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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Non li voglio vedere (di Salvo Vitale)

Salvo Vitale

Salvo Vitale è lo storico compagno di Peppino Impastato. Quello vero, mica quello del film. E ha scritto un pensiero prima delle straboccanti commemorazioni di domani. Vale la pena leggerlo:

«Stanno preparando il vestito buono per la festa.
Passeranno la notte a lustrarsi le piume.
E domani, l’uno dopo l’altro, 
con una faccia
che definire di bronzo è un eufemismo,
correranno da una parte all’altra della penisola
cercando i riflettori della tivvù,
il microfono dei giornalisti,
per inondarci della loro vomitevole retorica
su twitter, facebook, e in ogni angolo della rete;
loro, tutti loro, gli assassini di Giovanni Falcone,
della moglie, e dei tre agenti della sua scorta,
saranno proprio quelli
che ne celebreranno la memoria.
Firmandola. Sottoscrivendola.
Faranno a gara per raccontarci
come combattere ciò che loro proteggono.
Spiegheranno come custodire
l’immensa eredità di un magistrato coraggioso;
loro, proprio loro
che ne hanno trafugato il testamento,
alterato la firma,
prodotto un perdurante falso ideologico
che ha consentito ai loro partiti
di rinverdire i fasti di un eterno potere.

Li vedremo tutti in fila, schierati come i santi.
Ci sarà anche chi oserà versare qualche calda lacrima,
a suggello e firma dell’ipocrisia di stato,
di quel trasformismo vigliacco e indomabile
che ha costruito nei decenni
la mala pianta del cinismo e dell’indifferenza,
l’humus naturale dal quale tutte le mafie attive
traggono i profitti delle loro azioni criminali.

Domani, non leggerò i giornali,
non ascolterò le notizie,
non seguirò i telegiornali,
e men che meno salterò come una pispola allegra
da un mi piace all’altro su facebook
a commento di striscette melense e ipocrite
che inonderanno la rete
con una disgustosa ondata
di piatta e ipocrita demagogia.

Domani, uccideranno ancora Giovanni Falcone,
sua moglie e la sua scorta.
E io non voglio farne parte.
Per questo ne parlo oggi, con un giorno di anticipo.

Seguitano a ucciderlo, ogni giorno,
nella società civile e in parlamento.
Per questo vogliono museizzarlo,
trasformandolo in una specie di santino
da usare ad ogni buona occasione.
Perché sono proprio loro gli eterni assassini,
questa è la verità,
altrimenti non ci ritroveremmo, venti anni dopo,
nella stessa identica situazione di allora.

Domani, vestiti a festa,
faranno a gara a chi lo commemora e piange di più.
Tutti i funzionari pubblici della repubblica,
anche quelli del più piccolo e povero comune,
tutti quelli che hanno preso tangenti
privilegiando l’interesse personale
a quello del bene pubblico,
sono quelli che seguitano ogni giorno ad assassinare
Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta.
Quelli che hanno reso vana e vacua la loro morte.

Gli imprenditori che partecipano alle gare
sostenendo che bisogna pagare le tangenti
se si vuole sopravvivere sul mercato.
I direttori editoriali responsabili delle case editrici,
delle società di produzione cinematografica,
televisiva e radiofonica,
che riconoscono e accolgono come autori
solo persone presentate, suggerite, spinte ,
imposte dalle segreterie dei singoli partiti politici
che poi provvederanno a fornire i loro buoni uffici
facendo piovere su di loro sovvenzioni statali
pagate con le nostre tasse.
Loro, nessuno escluso, sono gli assassini di Falcone,
di sua moglie e dei tre agenti della scorta.

Io non li voglio vedere.
Non voglio vedere le loro facce ipocrite.
Sono assassini tutti quelli, nessuno escluso,
che dicono “lo fanno tutti, che cosa ci vuoi fare?”.
Così come lo sono tutti coloro che si trincerano
dietro il “ma io ho una famiglia”
e fingono di non sapere che in italiano esiste la frase
“no, io queste cose non le faccio”.

Gli assassini sono tutti i cittadini italiani
che nel silenzio garantito dalla privacy,
cautelati dal fatto di non avere testimoni,
nel segreto della cabina elettorale,
mettono una crocetta su un certo simbolo,
su un certo nome,
perché sanno che quella lista e quella persona,
domani, a elezioni avvenute (e vincenti)
mi risolveranno il mio problemino,
o daranno il posto a mio figlio,
o sistemeranno mia sorella.

