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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Gaza: pavida Italia

Gaza_to_face_a_holocaust_2_by_Latuff2Il consiglio dell’Onu per i diritti umani ha approvato a Ginevra una risoluzione che chiede una commissione di inchiesta internazionale per condurre un’indagine su tutte le violazioni nella Striscia di Gaza. Il testo è stato approvato dai 47 paesi membri, con un voto contrario, quello degli Usa, 29 voti a favore, e 17 astensioni (tra le quali quella dell’Italia e di altri Paesi europei).

La risoluzione condanna con forza le “vaste, sistematiche e flagranti violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali derivanti dall’operazione militare israeliana nei Territori palestinesi occupati dal 13 giugno” ed in particolare il “recente assalto nella Striscia di Gaza” e chiede l’invio urgente di una commissione di inchiesta.

L’Italia si è astenuta. Davvero.

La favola BreBeMi

Guardate questa foto:

Ue:Renzi,con programma 1000 giorni ci prendiamo flessibilità

Vedere insieme Roberto Maroni, Maurizio Lupi, Matteo Renzi con alle loro spalle (che spingono per potere apparire in foto) i consiglieri regionali Mario Barboni (PD) e Mauro Parolini (NCD) può dare il polso dell’asservimento politico alla retorica delle “grandi opere”. In questo caso si tratta della BreBeMi ma il meccanismo è applicabile a qualsiasi altra opera. Ora provate a chiedervi: se l’avesse fatto Berlusconi?

Per informazioni sulle bugie (e l’inutilità) di BreBeMi potete leggere Luca Martinelli qui:

Chi avesse avuto la pazienza di ascoltare gli interventi di Roberto Maroni, Maurizio Lupi e Matteo Renzi alla cerimonia di inaugurazione della BreBeMI, avrà provato l’incredibile sensazione di “vivere dentro uno spot”, l’affresco molto romanzato di un Paese “in movimento”, in auto (come sempre).
Ci può stare, perché era -in fondo- la passerella per celebrare “la Grande Opera”, e spargere un po’ di ottimismo o anche intorno ad Expo, cui l’autostrada tra Brescia e Melzo sarebbe collegata. 

Dispiace però (ri)leggere oggi sui quotidiano le banalità e la false informazioni gettate nell’arena dalla politica, per cui vale la pena puntualizzarne almeno alcune.

È falso che la BreBeMi rappresenti in esempio di concorrenza per le autostrade lombarde. Non esiste la “concorrenza” sulla rete autostradale, affidate in concessione ad un unico soggetto. A meno di non considerare “concorrenti” due infrastrutture che corrono parallele (in questo caso la nuova A35 e la A4), ma probabilmente -prendendo in considerazione il consumo di suolo legato alle opere viarie e complementari- questa “concorrenza” avrebbe un costi sociale ed ambientale troppo elevato.

La concorrenza, semmai, avrebbe dovuto caratterizzare la fase dei lavori per realizzare l’opera, ma per le autostrade realizzate in project financing il fastidioso meccanismo delle gare d’appalto e del “vinca la migliore offerta” sono cancellate. Per questo tra i soci del concessionario ci sono grandi imprese di costruzioni, che hanno potuto anche svolgere direttamente e senza alcuna procedura competitiva i lavori, il cui costo è di circa 1,6 miliardi di euro (cui andrebbero aggiunti, per calcolare il costo complessivo dell’opera, almeno 800 milioni di euro di interessi sui debiti contratti per realizzare l’investimento).

È falso anche, come ripetuto anche ieri, che la BreBeMi sia la prima autostrada realizzata facendo ricorso solo a capitale privato. Lo è già di fatto, perché le “banche” che hanno garantito il project financing si chiamano Cassa depositi e prestiti (controllato all’80% dal ministero del Tesoro) e Banca europea degli investimenti (di proprietà dei Paesi dell’UE, comprese l’Italia). Come se non bastasse, però, come ieri ha ricordato Roberto Maroni l’opera è in attesa di una decisione del CIPE (“di una firmetta di Padoan”, ha specificato ieri il presidente di Regione Lombardia) relativa alla defiscalizzazione dell’opera, cioè di un finanziamento indiretto da parte dello Stato, che non incasserà IVA, IRES, IRAP dal concessionario per una cifra, pare, intorno al mezzo miliardo di euro.

