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Centro rimpatri in Albania. L’Ue rovina i piani della Meloni

Brutte notizie per Giorgia Meloni dalla Corte europea chiamata a pronunciarsi dal Viminale dopo che la Cassazione aveva rinviato tutto a Strasburgo a proposito di un ricorso sulle procedure accelerate di frontiera compresa la cauzione da 5mila euro che l’Italia vorrebbe applicare anche nei rapporti con l’Albania. Ora il memorandum firmato dalla presidente del Consiglio con il presidente albanese Edi Rama è a rischio. Per il verdetto potrebbero servire diversi mesi dopo che da Strasburgo è arrivato il rifiuto di trattare la questione con urgenza.

La Corte europea boccia la procedura accelerata di frontiera. Ora è a rischio pure il memorandum per i rimpatri in Albania

La Cassazione chiedeva “se la direttiva “2013/33/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”, ostino “a una normativa di diritto interno che contempli quale misura alternativa al trattenimento del richiedente (il quale non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente), la prestazione di una garanzia finanziaria il cui ammontare è stabilito in misura fissa anziché in misura variabile, senza consentire alcun adattamento dell’importo alla situazione individuale del richiedente, né la possibilità di costituire la garanzia stessa mediante l’intervento di terzi, sia pure nell’ambito di forme di solidarietà familiare, così imponendo modalità suscettibili di ostacolare la fruizione della misura alternativa da parte di chi non disponga di risorse adeguate, nonché precludendo la adozione di una decisione motivata che esamini e valuti caso per caso la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura in relazione alla situazione del richiedente medesimo”. Il quesito è però arrivato ben dopo i tempi stabiliti.

Il Viminale aveva chiesto alla Cedu di pronunciarsi dopo che la Cassazione aveva rinviato tutto a Strasburgo a proposito di un ricorso sulle procedure accelerate di frontiera

“Per la Corte di Giustizia non si tratta quindi di una questione da affrontare con procedura di urgenza – dice all’Agi l’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro, che difende i migranti nei due casi portati all’attenzione della Corte di giustizia europea -, ma da affrontare con procedura ordinaria. Due visioni della fattispecie che differisce tra i due massimi organismi, uno nazionale e l’altro europeo”. La legale dei migranti che hanno presentato il ricorso spiega di “avere ricevuto soltanto la comunicazione sintetica che non è stata approvata la procedura d’urgenza, ma non ne conosco le motivazione”. Ritengo probabile che i giudici hanno ritenuto non sussistere l’urgenza perché i destinatari del provvedimento sono liberi”, dice l’avvocata Lo Faro che rappresenta i migranti al centro della decisione.

“La palla è stata rimessa al centro – aggiunge – e la decisione credo impatti anche sul protocollo siglato tra Italia e Albania che prevede vengano applicate le procedure accelerate di frontiera, compresa la cauzione da 5.000 euro”. “C’è stato – osserva l’avvocata Lo Faro – un rimpallo tra le varie istituzioni, e adesso la palla torna al centro e ci vorrà del tempo per le decisioni, in attesa delle quali tutto resta fermo, compresa l’applicazione del decreto Cutro, e non solo in Italia perché le procedure accelerate, con il pagamento della cauzione di 5.000 euro, sono previste anche nel protocollo firmato con l’Albania”. “Per la Corte di giustizia europea – aggiunge la legale – il tema non è da affrontare con procedura di urgenza, ma, secondo il presidente che tratta il caso, da affrontare con la procedura ordinaria. Due visioni contrapposte quelle di due Istituzioni, che ha portato per il momento allo stallo, con la palla che torna al centro”.

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Dopo i manganelli di Stato. I carabinieri picchiatori

Dunque a Modena un carabiniere nel tentativo di fare salire in auto un arrestato lo prende a pugni in faccia, prima fuori e poi dentro l’auto di servizio. Il video è stato girato da un passante ieri mattina in pieno centro storico, lungo Largo Garibaldi, a due passi dal teatro Storchi. La giustificazioni degli uomini dell’arma sono che il tizio fosse sospetto. Un altro piccolo particolare, è nero.