Sono decine di milioni
Perché la mafia non è una persona,
non è una cosa astratta.
La mafia è un’idea dell’esistenza.
La mafia è una interpretazione della vita,
e chi vi aderisce è un mafioso.
Anche se non lo sa.
Anche se non se lo vuole dire.
Sempre mafioso è.

L’intera classe politica di questo paese,
intellettuale, mediatica, imprenditoriale,
ha partecipato al processo di delegittimazione
di Giovanni Falcone,
isolandolo, diffamandolo,
voltandosi dall’altra parte
quando sapevano che stavano arrivando i killer.
Così come fecero poi con Paolo Borsellino
e con tutti coloro che ebbero l’ardire
di armarsi di coraggio
e combattere contro la mafia attiva.
Le stesse persone che allora scelsero di non guardare,
oggi sono in prima fila
a commemorarne la scomparsa.
Sono tutti loro i veri assassini.
Io non li voglio né vedere né ascoltare.

Perché i dirigenti mafiosi sono affaristi,
e non corrono il rischio di mettersi nei guai
uccidendo gli affari, se non sanno di avere
un territorio amico che li sorregge.
La mafia, di per sé, non esiste, esistono i mafiosi.
La mafia è la somma dei singoli comportamenti
che ne determinano l’esistenza.
E noi siamo un paese con troppi mafiosi.
Purtroppo, non è uno stereotipo, è la tragica realtà
con la quale noi tutti dobbiamo a fare i conti.
Perché questi sono i veri conti,
non lo spread, che è una invenzione astratta.

Potete aderire a qualunque ideologia,
essere, anarchici o democratici,
conservatori o progressisti,
amanti di Keynes, di Marx
o della teoria della Moneta Moderna.
Non cambia nulla,
finchè non cambieremo il nostro comportamento
individuale, quotidiano, esistenziale,
e non prenderemo atto di ciò che siamo,
per poterci evolvere e liberarci da questo cancro

Ogniqualvolta un cittadino italiano
rinuncia ad esercitare il libero arbitrio,
e rinuncia all’ambizione e al tentativo,
anche se estremo e disperato ,
di farsi valere per i propri meriti,
per le proprie competenze tecniche,
privilegiando la facile e sicura strada
della mediazione politica e della malleveria,
per prendere la scorciatoia del sistema del malaffare,
il registratore di cassa della mafia segna un incasso.
Perché sa che, domani,
quel cittadino sarà un mafioso sicuro.
Anche se non lo sa.
E’ una porta alla quale andranno a bussare,
sicuri che verrà subito aperta.
Loro, lo sanno benissimo, che è così.
Lo sappiamo tutti.

Io non li voglio vedere i loro telefilm celebrativi
interpretati da attori raccomandati,
prodotti da aziende mafiose,
e distribuiti alla nostra visione
da funzionari mafiosi in doppiopetto.
Proprio no.
Perché sono tutti assassini di Giovanni Falcone,
di sua moglie e dei tre agenti della scorta.

Domani, dedicherò la giornata
al tentativo di ripulirmi spiritualmente,
cercando di fare ordine interiore,
per eliminare ogni residuo di retro-pensiero mafioso,
che alligna dentro di me,
come dentro la mente di ogni singolo italiano,
anche quando non lo sa.
Perché il paese è così.
Altrimenti, non staremmo,
dopo venti lunghi anni,
e una caterva di governi inutili,
nella stessa identica situazione di allora.»

Per Renzi sarà durissima

Se l’apertura della campagna referendaria di Matteo Renzi ieri a Bergamo doveva essere la prova generale della strategia dei prossimi mesi non è andata benissimo, no. Le solite parole guida (inciucisti, gufi, cambiamento, sorriso) cominciano a cozzare contro una realtà che non si può continuare a pensare di potere nascondere e la spinta comunicativa del premier è apparsa a tratti addirittura caricaturale. E allora proviamo, con calma, a fissare alcuni punti.

Il portamento. Da non credere: ad un certo punto il premier (Presidente del Consiglio e segretario del partito più grande del Paese) ha scimmiottato l’opinione pubblica, i giudici costituzionali, i Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale, i giornalisti, i magistrati e tutti coloro che hanno osato mettere in discussione la bontà della riforma. Li ha imitati con la vocina stridula con cui ci si percula tra amici durante una partita di calcetto: se davvero Renzi considera la Costituzione (e le eventuali riforme) una cosa seria, beh, non è proprio riuscito a comunicarlo. Proprio no.

