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Fahrenheit Rai Radio 3 – IL LIBRO DEL GIORNO | GIULIO CAVALLI, I MANGIAFEMMINE

A un passo dalle elezioni, la placida vittoria di Valerio Corti – uomo forte dei Conservatori – è minata da una vera e propria epidemia di donne, di donne ammazzate a casa, dai mariti, dagli amanti, dagli ex fidanzati, donne fatte a pezzi da compagni devoti. Ma il candidato premier non intende occuparsene, perché le donne sono sempre morte, perché le donne per bene, normali, le madri di famiglia, le fidanzate discrete non corrono rischi. Oltre ogni strategia politica però pare che la strada della sua incoronazione a presidente del consiglio sia lastricata di sangue, con l’opinione pubblica che chiede conto e le poche voci delle attiviste che gridano al massacro. Ma c’è davvero un’epidemia di donne? C’è davvero un problema? E che cosa succede quando la politica, un’intera classe politica, uno Stato, il problema non sono in grado di risolverlo?

La mia intervista è qui:

https://www.raiplaysound.it/audio/2023/11/Fahrenheit-del-24112023-5a523ebe-3458-4fa6-bf15-af814d586c78.html

All’altezza della marea

Non potendola negare hanno deciso di minimizzarla ma la marea era impossibile da piallare. Ieri i giornali d’Italia sono stati costretti – volenti e nolenti – a raccontare le manifestazioni di piazza per il 25 novembre contro la violenza sulle donne. A Roma c’erano 500mila persone – o forse più – che hanno risposto all’appello delle associazioni.

La manifestazione del 25 novembre è stata una manifestazione storica, anche se nel corso dei prossimi mesi tenteranno di sopirla e la sminuiranno

A Largo Carlo a Milano erano più di 30mila. C’erano tutti. C’erano bambini, bambine, nonni, madri, padri, giovani, meno giovani. Nelle redazioni dei giornali si sono guardati in faccia per trovare le parole di fronte a quella “minoranza” – come l’hanno sempre chiamata – che è una marea.

La manifestazione del 25 novembre del 2023 è stata una manifestazione storica, anche se nel corso dei prossimi mesi tenteranno di sopirla e la sminuiranno riducendola a reazione emotiva alla morte di Giulia Cecchettin (e invece in quelle piazze sono state ricordate tutte). Accadrà – com’è sempre accaduto – che i maschi dirigenti coveranno un pensiero: “avete avuto il vostro spazio, adesso basta, ritornate a posto”.

La sfida è culturale, bisbiglia qualcuno allargando la questione sperando di rarefarla. E invece la questione è anche sociale, professionale e politica. Alla Polizia non basterà fare una volta all’anno un post su Instagram (illudendosi di controllarne i commenti) se poi agita i manganelli in difesa di un’associazione pro vita contro le donne che manifestano.

Alla Regione Lazio non basterà tingere di rosso una volta all’anno la propria sede se poi sfratta Lucha y Siesta, la più grande casa rifugio di Roma per donne che sfuggono alla violenza, dalla sua sede al Tuscolano. Alle aziende non basterà un post sui social se poi non parificano le paghe.
Ora gli tocca essere all’altezza.

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Il discredito delle toghe è un venticello di governo

Il vittimismo della compagine di governo ha assunto una piega gnegneista ieri per bocca del ministro alla Difesa Guido Crosetto che in un’intervista al Corriere della Sera è tornato a sventolare il più banale dei complotti: quello giudiziario. 

L’unico grande pericolo” per la continuità dell’esecutivo, ha detto il ministro, “è quello di chi si sente fazione antagonista da sempre e che ha sempre affossato i governi di centrodestra: l’opposizione giudiziaria”. Che intende Crosetto? “A me – ha spiegato – raccontano di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a ‘fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni’. Siccome ne abbiamo visto fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee…”.

