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Fino all’ultimo minuto, al più minuscolo dubbio

(scritto per I Quaderni di Possibile qui)

Gli esperti di comunicazione televisiva e pubblicitaria sanno bene che un acquisto compulsivo nasce dall’esigenza impellente agitata per bene a pochi metri dal bancone espositivo. Non ci dovrebbe interessare occupandoci di politica e ancor di più trattando di un referendum che ha come oggetto una revisione costituzionale ma in un’epoca di turbo promesse e bullismo lessicale anche la campagna referendaria è finita in una china commerciale. Niente di nuovo, sotto al sole.

Con il nostro Tour Ricostituente abbiamo attraversato il Paese in tutte le direzioni, abbiamo volantinato sotto qualsiasi condizione meteo, abbiamo pazientemente svitato le bugie della propaganda, abbiamo studiato, abbiamo preparato la cassetta degli attrezzi per chi vuole approfondire, siamo scesi nei dettagli delle leggi e delle funzioni, abbiamo resistito agli insulti e ancora oggi siamo con il baule pieno e la valigia chiusa per questi ultimi due giorni di campagna.

Due giorni per chi fa politica tutti i giorni praticandola sono due giorni. Semplicemente. Gli ultimi due giorni per chi si è prostituito alla politica degli spot invece sono il momento cruciale per provocare il voto compulso. La voce della propaganda nelle prossime ore si farà sempre più fragorosa e becera, in linea con la spinta di chi irresponsabilmente tratta questo referendum come uno squallido all-in sul tavolo di poker.

Resistiamo lucidi e vigili. Moltiplichiamo le energie e non lasciamo impunita nessuna bugia tossica: nel web, al bancone del bar, tra le scrivanie dell’ufficio o sul tram che ci porta a casa ogni persona a cui offriamo risposte è un voto consapevole e ogni persona consapevole vota no a questo pasticcio di revisione costituzionale. Oltre a contarci così cominciamo a contare. Buoni ultimi due giorni di campagna a noi. Tutti.

La Slovenia cambia la Costituzione. Per inserire l’acqua come diritto.

A volte tutto il mondo non è paese. Se in Italia l’esito del referendum sull’acqua pubblica rimane ancora colpevolmente disatteso, altri paesi riescono a modificare la propria Costituzione in senso democratico, con l’intento di salvaguardare i diritti dei propri cittadini. perUnaltracittà, 1° dicembre 2016 (p.d.)

I sindacati e la società civile accolgono con favore l’introduzione del diritto umano all’acqua nella Costituzione della Slovenia

Bruxelles – L’Assemblea Nazionale della Slovenia ha votato ieri sera un emendamento alla Costituzione per includere un nuovo articolo che riconosce il diritto umano all’acqua. L’emendamento definisce le fonti d’acqua come bene pubblico gestito dallo Stato, che non può essere trattata come una merce. Secondo il nuovo testo, l’acqua potabile deve essere fornita dal settore pubblico non a scopo di lucro. Si tratta di un grande successo per gli attivisti sloveni ed i cittadini.

“I cittadini di tutta l’UE e l’Europa si sono mobilitati con successo per avere il diritto all’acqua e ai servizi igienici riconosciuto come un diritto umano – come deciso dalle Nazioni Unite – e per avere riconosciuto questo diritto anche nella legislazione UE. La Commissione europea continua ad ignorare che quasi due milioni di firme raccolte hanno sancito il primo successo dell’Iniziativa dei Cittadini Europei. Il Commissario Vella dovrebbe ascoltare i cittadini e seguire l’esempio sloveno il più presto possibile “, ha dichiarato Jan Willem Goudriaan, FSESP Segretario Generale.

L’acqua è un argomento controverso in Slovenia, le imprese straniere del settore alimentare e potabile stanno comprando i diritti su una grande quantità di risorse idriche locali. Il governo sloveno ha sollevato preoccupazioni circa gli impatti di accordi di libero scambio come il CETA nella sua capacità di controllare e regolare queste risorse(1).

“Gli accordi commerciali ed i meccanismi di risoluzione delle controversie investitore-Stato possono limitare la capacità degli Stati di riprendere il controllo pubblico delle risorse idriche, quando gli investitori stranieri sono coinvolti, come è il caso della Slovenia. Per garantire il diritto all’acqua e il controllo su questa risorsa-chiave, i parlamenti europeo e sloven devono respingere il CETA quando si tratta di votarlo nei prossimi mesi “, ha detto David Sánchez, direttore di Food & Water Europe.

