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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Nicoli Cristiani era così innocente che adesso vuole patteggiare

Ecco la notizia:

L’ex vice presidente del Consiglio Regionale della Lombardia Franco Nicoli Cristiani e l’ex dirigente dell’Arpa Giuseppe Rotondaro, nel corso dell’udienza preliminare per la discarica a Cappella Cantone (Cremona), hanno chiesto di patteggiare, mentre altri 7 imputati, tra cui l’imprenditore Pierluca Locatelli hanno presentato istanza di processo con rito abbreviato. La proposta di patteggiamento da parte di Nicoli Cristiani è arrivata, quasi a sorpresa e via fax, in udienza ma la pena definitiva deve ancora essere «limata» in accordo con il pm Paolo Filippini.

Lucrare sul sangue

Se la memoria avesse la sua stessa etica sarebbe finita male:

“Yara Gambirasio, Salvini: troppi stranieri, ecco i risultati”

(Matteo Salvini, 6.12.2010, Repubblica)

Il pezzo che sempre manca, sempre sottovoce, sempre timidamente

Il pentito Iovine parla. Hanno esultato tutti, giustamente, per potere ascoltare le parole del capo dei Casalesi. Qualcuno ha (ovviamente) preso i meriti perché da Maroni in poi si può magnificare un arresto di latitante semplicemente per il fatto di essere parlamentare, nell’antimafia elettorale funziona così. Anche le gomorriadi hanno beneficiato dell’arresto nonostante non si sentano più quelli che con faciloneria (e sono tanti illustri antimafiosi) ci dicevano che Roberto Saviano e Rosaria Capacchione non rischiassero nulla mentre Iovine conferma il contrario. Però Iovine non sta parlando solamente di quegli elementi funzionalissimi di merda e sangue così buoni da dare in pasto all’opinione pubblica, no, ha dichiarato di avere dato soldi a destra e a sinistra ai sindaci del territorio e ultimamente ha aggiunto altro:

«C’era tutta una struttura che girava nel Tribunale di Napoli che riusciva ad aggiustare i processi. Me lo ha detto l’avvocato Michele Santonastaso. Mi disse che occorrevano 250mila euro. I soldi servivano per corrompere i giudici. E non era la prima volta che Santonastaso mi chiedeva soldi per aggiustare i processi in Corte d’Appello»

Questi, i giudici o gli avvocati o i magistrati o i membri delle forze dell’ordine corrotti, rimangono sempre sotto traccia, sotto voce, come se fossero una malattia passeggera mentre i fatti dimostrano (e non mi stancherò mai di scriverlo) che ci vogliono parecchi corruttibile per rendere possibile uno Iovine e abitabile per lui l’ambiente tutto intorno.

Operazione “Fiume” scardina lo Zen

GUIDO-kElG-U43020613315640AC-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Una vasta operazione antimafia, denominata in codice ‘Fiume’, è stata eseguita stamane a Palermo. Cento gli agenti della Dia coinvolti, 17 le ordinanze di custodia cautelare con le accuse di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti ed estorsione. Tra gli arrestati figura anche Guido Spina, indicato dagli investigatori come il capomafia dello Zen. Numerosi tra gli arrestati gravitano nel quartiere Zen, uno dei più degradati alla periferia occidentale della città.

La droga arrivava a Palermo dalla Calabria e dalla Puglia. Cocaina che veniva spacciata a fiumi allo Zen. Il traffico era in mano a Spina, che nella sua villa bunker ripeteva di essere stato investito direttamente dai capimafia di un tempo.
Spina nelle intercettazioni chiamava i boss i “cristiani buoni”. L’uomo, 49 anni, sapeva come fare contenti i residenti dello Zen: nel quartiere periferico di Palermo nel corso di una festa a sue spese ha invitato il suo cantante preferito, il neomelodico Gianni Vezzosi. Il cantante, molto noto nei quartieri popolari palermitani, quella sera ha cantato ai boss “O killer”, la storia di un sicario di mafia, e “Lettera a papà”, la giornata di un detenuto.
L’operazione ha smantellato le cosche che operano nello storico mandamento di San Lorenzo e Tommaso Natale. Spina ordinava numerose estorsioni sia nei confronti di esercizi commerciali sia ai danni degli abitanti dei cosiddetti padiglioni dello Zen. Avrebbe gestito anche la cassa della famiglia mafiosa, provvedendo al mantenimento in carcere degli affiliati detenuti.