Vale la pena aggiungere che la defiscalizzazione è possibile, per legge, solo per opere il cui piano economico e finanziario sia insostenibile: significa, in pratica, che il traffico atteso sulla BreBeMi, i numero usati per giustificare l’opera, non ci sono, che il concessionario rischia il collasso.

Infine, aprite Google Maps. Scrivete Pozzuolo Martesana, e vedrete l’anello degli svincoli dell’A35 in mezzo ai campi. Poi cercate il grande pesce -il sito EXPO- a Nord-ovest di Milano, tra l’A4 e l’A8 (scrivere via Roserio, Milano, per inquadrarlo): chi di voi sarebbe pronto a scommettere che il primo luogo individuato sia il punto d’arrivo di una infrastruttura pensata per arrivare nel secondo? In mezzo c’è Milano. Per arrivare al sito di Expo, dall’A35, si torna sulla A4…

 

Quando i Casalesi fanno politica: Luigi Cesaro

luigi-cesaro-giggino-a-purpetta-gaffeNAPOLI – La Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha inviato alla Camera dei deputati una richiesta di arresto nei confronti di Luigi Cesaro di Forza Italia nell’ambito di un’inchiesta sull’assegnazione di appalti nel comune di Lusciano, in provincia di Caserta, ad imprese vicine al clan dei Casalesi, fazione legata a Francesco Bidognetti detto «Cicciotto ‘e mezzanotte». Nel mirino soprattutto un incontro del 2004, nel quale, secondo l’accusa, Cesaro e l’ex boss del clan dei Casalesi Luigi Guida si accordarono per assegnare l’appalto sul Piano di Insediamento Produttivo di Lusciano. Di quell’incontro, parla anche un altro pentito di camorra, Gaetano Vassallo. Quest’ultimo riferisce di avere incontrato Cesaro, che conosceva molto bene per motivi politici, e subito dopo quell’incontro, di averlo chiamato per nome, in un’altra circostanza, provocando tuttavia l’imbarazzo del deputato.

ARRESTATI DUE SUOI FRATELLI – In totale sono nove le misure cautelari, una riguarda una persona deceduta (quindi ne restano otto). Tra gli arrestati l’ex consigliere regionale Udeur Nicola Ferraro, e i fratelli di Luigi Cesaro, Raffaele e Aniello.

LA REAZIONE DEL DEPUTATO – «Grande è la mia amarezza di fronte ad un’accusa ingiusta», afferma Cesaro . «Come già anticipato, chiederò che la Camera autorizzi rapidamente l’esecuzione del provvedimento», aggiunge.

IL POOL – L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai sostituti Antonello Ardituro, Giovanni Conso, Marco del Gaudio e Cesare Sirignano. Il pool contesta al deputato di Forza Italia i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e turbativa d’asta.

L’APPALTO INCRIMINATO – In lizza per gli appalti relativi ai lavori di realizzazione del Piano Insediamenti Produttivi e del Centro Sportivo Natatorio Polivalente, a Lusciano, erano in lizza due imprese, la «Cesaro Costruzioni Generali», della famiglia Cesaro, e la Emini Costruzioni, di Francesco Emini: la fazione Bidognetti del Clan dei Casalesi, però, ad un certo punto ritenne più vantaggioso appoggiare la prima impresa e si adoperò ottenendo la sostituzione del capo dell’ufficio tecnico del Comune, Gennaro Costanzo (ritenuto più vicino alla Emini) con Angelo Oliviero, arrestato dai carabinieri. Secondo quanto emerge dall’inchiesta, infatti, l’impresa «Cesaro Costruzioni Generali», avrebbe offerto al clan un corrispettivo maggiore rispetto a quello offerto dalla Emini Costruzioni. La vicenda viene raccontata dall’ex reggente della fazione Bidognetti del clan dei Casalesi, Luigi Guida, che in primo momento aveva sponsorizzato la Emini salvo poi ricredersi quando l’ex consigliere regionale Nicola Ferraro gli riferì che i Cesaro lo avevano contatto dicendosi disponibili a versare al una cifra più cospicua. La «Cesaro Costruzioni Generali» si aggiudicò la gara nel 2004, sollecitando più volte l’affidamento dei lavori. Qualche anno più tardi, però, quando si diffusero notizie sulle indagini della magistratura, rinunciò spontaneamente ai lavori.