L’emendamento è un’iniziativa dei cittadini sloveni che ha raccolto 51.000 firme per proporre un emendamento costituzionale (2).

“Accogliamo con favore l’introduzione del diritto umano all’acqua nella costituzione slovena, come il grande risultato di un’iniziativa dei cittadini. Ora la società civile deve vigilare per garantire una gestione democratica e trasparente del ciclo idrico integrato, fondata sulla partecipazione dei cittadini e dei lavoratori ” ha detto Jutta Schütz, speakperson al Movimento acqua europea.

Bruxelles, 18 Novembre 2016.

Sindacato Europeo dei Servizi Pubblici dell’Unione europea pubblica
Food & Water Europe
Movimento Europeo dell’Acqua

Note

(1) Il governo sloveno ha sollevato preoccupazioni circa l’ambiguità di termini come “uso commerciale di una fonte d’acqua” in CETA, come l’accordo si applica a diritti d’acqua esistenti e la futura capacità dei governi nazionali di mettere dei limiti sulle concessioni già rilasciate senza essere soggetto per rivendicare sotto ICS, tra gli altri. Il documento può essere trovato qui.

(2) Maggiori informazioni su iniziativa di questo cittadino si possono trovare sul loro sito web.

La scheda per il Senato mostrata da Renzi è un imbroglio: lo dice Fornaro, il senatore PD della proposta di legge

Renzi smonta una bufala partorendone una enorme. Del resto è la linea di questa campagna referendaria che per lui e i suoi sodali si è trasformata nell’ennesima puntata di una campagna elettorale permanente. Dice Renzi che i senatori saranno eletti dai cittadini (falso) e mostra una scheda elettorale (falsa) per dimostrarci le modalità (false) di elezione (falsa). E da chi viene smentito? Da Federico Fornaro (senatore PD) che insieme a Chiti è proprio il primo firmatario della proposta di legge sull’elezione dei senatori-consiglieri regionali. Dico, serve altro? Ecco qui l’articolo l’intervista a Fornaro:

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‘Ndrangheta: il boss Pesce sotto scacco

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Il boss era ricercato da 6 anni ed è stato catturato a Rosarno, il suo paese di nascita. Non ha opposto resistenza. Insieme a lui c’erano due uomini, padre e figlio

“Ti conosco, ti ho già visto in tv”. Sono queste le parole che il boss Marcello Pesce ha pronunciato rivolgendosi ad un dirigente della Squadra Mobile, nel momento in cui gli uomini della Polizia di Stato hanno fatto irruzione nel covo dentro al quale si nascondeva il capo della cosca egemone di Rosarno. E’ finita così la sua lunga latitanza.

marcello-pesce-latitante-arrestatoIl blitz all’alba. Gli uomini del Servizio centrale operativo (Sco) e della squadra mobile di Reggio Calabria sono entrati in azione attorno alle 5, quando si è avuta la certezza che il boss fosse lì. Pesce era ricercato dal 26 aprile 2010, quando sfuggì alla cattura nell’operazione “All Inside”. Al momento della cattura, era in camera da letto e non era armato. Non ha opposto resistenza ed è stato arrestato con 2 uomini, padre e figlio, che erano con lui. Condannato in appello a 16 anni e 8 mesi di reclusione per associazione mafiosa.

marcello-pesce-latitante-arrestatoLatitante a casa sua. “Un uomo molto particolare, anche molto colto. Sono stati trovati libri di Proust e Sartre nel covo dove si nascondeva”. Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria Gaetano Paci, ai microfoni di SkyTg24, a proposito del boss della ‘ndrangheta Marcello Pesce, catturato a Rosarno, il suo paese di nascita. “E’ inevitabile che sia stato trovato a casa sua – ha aggiunto il procuratore Paci – Un latitante che è anche capo operativo, in questo caso anche capo strategico, deve stare nel suo territorio e deve avere il controllo della situazione”.

Ricercato da 6 anni. “Appartiene a una delle famiglie più blasonata della piana di Gioia Tauro e di Rosarno in particolare: quella dei Pesce, da sempre trafficanti di droga e con il controllo del territorio – ha sottolineato Paci – Lui è stato condannato per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni a 16 anni, è latitante da sei anni e dalle nostre risultanze è emerso che si tratta di un soggetto altamente operativo ma di una operatività molto raffinata. Le indagini – ha concluso Paci – durano da oltre tre anni e hanno avuto una importante intensificazione negli ultimi sei mesi. Si sono avvalse esclusivamente di attività tecnica e di osservazione sul territorio, un territorio peraltro difficile da permeare all’attività di indagine”.