La sua villa, sempre allo Zen, sarebbe stata una vera e propria roccaforte, dotata di sofisticati sistemi di sicurezza e trasformata in una sorta di supermercato della droga all’ingrosso e dettaglio. Una vera e propria catena di montaggio, sostengono gli inquirenti, in cui veniva impiegato tutto il nucleo familiare.
La cosca non si occupava solo dello spaccio di cocaina e del pizzo ai commercianti e agli imprenditori: vessava anche chi occupava le case popolari nei padiglioni dello Zen; un “obolo” in cambio di acqua e pulizia.
Spina, pluripregiudicato per droga e mafia, era agli arresti domiciliari per motivi di salute. Le microspie piazzate dagli uomini della Dia hanno però accertato che stava bene. Adesso è in carcere al 416 bis.

Il direttore nazionale della Dia, Arturo De Felice, commentando in conferenza stampa il blitz, ha detto: “Il valore aggiunto in questa operazione è quello sociale. Siamo riusciti a penetrare in un quartiere roccaforte della mafia dove fino a qualche tempo fa era impensabile penetrare”. “È il frutto di un lavoro lungo e difficile, ottenuto grazie alla sinergia con la Procura distrettuale antimafia e alla professionalità dei nostri uomini – ha aggiunto -. La guerra prosegue, in nome dei cittadini onesti. Parecchie persone, benché timidamente e con discrezione si sono affacciate sull’uscio per manifestare un momento di sollievo e fiducia nelle istituzioni”.

“Allo Zen le cose cambiano molto lentamente – ha aggiunto il procuratore Francesco Messineo –. Si palesa come una zona franca, nonostante gli sforzi investigativi c’è molto da fare. Al lavoro incisivo delle forze di polizia e della magistratura non si accompagna una analoga operazione da parte delle altre autorità”. Messineo ha poi descritto l’ambiente del quartiere Zen. “È una zona con abusivismo imperante. Si registrano estorsioni di piccole somme, riscosse settimanalmente, pagate da chi abita nella zona – ha aggiunto –. È un vero e proprio prelievo tributario. Nell’ottica di un anno è una sorta di piccola Imu che viene riscossa per segnare il territorio. Per fare capire che c’è qualcuno a cui bisogna rendere conto. C’è da sperare che vi siamo piccoli segni di cambiamento. Il fatto che non ci sia stata la reazione del quartiere contro le forze dell’ordine è già un segno di speranza”.

Non la pensa allo stesso modo l’aggiunto Teresa Principato: “Speranza, ottimismo? Non mi sento sinceramente di nutrire questi sentimenti. Innanzitutto perché per lo spaccio queste persone erano già state arrestate. Una di queste gestiva l’organizzazione dagli arresti domiciliari. Il collaboratore Salvatore Giordano – ha spiegato – ci dice che annotava le entrate per riferire tutto a Guido Spina. Ritroviamo una forte componente familiare nell’attività di spaccio, questo significa che in quel quartiere afflitto dal degrado ancora oggi intere famiglie vivono di droga. L’organizzazione riesce a superare eventi come il sequestro di notevoli quantitativi di stupefacenti, che significa perdita di grosse somme di denaro. Riesce a superare gli arresti e le collaborazioni di giustizia. Riteniamo, dunque, che l’organizzazione sia ben strutturata e radicata. Elemento nuovo dell’operazione – ha concluso – è il fatto di ritrovare la Puglia come canale di approvvigionamento della droga”.

Secondo il procuratore aggiunto Vittorio Teresi“Lo Zen è territorio chiuso, auto protetto e difficile da penetrare. Ecco perché soltanto individuando i vertici operativi da subito si ottengono i risultati investigativi. Guido Spina è stato posto al vertice del gruppo dello Zen 2 da chi comanda veramente, come lui stesso diceva. Dobbiamo evitare di cadere ancora una volta nella trappola di uno Spina che sfugge al carcere in quanto trapiantato di fegato – ha sottolineato l’aggiunto -. Una volta libero si muoveva con disinvoltura nel suo territorio e fuori. Insomma, non ha alcun tipo di difficoltà dovuto alle sue condizioni di salute. Speriamo che sia assicurato alle patrie galere per il tempo che sarà stabilito da un giudice. La mafia riesce a individuare il quantum da richiedere alla vittima delle estorsioni perché superando il limite di tolleranza si corre il rischio della denuncia. In via Gino Zappa tutti i piccoli commercianti pagavano cinque euro a settimana. Difficilmente si può dire di no a questa cifra anche per la capacità di intimidazione di chi te la chiede. Chiedere una somma piccola significa seminare il terrore in un’intera strada”.

Questi gli altri arrestati: Nicolò Cusimano, 34 anni; Antonino Di Maio, 61 anni; Alba Li Calsi, 47 anni; Antonino Spina, 23 anni; Angela Spina, 29 anni; Maria Valenti, 39 anni; Francesco Firenze, 37 anni; Vito Compierchio, 53 anni; Massimiliano Fanara, 40 anni; Maurizio Di Stefano, 36 anni; Paolo Meli, 54 anni. In carcere il provvedimento è stato notificato a Vincenzo Cosenza, 43 anni; Pietro Vitale, 32 anni; Salvatore Vitale 57 anni; Letterio Maranzano, 28 anni; Giuseppe Leto, 44 anni.