In un Paese decente un ministro che agita il sospetto di un golpe di Stato dovrebbe avere almeno uno straccio di prova, dovrebbe essere passato in Procura con una regolare denuncia e dovrebbe avere già stilato una folta relazione da sottoporre al Parlamento. Il ministro di Fratelli d’Italia non ha fatto nulla di tutto questo. Anzi in serata si è detto stupito dal “clamore” delle sue dichiarazioni, come un alieno atterrato per sbaglio sul pianeta democrazia spiegandoci che voleva solo “difendere le istituzioni cercando la verità”. E questa è la sua confessione più grave ma più sincera: il discredito altrui come riconosciuto strumento di governo è una prerogativa di questo esecutivo. E torna in mente Gasparri che agitava la carota contro Report perché sapeva che Report stava indagando su di lui. 

Buon lunedì. 

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Femminicidi e violenza contro le donne: perché un asse tra Meloni e Schlein è improbabile – Lettera43

Ogni anno la marcia del 25 novembre porta in piazza il dolore delle donne vittime di femminicidio. Ogni anno. Lo fanno le associazioni, le reti, le attiviste e le studiose che non hanno mai avuto bisogno di un eclatante caso di cronaca per motivarsi. I centri antiviolenza e le associazioni sanno bene che ciò che è accaduto a Giulia Cecchettin si ripete con cadenza quasi quotidiana (una donna vittima di femminicidio ogni tre giorni, dicono le statistiche) nei diversi luoghi del Paese, nei diversi contesti sociali e nelle diverse modalità che un assassino può immaginare per mettere fine alla donna che ritiene sua. È innegabile però che questa giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne sia circondata da un vento nuovo se non per chi manifesta almeno per chi di quella marcia non può non accorgersene. È troppo intenso il doloroso dibattito sull’assassinio di Filippo Turetta per concedersi di rimanere nel posto degli spettatori. Costretti a dare voci alle donne che di solito non hanno voce, i media hanno scoperchiato una sopraffazione sistemica che parte ben prima dell’ammazzamento e che nella maggioranza dei casi non si spinge fino all’epilogo luttuoso pur manifestando una violenza che è il vero tema.

Femminicidi e violenza contro le donne: perché chi spera in un asse tra Meloni e Schlein si illude
Giulia Cecchettin.

Se si negano il patriarcato e la sopraffazione maschile è impossibile condividere la definizione di femminicidio

Come proponeva Luca Sofri su X si potrebbe fare un patto: chi non riconosce l’allarme del femminicidio in Italia può essere benissimo trattato come un terrapiattista. In maniera anti scientifica anche lui dimostrerà di non conoscere le basi, scambierà il femminicidio per il semplice omicidio di una donna, senza avere studiato. Del resto nel momento in cui si negano il patriarcato e la sopraffazione maschile sarebbe impossibile condividerne la definizione. Dice il dizionario: «Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte».

Come scriveva la femminista Marcela Lagarde «nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali»

L’antropologa Marcela Lagarde, rappresentante del femminismo latinoamericano e tra le prime teorizzatrici del concetto di femminicidio nel 1997 scriveva: «Il femminicidio implica norme coercitive, politiche predatorie e modi di convivenza alienanti che, nel loro insieme, costituiscono l’oppressione di genere, e nella loro realizzazione radicale conducono alla eliminazione materiale e simbolica delle donne e al controllo del resto. Per fare in modo che il femminicidio si compia nonostante venga riconosciuto socialmente e senza perciò provocare l’ira sociale, fosse anche della sola maggioranza delle donne, esso richiede una complicità e un consenso che accettino come validi molteplici principi concatenati tra loro: interpretare i danni subiti dalle donne come se non fossero tali, distorcerne le cause e motivazioni, negarne le conseguenze. Tutto ciò», continuava Lagarde,  «avviene per sottrarre la violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziali che invece colpiscono altre forme di violenza, per esonerare chi esegue materialmente la violenza e per lasciare le donne senza ragioni, senza parola, e senza gli strumenti per rimuovere tale violenza. Nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali».

Femminicidi e violenza contro le donne: perché chi spera in un asse tra Meloni e Schlein si illude
Una manifestazione a Milano dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin (Getty Images).