IL PRECEDENTE – Nel 1984 Cesaro, detto «Giggin’ ‘a purpetta» fu arrestato nell’ambito di un blitz contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Cesaro venne condannato nel 1985 dal Tribunale di Napoli a 5 anni di reclusione. Il verdetto fu ribaltato in appello nell’aprile 1986, quando Cesaro venne assolto per insufficienza di prove; decisione confermata dalla Corte di Cassazione (presieduta dal giudice Corrado Carnevale) per non aver commesso il fatto.

LA CARRIERA POLITICA – Alle elezioni politiche del 1996 fu eletto per la prima volta deputato. Nel maggio del 1997 divenne coordinatore provinciale di Napoli per il suo partito, carica che ricoprirà fino al 2002. È stato eletto Presidente della Provincia di Napoli nel turno elettorale del 2009 (elezioni del 6 e 7 giugno), raccogliendo il 58,3% dei voti in rappresentanza di una coalizione di centrodestra. Il 9 ottobre 2012 il Consiglio provinciale di Napoli votò una mozione di incompatibilità per il suo doppio incarico di Presidente della Provincia e di parlamentare, in netto contrasto con la legge vigente. Dopo l’approvazione, Cesaro rassegnò le dimissioni. Le dimissioni consentirono a Cesaro di ricandidarsi al parlamento per le elezioni politiche del 2013 senza incorrere in alcun intoppo di carattere normativo. Il 16 novembre 2013, con la sospensione delle attività del Popolo della Libertà, aderì a Forza Italia.

DENTRO FI CAMPANA – «Sono stato negli ultimi cinque anni quanto mai vicino a Luigi Cesaro nel lavoro quotidiano sia alla Provincia di Napoli che al partito, e non posso altro che testimoniare di una persona limpida, onesta e sempre rispettosa delle istituzioni. Solo pochi giorni fa penso che Luigi Cesaro sia stato chiarissimo quando ha dichiarato la sua impotenza al cospetto di una gogna mediatica durata anni su episodi riportati da un pentito che non conosce nemmeno. Oggi credo che sia combattuto tra l’angoscia di sapere i suoi fratelli in carcere ed il sollievo che ora chiaramente potrà essere fatta completamente luce su una vicenda dove denuncia la sua assoluta estraneità. Gli sono umanamente quanto mai vicino e gli esprimo la mia piena e sentita solidarietà. Ho come lui fiducia nella magistratura e confido che i tempi lunghissimi che hanno preceduto i provvedimenti cautelari di oggi vengano compensati da una veloce verifica dei fatti. Dico queste parole quale amico della famiglia Cesaro ma anche nel mio ruolo di coordinatore provinciale di Napoli di Forza Italia>, dice il presidente della Provincia di Napoli, Antonio Pentangelo. E il coordinatore regionale, Domenico De Siano aggiunge: «A Luigi Cesaro, al quale mi lega un forte sentimento di amicizia e della cui correttezza non dubito, va la mia piena e sincera vicinanza in un momento a dir poco difficile. Rispetto pienamente il lavoro della Magistratura, verso la quale ho la massima fiducia, augurandomi che possa fare piena luce in tempi davvero rapidi. Osservo, non senza preoccupazione, l’avvio della celebrazione del più classico dei processi mediatici: ovviamente, da garantista vero mi auguro che il principio costituzionale della presunzione di innocenza prevalga su tutto, sugli interessi di chi in qualche modo può trarre vantaggi da questa vicenda».