A Modena un carabiniere nel tentativo di fare salire in auto un migrante arrestato lo prende a pugni in faccia

Eppure dopo essere arrivato con un barcone in Italia lo sventurato non ha mai commesso reati (con grande scorno per leghisti, razzisti e fascisti) e soprattutto è molto apprezzato dal titolare del ristorante in cui lavora come lavapiatti. “Hanno preso un granchio, la persona sbagliata. Sono sei anni che lavora per questo locale, non ha mai fatto nessun errore. Non ha ancora capito cosa gli è successo” dice Mario Campo, il titolare del Ristorante Pasticceria Siciliano “Cirisiamo” di Modena dove da sei anni lavora il 23enne.

L’avvocata Barbara Bettelli, che difende il 23enne guineano, ha la pazienza di spiegare che “a Modena non si è mai vista una cosa del genere, finora cose così le avevo viste solo nei filmati americani. Si sono accaniti con una violenza non necessaria. Se una persona si oppone a un controllo legittimo va contenuta, non picchiata”. Lui all’Ansa ha raccontato di essere stato in attesa dell’autobus e di non avere i documenti con sé.

“Ho spiegato che potevo chiamare un mio amico che me li avrebbe portati. Ma loro volevano buttarmi in macchina. Io lavoro, non ho mai fatto nulla di male”. I carabinieri, fa sapere l’Arma, sono stati assegnati a altro incarico. Chissà, forse meriterebbero di essere candidati alle elezioni europee.

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Esseri precari

Qui intorno una volta era tutto un filosofare sulla precarietà poi improvvisamente abbiamo smesso. Solo che i precari sono aumentati, eccome, e il processo di normalizzazione sembra essere perfettamente riuscito. 

Dice l’Istat che sono 3 milioni gli occupati a termine in Italia e sono impiegati in tutti i settori, nel privato come nel pubblico, al Nord come al Sud e al Centro. Secondo le rilevazioni Inps per il settore privato, la retribuzione media annua di una persone con contratto a tempo determinato è di 10.400 euro, il numero di giornate retribuite 155, pari a circa 6 mesi. Sono soprattutto giovani under 35 (il 48,9 per cento), più uomini che donne (52,4 contro 47,6), tra i settori spiccano noleggio, agenzie di viaggio, supporto alle imprese (21 per cento) e alloggio e ristorazione (15 per cento).

Nel settore pubblico i numeri sono spaventosi. 500 mila dipendenti a termine, di cui più di 100 mila nella pubblica amministrazione, dalla sanità alle funzioni locali, 205 mila docenti nella scuola, altri 200 mila lavoratori del settore della conoscenza (scuola, ricerca, università alta formazione). I numeri sono la faccia del disinvestimento nel settore pubblico a discapito dei servizi che andrebbero offerti. 

In cambio ci offrono un’ampia letteratura secondo cui essere precari significherebbe essere smart, imprenditori di sé stessi, perennemente in sfida. La precarietà è bella – vorrebbero convincerci – perché ci permette di rimanere vigili. Così accade che la sanità pubblica preconizzata non riesca a offrire servizi stabili a lavoratori precari che non hanno comunque soldi per affidarsi alle cure private. Bello, no?

Buon venerdì. 

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Altro muro Ue all’immigrazione. La nuova Libia è la Mauritania

L’Unione europea ha scelto il prossimo tappo per fermare con le buone o con le cattive le migrazioni di disperati: la Mauritania, paese del Sahel occidentale da cui passa la rotta che porta decine di migliaia di sub-sahariani a tentare la traversata per raggiungere le Isole Canarie, e quindi la Spagna. In ballo ci sono 210 milioni di euro che verranno riversati nel casse del paese africano per fare il lavoro sporco, come già avviene per la Libia, la Tunisia e i paesi a cui l’Ue ha subappaltato i confini. La commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson, ne ha parlato con grande soddisfazione da Nouakchott, insieme al ministro dell’Interno e della Mauritania, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine.