Perché un asse femminile tra Meloni e Schlein è improbabile

Quanti dei commentatori sono consapevoli che si stia parlando di questo? Ecco, appunto. Mentre si moltiplicano le voci che augurano un asse femminile (che sia femminista non ci crede nessuno, non ci spera nessuno) tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e tra la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein sarebbe il caso di essere consapevoli che le soluzioni condivise di un problema sono possibili quando se ne condividono le cause. È un passaggio logico fondamentale per non scadere nella retorica. Ogni anno la marcia dl 25 novembre porta in piazza il dolore delle donne vittime di femminicidio. Ogni anno. Nel corso degli anni sono state elaborate le proposte di soluzioni che quasi sempre la politica non ha voluto ascoltare. Non si discute solo di come eliminare le uccisioni, si discute di come eliminare anche tutto quello che viene prima, le sopraffazioni di ogni ordine e grado. Se qualcuno non è d’accordo con questo punto centrale il dialogo non è possibile. E gli oppressi nella Storia – da sempre – non possono fare altro che cercare di salvarsi (nel senso letterale del termine) attraverso lo scontro.

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Mimun ritira la firma dal Tg5, è resa dei conti con Pier Silvio. La proprietà non vuole interferenze mentre Mediaset si conferma regina del trash

Acque agitate in casa Mediaset dove due giorni fa il Tg5 è andato in onda senza la firma del suo direttore. Clemente Mimun ha deciso di prendere posizione contro il suo editore, quel Pier Silvio Berlusconi che due settimana fa ha inaspettatamente promosso condirettrice la giornalista Cesara Buonamici. Mimun non l’ha presa benissimo.

E pensare che solo ad agosto elogiava la sua giornalista di punta in un’intervista a Chi, quando Berlusconi decise di spedirla nello studio del Grande Fratello con la speranza che funzionasse da argine al trash di Alfonso Signorini: “Come vedo Cesara Buonamici come opinionista del Gf Vip? Quando Pier Silvio mi ha chiesto cosa pensassi gli ho detto che era un’ottima idea. E poi c’è e ci sarà sintonia fra lei e Alfonso Signorini. Ogni volta che Signorini si collegava con lei al Tg5, prima della diretta del Gf Vip, le diceva: perché non vieni qui?’ Sono sicuro che questa scelta di Pier Silvio avrà successo“. Mimun non si sbagliava: quella scelta ha avuto un successo tale che ora con Buonamici gli tocca dividere la poltrona.

Rapporti tesi

Solo qualche mese fa Mimun aveva frustato la Rai in una lunga intervista al Corriere della Sera in occasione del suo settantesimo compleanno. “Alla Rai sono stato a lungo il panda non di centrosinistra, una specie di foglia di fico nelle nomine – ci spiegò Mimun – ci spiegò Mimun -. Ho visto cose, come diceva il protagonista di Blade Runner, che voi umani non potete nemmeno immaginare. Prepotenze e nepotismi. Una legge non scritta della Rai prevede che qualsiasi cosa faccia il centrosinistra è giusta ma se a spostare una fioriera è il centrodestra, allora è una barbarie. Francamente stucchevole”.

Buco nell’acqua

In quella stessa intervista Mimun santificò Silvio Berlusconi (“Mi salvò letteralmente, in quel momento era presidente del Consiglio”) e non mancò di lisciare anche il figlio Pier Silvio: “Pier Silvio Berlusconi è molto attento anche all’informazione – disse il direttore del Tg5 -. Vuole qualità e ascolti. Evidentemente è un vizio che si tramanda nelle generazioni. Sono certo che sarà accanto e valorizzerà sempre il Tg5 che considera uno dei suoi gioielli di famiglia”. Ma se la battaglia promessa da Pier Silvio Berlusconi era quella di eliminare il trash probabilmente a Cologno Monzese sono ancora in alto mare.

A oggi l’unica a essere stata immolata sembra Barbara D’Urso (sostituita da Myrta Merlino ben di sotto degli ascolti che la rete si aspettava). Mentre sulle reti del Biscione continuano a imperversare programmi trash molto più pericolosi di qualche bislacco personaggio o cantante neomelodico che infoltivano il salotto della D’Urso: da Mario Giordano ai suoi epigoni Mediaset insiste nel trasformare l’informazione in una rissa da bar in cui vince l’urlo più forte.