Gli inciuci. «Se le riforme non passano sarà il paradiso terrestre degli inciuci» ha dichiarato Matteo Renzi agitando per l’ennesima volta lo spettro del “non c’è alternativa”. Sfugge sinceramente come ci si possa liberare “dagli inciuci” (cit.) pensando ad un Senato che sarà figlio di un accordo tutto politico tra consiglieri regionali. La storia ci insegna che per evitare gli inciuci sia importante rafforzare le dinamiche di controllo; qual è l’azione di controllo che sostiene una democrazia? Le elezioni, appunto. Ed eleggere persone che poi si eleggeranno tra loro è un inciucio in piena regola.

Il sorriso. «Faremo una campagna con il sorriso. Cercheranno provocazioni, scontri, critiche» ha detto Renzi. E questo potrebbe anche poter essere vero poiché proprio sotto le mentite spoglie di un sorriso questo Governo è riuscito ad offendere intere categorie di persone senza rendersi conto che è un’aggravante. “Sorriso e buonumore” sono gli ingredienti di un premier che punta a “disneyficare” la campagna referendaria riducendola ad uno scontro tra pessimisti e entusiasti. Una banalizzazione che è un’offesa all’intelligenza e al buon senso, prima ancora che alla Costituzione.

(il mio pezzo per Fanpage continua qui)

Quando scappa una foto

Cultura politica in movimento: da Ravenna parte la biblioteca itinerante di Possibile intitolata ad Aylan Kurdi, per portare nei parchi, nelle piazze, tra le strade libri per l’infanzia e interculturali.
In nome e nel ricordo dei bambini che scappano dalla guerra e dalla miseria e troppo spesso non siamo in grado di accogliere. via Instagram http://ift.tt/27MPizS

Dai, davvero, basta.

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Guardatela bene la foto qui sopra. Lei è la candidata PD al comune di Napoli Valeria Valente, l’ennesimo prodotto renziano sotto vuoto spinto: per candidarla hanno dovuto compensare Gennaro Migliore con un posto da sottosegretario, per dire. Ha vinto delle primarie in cui qualcuno aveva in tasca le monete da un euro per far votare truppe cammellate. «Cortesia» ha detto lui per difendersi. E al posto di censurarlo l’hanno candidato consigliere comunale, quelli del PD.

A destra c’è Denis Verdini, uno dei più bavosi turboberlusconiani che ha deciso di lasciare Berlusconi quanto tutti i topi hanno cominciato a scappare. E lui con i topi, ovviamente. Verdini è quello che ci descrivevano (Renzi in primis) come uno che «non entrerà in maggioranza» e intanto oggi ha preparato il sentiero di bava per la candidata renziana. Il problema non è nemmeno Verdini; il problema è la gigantesca presa per il culo che ci viene proposta come genialità propedeutica da parte di questo governo di bugiardi certificati, minimizzatori con premeditazione: una banda di malfattori che malfanno. Questa foto di loro due che sorridono ha lo sfondo del digrignar di denti di chi crede di poter continuare impunemente a promettere promesse che sono sistematicamente smentite.

E noi qui. Ogni volta. A prenderne atto. E a dire che è troppo. Che davvero. E invece basta. Davvero. Basta.

A che punto siamo con il reato di tortura (indietro, molto indietro)

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Attende la calendarizzazione per la discussione nell’Assemblea del Senato il disegno di legge d’iniziativa parlamentare che introduce nel nostro ordinamento uno specifico delitto di tortura, pur configurato, diversamente dalla maggior parte delle convenzioni internazionali, come reato comune (dunque realizzabile da chiunque e solo aggravato ove l’autore sia un soggetto pubblico). Rispetto al testo votato in prima lettura si registra un significativo peggioramento, dovuto alla molteplicità dei requisiti richiesti per l’integrazione della fattispecie.

