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Le nostre differenze ci uniscono.

Le nostre differenze ci uniscono. Tu e io abbiamo l’enorme fortuna di vivere in un paese dove si nasce uguali qualunque sia il nostro aspetto, ovunque siamo cresciuti o chiunque siano i nostri genitori. Una buona regola è trattare gli altri nel modo in cui speri che loro trattino te. Ricorda ai tuoi compagni di scuola questa regola se ti dicono qualcosa che ferisce i tuoi sentimenti.

Obama risponde così (risponde, davvero) ad una bambina americana di 10 anni. Il G2 epistolare dei diritti (senza palazzi, rinfreschi e lobby) lo riporta Il Post qui.

La lezione americana (primaria) che non vogliamo imparare in Lombardia

Rosy Battaglia trova le parole giuste per dire delle primarie in Lombardia attraverso il suo sito:

Dopo tutto questo, nella regione che al nord detiene il primato per i beni confiscati alle mafie, sia chiaro, io voglio le primarie.

Altrimenti, potrebbe osservare il giornalista estero, ( e mi vedo già un bell’articolo su Le Monde o The Guardian, tradotto da Internazionale  a raccontarmelo nelle prossime settimane) che, quasi quasi, ci dispiaccia che il governatore Formigoni non possa ricandidarsi per la quinta volta.

Perchè dico questo? Perchè apprendiamo, velatamente, in un “si dice o non si dice”,  che forse qui, in Lombardia, dopo 18 anni di celeste formigonia,  non c’è bisogno di farle, le primarie, il 15 dicembre  (alzi la mano chi lo sapeva).

Che forse c’è il candidato giusto, Ambrosoli. Ah forse non c’è più. Ma allora non c’erano già  Giulio Cavalli e Pippo Civati (che le avevano chieste da tempo immemore) ?

“No, non ci  sono i tempi, niente primare, convergiamo sul nome”.

Eh no, cari miei. I tempi ci sono ma quello che manca è fegato e coraggio. Ma non ci incantate più con  strategie di dalemiana memoria.

Ne abbiamo fatto già fatto abbondante uso nelle ultime quattro tornate elettorali in Lombardia,  ed abbiamo visto come è andata a finire.

Ecco perchè io voglio le primarie. Come in America.

Ma la lezione non l’abbiamo ancora imparata.  Loro hanno Facebook,noi c’abbiamo il sito?

Facciamole, allora, queste primarie  e via libera alle candidature!

Se Milano confisca la mafia

“La mafia non esiste” firmato: la mafia. A Milano i beni confiscati smettono di essere orrori da nascondere per un dannosissimo senso del pudore e finalmente si prendono la briga di parlare e di fare parlare di sé. Noi ci vediamo domenica alle 21:30 presso Ortomercato Discoteca Sogemi Via Lombroso, 54.

La Lombardia si colloca al quinto posto in Italia per numero di beni confiscati alla mafia, con 807 immobili attualmente confiscati. 
Secondo i dati dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati (ANBSC), nella sola città di Milano si contano circa 300 beni, tra immobili e aziende, sottratti alla criminalità organizzata.
Questi spazi rappresentano una ricchezza per la città e per le associazioni che vi operano. Sono la prova tangibile dell’Antimafia che prevale sulla mafia.
Il 9-10-11 novembre il Comune di Milano, in collaborazione con Libera e ANBSC, promuove il 1° Festival dei beni confiscati alle mafie.
Nel corso delle tre giornate numerosi beni verranno aperti a tutti i cittadini con l’obiettivo di promuovere la cultura della legalità e rendere visibili immobili che in passato hanno rappresentato il fulcro dell’attività illegale e che oggi ospitano progetti sociali importanti per la città.
All’interno degli immobili si svolgeranno attività per bambini, performance teatrali e musicali, film e documentari, presentazioni di libri, secondo la direzione artistica curata da Barbara Sorrentini. Saranno inoltre organizzate visite guidate di scolaresche.

 I beni aperti per il Festival sono localizzati in tutta la città e tre (via Cenisio 25, via Canonica 87, via Baldinucci 13) saranno inaugurati in occasione del Festival: in tutto sono 19 quelli aperti al pubblico. Saranno aperti anche due beni simbolo della lotta alla ‘ndrangheta a Milano: la discoteca della Sogemi all’Ortomercato, chiusa nel 2009 dopo la relazione annuale antimafia e il Centro sportivo comunale Iseo, parzialmente danneggiato un anno fa da un incendio doloso. Nell’ex locale delle cosche si esibiranno tra gli altri Giulio Cavalli, con l’anteprima dello spettacolo “Duomo d’Onore”, Manuel Ferriera nel monologo “Lezione di Tango all’Ortomercato” e Vinicio Capossela.