Bandiera… bianca

Non basta ospitare Bianca Berlinguer per ritenersi mondati. Solo negli ultimi giorni nei cosiddetti programmi di punta dell’informazione alla corte di Pier Silvio è accaduto che Giordano abbia lanciato lo scoop inesistente sull’ex ministro Speranza indagato “per le bugie sulla pandemia” mentre tutti già sapevano che siamo sul limite dell’archiviazione. Per irridere le donne che denunciano il patriarcato ha mandato in onda un servizio sulle aggressioni di stranieri alle donne (ovviamente virando il tutto sulla xenofobia) dimenticando di citare i dati del contesto generale.

A Diritto e rovescio, la trasmissione condotta da Paolo Del Debbio, va in onda la guerra ai “maranza” (li chiamano giornalisticamente così) in cui il conduttore duella con qualche ragazzino sbruffone che viene preso come paradigma della sbruffonaggine degli immigrati in Italia. Il livello è questo. Sarà per questo che a ottobre la grande battaglia contro il trash di Pier Silvio Berlusconi sembra essersi smussata. “Insomma – disse l’editore in un’intervista al Corriere della Sera – mi sembra che quello che con snobismo viene chiamato ‘trash televisivo’ si riferisca unicamente a singoli momenti infelici, tv fatta bene o fatta male. Ma se, come è giusto, si lascia libertà a chi ha il compito di creare contenuti sempre caldi e sempre vivi, può capitare di andare oltre. E noi dobbiamo fare tutto il possibile per evitare eccessi.

Eccessi che fortunatamente rappresentano una quota minima rispetto a una televisione di grande qualità e ricchezza come quella che va in onda ventiquattr’ore al giorno su decine e decine di canali italiani, pubblici e privati”. Eccessi che – questo lo aggiungiamo noi – hanno provocato un mezzo terremoto a Palazzo Chigi con i video del compagno della presidente del Consiglio, Andrea Giambruno, che è finito sule copertina dei giornali di tutto il mondo. Giambruno che è stato promosso (vale la pena ricordarlo) da Pier Silvio Berlusconi. Lo stesso che chiama gli eccessi “quota minima” e ora ha un direttore di Tg che non firma le edizioni che vanno in onda.

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In piazza per Giulia tra montagne di ipocrisia

Oggi accanto alla piazza, provando a soffiarci sopra, va in onda l’ipocrisia. Certa politica colta in contropiede dalle rifrazioni della morte di Giulia Cecchettin indossa la tonaca del lutto sperando di riuscire a dare qualche colpo di gomito. Fingeranno di non sapere che il governo Meloni ha tagliato il 70% delle risorse per la prevenzione della violenza contro le donne. Dai 17 milioni del 2022 stanziati dal governo Draghi si è passati ai 5 milioni del 2023.

Denari concentrati per lo più sulla parte di repressione, a reato ormai compiuto, quando le donne sono già state ammazzate. In più, come sottolinea il report di ActionAid, il governo Meloni è stato anche molto poco attivo nella sua iniziativa legislativa diretta al contrasto della violenza di genere. Dalla sua entrata in carica, i partiti della coalizione di destra hanno presentato solo 53 proposte normative o atti non legislativi per combattere la violenza contro le donne.

Mentre i partiti di opposizione ne hanno presentati complessivamente ben 306, di cui 189 proposte normative, Fingeranno di non sapere che quest’anno ogni quattro giorni è stata uccisa una donna, e circa tre su dieci sono state vittime di una forma di violenza fisica o sessuale durante la loro vita.

Inoltre, in base a un’indagine conoscitiva, almeno sette donne su dieci hanno subìto violenze o abusi non denunciati. Le organizzatrici della marcia hanno chiesto che non ci siano bandiere di partito, volendo dire che anche i partiti ora dovrebbero provare ad ascoltare. Oggi invece sarà un profluvio di retorica politica. Chissà quanti parlamentari sanno quante sono le donne morte dopo Giulia Checchettin.