(fonte)

Nel merito. Il sì che chiude, il no che apre. Di Ida Dominijanni.

Meno cinque al fatidico 4 dicembre, e stando a quel che passano governo e mezzi d’informazione non è chiaro su che cosa stiamo per andare a votare. Sul governo? Sullo spettro a 5 stelle che incombe? Sullo spread? Sui diktat dei mercati? Sui desiderata della Bce, di Angela Merkel, di Marchionne, del Financial Times, dell’Economist? Sull’eterogeneità dell’“accozzaglia” per il no e sulla rassicurante omogeneità della coalizione Renzi-Verdini per il sì? Sul precipizio oscurantista e il “rigor mortis” – giuro che l’ho letto – in cui ci butterebbe il no e sul sol dell’avvenire che risorgerebbe con il sì? Sul tripudio che ci prende ascoltando le istruzioni per il voto di Vincenzo De Luca, che il governo premia invece di scomunicarlo e che i talk titillano perché lui è fatto così e un po’ di political uncorrectness stile Trump anche in Italia non guasta?

Mai un voto, a mia memoria, è stato sottoposto a pressioni così esagitate, improprie e depistanti: più che una campagna referendaria sembra una nobile gara a chi ci tratta meglio da stupidi. Contro questo depistaggio sistematico e rumoroso non resta, in quest’ultima settimana, che tenere bassi i toni e dritta la barra. Intanto: si vota su una proposta di revisione – o meglio, di riscrittura: 47 articoli su 139 – della Costituzione, che a onta di chi la sta bistrattando come l’ultima delle leggi ordinarie resta il patto fondamentale che ci unisce, o dovrebbe. La posta in gioco è abbastanza alta per esprimersi su questo, e solo su questo. Sì o no?

Io dico no, per ragioni di merito e di metodo, e per una terza ragione, di valutazione storica. Comincio dalle ragioni di merito. Primo, con la riforma il bicameralismo non finisce ma resta, non più paritario ma in compenso molto confuso. Il senato non sparisce ma non sarà più elettivo. Non diventa affatto un senato delle autonomie, espressione dei governi regionali e con competenze sul bilancio, ma una camera di serie b, composta da consiglieri regionali e sindaci scelti su base partitocratica, i quali tuttavia, pur privi di legittimazione elettorale, avranno competenze su materie cruciali come i rapporti con l’Unione europea e le leggi costituzionali e potranno richiamare le leggi approvate dalla camera per modificarle. Secondo, la riforma del titolo V, invece di correggere quella malfatta nel 2001 dal centrosinistra, la rovescia nel suo contrario: da troppo regionalismo si passa a troppo centralismo, con la clausola di supremazia dell’interesse nazionale che tronca in partenza qualunque opposizione dei comuni e delle regioni a trivelle, inceneritori, grandi opere, centrali a carbone e quant’altro: se il governo li considera “di interesse nazionale” e ce li pianta sotto casa ce li teniamo.

Terzo, combinata con l’Italicum (che è la legge elettorale vigente, e non è affatto detto che cambierà se vince il sì, nonostante le promesse di Renzi in questo senso, prese per buone da una parte della minoranza Pd) la riforma istituisce di fatto (ma senza dichiararlo, come almeno faceva la proposta di riforma Berlusconi del 2005) il premierato assoluto: maggioranza dell’unica camera titolare del voto di fiducia al partito che vince le elezioni, in caso di forte astensione anche con un misero 25 per cento del corpo elettorale; ulteriore incremento del potere legislativo del governo e del capo del governo. E non bastasse, elezione del presidente della repubblica in mano al partito di maggioranza a partire dalla settima votazione, in caso di assenza di una parte dell’opposizione. Detto in sintesi, il cuore della riforma sta in un rafforzamento dell’esecutivo e del premier a spese del parlamento e della rappresentanza, in un accentramento neostatalista a spese delle istituzioni territoriali, in una lesione del diritto di voto dei cittadini: il contrario di quello che una buona riforma dovrebbe fare.