L’Unione europea ha scelto il prossimo tappo per fermare con le buone o con le cattive le migrazioni di disperati: la Mauritania

Il terreno era stato concimato da tempo dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che in Mauritania c’era stata giusto un mese fa accompagnata proprio dal primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. Von der Leyen aveva annunciato che la cooperazione sarà “basata sulla solidarietà, sulla responsabilità condivisa e sul rispetto dei diritti umani e fondamentali“. Le promesse sono sempre le stesse. Si parla di sostegno alle iniziative del Global Gateway come investimenti, infrastrutture e creazione di posti di lavoro, soprattutto nel settore dell’energia. In realtà il punto fondamentale è la gestione della migrazione, “con l’imperativo della lotta a quella irregolare e al traffico di migranti”.

E con la promozione di una mobilità qualificata di studenti, ricercatori e imprenditori. “Anche l’Europa ha bisogno della migrazione – ha dichiarato Johansson in conferenza stampa da Nouakchott -, ma di una migrazione regolare”. Il sottotetto è chiaro anche per i più distratti: le competenze sono ben accette, con la soddisfazione di svuotarne il continente, ma i fragili e i disperati verranno respinti. Una colonizzazione per estrarre talenti con l’aiuto ben pagato di uno Stato che accetta di essere muro. La commissaria Ue, che nel 2020 aveva visitato Nouadhibou, uno dei punti di partenza per le Canarie, ha sottolineato che quel tratto di 800 chilometri di mare “è quello che registra il maggior numero di vittime e di tragedie”.

La soluzione pensata da Bruxelles è di affidarsi a Frontex, travolta in questi mesi da scandali umanitari e amministrativi. L’accordo ha sollevato polemiche a livello locale. I commentatori mauritani temono che l’obbiettivo non dichiarato sia di insediare i migranti sul territorio mauritano in cambio di un pacchetto di aiuti finanziari. Le autorità, non serve nemmeno scriverlo, negano. Resta da vedere come la Mauritania possa “garantire il rispetto dei diritti umani” senza l’ombra di una legislazione che regoli lo status di rifugiati. Senza un quadro legale chiaro che regoli le procedure di asilo e immigrazione, e garantisca la protezione necessaria, rifugiati e migranti rimangono in una posizione legale precaria, esposti a rischi e senza diritti tangibili.

Come già successo con la Tunisia l’Europa rischia che i flussi migratori siano usati come arma di ricatto

Resta da capire come si possa garantire il rispetto dei trattati internazionali che proibiscono il trasferimento di migranti in paesi dove potrebbero affrontare il rischio di incarcerazione o discriminazione, e subire trattamenti inumani e degradanti. Resta da capire come l’Ue possa ritenere credibile per un memorandum sull’immigrazione uno Stato che non compare nemmeno nella lista dei paesi considerati sicuri stilata proprio dell’Ue. Come andrà a finire si può facilmente immaginare. La Mauritania che già ora fatica a controllare i propri confini potrà riempirsi di migranti da usare come arma di pressione e ricatto nei confronti di Bruxelles, decidendo di aprire o chiudere i rubinetti delle partenze per usare le persone come arma non convenzionale.

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I deliri di una giornata tipo del campo largo tra Calenda e Bonaccini

Una tipica giornata del cosiddetto campo largo dai contorni del campo minato. Ieri mattina il presidente della Regione Emilia Romagna nonché presidente del Partito democratico dopo avere perso le primarie per la segreteria, Stefano Bonaccini, ha rilasciato un’intervista a La Stampa in cui ha affrontato il tema del cosiddetto Terzo polo che non è mai stato terzo e che non è mai stato un polo e che ora chiamano “centristi”.