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“La vera storia della vicenda Berlusconi? Mafia, mafia, mafia, soldi, mafia”

emilio-1I pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia hanno interrogato Fede dopo che dalla procura di Monza è arrivata la registrazione di una conversazione. Un file realizzato con il telefonino da Gaetano Ferri, personal trainer di Fede, che nel luglio del 2012 registra una conversazione con l’ex direttore del Tg4, all’insaputa di quest’ultimo. Nella registrazione si sente Fede che spiega alcuni passaggi dei collegamenti tra Arcore, Dell’Utri e Cosa Nostra. “C’è stato un momento in cui c’era timore e loro avevano messo Mangano attraverso Marcello” spiega Fede al suo interlocutore. Che ribatte: “Però era tutto Dell’Utri che faceva girare”. “Si, si era tutto Dell’Utri, era Dell’Utri che investiva” risponde Fede.

Poi il giornalista si pone una domanda retorica con risposta annessa: “Chi può parlare? Solo Dell’Utri. E devo dire che in questo Mangano è stato un eroe: è morto per non parlare”. Quindi il giornalista fornisce al suo personal trainer la sua estrema sintesi di quarant’anni di potere economico e politico: “La vera storia della vicenda Berlusconi? Mafia, mafia, mafia, soldi, mafia”.

Parola di Emilio Fede.

Matteo Alampi e le sue discariche

Dalle prime ore di questa mattina i Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria stanno eseguendo in Calabria, Veneto e Francia, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale reggino su richiesta della Dda, nei confronti di 24 persone accusate di associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, intestazione fittizia di beni e sottrazione di cose sottoposte a sequestro, con l’aggravante delle finalità mafiose. Al centro dell’operazione gli interessi della `ndrangheta nella gestione di alcune discariche in Calabria.

Le indagini del Ros hanno consentito di fare luce sulle infiltrazioni della `ndrangheta nel settore degli appalti ecologici, nel cui ambito, riferiscono i carabinieri, sono stati accertati gli accordi tra le cosche reggine per la spartizione degli enormi profitti derivanti dalla gestione fraudolenta delle discariche regionali. È stato documentato anche il controllo da parte degli indagati di imprese già sequestrate alla cosca, mediante la complicità di un amministratore giudiziario, anch’egli destinatario di un provvedimento restrittivo.

La polizia giudiziaria di Nizza e il Ros hanno rintracciato Matteo Alampi, notificandogli il mandato di arresto europeo emesso dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Alampi è ritenuto la mente imprenditoriale dell’organizzazione criminale, già capeggiata dal padre Giovanni Alampi, quest’ultimo arrestato nel 2010 nel corso dell’operazione «Il Crimine», che ne aveva delineato il ruolo di capo del «locale» di Trunca, attivo nell’omonima frazione del capoluogo reggino. Matteo Alampi, definito dagli investigatori «imprenditore `ndranghetista” è stato arrestato, insieme alla moglie, mentre si trovava in Francia, in Costa Azzurra, dal servizio regionale della polizia giudiziaria di Nizza e dal Ros dei carabinieri, grazie al servizio di cooperazione interpol. Alampi, dopo la scarcerazione, avvenuta nel marzo scorso, al termine di un periodo di detenzione per associazione mafiosa, si era trasferito a Villefranche Sur Mer, per sottrarsi alla notifica della sorveglianza speciale.