Ad esempio a tal fine le violenze o minacce inferte devono essere, oltre che più di una e gravi, anche “reiterate”. Oltre a rendere più difficile la prova del reato, ciò significa che la dignità può dirsi violata solo se lo sia ripetutamente. Oltre al trattamento inumano o degradante, si dovrà provare che l’autore abbia agito “con crudeltà”: quasi impossibile vista la difficoltà di dimostrazione del movente psicologico. Perché il reato sussista, esso dovrebbe produrre, se non “acute sofferenze fisiche” un “verificabile trauma psichico”: anche in questo caso la difficoltà, della prova rischia di vanificare l’applicazione della norma. Tra le possibili relazioni di soggezione che devono caratterizzare il rapporto tra vittima e autore scompare l’affidamento all’altrui “autorità”, escludendo così il reato per quelle situazioni (proprio le più problematiche) in cui la vittima non è stata ancora sottoposta a un provvedimento formale di custodia o, peggio, nei suoi confronti sia stato adottato un atto illecito. Si rischia così di eludere proprio le situazioni nelle quali la vittima è soggetta a un potere tanto più pericoloso quanto più informale o addirittura abusivo.

(fonte)

“Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d’occuparlo.” (di Marco Pannella)

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Carissimo Andrea,
mi chiedi una “prefazione” a questo tuo libro. L’ho letto e riletto per settimane, compiendo i gesti della preparazione a una critica, a un giudizio, a una presentazione, a questa apparente ed ennesima mia complicità o connivenza con qualcuno di voi. Annoto allora quel che mi par buono, ed è molto; quello da cui dissento, che non è poco; ricorro alle categorie di bello e di brutto e trovo bei racconti, davvero, come belle sono tante pagine, passi, annotazioni cui dà ogni tanto risalto per contrasto il “brutto” della proclamazione ideologika-klassista, residuo obbligato del borghesaccio che eri e che come tutti noi rischi di tornare a essere, preoccupazione tua e di tanti altri anziché occupazione piena e creativa; proclamazione, insomma, in luogo di azione di classe. Cerco di comprendere perché mi hai chiesto questo servizio, per meglio adempierlo, umilmente e se possibile efficacemente, da compagno che accetta e vuole accrescere i labili o inadeguati motivi comuni di fiducia e di solidarietà. Non ci riesco. (…)
Tu sei un rivoluzionario. Io amo invece gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se “rivoluzionario”. Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive, ai testi più o meno sacri e alle ideologie. Credo sopra a ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello “spirituale”: alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d’evasione o individualistici – e tanto più “privati” mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m’ingegno che siano riconosciuti. Ma non è questa l’occasione buona per spiegare ai tuoi lettori cosa sia il Partito radicale; andiamo avanti.
Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d’occuparlo. Non credo ai “viaggi” e sarà anche perché i “vecchi” ci assicurano sempre che “formano” (a loro immagine) i “giovani”, come l’esercito e la donna-scuola. Non credo al fucile: ci sono troppe splendide cose che potremmo/potremo fare anche con il “nemico” per pensare a eliminarlo. E voi di “Re nudo” dite: “tutto il potere al popolo”, “erba e fucile”. Non mi va. Lo sai, non sono d’accordo.
Brucare, o fumare erba non m’interessa per la semplice ragione che lo faccio da sempre. Ho un’autostrada di nicotina e di catrame dentro che lo prova, sulla quale viaggia veloce quanto di autodistruzione, di evasione, di colpevolizzazione e di piacere consunto e solitario la mia morte esige e ottiene. Mi par logico, certo, fumare altra erba meno nociva, se piace, e rifiutare di pagarla meno cara, sul mercato, in famiglia e società, in carcere. Mi è facile, quindi, impegnarmi senza riserve per disarmare boia e carnefici di Stato, tenutari di quel casino che chiamano “l’Ordine”, i quali per vivere e sentirsi vivi hanno bisogno di comandare, proteggere, obbedire, torturare, arrestare, assolvere o ammazzare, e tentano l’impossibile operazione di trasferire i loro demoni interiori (di impotenti, di repressi, di frustrati) nel corpo di chi ritengono diverso da loro e che, qualche volta (per fortuna!), lo è davvero. Ma fare dell’erba un segno positivo e definitivo di raccordo e speranza comuni mi par poco e sbagliato. Né basta, penso, aggiungervi come puntello il vostro “fucile”.
