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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Vorrebbero sparare con il dubbio ma non ne sono capaci

La delegittimazione è l’arma del duemila, buona per ogni evenienza e applicata nelle sue due modalità: urlata o sotto traccia. “Mascariare” diceva Totò Riina, isolare, insinuare, rendere poco comprensibile, mescolare e coltivare il dubbio.

Starci dentro all’inizio è poco salutare: imbruttisce. Io mi sono incattivito e imbruttito moltissime volte in questi miei ultimi anni, ho ascoltato antimafiosi più mafiosi dei mafiosi, ho visto politici dal profilo accattivante impaurirsi per il terrore dell’inopportunità, ho conosciuto (e conosco) “buoni” che invece di nascosto parlano con i cattivi, cronisti d’inchiesta con invidie da sciantose e vezzi da vecchie suocere, ho incrociato abili banalizzatori e analisti fallimentari. C’è di tutto nella delegittimazione, quasi ti rincuora che almeno i cattivi di sicuro sono cattivi.

Le parole del pentito Bonaventura non sono ancora state riscontrate in nessuna Procura. Anzi, le parole del pentito Bonaventura erano già state dette e mai approfondite. E forse (udite, udite) non è nemmeno il solo a sapere. Pensa che sorpresa.

I puntini che Bonaventura mette insieme (che sia vero o no, che me lo dicano chi di dovere senza bisbigliarlo a nostra insaputa alla macchinetta del caffè della Redazione) sono fatti che comunque ho vissuto: pezzi di questo Stato sono in contatto con la criminalità organizzata. O abbiamo il coraggio di partire da qui o lasciatemi stare perché voi state giocando ad un altro gioco: il monopoli degli antimafiosi allo sbaraglio che scoperchiano gli esecutori e mai i mandanti.

Io so.

So che la gravità di questa situazione non è l’allarme di Bonaventura ma il mio diritto calpestato di subirne l’effetto senza che nessuno dia una risposta garantita.

So che pezzi istituzionali (so i nomi, so i cognomi) stanno giocando sulla “non credibilità” del pentito senza avere il coraggio di metterlo per iscritto.

So che gli informatori che servono alle mafie stanno informando come vorrebbero le mafie. E così escono particolari appena accennati su eventuali miei “errori” che non vengono mai raccontati. Per infilare il dubbio con un’informazione che teme i dubbi quasi più dei fatti. So chi sono, so perché lo fanno e so qual è il gioco “grande” che ci sta dietro.

So che piccole persone dall’animo piccolo si rotolano in tutta questa polvere per piccole vendette personali e non hanno nemmeno la faccia di non sorridermi quando mi incrociano.

So chi sono i pezzi della “classe dirigente” istituzionale e militare che stanno tremando per eventuali approfondimenti. So bene chi sono i politici che potrebbero essere collegati a questa storia, li tengo sempre a mente sulla punta delle dita.

So che le mafie sono un problema politico. L’ho imparato fin da piccolo. E che la politica ci è dentro fino al collo nelle responsabilità di considerare scassaminchia qualcuno convergendo (pur con altri stili) con i cattivi che almeno non fingono di non essere cattivi.

Io so che alcuni particolari svelati dal pentito Bonaventura erano di mia conoscenza già da mesi. Lo so io, lo sa chi ha verbalizzato e anche quelli che hanno finto di farlo e poi nascosto tutto. Anzi, adesso lo sanno anche loro.

So quali prefetture, quali altri graduati non avranno risposte convincenti su domande che galleggiano da anni. E che ora sono tema d’indagine.

So che minimizzare superficialmente è ciò che di meglio la mafia si aspetta e puntualmente arriva.

So, non è nemmeno difficile, capire la linea che porta dai De Stefano nella lontana Calabria a Buccinasco, Corsico, EXPO e qualche ex assessore. L’ho recitato e scritto. E’ tutto lì e continuerò a parlarne ancora più forte.

So anche che chi doveva raccogliere il mio invito lo sta facendo (i buoni) e ora vale la pena preparare il racconto di chi sembra zitto e invece parla con chi non dovrebbe.