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Nessuno parla di Don Mercedes Inzoli

Il 27 giugno 2014 la stampa di Crema dà una notizia-bomba… che però rimane inesplosa: dopo una prima sentenza risalente al 2012, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha condannato in secondo grado per abusi su minori monsignor Mauro Inzoli, già presidente del Banco Alimentare e vicepresidente della Compagnia delle Opere, più volte mattatore al Meeting di Rimini nonché – si è scritto da più parti – confessore di Roberto Formigoni.
Inzoli era soprannominato «don Mercedes» perché amante del lusso e dei macchinoni, nella più pura osservanza dello stile evangelico. Se oggi tornasse tra gli uomini, lo stesso Gesù si sposterebbe in Porsche.
In rete, riferimenti a sue (presunte) molestie nei confronti di minoririsalgono almeno al 2007 e nessuno li ha mai rimossi.
Particolare importante, a Crema don Inzoli aveva fondato l’associazione «Fraternità», per anni affidataria di molti minori soggetti a tutela.

Ne parlano, per fortuna, i Wu Ming qui. Parlatene e leggetene anche voi. Vi farebbe bene.

La meritocrazia secondo Mantovani

Mario Mantovani, il più sfacciato e impunito eppur sopportato dell’ultima Giunta lombarda (ne avevamo scritto giusto qui), riesca ancora una volta a fare parlare di sé per una consulenza che premia la militanza politica piuttosto che l’esperienza. Se ne continua a scrivere, a parlare, si continua a promettere che cambieranno le cose eppure la politica lombarda non riesce a cambiare.

Ecco la vicenda raccontata da Marzio Brusini ed Ersilio Mattioni:

imageMario Mantovani, vicepresidente di Regione Lombardia e assessore alla Sanità, ha garantito una consulenza da 16 mila euro per il suo autista-segretario, il 21enneFabio Gamba, per occuparsi di “analisi dei costi delle spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera, oltre che presidio ai tavoli tecnici”.

C’è da chiedersi con quali competenze. E infatti è lo stesso Gamba il 6 maggio scorso in un comune alle porte di Milano, Arconate, a svelare l’arcano: “Non ho nessuna esperienza – dice – e questo potrebbe essere apparentemente un problema, ma in realtà fortunatamente so di poter contare sulla competenza e sull’esperienza del nostro fuoriclasse, Mario Mantovani”. O più semplicemente basta essere il vicepresidente della Regione, per procurare al proprio autista-segretario un incarico.

Non di certo il primo perché già nel 2013, il “fuoriclasse” Mantovani assicura al suo tuttofare una consulenza, da maggio a dicembre, per 10 mila euro per svolgere mansioni ancora oggi avvolte nel mistero. Il sito web di Regione Lombardia, alla voce consulenze, non brilla per trasparenza e l’interessato, interpellato all’epoca dei fatti, aveva risposto in modo evasivo: “Lavoro nello staff del vicepresidente”.

Il resto è qui.

Non bisogna avere paura della verità

L’intervento in via d’Amelio di Nino Di Matteo

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Prendere oggi la parola, in questo luogo e nella stessa ora della strage di ventidue anni fa, è per me un grande onore ed una grande responsabilità alla quale non ho voluto sottrarmi con la precisa consapevolezza che le commemorazioni di oggi avranno un senso solo se sostenute dall’impegno, dalla passione civile, dal coraggio che dobbiamo dimostrare da domani.
Non ho voluto sottrarmi alla profonda emozione che vivo in questo momento perché innanzitutto sento il bisogno di ringraziare, da cittadino, quei cittadini che, come tanti di voi, continuano a dare quotidiana testimonianza di essere innamorati della Giustizia, della Democrazia, della Costituzione, del nostro Paese. Per questo, riconoscendo in Paolo Borsellino l’incarnazione di quei sentimenti di amore e libertà, cercano di conservarne e tramandarne la memoria. Per questo si pongono a scudo di quei sacrosanti valori contro i tanti che anche oggi, anche nelle Istituzioni e nella Politica, continuano a calpestarli ed offenderli con l’arroganza dei prepotenti e degli impuniti.
Voglio ringraziare i tanti cittadini che, nella semplicità e spontaneità delle loro espressioni di solidarietà, hanno saputo riconoscere coloro i quali ancora si battono per la verità, dimostrando di volerli proteggere non solo dalle insidie della violenza mafiosa ma ancor prima dal muro di gomma della indifferenza istituzionale, dal pericolo di quel tipo di delegittimazione ed isolamento che si nutre, oggi come ieri, di silenzi colpevoli, insinuazioni meschine, ostacoli e tranelli costantemente ed abilmente predisposti per arginare  quell’ansia di verità che è rimasta patrimonio di pochi. Quei pochi che ancora non sono annegati nella palude del conformismo, del quieto vivere, dell’opportunismo più bieco sempre più spesso mascherato dalla  invocata  opportunità politica.