Passo alle ragioni di metodo, per me perfino più decisive di quelle di merito. Questa riforma è nata male e cresciuta peggio. È nata da un’indebita avocazione a sé, da parte del governo, di un potere costituente che non è del governo, ed è stata approvata – a base di minacce di elezioni anticipate, sedute notturne, canguri e dimissionamento dei dissidenti – da una maggioranza parlamentare risicata e figlia, a sua volta, di una legge elettorale dichiarata illegittima dalla corte costituzionale. Dopodiché è stata brandita dal presidente del consiglio come una personale arma di autolegittimazione e di sfida degli “avversari” – “parrucconi”, gufi, “accozzaglie” e quant’altro – sulla base dell’unica benzina che muove la macchina renziana, cioè della parola d’ordine della rottamazione, applicata anche alla carta del 1948. Una riforma profondamente e programmaticamente divisiva del patto fondamentale che dovrebbe unire: è questa la contraddizione stridente che minaccia il cuore stesso del costituzionalismo, e ricorda il sovversivismo delle classi dirigenti di gramsciana memoria. A quanti e quante votano sì tappandosi il naso, per paura delle eventuali conseguenze destabilizzanti di una vittoria del no, vorrei sommessamente chiedere di non sottovalutare la ferita difficilmente cicatrizzabile che potrebbe invece conseguire da una vittoria del sì, ovvero dall’approvazione di una costituzione non di tutti ma di parte.

Non è l’unica contraddizione che accompagna questo referendum: ce n’è un’altra, più promettente. Presentata come una svolta radicale, e corredata dal lessico che da mesi ci bombarda incontrastato da tutti i media – innovazione vs conservazione; decisione vs consociazione; velocità vs paralisi; semplificazione vs complessità – la riforma Renzi-Boschi in realtà non innova ma conserva, e non apre ma chiude un ciclo. Sigilla – o ambisce a sigillare – il quarantennio dell’attacco neoliberale alle democrazie costituzionali novecentesche, racchiuso tra il rapporto della Trilateral per la “riduzione della complessità” democratica e l’attacco della JP Morgan contro le costituzioni antifasciste dei paesi dell’Europa meridionale. La storia del revisionismo costituzionale italiano, dalla “grande riforma” vagheggiata da Craxi a quella bocciata di Berlusconi a molte delle stesse ipotesi del centrosinistra, è accompagnata dalla stessa musica: più decisione e meno rappresentanza, più governabilità e meno diritti, più stabilità e meno conflitto. E malgrado le grandi riforme della costituzione siano state fin qui respinte, questi cambiamenti sono già entrati ampiamente, e purtroppo, nella nostra costituzione materiale (nonché in quella formale, come nel caso del pareggio di bilancio).

Renzi ha ragione, dal suo punto di vista, a dire che finalmente può riuscire a lui quello che ad altri non è riuscito: costituzionalizzare il depotenziamento già avvenuto della nostra democrazia. Per questo il sì chiude un ciclo, mentre è solo il no, con tutti i suoi imprevisti, che può aprirne uno nuovo. Basta partecipare a uno solo degli incontri sul referendum che pullulano ovunque in questi giorni per capire quanto questo sentimento sia vivo nella generazione più giovane, che della costituzione parla al di fuori della narrazione ripetitiva degli ultimi decenni.

(Ida Dominijanni per Internazionale qui)

‘Ndrangheta in Australia: arresti per l’omicidio Barbaro

Nove uomini sono stati arrestati fra ieri e oggi a Sydney, in una serie di incursioni coordinate in vari quartieri della metropoli, per l’uccisione due settimane fa di un boss della locale ‘ndrangheta: Pasquale Barbaro, di 35 anni. Sono stati eseguiti 13 mandati di perquisizione e sono ora incriminati per omicidio nove uomini di età fra 18 e 29 anni, ha detto il vicecommissario di polizia Mark Jenkins. Sono state sequestrate numerose armi di diverso calibro, giubbotti antiproiettile e maschere, oltre a 11 auto, 40 telefoni cellulari, una cassaforte, droga e contante. Dopo una serie di otto omicidi in pochi mesi fra membri delle diverse bande, la polizia ha formato due settimane fa una speciale task force, ora entrata in azione. “Questa non è la fine”, ha detto Jenkins. “Continueremo a prendere di mira questi individui attraverso indagini metodiche e strategie di intervento. Gli arresti continueranno”. In un’ennesima esecuzione nella guerra fra bande per il controllo del mercato della droga, Pasquale Barbaro, che un anno fa era sopravvissuto a un simile agguato, è stato ucciso con numerosi colpi mentre usciva dalla casa di un suo associato. Portava lo stesso nome del nonno, ucciso in una simile esecuzione nel 1990. Suo zio, anche lui Pasquale Barbaro, sta scontando 30 anni di carcere per l’importazione nel 2009 della quantità record di 4,4 tonnellate di ecstasy: 15 milioni di pasticche nascoste i 3.000 barattoli di pomodori pelati provenienti dal porto di Napoli. E il cugino, anche Pasquale Barbaro, è stato assassinato a Melbourne nel 2003 insieme a un noto boss criminale.