 

La mossa del cavallo

Sì, lo so, bisognerebbe parlare di contenuti, di programmi, e degli obiettivi che ci proponiamo. Lo so bene che tutto questo questionare su alleanza e candidati sta diventato un solletico fastidioso come sono fastidiosi i solletichi fastidiosi ma le criticità rischiano di diventare una farsa e forse bisogna tenere il punto.

Abbiamo chiesto con forza le primarie (io e Pippo Civati di sicuro, gli altri non so), le abbiamo ottenute (regolamento, garanti e il resto sono qui), qualcuno è già partito (Alessandra Kustermann oggi tiene la conferenza stampa per presentare la propria candidatura, in bocca al lupo), qualcuno sta decidendo e ci si organizza per la raccolta firme.

Poi Giuliano Pisapia dice che le primarie sono importanti e indispensabili, poi che sono superabili con una candidatura forte. Poi il segretario lombardo del PD Maurizio Martina dice che le primarie sono partite, ma che si può trovare una candidatura unitaria.

Tutto, il contrario di tutto e se possibile contemporaneamente: fa sorridere che quando sommessamente avevamo detto che l’aria su queste primarie sapeva un po’ di ombra ci avevano accusato di essere complottisti.

Bene: noi, per quanto ci riguarda, ci siamo. Abbiamo scavalcato la finestra del punto di non ritorno. E lavoriamo. E siamo in viaggio.

Saverio Tommasi intervista Giulio Cavalli

Da Fanpage.it

Giulio Cavalli è un attore e realizza spettacoli di teatro civile, ed è consigliere regionale della Lombardia. Giulio Cavalli è da anni sotto scorta perché minacciato dalla ‘ndrangheta: “Sono l’unico consigliere regionale che entra con i carabinieri, non esce con i carabinieri dal consiglio regionale”. Il nostro Saverio Tommasi ha deciso di passarci una giornata per raccontare, in esclusiva per Fanpage.it, l’uomo Cavalli. Il politico. L’attore. Il cittadino. L’arlecchino. Lo zanni. L’antimafioso. Lo scrittore. Giulio Cavalli ha avuto tante definizioni, non tutte corrette e non tutte date con affetto. Ma lui è tranquillo, sorride e s’impegna. E scherza: “Un tempo i giullari venivano seppelliti fuori dalle mura della città perché non erano ritenuti degni di stare con gli altri cittadini nemmeno da morti, come le prostitute. E se pensi che oggi un giullare e una prostituta sono nel consiglio regionale della Lombardia questo ti dà l’idea dello stra-ordinario”. Giulio Cavalli ci ha condotto nei luoghi di ‘ndrangheta, raccontandoci la famiglia Cosco di via Montello, a Milano, a due kilometri dal Pirellone, sede della regione Lombardia. E poi a Buccinasco, vero cuore della ‘ndrangheta milanese. Giulio Cavalli ci ha parlato di ‘ndrangheta, ma anche di scorta, di figli e di politica. E lo ha detto chiaramente: lui è candidato alle primarie perché “si è rotto i coglioni della faccia più democristiana del PD”, ed è convinto che il cambiamento, in Lombardia “non potrà venire da una faccia più onesta di Formigoni ma incapace di applicare politiche diverse”, ma potrà venire solo da un “deciso evoluzionario. Direi ‘rivoluzionario’, ma poi la Digos segnala. Perciò dico prepotente evoluzionario”. Perché Giulio Cavalli è così, gioca con le parole, ne riscopre alcune e tenta di strapparne altre alla cultura mafiosa. Tra queste anche “uomo d’onore”, una dizione spesso utilizzata riferendosi a personaggi mafiosi, ma che troviamo anche nella nostra Costituzione fra le qualità che un buon amministratore deve possedere.

Una precisazione

Tanto per capirsi. Leggo che avrei messo in collegamento la morte di Giovanni Sali con “calabresi nel quartiere”. Falso. Una bufala che nasce da un copia e incolla di discorsi molto diversi. E mi spiace, perché le ipotesi si costruiscono con le indagini e non con le interviste e opinioni scritte un po’ maldestramente.

Smentisco caterogicamente.