[Informazioni tratte da ANSAGdS.itLasiciliaweb.itLiveSicilia.it] GuidaSicilia

Deficienza politica

Nel calore della passione ogni cosa par che si sollevi con chi la porta in sé. Illusioni: bolle di sapone, che possono a un tratto diventar palle di piombo.

Luigi Pirandello, I vecchi e i giovani, 1913

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Dopo il ribollir di rabbia, la ribollita d’idiozia del leghista.

La pettegola

La pettegola sta tutto il giorno nascosta dietro la porta del suo pianerottolo e scende solo un paio di volte al giorno per dire al portinaio che ognuno deve farsi i fatti propri, che il garantismo facilita la convivenza nel condominio. La pettegola dice che ognuno a casa propria deve essere padrone, che di solito gli stranieri vengono tutti qui sul portone per rubare in casa degli altri e che “il più bel tacer non fu mai scritto”:

Eppure la pettegola la riconosci che è pettegola, però, perché è la prima a puntare il dito per quella macchia sulle scale. Anche se si pente subito dopo.

Camera - legge di stabilita'

Ora si può scrivere: il giudice è mafioso

Quando i cattivi sono quelli pagati per essere buoni:

11298fotoLa corte d’Appello di Milano ha condannato l’ex giudice del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio a 4 anni e 5 mesi di reclusione riducendo lievemente la pena inflitta in primo grado a 4 anni e 7 mesi. Il giudice è accusato di corruzionerivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento aggravato per aver agevolato l’attività del clan della ‘ndrangheta Valle-Lampada. La corte d’Appello di Milano ha poi condannato l’ex consigliere della Regione Calabria Francesco Morelli a una pena di 8 anni e 3 mesi (in primo grado aveva avuto 8 anni e 4 mesi).

La quarta corte d’Appello di Milano ha poi condannato Raffaele Fermino a 4 anni e 8 mesi di reclusione, il medico Vincenzo Giglio a 7 anni di carcere, Leonardo Valle a 8 anni e 6 mesi, Francesco Lampada a 3 anni e 8 mesi, l’ex militare della Guardia di finanza Luigi Mongelli a 4 anni e 5 mesi di reclusione, Maria Valle a 2 anni e 9 mesi di reclusione e altri tre finanzieri, Luciano RussoMichele Noto e Michele di Dio, a 3 anni e 9 mesi di reclusione. In primo grado, questi ultimi tre, erano stati invece assolti. Le motivazioni dei giudici saranno depositate entro 90 giorni. Il procedimento concluso oggi in appello riguarda le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia.

(link)

 

Il partito della fiducia

Massimo Bray (uno dei Ministri di cui avremmo bisogno) riprende sul suo sito il tema della (s)fiducia nella politica. Il partito della fiducia è una minoranza ben più piccola del computo totale dei votanti. già misero, in cui stanno anche i professionisti delle prebende e dei personalissimi stretti ritorni economici. Raramente ci capita e ci succede di sentire in ambito politico una fiducia “etimologica”, cioè qualcuno che speri che si realizzino i progetti in cui crede, in un momento dove anche il meno peggio può raggiungere percentuali a due cifre. Per questo la ricostruzione di un’area politica che “faccia” la sinistra non può che passare attraverso la ricostruzione di un modello di cittadinanza profondamente diverso nel curare le proprie speranze senza svenderle a nessuno, senza nomi, senza salvatori ma semplicemente (e non è per niente semplice) aderenti ad un progetto. Come scrive Bray:

La fiducia si basa principalmente – e naturalmente – sulla percezione di una possibile realizzazione delle aspettative: l’unico genere di società in grado di rendere felici i suoi cittadini è la repubblica virtuosa, la res pubblica ciceroniana, nella quale tutte le leggi sono rivolte al bene pubblico e i governanti agiscono nell’interesse del popolo. La repubblica ‘virtuosa’ è tale in quanto edificata su una serie di valori condivisi e rispettati. Il rischio insito in una perdita di fiducia, dunque, è quello di rendere difficile, o anche impossibile, come accennavo prima, quei processi di identificazione dei rappresentati con i rappresentanti che sono stati da loro direttamente o indirettamente delegati a gestire la cosa pubblica; di rendere difficile o impossibile che le forze positive che vengono, per così dire, dal basso, vale a dire dall’impegno individuale e collettivo dei singoli e dei gruppi, possano incontrarsi con le responsabilità di chi ha il compito istituzionale di gestire l’ambito pubblico nell’interesse della comunità.