Nel merito. Il Senato delle autonomie? No, di certe autonomie.

Non un Senato delle Autonomie, ma un Senato di certe autonomie. Con la riforma che domenica sarà sottoposta al referendum costituzionale, un cittadino valdostano peserebbe infatti 10 volte uno veneto e uno campano. Un molisano sarebbe rappresentato come un gigante: grande come 4 lombardi. Un lucano varrebbe invece come 2 toscani e mezzo. Non dipende dalla legge di gravità né da strane scale di valori. E’ la traduzione della sbilenca distribuzione dei seggi del Senato per ciascuna Regione prevista dalla legge Boschi. Ed è la dimostrazione che non solo la riforma è scritta male, ma che i nuovi costituenti hanno avuto qualche problema anche con la matematica.

Da una parte, infatti, 11 Regioni hanno senatori più o meno in proporzione alla popolazione, in numero calante da 14 seggi a 3. Dall’altra le altre 10 prendono tutte due senatori ciascuna, senza distinzione: dal Friuli Venezia Giulia al Molise, dalle Marche alla Val d’Aosta. Così Mario Staderini, ex segretario radicale, si è messo a un tavolo con un matematico (Giuseppe Di Bella) e un informatico (Francesco Ottaviano) e ha prodotto un sito internet (si chiama nuovosenato.it) che, come se fosse un cambiavalute, calcola quanto un cittadino di una Regione vale a petto di uno di un’altra Regione. “La Costituzione – spiega Staderini – dice che il voto di ciascun cittadino dev’essere uguale e quindi deve pesare alla stessa maniera. Invece così finisce che questo principio non è rispettato”.

Tutto dipende, come detto, da come la riforma costituzionale distribuisce i senatori: alla Lombardia 14, alla Campania 9, al Lazio 8, a Piemonte, Veneto e Sicilia 7, a Emilia Romagna e Puglia 6, alla Toscana 5, a Calabria e Sardegna 3. Tutte le altre avranno due senatori ciascuna, senza proporzione e differenze: Valle d’Aosta, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata e le province di Trento e Bolzano. Un sistema che distorce tutto perché non rispetta le proporzioni delle Regioni e delle loro popolazioni. Per usare un’altra immagine, se il Senato fosse una cartina geografica, la Liguria sarebbe grande come l’isola d’Elba, mentre il Molise avrebbe la riprova non solo che esiste – a dispetto delle malelingue dei social network – ma che è grande minimo come il Portogallo.

La “regina di Palazzo Madama” sarà sicuramente la Val d’Aosta: nell’assemblea ogni valdostano avrà il peso di 10 veneti, 11 laziali, 11 siciliani e mezzo e 12 liguri. La Regione più piccola d’Italia è sovradimensionata nel confronto con tutte le altre. Al secondo posto arriva il Trentino Alto Adige – che si prende 4 senatori perché diviso tra le province di Trento e Bolzano -, al terzo il Molise che nel rapporto senatori-cittadini batte tutti tranne la Val d’Aosta. Sono ben piazzate anche Basilicata e Umbria che avrebbero in regalo uno spazio superiore a quello che indicherebbero i loro censimenti. Al contrario un cittadino della Liguria, come detto, si sentirà piccino così: quando voterà i suoi senatori, nella possibile Camera delle Autonomie non sarà mai uguale a nessuno dei suoi connazionali.

Per giunta questo meccanismo, come già ha spiegato ilfatto.it, rende irragionevole anche un altro principio espresso dalla riforma, quello per cui le delegazioni regionali in Senato dovranno rispecchiare la composizione dei consigli regionali. Con due soli senatori, infatti, quelle 10 Regioni non potranno fare altro che mandare un senatore per la maggioranza e uno per la principale delle opposizioni.