Sono qui per dirvi che voi avete il sacrosanto diritto di continuare a chiedere tutta la verità sulla strage di via D’Amelio e noi magistrati  il dovere etico e morale di continuare a cercarla anche nei momenti in cui, come questo che stiamo vivendo,  ci rendiamo conto  di quanto quel cammino costi, sempre più, lacrime e sangue a chi non ha paura di percorrerlo anche quando finisce per incrociare il labirinto del potere.
Per continuare a ricercare la verità è però innanzitutto necessario, con  grande onestà intellettuale, rispettare la verità e non avere mai paura a declamarla anche quando ciò può apparire impopolare o sconveniente.
Paolo Borsellino ci ha insegnato a non avere mai paura della verità. Non dobbiamo avere allora paura  a ricordare  che  affermano il falso i tanti che per ignoranza, superficialità o strumentale interesse ripetono che i processi celebratisi a Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio hanno portato ad un nulla di fatto. Ignorano o fingono di ignorare che ventidue persone sono state definitivamente condannate per concorso in strage; ignorano, o fingono di ignorare che proprio quel lavoro di tanti magistrati ha consentito che venissero già allora  alla luce i tanti e concreti elementi che oggi ci portano a ritenere  che quella di via D’Amelio non fu soltanto una strage di mafia e che il movente non era certamente esclusivamente legato ad una vendetta mafiosa nei confronti del Giudice.
Dobbiamo imparare il rispetto della verità ed il coraggio della sua affermazione ad ogni costo.
Non è vero ciò che tutti indistintamente affermano, e falsamente rivendicano, sulla volontà di fare piena luce sulle stragi. La realtà è un’altra. Questo intendimento è rimasto patrimonio di pochi, spesso isolati e malvisti, servitori dello Stato.
Dal progredire delle nostre indagini sappiamo che in molti, anche all’interno delle istituzioni, sanno  ma continuano a preferire il silenzio, certi che quel silenzio, quella vera e propria omertà di Stato, continuerà, esattamente come è avvenuto fino ad ora, a  pagare ,con l’evoluzione di splendide carriere e con posizioni di sempre maggior potere acquisite proprio per il merito di aver taciuto, quando non anche sullo squallido ricatto di chi sa  e utilizza il suo sapere per piegare le Istituzioni alle proprie esigenze.
Dobbiamo sempre avere il coraggio di rispettare la verità e gridare la nostra rabbia perché ancora nel nostro Paese il cammino di liberazione dalla Mafia è rimasto a metà del guado. Incisivo, efficace, giustamente rigoroso nel contrasto ai livelli operativi più bassi (quelli della manovalanza mafiosa); timoroso, incerto, con le armi spuntate nei confronti di quei fenomeni, sempre più gravi e diffusi, di penetrazione mafiosa delle Istituzioni, della Politica e della Economia. Verso quel pericolosissimo dilagare della mentalità mafiosa che inevitabilmente si intreccia con una corruzione diffusa che, solo a parole, si dice di voler combattere, mentre ancora, nei fatti si assicura ai ladri, ai corrotti, agli affamatori del popolo la sostanziale impunità.
Non si può ricordare Paolo Borsellino e restare silenti a fronte di ciò che sta accadendo nel nostro Paese  e che rappresenta l’ennesima mortificazione di quei valori per tutelare i quali il Giudice Borsellino è andato  serenamente incontro al suo destino con la fierezza e la dignità di un uomo dalla schiena dritta. Non si può ricordare Paolo Borsellino ed assistere in silenzio ai tanti tentativi in atto  (dalla riforma già attuata dell’Ordinamento Giudiziario a quelle in cantiere sulla responsabilità civile dei giudici, alla gerarchizzazione delle Procure anche attraverso  sempre più numerose e discutibili prese di posizione del C.S.M.) finalizzate a ridurre l’indipendenza della Magistratura a vuota enunciazione