E so che un pezzo non condizionabile di questo Paese ha il cuore pulito e la voglia di rialzare la testa.

Lavoriamo sodo, lavoriamo fitto.

(Qui la petizione, se avete un minuto, eh)

A Marsala si spara

E quando si ricomincia a sparare non è mai una buona notizia. E la politica reagisce, vero?

È stata un’esecuzione mafiosa. A riferirlo sono gli investigatori della Squadra Mobile di Trapani, che tuttora sono al lavoro per scoprire il movente e soprattutto i mandanti dell’omicidio avvenuto questa mattina in contrada Samperi a Marsala. Si tratta di Baldassare Marino, un imprenditore del settore edile di 67 anni, con precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Marino è stato raggiunto al torace e alle gambe da numerosi colpi di fucile esplosi a distanza ravvicinata mentre si trovava a bordo della sua Opel Astra.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti guidati dal Vice Questore Giovanni Leuci, l’uomo avrebbe cercato invano di scappare, in quanto lo sportello del lato guida della vettura era già aperto. Ad avvertire la polizia, sono stati i dipendenti dell’autofficina Car Diesel,  poco distante dalla zona dell’efferato delitto. Secondo i rilievi del medico legale, l’omicidio si è consumato nella notte.
Molto probabilmente, la vittima aveva un appuntamento nel luogo dove è stato ucciso, una sorta di incontro chiarificatore conclusosi in una vera e propria tragedia.
Le indagini sono coordinate dal pubblico ministero Antonella Trainito.
Ciò che veramente non possono trascurare gli investigatori, è una croce realizzata con tralci di viti, che verosimilmente potrebbe trattarsi di un segnale in codice mafioso.
Baldassare Marino era socio di una ditta di calcestruzzi sita in contrada Strasatti, una zona di periferia molto isolata.

Portarsi la speranza da casa

Questa mattina leggevo il bel post di Leonardo Tondelli:

Sta per ricominciare la scuola, ho fatto un piccolo esame di coscienza. Tra le tante competenze che dovrei trasmettere ai miei studenti c’è la speranza. Io in questi anni l’ho un po’ snobbata, all’inizio pensavo addirittura che non fosse il caso. In fondo sono ragazzini, mi dicevo, le speranze dovrebbero portarsele da casa: speranze immense, impossibili da gestire, al punto che credevo che il ruolo dell’adulto fosse quello di smorzarle un po’. Ricordavo certi miei insegnanti, appesi a speranze un po’ datate, speravo di sembrare un po’ più sgamato: ma la verità è che non saprei semplicemente spiegare che senso ha il mio insegnare, il loro apprendere, nel Paese in cui sempre più controvoglia abitiamo. Non voglio dire che una speranza non ci sia – non mi alzerei da letto se non ne avessi – ma la mia è così personale, così legata alla mia individuale esistenza che da dentro risulta così complessa e contorta che mi ci perdo e mi annoio io per primo – insomma io sono un tizio che si diverte, spero che un po’ si capisca dalle cose che finiscono pubblicate qui.

Mi piace imparare le cose, insegnarle, impararle di nuovo, mi piace cercare di capire, e litigare, soprattutto con gli sconosciuti sull’internet. Tutto questo divertimento, che vergogna, mi compensa evidentemente del vivere in un Paese che va in malora. Ma questo vale solo per me, non è una cosa che si possa dividere o condividere. I ragazzini avrebbero bisogno di speranze un po’ più sode; forse anche voi che leggete ne avreste bisogno. In giro ci sono solo quattro deficienti che promettono che senza l’euro o senza l’ici o senza gli africani o senza i magistrati comunisti l’Italia tornerà la quinta potenza industriale. A me basta star qui e dire che non è vero. Ma appena uno mi risponde: cosa proponi? io che posso dire. Propongo di restare qui, e continuare a dirvi che non è vero, che state soltanto dicendo fregnacce; che è prevedibile che le diciate, considerato il momento storico politico ed economico; è prevedibile ma non vi scusa. Forse avevo bisogno di un Paese di mediocri più mediocri di me, e l’ho trovato. Forse. Forse l’Italia è il Paese che mi merito.