Il quasi-voto distorto
Piccolo inciso: come sanno tutti, il possibile nuovo Senato verrà eletto dai consigli regionali “in conformità alle scelte espresse dagli elettori“. L’elezione dei senatori è, sì, di secondo livello, ma è prevista – anzi, di più: promessa dal Pd – un’indicazione da parte degli elettori. Quindi quando si parla del peso di un cittadino è come dire che si parla del suo voto.

E per far capire quanto sia distorta la composizione del Senato che potrebbe nascere domenica prossima, Staderini prende a modello i due sistemi elettorali più lontani tra loro, il maggioritario (Gran Bretagna) e il proporzionale (Spagna, Austria, con le dovute differenze). “In Italia in entrambi i casi – spiega Staderini – i collegi in cui è diviso il corpo elettorale sono di circa 100mila aventi diritto. Così il voto di un collegio pesa in modo identico a un altro, al Nord come al Sud, in Val d’Aosta come in Sicilia”.

Un modello alternativo? Il sistema attuale
Dice: ma una legge elettorale per il Senato, se passerà il sistema rinnovato dalla riforma, bisogna ancora farla. Il problema è che la distribuzione dei senatori regione per regione è fissata in Costituzione e nessuna legge potrà correggere questa anomalia. Ci sarebbe stato un sistema alternativo? “Sicuramente – dice Staderini – Noi non abbiamo fatto elaborazioni alternative, ma per trovarne una basta prendere quella della Costituzione attuale che alla Val d’Aosta dà un senatore”. Un senatore alla Val d’Aosta su 315. Due senatori al Molise su 315. Tutte le altre, minimo 7 senatori. Anche nella Costituzione di oggi c’è una distorsione, ma è minima, nell’ordine di pochi decimali, spiega Staderini. La Valle D’Aosta anche prima era leggermente sovrarappresentata, ma nell’ordine da 1 a 1,6 cittadini delle altre regioni. “I Padri costituenti avevano voluto garantire le Regioni più piccole per dare loro rappresentanza – continua l’ex segretario radicale – Qui invece il principio viene ribaltato: le Regioni più piccole sono sovrastimate. Ed è un ribaltamento immotivato, oltre che iniquo“.

Staderini, il Radicale tutore dell’articolo 48
Staderini, avvocato, radicale, difende il voto “libero ed eguale” (articolo 48) dall’inizio della campagna referendaria. A ottobre ha presentato – come l’ex presidente della Consulta Valerio Onida – un ricorso al Tar del Lazio a favore del cosiddetto “spacchettamento” del quesito, perché così – aveva sostenuto Staderini insieme al giurista Fulco Lanchester – si dice Sì o No “a una riforma che modifica in un sol colpo il 35% degli articoli della Costituzione”. Ma la proposta, così come quello di Onida, non è stato accolta dai giudici. Per garantire la partecipazione ha anche portato l’Italia davanti al Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra per il “boicottaggio pluridecennale” di referendum e di leggi di iniziativa popolare. Strumenti su cui pure interviene la riforma costituzionale, mantenendo il quorum del 50 per cento più uno per le proposte che raccolgono 500mila firme e un quorum più basso (la metà più dei votanti alle ultime Politiche) se si raggiungono 800mila firme. “In questo modo il referendum si trasforma in uno strumento a disposizione dei grandi partiti“.

(fonte)

‘Ndrangheta, operazione “Borderland”: i fatti, le facce e i nomi

 

Il sostegno diretto al candidato, diventato poi vicesindaco, ma anche incontri e impegni diretti in campagna elettorale. La cosca Trapasso di San Leonardo di Cutro avrebbe partecipato alle ultime elezioni comunali di Cropani del 26 maggio 2014, sostenendo direttamente Francesco Greco, detto Raffaele, attuale vicesindaco di Cropani ed ora accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Ad avviso della Dda di Catanzaro, “gli esponenti del sodalizio hanno dato il loro apporto elettorale alla lista che sosteneva la candidatura a sindaco di Bruno Colosimo e al candidato Francesco Greco facendo conseguire l’esito voluto”. Nel corso della conferenza stampa il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri ha sottolineato che “non sono stati trovati elementi penali a carico del sindaco”, mentre gli atti dell’inchiesta saranno trasmessi alla Prefettura per le valutazioni del caso.