La violenza dell’oppresso, certo, mi pare morale; la controviolenza “rivoluzionaria”, l’odio (“maschio” o sartrianamente torbido che sia) dello sfruttato sono profondamente naturali, o tali, almeno, m’appaiono. Ma di morale non m’occupo, se non per difendere la concreta moralità di ciascuno, o il suo diritto ad affermarsi finché non si traduca in violenza contro altri; e quanto alla natura penso che compito della persona, dell’umano, sia non tanto quello di contemplarla o di descriverla quanto di trasformarla secondo le proprie speranze. Insomma, quel che vive, quel che è nuovo è sempre, in qualche misura, innaturale.
Perciò non m’interessa molto che la vostra violenza rivoluzionaria, il vostro fucile, siano probabilmente morali e naturali, mentre mi riguarda profondamente il fatto che siano armi suicide per chi speri ragionevolmente di poter edificare una società (un po’ più) libertaria, di prefigurarla rivoluzionando se stesso, i propri meccanismi, il proprio ambiente e senza usar mezzi, metodi, idee che rafforzano le ragioni stesse dell’avversario, la validità delle sue proposte politiche, per il mero piacere di abbatterlo, distruggerlo o possederlo nella sua fisicità.
La violenza è il campo privilegiato sul quale ogni minoranza al potere tenta di spostare la lotta degli sfruttati e della gente; ed è l’unico campo in cui può ragionevolmente sperare d’essere a lungo vincente. Alla lunga ogni fucile è nero, come ogni esercito e ogni altra istituzionalizzazione della violenza, contro chiunque la si eserciti, o si dichiari di volerla usare.
Se la lotta rivoluzionaria presupponesse davvero necessariamente: morte di compagni, il loro “sacrificio” e questa esemplarità, la “presa” del potere; e, a potere preso, o nelle more della conquista, il ripetere contro i nemici i gesti per i quali io sono loro nemico, gesti di violenza, di tortura, di discriminazione, di disprezzo, consideratemi pure un controrivoluzionario, o un piccolo borghese da buttar via alla prima occasione.
Non sono, infatti, d’accordo. L’etica del sacrificio, della lotta eroica, della catarsi violenta mi ha semplicemente rotto le balle; come al “buon padre di famiglia”, al compagno chiedo una cosa prima d’ogni altra: di vivere e d’essere felice. Penso, personalmente, che avendo un certo bagaglio di speranze, di idee e di chiarezza non solo questo sia possibile, ma che non vi sia altro modo per creare e vivere davvero la felicità. Ma esser “compagno” (come esser padre) non è scritto nel destino né prescritto dal medico. Se le vie divergono, lo constateremo e cercheremo di comprendere meglio. Ma basta con questa sinistra grande solo nei funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste, nelle celebrazioni: tutta roba, anche questa, nera: basta con questa “rivoluzione” clausevitziana, con le sue tattiche e strategie, avanguardie e retroguardie, guerre di popolo e guerre contro il popolo, di violenza purificatrice e necessaria, di necessarie medaglie d’oro; la rivoluzione fucilocentrica o fucilocratica, o anche solo pugnocentrica o pugnocratica non è altro che il sistema che si reincarna e prosegue. Non solo il “Re” ma anche questa “Rivoluzione” vestita di potere e di violenza è nuda, Andrea. Tollera ch’io lo scriva nel tuo libro, se questa lettera sarà accolta come prefazione. E tollera molto altro…
Siete, sei “antifascista”, antifascista della linea Parri-Sofri, lungo la quale si snoda da vent’anni la litania della gente-bene della nostra politica. Noi non lo siamo. Quando vedo nell’ultimo numero di “Re nudo”, ultima pagina, il “recupero” di un’“Unità” del 1943 con cui si invita ad ammazzare il fascista, dovunque capiti e lo si possa pescare, perché “bisogna estirpare le radici del male”, ho voglia di darti dell’imbecille. Poi penso che tutti sono d’accordo con te, tranne noi radicali, e sto zitto, se non mi costringi, come ora, a parlare e a scrivere. Capisco le vostre ragioni: anche voi dovete dimostrare (a voi stessi?) che il Pci è oggi degenerato; che ieri era meglio d’oggi; che quando aveva armi e potere rivoluzionario era più maschio, più coraggioso, più duro e puro. Invece (come Partito, qui non parliamo dei “comunisti”) era semmai, peggio, perfino molto peggio d’oggi. Comunque non era migliore sol perché teorizzava qua e là l’assassinio politico e popolare come atto di igiene e di garanzia contro “il male”. Per chi l’ha ammazzato, certamente, Trotzkij era peggio e più schifoso d’un fascista, e ancor più profonda radice del male. Ma, per voi che riesumate, a onta dell’“Unità” di oggi, quella di ieri, credendo di legarvi così alle tradizioni di classe, popolari, operaie, non c’era davvero nulla di meglio da recuperare che questi concetti controriformistici, barbari, totalitari, contro le “radici del male”?