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Ma che vi siete fumati? Spot farsa del Governo sulla cannabis

Il governo ha sfornato uno spot contro la droga ed è riuscito a sbagliare anche quello. La nuova campagna contro le sostanze stupefacenti dei dipartimenti per le Politiche antidroga e di quello dell’Informazione e dell’editoria della Presidenza del Consiglio ha un claim tutto sbagliato: “è un attimo che passi ad altre droghe”, si legge.

Il Governo ha sfornato uno spot contro la droga ed è riuscito a sbagliare anche quello

Nel video c’è un ragazzino giovanissimo che fa la paternale a un suo amico più grande che sta rollando una canna. Il piccolo avvisa il grande che si passa “in un attimo ad altre sostanze stupefacenti. Tutte le droghe fanno male”. Voce fuori campo: “Migliaia di persone ogni anno vanno al pronto soccorso per patologie legate alle sostanze stupefacenti, un decimo di loro è minorenne”.

Passare alle droghe pesanti è un attimo: ultima Fake news. La campagna smentita dalla scienza. Non c’è correlazione tra cannabis e altre sostanze

Non sia mai che vengano dati numeri precisi, lo spot è la versione televisiva delle chiacchiere da bar. Peccato che la tesi non stia in piedi. Il fatto che una persona faccia uso di cannabis non implica di per sé che prima o poi passi all’uso di altre sostanze stupefacenti. A smentire questa affermazione è da tempo la scienza in diversi studi e la realtà. Gi studi dimostrano che l’usare frequentemente cannabis in realtà è inversamente correlato all’uso di altre sostanze, mentre pochissimi dei 20 milioni di italiani che hanno usato cannabis nella vita sono poi passati ad altro.

Inoltre numerosi studi dimostrano che la cannabis sia utile come sostanza di uscita dalle dipendenze da sostanze più pesanti come eroina e cocaina, che è una alternativa medica ai farmaci oppioidi e il suo uso terapeutico diminuisce le morti per overdose da oppiacei.

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Mezza… Verità su Speranza. Sul ministro indagato già chiesta l’archiviazione

In sofferenza per mancanza di pandemia La Verità di Maurizio Belpietro ieri ha sfornato una prima pagina e una conseguente brutta figura. Andiamo con ordine. Nelle edicole d’Italia ieri il quotidiano titolava: “Speranza indagato per omicidio”. Per il quotidiano ci sarebbero “clamorosi sviluppi” della loro inchiesta. “All’ex ministro contestati anche somministrazione di medicinali guasti e falso”, scrivono i giornalisti. Imperdibili poi gli editoriali in appoggio. “Siamo arrivati alla resa dei conti – scrive Marianna Canè -. Le gigantesche bugie, le intollerabili omissioni, i dati falsati, tutte le mancanze nella gestione della campagna vaccinale…”. E così via.

In sofferenza per mancanza di pandemia La Verità di Belpietro ieri ha sfornato una prima pagina su Speranza e una conseguente brutta figura

Lo sfortunato lettore ieri avrà pensato che sarebbe venuto giù tutto, che davvero il grande complotto universale fosse stato mascherato. Ormai a cercare improbabili complotti in epoca di pandemia sono rimasti solo i giornalisti de La Verità per non dovere chiedere scusa e Matteo Renzi per cercare la sua solita vendetta politica. Invece cosa è accaduto? In mattinata una nota di agenzia spegne gli entusiasmi. “In merito a notizie di stampa relative all’iscrizione dell’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, al registro degli indagati presso la Procura di Roma, a seguito di alcune denunce in materia di vaccini, si precisa che gli atti sono stati inoltrati al competente Tribunale dei ministri con contestuale richiesta di archiviazione”, scrive il legale dell’ex ministro, Danilo Leva.

Ma la giornata è nera su tutti i fronti perché ore dopo arriva anche la notizia dell’archiviazione sul piano pandemico durante la pandemia. La procura di Roma ha chiesto al gip di “archiviare la posizione di nove persone indagate nell’inchiesta sul piano pandemico”. L’indagine – che doveva essere uno scoop – era partita da Bergamo e Brescia ed era poi arrivata nella Capitale per competenza territoriale. Tra gli indagati nei confronti dei quali è stata sollecitata, dai magistrati, l’archiviazione ci sono l’ex presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, per il quale era stata ipotizzata la truffa in riferimento a erogazioni pubbliche e l’ex numero due dell’Organizzazione mondiale della Sanità Oms) Ranieri Guerra. Tutti grandi nemici del quotidiano di Belpietro.