Nelle intercettazioni sono finiti gli interventi degli esponenti della cosca durante la campagna elettorale, con lo stesso vicesindaco che non ha avuto problemi a “vantarsi” dei sostegni ricevuti. Come nell’intercettazione nella quale lo stesso vicesindaco Francesco Greco chiede di poter partecipare alla sfilata per la vittoria sedendo sul sedile anteriore dell’autovettura di Nanà Trapasso, figlio di Giovanni, mentre in una seconda intercettazione con uno degli arrestati afferma: “Ci prendiamo il vicesindaco… lo dobbiamo prendere? altrimenti succede una guerra”. Ed in effetti Greco fu nominato vicesindaco per la coalizione “Cropani e’” dopo avere conquistato 111 voti di preferenza, con la lista avversaria sconfitta per 99 voti di scarto”.

Il giudizio del gip sulla campagna elettorale. Su quanto avvenuto a Cropani durante la campagna elettorale è duro anche il giudizio del gip Giulio De Gregorio che ha firmato l’ordinanza: “Non stupisce assolutamente che il devastante inquinamento mafioso del territorio del Comune di Cropani – scrive il giudice – si sia risolto anche in un pesante condizionamento del voto elettorale delle consultazioni amministrative del 25-26 maggio 2014″, al punto che lo stesso giudice evidenzia come “la vittoria della lista del sindaco Colosimo è avvertita come una vittoria della consorteria”.

I reati. Contestati i reati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, illecita concorrenza con violenza o minaccia, esercizio abusivo del credito, intestazione fittizia di beni, tutti reati aggravati dalla modalità mafiose. Oltre alla cosca Trapasso di San Leonardo è stata smantellata anche la ‘ndrina collegata dei Tropea-Talarico di Cropani.

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Dai villaggi turistici alla politica passando per l’usura e le estorsioni. Gli inquirenti non hanno dubbi: con la maxi operazione denominata “Borderland” è stato liberato il territorio al confine tra le province di Catanzaro e Crotone. Smantellata quella che viene ritenuta come la potente e pericolosa cosca facente capo alla famiglia Trapasso, egemone in un comprensorio ad alta vocazione turistica che comprende i comuni di Sellia Marina, Cropani, Botricello, Sersale, Cutro e la frazione San Leonardo di quest’ultimo centro, ha ispirato il nome della operazione (“Borderland”).

cattura-di-schermata-221L’origine dell’inchiesta. L’operazione ha preso avvio da una serrata attività di sorveglianza fisica ed elettronica degli indagati da parte della Squadra Mobile di Catanzaro diretta da Nino De Santis sotto il coordinamento del sostituto procuratore Vincenzo Capomolla e i procuratori aggiunti Vincenzo Luberto e Giovanni Bombardieri con la supervisione del procuratore capo, Nicola Gratteri. In particolare, l’attività d’indagine ha svelato l’esistenza di due distinti sodalizi mafiosi, pesantemente armati, quello dei Trapasso di San Leonardo di Cutro e quello dei Tropea-Talarico di Cropani Marina, strettamente dipendente dal primo, dediti in prevalenza all’attività usuraria, all’esercizio abusivo del credito, alle estorsioni, alla gestione ed al controllo delle attività economiche presenti sul territorio, soprattutto turistiche, sia direttamente che per interposizione di persone.

I Trapasso. Le investigazioni hanno dimostrato come la cosca di ‘ndrangheta dei Trapasso, capeggiata dal 58enne Giovanni Trapasso e dai figli Leonardo, detto Nanà, e Tommaso, rivestisse un ruolo di assoluto rilievo nel panorama delle consorterie mafiose dell’area, operando in stretta connessione con le omologhe compagini dei Grande Aracri di Cutro, dei Farao-Marincola di Ciro’ Marina, dei Bubbo di Petronà, dei Ferrazzo di Mesoraca e vantando solidi rapporti con le più influenti cosche della regione.

I Tropea. Nel corso delle indagini si è assistito, inoltre, all’ascesa criminale del clan mafioso facente capo a Giuseppe Tropea ed allo zio Francesco Talarico, i quali, inizialmente assoldati come “manovalanza” dal clan Trapasso, hanno gradualmente conquistato una propria autonomia nel territorio di Cropani Marina, soprattutto con riferimento all’attività usuraria, seppur con l’obbligo di rendiconto alla cosca “madre” di San Leonardo.