Tu che hai “compreso”, ti sei sentito “compagno” di Notarnicola (e hai fatto bene); tu che hai vissuto almeno quanto me fra sottoproletari, paria, emarginati, come puoi non comprendere il fascismo di questo antifascismo? Come puoi, ancora, sopportare l’inadeguatezza dell’ingiuria, dell’insulto, del disprezzo, del manicheismo dozzinale, classista, non laico, fariseo, nello scontro di classe che cerchiamo di vivere e di sostenere, nel viver diverso e nuovo che presuppone e che genera? Perché, anche tu, fra fucile, antifascismo e poteri-al-popolo-a-pugno-chiuso, continui a vivere di quella vecchia nuova-sinistra che così puntualmente e efficacemente denunci nel libro?
Come noi radicali, voi renudisti sostenete che non esistono dei “perversi”, ma dei “diversi”. Nelle famiglie, nelle scuole, nelle fabbriche o negli uffici perfino i torturatori sono anch’essi, in primo luogo e, generalmente delle vittime. Tranne che per certi psikanalisti, uccidere il padre non è la soluzione, non aiuta a superare l’istituzione, la famiglia; o non basta e non è comunque necessario.
Sosteniamo, insieme, che non esistono nelle carceri, negli ospedali, nei manicomi, nelle strade, sui marciapiedi, nei tuguri, nelle bidonville, dei “peggiori”, ma anche lì, dei “diversi” malgrado la miseria (che è terribile proprio perché degrada, muta, fa degenerare: e se no, perché la combatteremmo tanto?), malgrado il lavoro che aliena (che rende “pazzi”), malgrado che lo sfruttamento classista sia “secolare”, quindi incida sull’ereditarietà. Sognamo – e v’è rigore e responsabilità nei nostri sogni – una società senza violenza e aggressività o in cui, almeno, deperiscano anziché ingigantirsi e esservi prodotte. Sosteniamo che è morale quel che tale appare a ciascuno. Lottiamo contro una “giustizia” istituzionale (e “popolare”) che ovunque scambia diversità per perversione, dissenso per peccato.
Come possiamo, allora, recuperare proprio in politica, nella vita di ogni giorno nella città, il concetto di “male”, di “demonio”, di “perversione”? Quel che voi chiamate “fascista” si chiama “obiettore di coscienza”, “divorzista”, “abortista”, “corruttore radicale”, “depravato”, per altri. La “stella gialla” dei ghetti è un emblema terribile, ma non meno per chi l’impone che per chi l’indossa. Ma chi sono, poi, questi “fascisti” contro i quali da vent’anni vi costituite (non dirmi che non c’entri, che sei troppo giovane: qui parliamo di generazioni politiche, le uniche che contino), in unione sacra, in tetro e imbelle esercito della salvezza?
Mussolini, Vittorio Emanuele III, Farinacci, i potenti che seppero imporre un regime vincente, senza più vera opposizione, qual era il fascismo in Italia, furono spazzati via dalla guerra; senza la quale essi sarebbero ancora al potere come i Franco e i Salazar. Furono abbattuti solo perché ritennero che, entrando nel conflitto, avrebbero guadagnato “con poche migliaia di morti” il diritto di sedersi al tavolo della pace dalla parte dei vincitori.
Il vero fascismo fu il loro, non quello della Rsi; nato morto, senza potere autonomo. Dal 1948, in Italia, tutte le forze politiche si sono mobilitare per “ricostruire lo Stato”: questa “ricostruzione” fu la bandiera degli anni cinquanta. In questa ricostruzione che continua ininterrotta, in questa oppressione che si è riaffermata, che ha ritrovato la sua continuità e aumentato la sua forza, dove sono mai i “fascisti” se non al potere e al governo? Sono i Moro, i Fanfani, i Rumor, i Colombo, i Pastore, i Gronchi, i Segni e – perché no? – i Tanassi, i Cariglia, e magari i Saragat, i La Malfa. Contro la politica di costoro, lo capisco, si può e si deve essere “antifascisti”, cioè “antidemocristiani”. Noi radicali lo siamo. Lo sono anch’io, il più laicamente e spassionatamente, cioè il più chiaramente e duramente, possibile.
Poiché non siamo fatti di sola razionalità, verso e contro costoro è giusto che anche la nostra emotività venga mobilitata, secondata. Quanto di sdegno, d’istinto, possiamo avere non può che essere pienamente indirizzato contro i successori reali, storici, del fascismo dello Stato. Questo, e non l’altro, è il concreto fronte politico sul quale oggi si lotta.