Portarsi la speranza da casa è stata l’abitudine dei nonni, l’ingrediente naturale della forza dei nostri genitori e la molla dei grandi che leggiamo prima di addormentarsi. Portarsi la speranza da casa è una frase che da sola dà l’identità di un tempo e di un Paese. E adesso se ne perde l’abitudine, di portarsi la speranza da casa, perché vorrebbero vendercela a fette e dirci che li dobbiamo anche ringraziare.

I grazie convenienti

Avvertenza: è un post politico.

Mi dicono che si dovrebbero ringraziare solo i nomi che convengono. Omioddio. Che stortura.

In questo mese ho sentito:

Pina Picierno che si è attivata in Prefettura e al Ministero.

Lele Fiano che mi ha chiamato rubando tempo anche alla sua vacanza per la situazione.

Pippo Civati, come sempre, ma Pippo prima di tutto è un amico.

Gian Antonio Girelli, Presidente della Commissione Antimafia (?!) del Consiglio Regionale della Lombardia.

Oltre (ovviamente) agli amici di sempre come Sonia Alfano, Luigi De Magistris.

L’associazione TILT ha rilanciato in rete l’allarme.

Gianmarco Corbetta del M5S (è tra i commenti).

Poi molti altri, ovvio, che sicuramente dimentico. Ma che sono stati chiamati piuttosto che chiamare (oddio come sono puntiglioso).

Ah: forse siamo vicini alla soluzione finale grazie al pressing di Ivan Scalfarotto.

Ora rileggete con calma i nomi di chi mi ha dato una mano e ponetevi un quesito, politico.

(Dimenticavo: Fare Fermare il Declino, gli amici di Fiumicino,  si stanno dannando. Il quesito s’ingrossa.)

Chiedere qualcosa di normale

Francesco spiega in due parole. Non avrei potuto farlo meglio:

Quando una petizione online può essere utile?
Secondo me quando non si insegue una chimera, ma si ha un obiettivo normale.
L’obiettivo è quello di pensare di vivere in un Paese dove se un boss pentito e collaboratore di Giustizia rilascia ben due interviste dove dice che le cosche ‘ndranghetiste, con la complicità anche di una parte di politica lombarda, tramano per l’annullamento della scorta e l’eliminazione di un uomo di Cultura, le istituzioni diano una risposta immediata.
Le parole di Bonaventura vanno verificate, questo dovrebbe essere normale e penso che sia normale chiederlo.

La petizione è qui:

http://www.avaaz.org/it/petition/Risposte_immediate_sulla_sicurezza_di_Giulio_Cavalli/

A Bari si spara, in testa al boss

Felice Campanale aveva 67 anni ed era lo storico boss del quartiere San Girolamo a Bari. Da sempre i Campanale sono in guerra con i Lorusso lì nel quartiere e nelle zone limitrofe. Storie da Montecchi e Capuleti solo che qui al posto della poesia scorre il sangue.

Questa sera Campanale aveva deciso di fare il nonno con i suoi nipoti (magari insegnando il suo concetto distorto di dignità) e tutti insieme sono andati al Gommapark: lui, la nonna e i nipotini, come nei film delle famiglie felici. Alle nove di sera, si sa, i piccoli devono fare la pipì, lavarsi i denti e andare a nanna e quindi hanno deciso di avviarsi all’auto per concludere la serata, in viale De Laurentis, Poggiofranco, un bel quartiere residenziale di Bari.

Quattro spari hanno lasciato per terra il boss a forma di nonno: tre in pancia e uno in testa. Questo non c’è nei film delle famiglie felici, no.

Poco dopo i guappi hanno cercato vendetta in giro. A Bari si sono sentiti spari un po’ dappertutto: sul lungomare IX Maggio, a nord di Bari, nel quartiere San Girolamo. Giù nel quartiere del Campanale è stato crivellato un fiorino sotto l’abitazione degli storici nemici Lorusso.

Poi adesso è arrivata la notte e si va tutti a dormire. ‘Tanto si ammazzano tra loro’ dirà qualcuno subito al primo caffè domattina.