Una nuova Lombardia #davvero /3

Discontinuità: lo sto ripetendo spesso e dappertutto in questi giorni. La Lombardia ha bisogno di discontinuità con il passato e soprattutto con il futuro che il Celeste aveva programmato e ha lasciato come impianto per i prossimi anni. Una discontinuità che non sia solo nei comportamenti (troppo facile una campagna elettorale sul “non rubare” che spinge alla pacca sulla spalla piuttosto che a un disegno di speranza) ma che sia politica, quasi eversiva nella legiferazione (oh mio dio, eversiva, che comunista!) che tolga le buone pratiche dal cassetto e le accenda in giro per la Regione.

Tra le proposte arrivate in discussione sulla nostra piattaforma Lombardia #davvero:

La riconversione urbanistica della Rhur ha consentito in Germania di creare nuovi posti di lavoro, di migliorare l’ambiente in una delle zone più inquinate tedesche e di all’allargare l’offerta turistica e culturale, nonché migliorare la mobilità.

Perché non farlo anche in Lombardia, invece di costruire i soliti inutili palazzi che rimangono sempre vuoti?

E ha ragione Saverio quando prende ad esempio la maggiore area industriale della nord Europa. la Rhur:

Negli ultimo decennio la Ruhr ha subito il più esteso e articolato piano di riconversione urbanistica del continente con risvolti molto positivi su di un ambiente deteriorato dalla passata industrializzazione e un deciso miglioramento dello stile di vita dei suoi numerosi abitanti. Perché la Ruhr fu il fulcro della metallurgia grazie a giacimenti di ferro e di carbone rinvenuti a pochi centimetri della superficie e al genio dei pionieri dell’industria tedesca: la famiglia Krupp in primo luogo. A vent’anni dalla crisi della siderurgia, fabbriche, miniere, silos, centrali elettriche, mulini, bacini fluviali e gasometri sono stati trasformati in musei, arene, teatri, piscine, acquari e centri commerciali. Le politiche per la riduzione di polveri sottili ed emissioni di CO2 sono state accompagnate dal rimboschimento di ampie aree. La metropoli che aggrega le città di Essen, Duisburg, Dortmund e Oberhausen – dominata dalle ciminiere, servita da una griglia di autostrade e popolata da cinque milioni e mezzo di abitanti – ha riscattato il suo grigio passato per diventare la nuova frontiera di arte e intrattenimento.

Un polo che attrae ogni anno milioni di turisti da Germania, Olanda, Belgio e Francia. Ma non ha dimenticato le sue origini nel lavoro. A Dortmund c’è il Dasa, il più grande museo del mondo dedicato a sicurezza e antinfortunistica. Paradossalmente, il migliore esempio di divulgazione sul tema degli incidenti sul lavoro si trova a pochi km dal quartier generale delle acciaierie Thyssen-Krupp, responsabile della tragedia di Torino. Non possono dire che non sapevano, che non erano informati!

L’intervento più singolare nella zona è quello del gasometro di Oberhausen, adibito a gigantesco centro espositivo con un osservatorio a 170 m di altezza. Nei dintorni sono stati realizzati il maggiore acquario tedesco, un luna park, un’arena, uno shopping centre e una promenade con ristoranti, bar e discoteche. L’opera urbanistica più interessante è quella del porto fluviale di Duisburg, ridisegnato da Norman Foster come borgo residenziale sull’acqua: nell’ansa del canale, diviso da una diga, è stata ricavata un’arena e il maggiore mulino è stato adibito a museo d’arte contemporanea. All’altro lato di Duisburg, l’ex ferriera Meiderich è ora il Landschaftspark con teatri, ristoranti, negozi, area espositiva, palestra di roccia sulla parete di un silos e piscina per immersioni in un gasometro. Ma il capolavoro della Ruhr è la Zollverein di Essen: la maggiore miniera di carbone d’Europa, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, convertita in un centro multifunzionale. Nella fornace Norman Foster ha allestito il Red Dot Design Museum. In altri edifici sono stati ricavati centro congressi, fiera, teatri, film studio e bistrot. Nel corpo centrale il percorso della lavorazione del carbone è stato affiancato da spazi espositivi.

Viene da pensare allo stesso progetto su Arese nella zona ex Alfa Romeo o nel bresciano o nelle tante aree dismesse. Viene da pensare ad una Lombardia che non lasci suolo intentato,  che veda sul cemento ciò che non sembra immaginabile. Viene da pensare ad una inimmaginabile Lombardia. Davvero.
ps: proponete, diffondete e fate proporre qui.