Invece, sotto la bandiera antifascista, si prosegue una tragica operazione di digressione. Come se, negli anni in cui il fascismo si affermava, si fossero mobilitate le energie democratiche e popolari innanzitutto contro i Dumini e gli altri assassini materiali di Matteotti, dei Rosselli, degli antifascisti; o se pensassimo davvero che fu “fascismo” quello dei ragazzi ventenni che casualmente e “stupidamente” indirizzarono la loro generosità e la loro sete di sacrificio verso la Repubblica sociale, divenendo poi “oggettivamente” sicari dei tedeschi e dei nazisti, assassini e torturatori. Scatenando, rilanciando la caccia contro gli Almirante e gli altri ausiliari di classe, di chiesa, di Stato, facendone i demoni, dando loro dignità di “male”, dirottando sdegno, rabbia, rivolta, contro di loro, servite oggettivamente il potere, il fascismo, quali oggi concretamente vivono e prosperano nel nostro paese. In tutta questa vostra storia antifascista non so dove sia il guasto maggiore: se nel recupero e nella maledizione d’una cultura violenta, antilaica, clericale, classista, terroristica e barbara per cui l’avversario deve essere ucciso o esorcizzato come il demonio, come incarnazione del male; o se nell’indiretto, immenso servizio pratico che rende allo Stato d’oggi e ai suoi padroni, scaricando sui loro sicari e su altre loro vittime la forza libertaria, democratica, alternativa e socialista dell’antifascismo vero. Il fascismo è cosa più grave, seria e importante, con cui non di rado abbiamo un rapporto di intimità. Altro che roba da “vietare” con la “legge Scelba” (serve a “sciogliere” la Dc?), da reprimere con qualche denuncia a qualche carabiniere, per legittimare meglio la funzione antioperaia, o da linciare a furor di popolo! Il rapporto fra fascismo-capitalismo e sinistra è complesso, allarmante, incombente, presente, ambiguo, da oltre cinquant’anni, 1973 compreso.
Ma basta. Se tutto quello su cui sono andato scrivendo finora ci divide, Andrea, nulla di ciò è essenziale nel tuo libro, o nell’esistenza che vi si affaccia e si esprime, e che conosco. Tu, a Milano, noi altrove, abbiamo dovuto e forse saputo, ogni giorno per anni quanto lunghi, inventare tutto, rifiutare ogni strumento esistente, ogni scorciatoia, ogni facilità, per poter avanzare almeno di un poco. I mezzi che ci si offrivano già pronti, che facevano la forza apparente di tanti altri, non erano omogenei, non prefiguravano quel che cerchiamo, e cerchiamo di costruire.
La fantasia è stata una necessità, quasi una condanna, piuttosto che una scelta; sembrava condannarci a esser soli, voi lì, noi ancora più sparsi e con più fronti addosso. Così abbiamo parlato come abbiamo potuto e dovuto, con i piedi, nelle marce, con i sederi, nei sit-in, con gli happening continui, con erba o con digiuni, obiezioni che sembravano “individuali” e “azioni dirette” di pochi, in carcere o in tribunale, con musica o con comizi, ogni volta rischiando tutto, controcorrente sapendo che un solo momento di sosta ci avrebbe portato indietro di ore di nuoto difficile, troppo spesso considerati “diversi” dai compagni e colmi invece d’attenzioni continue, di provocazioni, di colpi da parte dei pula e non dei minori.
Abbiamo durato, rifiutando di sopravvivere, ricominciando sempre, facendo anche delle sconfitte materia buona per dar volto e corpo alle nostre testarde, e alla fine semplici e antiche, speranze. Noi abbiamo colto qui qualche successo che tutti ora riconoscono. Tu anche, ma eri più solo. Ho sempre pensato a te come a un compagno impegnato in un’opera comune, in lotte necessariamente convergenti e da organizzarsi insieme. Tu no, è questa la differenza. Quando accettai, e tenni a lungo, la “direzione responsabile” di “Re nudo”, fra decine d’altre, non era per abitudine, o con indifferenza. Non eri un nome di più, un ennesimo compagno di un’ora o d’una occasione. Un compagno assente, certo. L’altra faccia del tuo libro, vorrei che tu lo comprendessi, sono le lotte che abbiamo dovuto condurre senza di te, su cui era giusto e naturale contare, perché le condividevi e le condividi. Le battaglie per i diritti civili sono mancate a tutto il Movimento: un inconsapevole razzismo di generazione, un rifiuto di “politica” (quella senza kappa) un po’ da struzzi, in proposito, un rozzo paleo-marxismo (in moltissimi, non in te), un’indifferenza che era cecità dinanzi a concreti scontri di classe e libertari, hanno fatto strage soprattutto a Milano. (…)