formale con lo scopo di comprimere ed annullare l’autonomia del singolo Pubblico Ministero ed il concetto di potere diffuso  in capo a tutti i rappresentanti di quell’Ufficio. Non si può assistere in silenzio all’ormai evidente tentativo di trasformare il Magistrato Inquirente in un semplice burocrate inesorabilmente sottoposto alla volontà, quando non anche all’arbitrio, del proprio capo; di quei Dirigenti degli Uffici sempre più spesso nominati da un C.S.M. che rischia di essere schiacciato e condizionato nelle sue scelte di autogoverno dalle pretese correntizie e politiche e da indicazioni sempre più stringenti del suo Presidente.
Non si può fingere di commemorare Paolo Borsellino quando nei fatti si sta tradendo il suo pensiero e il suo sentimento; il suo concetto, alto e nobile, dell’autonomia del Magistrato  come garanzia di libertà ed eguaglianza per tutti. Poco prima di essere ucciso il Giudice Borsellino, intervenendo ad un incontro con gli studenti sull’annoso problema dei rapporti mafia-politica, stigmatizzava l’inveterata prassi del ceto politico di ripararsi, per giustificare la mancata attivazione dei necessari meccanismi di responsabilità politica, dietro il comodo paravento dell’attesa  della definitività dell’accertamento giudiziario, nell’attesa quindi del passaggio in giudicato delle sentenze penali.
Oggi, a distanza di ventidue anni da quelle amare riflessioni di Paolo Borsellino, qualcosa è cambiato, ma non certamente in meglio. In una sentenza definitiva della Corte di Cassazione è accertato che un partito politico, divenuto forza di Governo nel 1994, ha poco prima annoverato tra i suoi ideatori e fondatori un soggetto  da molto tempo colluso con gli esponenti di vertice di Cosa Nostra e che da molti anni fungeva da intermediario consapevole dei loro rapporti con l’imprenditore milanese che di quel partito politico divenne, fin da subito, esponente apicale. Oggi questo esponente politico (dopo essere stato a sua volta definitivamente condannato per altri gravi reati) discute, con il Presidente del Consiglio in carica di riformare la legge Elettorale e quella Costituzione alla quale Paolo Borsellino aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all’ultimo suo respiro. E’ necessario non perdere la capacità di indignarsi e trovare, ciascuno nel suo ruolo  e sempre nell’osservanza delle regole, la forza di reagire. Tutti  abbiamo il dovere di evitare che anche da morto Paolo Borsellino debba subire l’onta di veder calpestato il suo sogno di Giustizia. Quel meraviglioso ideale che condivideva con Giovanni Falcone, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina , Claudio Traina, e tanti altri giusti. Quei giusti la cui memoria non merita inganni, infingimenti, atteggiamenti di pavidità mascherati da prudenza istituzionale. Sono morti perché noi allora non fummo abbastanza vivi, non vigilammo, non ci scandalizzammo all’ingiustizia,ci accontentammo dell’ipocrisia civile, subimmo quel giogo delle mediazioni e degli accomodamenti che anche oggi ammorba l’aria del nostro Paese ed ostacola il lavoro di chi vuole tutta la verità. Noi continueremo a batterci, con umiltà ma altrettanta tenacia e determinazione. Lo faremo nelle aule di Giustizia e, per ciò che ci è consentito, intervenendo nel dibattito pubblico per denunciare i gravi e concreti rischi che incombono sulla indipendenza della Magistratura e, quindi, sul principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Lo faremo mantenendo sempre nel cuore l’esempio dei nostri morti, guidati esclusivamente dalla volontà di applicare i principi della nostra Costituzione e con lo sguardo fisso alla meta della verità, consapevoli che solo la ricerca della verità può legittimarci a commemorare chi è morto dopo aver combattuto la giusta battaglia.