Al San Raffaele le macerie si chiamano tagli

Direbbe Vik che in fondo il segreto è di restare umani. Umani per non perdersi dietro le voci di candidature, di primarie e di tutto quello che si rincorre nei giornali di questi giorni mentre ancora non sono usciti i contenuti e rimangono a galleggiare solo le opinioni (quanto è credibile questo, quello, i capelli lunghi, il figlio di, l’attore, i moderati e tutto il resto su cui oggi comunque avremo modo di tornare).

Però succede altro in questi giorni di parole e piogge, come racconta il Corriere:

Presidio permanente dei sindacati e dei dipendenti del San Raffaele per protestare contro i 244 licenziamenti previsti dalla proprietà (il gruppo della famiglia Rotelli). Dopo una riunione in aula sindacale, dall’Rsu annunciano «una forma di lotta che durerà il tempo di tutta la trattativa». Giorno e notte. Obiettivo della protesta è far «ritirare la procedura di licenziamento per salvaguardare l’eccellenza dell’ospedale». Il piano del San Raffaele (definito un «attacco frontale» dai sindacati) punta ad un risparmio di circa 10 milioni. Le precedenti proposte erano state respinte, tra cui quella di una riduzione degli stipendi del 10%.

Il tema del San Raffaele è il cuore del formigonismo che ha mostrato tutte le sue lacune: non solo in un fallimento politico che ha frantumato la politica Lombarda ma una macelleria sociale di lavoro e lavoratori. Perché se il San Raffaele garantisce “eccellenza” senza tenere conto dei lavoratori, dei bilanci, dell’etica nei rapporti con la politica, della cristianità nelle proprie azioni tra dirigenti allora dovrebbero spiegarmi di che eccellenza si tratta. Ma davvero.

Se un tuo custode muore di passaggio

Faccio una premessa. Secca: tutto questo essere prosaici su scorte e scortati mi ha sempre provocato la pelle d’oca. Più  che altro perché l’umanità delle scorte è sempre sporca e sconcertante: non ha poesia, non ha eroismi ma è sudore, rabbia, grattarsi, sopportarsi poco e male per tutto il tempo costretti a passare insieme e l’abitudine alla paura che diventa un vestito che stringe sul cavallo e sembra uno di quei vestiti da cerimonia che odi appena indossi.

Insomma forse questo articolo sarebbe meglio non scriverlo nemmeno e andare tutti a dormire con un dolore a cui avremmo dovuto fare l’abitudine in tutta questa mareggiata di tristezze di rimbalzo.

Potrei anche scrivere che Giovanni era un eroe o un amico del cuore. Oggi che è rimasto ucciso amazzato per terra a Lodi sarebbe un trofeo da cacciatori di sensazioni.

Semplicemente, e tragicamente banale, sarebbe da dire che oggi è rimasto morto ammazzato un uomo che ha passato qualche mezza giornata a tenere gli occhi aperti per passeggiare con gli occhi bassi io, i miei figli, e tutti queli che ci dovevano costruire una passeggiata. Giovanni Sali ha prestato servizio per la mia tutela come fanno quotidianamente in molti di Lodi e provincia. Gente che non ama i flash, che non sta lì a pensare alle posture buone per i giornali ma che pensa semplicemente di tornare a casa anche questa sera e la prossima.

Gente che mi vede grattarmi, incazzarmi, ridere, piangere, amare, disperare, avere fame, sete, sonno o avere il dubbio di cosa avere. Gente che convive nel senso che vive “con”. Persone con una dignità che fissa i paletti della professione e si mette la vita e le proprie nevrosi in tasca per provare a gestire e difendere le mie. Gente che cambia posizione tra pubblico o privato, che studia gli spigoli degli spazi, che interroga le facce, che si impegna a sparire appena un dolore o una gioia ha uno angolo appuntito e diventa quindi “personale2 eppure “in servizio”. Carabinieri che sono gli argini di una quotidianità in sicurezza. Niente di poetico, per carità: uomini che in punta di piedi sono le tue sentinelle, in punta di piedi, sulla propria pistola.

La morte di Giovanni è un infarto di questo ecosistema di conviventi che mi difendono per difendersi e rimangono silenziosi ai margini per avere la misura dei confini.

E importa poco che sia lui. Siamo noi. Un pezzo di quello stagno malato che ci portiamo in giro fingendoci sani.

E mancherà. Giovanni. A tutti.