(Marco Pannella, prefazione a “Underground: a pugno chiuso” (Arcana editrice) scritto da Andrea Valcarenghi, 1973)

L’acqua potabile gratis. A Riace.

acqua

A proposito di buone pratiche:

«Riace potrà usufruire dell’acqua potabile gratuitamente. Il sindaco Mimmo Lucano, ormai noto alle cronache dopo essere stato inserito dalla rivista Fortune nella lista delle 50 persone più influenti del mondo, ha trovato il modo per svincolarsi dalla Sorical e risparmiare molti soldi: scavare un pozzo.

Grazie ad un progetto del geologo Aurelio Circosta ed al lavoro di un’impresa di Reggio, si è scavato per 160 metri fino a trovare l’acqua in località Niscia l’Acqua, dove è presente una antica falda risalente a 40 milioni di anni fa. Dai risultati delle prime analisi microbiologiche, l’acqua risulta pura. Un’elettropompa la spingerà nelle condutture comunali, e dal 2017 i cittadini riacesi potranno usufruirne gratuitamente.

La cifra complessiva per i lavori dell’opera sarebbe di circa 80 mila euro; briciole se rapportata alla spesa di 180 mila euro all’anno che il Comune di Riace corrisponde alla Sorical. Da sottolineare, infine, che i soldi necessari al completamento dell’opera saranno quelli risparmiati una volta interrotto il contratto con la Sorical (nel luglio prossimo).»

(fonte)

Leggere la sentenza, magari, su Beppe Sala

sala

Insomma ci dicono che la questione dell’incandidabilità di Sala sia l’ennesimo bluff degli ennesimi gufi. Che in verità questa volta sono grilli (è il M5S) ma ormai il gufo è un animale onnicomprensivo. E anzi se spiate sulle bacheche Facebook dei candidati in sostegno a Sala vedrete che lamentano questa “perdita di tempo” che hanno dovuto sorbirsi. E allora forse vale la pena leggere la sentenza:

«L’ineleggibilità deve essere tenuta nettamente distinta dall’incandidabilità. Quest’ultima implica l’impossibilità di prendere parte, fin dall’inizio, alla competizione elettorale (T.A.R. Catania, sez. III, 25/03/2015, n. 843) e conduce alla nullità delle elezioni (si veda quale dato positivo in tal senso le disposizioni di cui al D.lgs. n. 235/2012), a differenza, invece, dell’ineleggibilità che non invalida l’ammissione della lista e comporta, quale unico effetto, la decadenza del solo candidato, senza ulteriori conseguenze sugli altri esiti del voto (T.A.R. Campobasso, sez. I, 19/02/2010, n. 134) […]

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Il conato in difesa di Dell’Utri

Sta succedendo qualcosa, anche se sembra non accorgersene nessuno: sta partendo una lurida campagna per chiedere a Mattarella la grazia per Marcello Dell’Utri. Il giochino è semplice: Il Giornale e Libero che cercano di intervistare qualcuno sedicente di sinistra (sono gli unici che credono ancora a Sansonetti, per dire) e continuano ad attaccare il reato di concorso esterno mafioso. Qui trovate un vigliacco esempio.

E allora ci vorrà tutta l’intelligenza e il sapere per contrastare una campagna di di disinformazione. Tutta. Per questo L’amico degli eroi ora diventa un lavoro sui cui mi spenderò ancora di più. Ancora più a lungo.

Intanto, se volete, qui trovate il nostro libro e qui tutte le informazioni per venirci a vedere a Milano.