Il leader di Azione, Carlo Calenda, tratta con Cirio e Bardi. Ma per il governatore è irrinunciabile

“Potrei dire che in Sardegna i centristi non erano con noi – ha spiegato Bonaccini – e la lista dei 5S non è andata bene. Ma per la prima volta quel Movimento ha eletto una presidente alla guida di una Regione. Noi dobbiamo rivolgerci a tutte le forze di opposizione al Governo, che non ha certo bisogno di stampelle. Il Pd deve crescere e allargare la sua base elettorale per essere il perno di un centrosinistra largo e aperto alle migliori esperienze civiche”.

Rapida esegesi dell’intervista: per Bonaccini e per la corrente di minoranza che rappresenta all’interno del Pd inseguire Renzi e Calenda è fondamentale per poter essere credibili. Sanno tutti che il sogno di Base riformista – la corrente che si oppone alla segretaria Elly Schlein – sarebbe un Pd chioccia del Terzo polo senza il M5S ma la vittoria in Sardegna ha smussato i loro sogni. Con il M5S ma assolutamente con i centristi, quindi. Ieri in un’altra intervista ha parlato il leader di Azione Carlo Calenda, politico irraggiungibile nell’arte di distinguersi per i no. Calenda dice che “non esiste il campo largo, ma c’è un bivio: o i riformisti o i 5 Stelle, che tutto sono fuorché di centrosinistra”, di fatto smentendo il progetto politico che sta alla base della segreteria di Elly Schlein.

Per il leader di Azione ciò non preclude certo i furbi accordi sul piano locale, dove “è più facile ritrovarsi attorno a un progetto per il territorio e a un candidato credibile”. Ma di adottare lo stesso schema per la guida del Paese non se ne parla: “Se il Pd vorrà restare insieme al M5S, capitanati da un signore che nega il sostegno all’Ucraina, noi non ci saremo perché se anche dovessimo vincere, poi saremmo incapaci di governare”. Rapida esegesi della sua intervista: mai con il M5S a meno che non si sia condannato all’irrilevanza.

L’ex ministro insiste sul veto a Conte. Ma le Regionali in Abruzzo e Sardegna hanno certificato la sua irrilevanza

Per Calenda il campo largo non è altro che un ventaglio di possibilità per adottare l’antica politica dei due forni di andreottiana memoria. Ci si allea con chi probabilmente vince per pesare molto di più della proprie dote elettorale. Le “intese locali”, come le chiama il leader di Azione, sono la palestra per un’oscillazione nazionale. Non si capisce bene perché gli indigeribili 5S dovrebbero diventare appetitosi sotto un certo numero di abitanti elettori ma la teoria raccoglie consensi. Così dopo Soru in Sardegna e D’Amico in Abruzzo ora Azione potrebbe allearsi con la destra.

Sono ben avviati i contatti per Bardi in occasione delle prossime elezioni in Basilicata e con Cirio per il Piemonte. Una tipica giornata del cosiddetto campo largo. La minoranza del Partito democratico dolcemente schiaffeggia la sua segretaria imponendo il centro come imprescindibile punto di partenza di una coalizione. Il leader M5s non parla e non parla nemmeno la segretaria del Pd. A rispondere all’opposizione interna dem ci pensa un pezzo del centro (che non parla più con l’altro pezzo del centro) per dire che la prima condizione di un qualsiasi dialogo è l’esclusione di altri. La domanda rimane sempre la stessa: come può essere potabile un campo largo così?

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Via libera al Media Freedom Act. Il Parlamento Ue fa a pezzi la riforma Rai di Renzi

Passa al Parlamento europeo il cosiddetto Media Freedom Act pensato da Bruxelles per proteggere giornalisti e testate dalle ingerenze politiche ed economiche e garantire autonomia e trasparenza per le reti pubbliche. Il nuovo regolamento, approvato con 464 voti favorevoli, 92 voti contrari e 65 astensioni, obbliga gli Stati membri a proteggere l’indipendenza dei media e il lavoro dei giornalisti, vietando qualsiasi forma di ingerenza nelle decisioni editoriali. Alle autorità sarà vietato ricorrere ad arresti, sanzioni, perquisizioni, software di sorveglianza intrusivi installati sui dispositivi elettronici e altri metodi coercitivi per fare pressioni su giornalisti e responsabili editoriali e costringerli a rivelare le loro fonti.