Proprio ieri la Procura di Roma ha archiviato numerose inchieste sul Covid cavalcate dal giornale diretto da Belpietro

Le accuse contestate, a vario titolo e a seconda delle posizioni, erano di rifiuto e omissioni in atti d’ufficio, falso e truffa. Lo scorso giugno le posizioni dei tre ex ministri della Salute, Speranza, Giulia Grillo e Beatrice Lorenzin, sono già state definite con un decreto di archiviazione dal tribunale dei ministri di Roma. Ora, dopo l’attività istruttoria svolta dai pm, è stata chiesta al gip l’archiviazione anche delle altre posizioni. Tra questi, oltre a Brusaferro e Guerra, cinque dirigenti del ministero della Salute, Claudio D’Amario, Francesco Maraglino, Loredana Vellucci, Mauro Dionisio e Maria Grazia Pompa, l’allora direttore generale della Prevenzione del Ministero della salute Giuseppe Ruocco e l’ex capo della Protezione Civile Angelo Borrelli.

Una richiesta di archiviazione che, a quanto si apprende, si fonda sull’assenza di responsabilità penale in relazione alla mancata revisione del piano pandemico, il cui obbligo di aggiornamento era legato al cambiamento della situazione epidemiologica. Un piano che, secondo quanto emerso, era già in fase di aggiornamento. La Verità ieri è uscita in versione ridotta – mezza… Verità – scordandosi che le notizie si dovrebbero dare per intere e non solo sulla base della accuse. Chissà come ci rimarranno male i suoi lettori appena scopriranno la verità tutta intera.

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Le donne, le violenze e quei telefoni che squillano a vuoto

Non sono ancora del tutto esplorati gli agghiaccianti particolari della morte di Giulia Cecchettin, ennesimo femminicidio che ha scosso l’opinione pubblica costringendo un Paese intero a occuparsi dei femminicidi che solitamente scivolano scritti (male) negli angoli delle pagine di cronaca nera. C’è altro, oltre alle descrizioni minuziose dei luoghi e dei colpi, addirittura fatte a fumetto in attesa che arrivi magari il solito plastico. Nell’assassinio di Giulia per mano del suo ex fidanzato Filippo Turetta i magistrati vogliono vederci chiaro sulla telefonata di un testimone che alle 23.18 chiamò il 112 raccontando di avere assistito alla prima aggressione di Filippo nei confronti di Giulia. Quella chiamata non convinse i carabinieri di Vigonovo che ritennero non urgente l’intervento. Ma secondo un’indiscrezione dell’agenzia Lapresse la procura di Venezia starebbe verificando l’esistenza di una seconda chiamata al 112 rimasta senza seguito. Ad effettuarla, un’ora dopo quella del testimone, sarebbe stato un addetto alla vigilanza dello stabilimento di Fossà davanti al quale è iniziata l’aggressione. Non urgente.

Forse sarebbe il caso che anche le forze dell’ordine aprano un’ampia riflessione sulla sensibilità con cui approcciano e hanno approcciato i casi di donne a rischio in questo Paese. A certificarlo, solo in questi ultimi giorni,  c’è quell’orrendo verbale proprio dei carabinieri di Vigonovo che ipotizzava nella prima denuncia un “allontanamento volontario”di Giulia e ci sono le centinaia di testimonianze di donne che hanno commentato un post su Instagram della Polizia di Stato elencando le innumerevoli volte in cui non sono state ascoltate. I commenti erano stati cancellati e disabilitati. Sono stati ripristinati e riaperti dopo le proteste di molti. Appunto.

Così tanto per cominciare, per metterci in discussione tutti, proprio tutti.

Buon venerdì. 

Nella foto: Giulia Cecchettin, frame di un video di un programma Rai

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