoreggiamento culturale” alle mafie in ogni sua forma. Abbiamo tollerato di tutto in nome della satira, della documentazione e quant’altro proprio mentre assistevamo a terribili apologie. Ora osserviamo con attenzione come andrà a finire. E parlarne. La notizia è riportata dal Corriere della Sera:

Dalla Germania, dove hanno un successo incredibile, un cantante e un manager sono volati a Reggio Calabria, hanno noleggiato in aeroporto la macchina più vistosa che c’era, hanno puntato il laboratorio, ospitato dal Museo della ‘ndrangheta, e giù offese e minacce. Un avvertimento mafioso. Un’azione intimidatoria. I due sono stati indagati. E per la prima volta una Procura, quella di Reggio Calabria, metterà occhi e mani dentro un fenomeno di business, spettacolo e apologia, di messaggi in codice nascosti nei testi, di controllo del territorio. Le indagini potrebbero allargarsi e daranno fastidio alle cosche, che oramai consideravano questo tipo di musica sacra quanto la famiglia: e dunque inviolabile.

Gli indagati si chiamano Francesco Sbano e Demetrio Siclari. Hanno 50 e 62 anni. Uno cosentino, l’altro reggino. Il personaggio chiave è Sbano. Sulla ‘ndrangheta ha girato anche un film: «Uomini d’onore». Se le cosche esistono, è il messaggio in sintesi, è tutta colpa dello Stato assente. Sbano ha fatto i soldi vendendo canti di ‘ndrangheta e di mafia. Il titolo «Ammazzaru lu generali», sul generale dalla Chiesa, è roba sua. Vive, lavora e incassa in Germania. Quella Germania che, nonostante la colonizzazione silenziosa delle cosche e nonostante certi vistosi manifestarsi (la strage di Duisburg, nel 2007, sei morti ammazzati, il mondo intero che scopriva la ‘ndrangheta), continua a sorridere delle canzoni di malavita, perché a dire dei tedeschi sono melodie capaci di raccontare l’animo romantico della criminalità.