Il Media Freedom Act è pensato per proteggere giornalisti e testate dalle ingerenze politiche ed economiche e garantire autonomia e trasparenza

Il Parlamento ha introdotto, durante i negoziati con il Consiglio, forti limitazioni all’uso dei software spia, che sarà consentito soltanto caso per caso e previa autorizzazione di un’autorità giudiziaria nell’ambito di indagini su reati gravi punibili con pene detentive. Anche in queste circostanze, tuttavia, le persone interessate dovranno essere informate dopo che la sorveglianza è stata effettuata e potranno poi contestarla in tribunale. Per evitare che gli organi di informazione pubblici siano strumentalizzati a scopi politici, i loro dirigenti e membri del consiglio di amministrazione andranno selezionati per un mandato sufficientemente lungo sulla base di procedure trasparenti e non discriminatorie.

Il licenziamento prima della scadenza del contratto sarà consentito solo nel caso in cui vengano a mancare i requisiti professionali. I finanziamenti destinati ai media pubblici dovranno essere sostenibili e prevedibili e seguire procedure trasparenti e obiettive. Per consentire al pubblico di sapere chi controlla i singoli media e quali interessi possono celarsi dietro la proprietà, tutte le testate giornalistiche, dalle più gradi alle più piccole, saranno tenute a pubblicare informazioni sui relativi proprietari all’interno di una banca dati nazionale e a indicare se sono direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato.

Colpo alla lottizzazione della Rai. Dal M5S al Pd all’Usigrai sale il pressing per sottrarre il Servizio Pubblico dal controllo politico

E in Italia Per la presidente della Vigilanza Rai Barbara Floridia è “il punto di non ritorno” per l’emittente di Stato. “Auspico che le forze politiche – dice Floridia – siano in grado di superare staccati ideologici e interessi di parte e lavorare all’obiettivo condiviso di tutelare l’indipendenza” del servizio pubblico. “Ovviamente è un voto che non ci coglie impreparati“. Per il deputato Pd ed ex Ministro del Lavoro Andrea Orlando “il via libera al Parlamento europeo del Media Freedom Act toglie ogni alibi a tutte le forze politiche per lavorare ad una riforma, non più rinviabile, della governance della Rai in una Fondazione indipendente”.

Riforme richieste anche dal sindacato Usigrai: “Si apre la strada alla protezione dei media dalle ingerenze politiche. Un provvedimento particolarmente importante che dovrebbe essere subito adottato nel nostro Paese per non riproporre in Rai lo schema di occupazione messo in piedi dai partiti che da sempre comandano sull’azienda di servizio pubblico”. Per consigliere del Cda Rai, Davide Di Pietro, “è la pietra angolare per l’indipendenza dei media e per un Servizio pubblico forte e libero dai partiti”.

Il nuovo regolamento europeo introduce anche importanti novità sulla trasparenza dei media privati

Il Media Freedom Act introduce anche importanti novità sulla trasparenza dei media privati. Per consentire al pubblico di sapere chi controlla i singoli media e quali possano essere i conflitti di interesse di tutte le testate giornalistiche, dalle più grandi alle più piccole, saranno tenute a pubblicare informazioni sui relativi proprietari all’interno di una banca dati nazionale e a indicare se sono direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato. I media dovranno anche riferire sui fondi che ricevono dalla pubblicità statale e sul sostegno finanziario dello Stato, anche nel caso in cui questi provengano da Paesi terzi.