Ho avuto già occasione di riflettere, in altre occasioni, su quello che è forse il dato che più mi ha colpito durante i dieci mesi nei quali ho ricoperto la carica di Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo: nei moltissimi incontri, nelle moltissime occasioni di dialogo e di ascolto, nelle numerose esperienze di conoscenza con tante realtà del nostro Paese che mi sono state offerte dal mio ruolo, mi sembra di aver colto soprattutto un forte bisogno di cambiamento, una forte richiesta di attenzione: quell’energia positiva che attraversa l’Italia alla quale accennavo prima, un’energia che rappresenta la parte migliore del Paese, un’energia che chiede un futuro differente, un’energia sulla quale siamo chiamati a costruire il nostro futuro. Perché questo sia possibile, tuttavia, è necessario ricostruire la fiducia; e per far questo occorre che cambi il modo di fare politica, occorre ripensare i modi, le forme, i contenuti dell’impegno della politica e delle istituzioni.

In questo senso, vale la pena tornare a riflettere su quella che può apparire, e indubbiamente è, una nozione ben nota, che tuttavia vorrei recuperare in chiave non soltanto critica, ma anche propositiva. La nozione è quella per la quale l’epoca in cui ci troviamo a vivere è caratterizzata dal predominio dell’apparire sull’essere: un fenomeno che pervade ogni aspetto della comunicazione e della vita associata, e che può essere sintetizzato, con riferimento più diretto alla vita politica, nel semplice assunto per il quale, mentre in passato un esponente politico ‘compariva’ perché si era guadagnato la notorietà con le proprie azioni rivolte alla difesa del bene pubblico, oggi viceversa si è famosi perché si compare, a prescindere da qualsiasi merito personale o da qualsiasi altra considerazione. Quando invece occorrerebbe forse sovvertire questo paradigma, rinunciando preventivamente ad apparire e concentrandosi esclusviamente sul ‘fare’. Non si tratta, si faccia attenzione, di un’istanza etica, o – in ogni caso – esclusivamente etica: la rinuncia all’apparire si lega anche, infatti, a un più diretto impegno per il bene comune, a una concezione dell’agire politico come servizio alla comunità, contrapposto ad ogni forma di sterile protagonismo. Mi piace ricordare a tale proposito come nello scrivere, nelle Origines, la storia di Roma dalla fondazione all’epoca a lui contemporanea, Catone sceglieva di non chiamare per nome i singoli condottieri, vale a dire i massimi protagonisti delle vicende da lui narrate: una scelta che potrà apparire oggi certamente estrema, ma con la quale egli intendeva opporsi al culto carismatico dei membri delle famiglie nobili, elaborando una concezione della storia di Roma come opera collettiva del suo popolo, e contrapponendo in tal modo al prestigio delle gentes quello della res publica. E mi piace ricordare anche, recuperando – con qualche cautela in più – un esempio a noi più distante dal punto di vista sia geografico che cronologico, quelle società primitive dell’America Meridionale descritte da Pierre Clastres, l’antropologo considerato da molti l’erede di Claude Lévi-Strauss, nel libro intitolato, significativamente, La società contro lo Stato: le società cosiddette ‘senza potere’, nelle quali il capo è al servizio della comunità, e non viceversa.

 

Ecologia nella cronaca

Anche per la mia esperienza personali non posso non sottolineare due punti del post di Alessandro:

2. Sto pensando di costituirmi parte civile contro tutte quelle testate che parlando del genitore biologico di Giuseppe Bossetti lo definiscono “il vero padre” (tipo La Stampa, pagina 5). Il vero padre, se c’è stato, e buono o pessimo che sia stato, è quello che ha cresciuto Giuseppe dalla nascita all’età adulta, come sa qualunque genitore adottivo: non chi si è fatto una trombata quarant’anni fa poi è sparito. Qui siamo ai basici, eh.

3. E no, Bossetti non è un “figlio illegittimo”, come hanno detto tivù, giornali, siti e radio: i figli non sono mai illegittimi, né per la legge (vedere diritto di famiglia) né per chi conosce l’italiano. Semmai del famoso autista di autobus il signor Bossetti è figlio biologico: e se proprio non vi viene, va bene anche naturale. Ma illegittimo, proprio no, grazie, e pure da parecchi anni.

«A me risulta che altri lasceranno, nei prossimi giorni»

Il deputato Michele Ragosta, eletto nel partito Sinistra Ecologia Libertà, ha annunciato di aver deciso di cambiare gruppo parlamentare, passando a quello del Partito Demcratico. In una breve intervista su Repubblica, Ragosta – che si dice “uno dei fondatori di SEL” – spiega che quello è “rimasto un partito del Novecento, inadeguato” e che lui viene dal PCI e “oggi torno a casa”. E aggiunge:

«A me risulta che altri lasceranno, nei prossimi giorni»

(link)