Nino Di Matteo

Chi può ne parli: Michele Albanese

di Roberto Rossi /// Due agenti di scorta e un’auto blindata per ogni spostamento. Questo significa, concretamente,  avere una tutela di terzo livello, la disposizione di sicurezza personale che da ieri sera è stata assegnata a Michele Albanese, giornalista, corrispondente da Polistena per il “Quotidiano del Sud”. Stava seguendo l’omicidio di ‘ndrangheta avvenuto a Sinopoli, ieri, quando è stato convocato in Questura a Reggio: un’intercettazione ambientale dice che il giornalista è a rischio. Michele è stato minacciato di morte tante volte, in più modi. Telefonate, biglietti, lettere un’intrusione a casa; anni fa gli venne recapitata una foto che ritraeva sua moglie e la primogenita.

Difficile dire quali articoli hanno dato fastidio, ora come allora: le sue inchieste sul Porto di Gioia Tauro, dalle quali emerge quanto e quale sia il livello di inquinamento mafioso delle attività economiche dell’hub transhipment più grande del Mediterraneo; gli sviluppi sulle faide tra famiglie del calibro dei Piromalli e dei Molè, i rapporti che questi clan hanno intessuto per decenni con la politica locale e nazionale; e poi i Pesce e i Bellocco di Rosarno, dove l’intreccio tra schiavitù e mafia alimenta da anni una tensione sempre pronta ad esplodere violentemente; gli articoli sui rifiuti pericolosi, quelli sul clan Alvaro in Aspromonte. Recentemente, è stato lui il primo a dare la notizia dell’inchino di Oppido Mamertina, un fatto che ha riportato per qualche giorno la Calabria nel primo sfoglio di tutti i giornali. E Michele, memoria storica della Piana, come sempre in questi casi, ha fatto da sherpa per tutti i blasonati colleghi piovuti per qualche ora a raccontare i vizi di una civiltà abbandonata a se stessa, consegnata al volere di pochi.

Al telefono, oggi, Michele, marito e padre, è di poche parole. Non si parla di lavoro – continuare o meno a scrivere di ‘ndrangheta – non ha senso nemmeno accennare a discorsi del genere; il pensiero è per il dramma vissuto dai familiari. Ancora una volta, un’intera famiglia, non solo il giornalista, sente il gelo di quella condizione di accerchiati vissuta da chi sfida la ‘ndrangheta nei piccoli centri della Calabria: «Sanno chi sei, che lavoro fai –raccontava alcuni anni fa – conoscono i tuoi spostamenti e quelli dei tuoi cari. Li incontri al bar la mattina, o quando scendi per andare a comprare il giornale». Fu lui, il giorno in cui l’abbiamo conosciuto, a spiegarci il significato del termine ‘mpamu, infame, raccontandoci di quella volta che fu sua figlia a chiederne il significato perché un compagno delle elementari le aveva negato il saluto essendo lei figlia di ‘mpamu.

Il condizionamento dell’informazione in Italia è a livelli altissimi, basta fare dare un’occhiata al sito di Ossigeno per l’informazione per rendersi conto dei numeri e della qualità delle minacce subite dai giornalisti con cadenza ormai quasi quotidiana. Il problema è enorme considerando il valore della posta in gioco, il diritto all’informazione di ogni cittadino, il senso stesso della democrazia. Michele Albanese vive con convinzione questi valori, consapevole com’è che il binomio mafia e libertà sia quanto di più antitetico possa esistere. La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile, Michele ha fatto un quadro di questa celebre citazione di Corrado Alvaro.

Sta sulla scrivania, appena sotto il monitor del suo computer.

(Link)

Borsellino

Ancora un altro anno senza verità. E l’eredità usata come suppellettile.
Mi viene da pensare solo a questo.