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La legge del manganello. By Romano La Russa

Romano La Russa ha come più grande qualità politica quella di essere fortunato fratello di quell’Ignazio Maria Benito che ha trovato molta fortuna sul palcoscenico nazionale. Romano La Russa ha issato il proprio feudo in Lombardia, mai avara quando si tratta di garantire comode carriere al giusto fratello, al giusto parente o al giusto fidato di qualcuno di potente.

Ora Romano si ritrova a essere assessore alla Sicurezza per Regione Lombardia. Il La Russa minore ama considerevolmente quel ruolo perché si tratta di un assessorato omeopatico che si gioca tutto sul percepito: se sembri abbastanza cattivo sei un assessore abbastanza credibile. Durante una discussione della giunta lombarda, guidata dal leghista Attilio Fontana, Romano La Russa ha detto all’opposizione che “i minorenni che difendete li usate come avanguardie delle spranghe che cinquant’anni fa usavano i loro nonni”.

Al centro del dibattito c’era una mozione del leghista Davide Caparini – che incidentalmente è marito dell’eurodeputata leghista Silvia Sardone – per dare “sostegno alle forze dell’ordine e alla libertà di manifestare in modo civile”, e per “esprimere la massima solidarietà a chiunque voglia esprimere le proprie idee con la presentazione di un libro”. Si riferiva proprio alla sua coniuge. A proposito di affari di famiglia.

Per il centrodestra “le manganellate ai manifestanti sono sempre spiacevoli e deprecabili e sarebbe meglio evitarle, ma chi partecipa a un corteo deve sapere che la partecipazione deve sempre implicare senso di responsabilità e non il pensiero che appartenendo ad un gruppo si possano violare le regole”. La risposta migliore a La Russa è della consigliera regionale dem Carmela Rozza: “Non voglio tornare a cinquant’anni fa quando eri il picchiatore di San Babila. La Resistenza l’hanno fatta i partigiani sulle montagne e voi non c’eravate”, ha detto. Amen.

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Se sei povero soffri meno degli altri. Parola di giudice

C’è voluta la Corte di Cassazione per rimediare a una spaventosa sentenza secondo cui l’ingiusta detenzione di un senza tetto valesse il 30% in meno di un altro qualsiasi cittadino. Secondo la Corte d’Appello di Milano un senza tetto con una “subalternità culturale” derivante dalla marginalità socio-economica avrebbe sofferto meno degli altri. Secondo il calcolo standard il cittadino ingiustamente detenuto avrebbe dovuto avere 235 euro per ogni giorno di carcere immeritato. Ma i 107.630 euro, sono diventati 75mila. Un taglio del 30% giustificato dalla condizione del ricorrente. Per i giudici d’Appello il prevenuto “almeno per il periodo, in cui fu sottoposto alla misura custodiale, era quella di un uomo che viveva in una situazione di accentuata marginalità socio-economica e di subalternità culturale”. Senza affetti e privo di una abitazione stabile ed è per questo che la corte di merito ha ritenuto congruo tagliare di un 30% l’indennizzo per la carcerazione patita, d’altronde l’aver vissuto in una baracca e l’assenza di un’occupazione “e di rapporti affettivi di qualsivoglia natura”, sono fattori che avevano certamente inciso molto negativamente sulla qualità della sua esistenza. Tutto questo secondo i giudici doveva dunque necessariamente aver mitigato il patimento naturalmente connesso alla carcerazione.

La terza sezione di Cassazione con la sentenza numero 9486/2024 ha rimediato alla sentenza classista parlando di “principio rovesciato”. “Per non parlare – scrivono i giudici – dell’incomprensibile richiamo, pure utilizzato nell’ordinanza impugnata, alla subalternità culturale”.

Buon giovedì. 

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Una legge sull’Intelligenza artificiale. Meloni la vuole controllata dal governo

Dice Giorgia Meloni che “il governo sta predisponendo un provvedimento di legge che ha come obiettivo quello di stabilire alcuni principi, determinare le regole complementari a quelle del regolamento europeo che è in via di approvazione e individuare le misure più efficaci per stimolare il nostro tessuto produttivo. Inoltre stiamo lavorando per individuare l’organismo più idoneo a svolgere il ruolo di autorità competente sull’uso delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale”. Per questo secondo la presidente del Consiglio esiste la necessità di costruire una “via italiana all’intelligenza artificiale”.

Il sottosegretario Butti esclude che sarà un’Autorità indipendente a vigilare sull’Intelligenza artificiale

Meloni l’ha spiegato ai partecipanti al convegno “L’intelligenza artificiale per l’Italia”, parlando di nuovi investimenti sull’intelligenza artificiale. “Il sistema Italia – ha detto la premier – ha bisogno che si parta dai grandi campioni di questa nazione e per questo voglio ringraziare Cdp – e in particolare Cdp Venture Capital – perché grazie al loro impegno sarà possibile investire un miliardo di euro sull’IA, sia creando un nuovo fondo di investimento specializzato sull’IA, sia usando fondi di investimento già attivi ma che coinvolgono questa tecnologia”. Al convegno organizzato dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, e da Agid (Agenzia per l’Italia Digitale), era presente anche il Sottosegretario di Stato, con delega all’innovazione, Alessio Butti (nella foto). Facendo riferimento a quanto detto da Meloni sulle norme che regoleranno l’IA in Italia, Butti ha detto che l’autorità competente per l’intelligenza artificiale, ai sensi del regolamento Ue, sarà “prevedibilmente un’agenzia e non un’autorità indipendente”.

Si tratterà, ha aggiunto il sottosegretario, di “un organismo con un ruolo di supporto all’attuazione della strategia nazionale, ma anche con funzioni di vigilanza e sanzioni”. Butti ha anche dichiarato che “sull’IA ci sarà un disegno di legge e non un decreto legge, per scelta del presidente del Consiglio che vuole un confronto con il Parlamento. Il governo varerà il provvedimento penso nei prossimi 15 giorni”. “Intendiamo dispiegare immediatamente le risorse a disposizione. Nel disegno di legge sarà già presente il Fondo che abbiamo fatto decollare con Acn e Cdp che cuberà intorno agli 800 milioni. In più, dopo il piano industriale di Cassa depositi e prestiti venture capital, ci sarà la disponibilità di un miliardo” ha spiegato Butti.

La norma prevede due punti chiave: l’indipendenza tecnologica e la valorizzazione delle imprese italiane

L’intelligenza artificiale in salsa sovranista prevede due punti chiave: l’indipendenza tecnologica e la valorizzazione delle imprese italiane. Rimangono però almeno due dubbi che diverranno a breve temi politici. Sugli enormi rischi dell’intelligenza artificiale nella propaganda politica e nell’informazione. Tenere le redini dell’agenzia in mano al governo significa non poter controllare i controllori. Negli Usa – dove l’intelligenza artificiale è al centro del dibattito politico da mesi – se ne occupa un dipartimento di Stato che fornisce indicazioni politiche per implementare un’IA affidabile attraverso l’Osservatorio sulle politiche dell’IA dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), una piattaforma istituita nel febbraio 2020 per facilitare il dialogo tra le parti interessate e fornire analisi politiche basate sull’evidenza nelle aree in cui l’IA ha il maggior impatto. C’è poi il rischio di una figuraccia già vista con il ministro Lollobrigida e la carne coltivata: una legge sull’intelligenza artificiale che anticipa il dibattito le decisioni dell’Ue è destinata a essere solo retorica e propaganda.

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Salvini è una mina vagante. Ora Meloni teme un altro Papeete

Giorgia Meloni si sente forte, fortissima. La vittoria di Marsilio in Abruzzo ha spazzato le nubi soffiate dalla Sardegna e la presidente del Consiglio è rinfrancata. Si continua quindi sulla stessa linea, decide tutto lei. Tra le soddisfazioni che la leader di Fratelli d’Italia si intasca per il risultato abruzzese c’è anche il caotico crollo dell’alleato scomodo Matteo Salvini. Le voci vicine a Palazzo Chigi dicono della reale speranza che il ministro alle Infrastrutture molli la polemica nella maggioranza. Più che dedicarsi al fallimentare – per ora – tentativo di erodere voti alla premier il segretario della Lega dovrà occuparsi di tenere insieme la base del suo partito.

Oltre al fronte aperto con la Meloni. Salvini è bersagliato pure nel Carroccio. Dove la sua leadership non è più un tabù

Non va sottovalutato comunque che il governo perde cinque punti di fiducia nell’ultimo mese e scende sotto il 40%. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio Ixè, diffuso subito dopo le elezioni regionali in Abruzzo. Nel gradimento dei leader, scendono Giorgia Meloni (40%, -3% rispetto a febbraio) e Matteo Salvini (33%, -3%). Stabile Giuseppe Conte (32%) e in crescita di due punti Elly Schlein (26%). Per la seconda settimana consecutiva Fratelli d’Italia cala nei sondaggi, passando dal 27,3 al 27,1 per cento. Sette giorni fa il calo era stato dello 0,4 per cento. Naturali e prevedibili flessioni, dicono da Fratelli d’Italia. Chi sorride nel centrodestra è Antonio Tajani che ora sogna realisticamente il sorpasso alla Lega alle prossime elezioni europee ristabilendo gli equilibri di sei anni fa.

Il risultato abruzzese è un viatico importante in previsione dello sprint per le elezioni di Bruxelles. Per quell’occasione il leader di Forza Italia potrà contare su una nutrita truppa di leghisti della prima ora, proprio quelli che riaccendono lo spirito della Lega che fu e che con Salvini non riesce ad essere più. Sono sempre più insistenti le voci del reclutamento per le prossime europee di Marco Reguzzoni, ex capogruppo in Parlamento della Lega che tre giorni fa ha condannato la gestione di Salvini: “Ha commesso un errore fondamentale – ha detto Reguzzoni il 29 febbraio durante la presentazione del suo libro -. Aveva i numeri per poter incidere in Europa e ha scelto di stare fuori dal Ppe e in opposizione. Aveva un numero di parlamentari importante, ben 23, pensate che tutta l’Ungheria ne ha eletti 21, eppure non ha saputo incidere. E questo, la Lega lo pagherà in termini di consenso alle prossime elezioni”.

L’Abruzzo ha messo all’angolo il leader della Lega. Che minaccia di correre da solo in Veneto

Reguzzoni andrebbe ad aggiungersi agli ex colonnelli leghisti Flavio Tosi, Roberto Cota, l’eurodeputata Stefania Zambelli e altri transfughi in arrivo. I pessimi risultati di Matteo Renzi con il suo partito Italia Viva hanno convinto Tajani di tentare anche un deciso assalto al centro tra i moderati. Alla candidata al Nord Letizia Moratti il compito di adescare nomi di peso spaventati dalla soglia di sbarramento complicata per Renzi come per Calenda. Lui, Salvini, tenta di arginare l’emorragia puntando su nomi esterni che gli permettono di non mettere mano nel partito in subbuglio.

l problema è che le candidature simbolo come quella del generale Roberto Vannacci (che comunque non ha ancora sciolto la riserva) rischiano di acuire il malcontento. Il rifiuto dei presidenti di regione di aiutare il loro segretario, da Luca Zaia ad Attilio Fontana fino a Massimiliano Fedriga, è un segnale politico che non ha bisogno di troppe interpretazioni. E qui sorge il timore vero di Giorgia Meloni: se Salvini rimarrà solo potrebbe pensare al colpo di coda mettendo in pericolo il governo, come ha già fatto con il primo governo Conte. Proprio ieri il leader della Lega ha balenato l’ipotesi di correre da solo in Veneto “se ci saranno incompatibilità”. È una provocazione, ovviamente. Ma è il primo passo per vedere l’effetto che fa.

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