La gestione dei villaggi turistici. Un fronte di particolare interesse per l’organizzazione mafiosa indagata, è emerso essere, inoltre, quello economico-finanziario, nel quale un ruolo strategico e di assoluto pregio investigativo è risultato appannaggio di Pier Paolo Caloiro, attivo nel campo dei servizi di gestione dei villaggi turistici, nonché uomo di fiducia e imprenditore di riferimento del sodalizio cutrese. Proprio la gestione dei villaggi turistici sul litorale ionico si è rivelato un vero e proprio strumento di consenso per l’organizzazione mafiosa. Attraverso l’opera di Pier Paolo Caloiro, il sodalizio sarebbe riuscito a reclutare un cospicuo numero di soggetti che, assoldati con il sistema delle assunzioni fittizie all’interno delle strutture ricettive, si sono messi a completa disposizione del clan.

Gli interessi in Emilia. Sono inoltre emersi, in particolare con riguardo ad attività di esercizio abusivo del credito, di usura ed a connesse vicende estorsive, rilevanti interessi economici e proiezioni operative della cosca al nord Italia ed in particolare in Emilia Romagna, località di abituale dimora di cinque delle persone raggiunte da misura cautelare che sono state rintracciate e tratte in arresto dagli uomini delle Squadre Mobili di Bologna, Parma e Reggio Emilia. (m.f.)

 

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Raffica di arresti, ma anche un lungo elenco di beni mobili ed immobili sequestrati. Oltre a smantellare quella che gli inquirenti ritengono la potente e pericolosa cosca di ‘ndrangheta che fa capo alla famiglia Trapasso, egemone nel territorio di confine tra le province di Catanzaro e Crotone, collegata a quella dei Tropea, l’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia guidata da Nicola Gratteri, colpisce i clan coinvolti nel cuore dei loro interessi.

Sequestro di beni. Parallelamente alla esecuzione delle misure cautelari personali, con particolare riguardo ai reati contestati in materia di intestazione fittizia di beni, la Procura ha emesso un provvedimento urgente di sequestro di diverse società ed imprese ritenute lo strumento delle attività illecite della stessa cosca o l’oggetto di interposizioni fittizie dei sodali.

L’elenco. Il sequestro, eseguito dagli uomini della Divisione Polizia Anticrimine di Catanzaro e dagli specialisti in indagini patrimoniali del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ha riguardato, fra l’altro, un esercizio ricettivo, un maneggio ed una società per la distribuzione di slot machine e, in particolare, le società di servizi attraverso le quali la cosca controllava di fatto la gestione delle attività interne ad importanti villaggi turistici della zona, monopolizzando le attività di manutenzione e ristorazione, le forniture di generi alimentari e pesantemente condizionando ogni tipo di servizio.

1) Totalità delle quote societarie della IEAC f.lli Talarico srl, amministratore unico Pasquale Talarico, con sede legale a Cropani

2) Totalità delle quote societarie della A&G srl, amministratore unico Maria Teresa Sinopoli, con sede legale a Cropani

3) Totalità delle quote societarie della Global Service di Domenico Iaquinta, con sede legale a Cropani

4) Impresa individuale di Pezzano Monica con sede legale a Catanzaro

5) Bar denominato “Il Fortino di zio Tommy” a San Leonardo di Cutro, presidente Domenico Falcone, di fatto riconducibile – secondo gli investigatori – a Giovanni, Leonardo e Tommaso Trapasso.

6) Maneggio denominato “Scuderia Le Palmare”, ubicato a Steccato di Cutro all’interno della azienda agricola di Filomena Muto, formale responsabile Riadh Ben Salah, gestito da Salvatore Scandale e, per gli investigatori, riconducibile a Giovanni Trapasso.

Nel merito. L’appello dei Giuristi Democratici per il NO

La Costituzione italiana è legge sovraordinata alla legge ordinaria.

La Costituzione è destinata a regolare i rapporti di civile convivenza tra i cittadini e per tale ragione è destinata a durare nel tempo.

La Costituzione contiene norme di carattere generale, cioè riferentisi ad ogni tipo di cittadini, di carattere astratto, cioè a prescindere dalle singole situazioni.

La Costituzione deve essere comprensibile per tutti i cittadini e pertanto deve essere scritta in maniera chiara e sintetica.

La Costituzione italiana è costituzione rigida quanto ai suoi principi, ma non immutabile; può essere modificata nel tempo, ma sempre al fine di realizzare e rispettare i principi fondamentali stabiliti nella prima parte della Costituzione stessa.

La Costituzione può essere modificata nei modi e nei termini previsti dall’art. 138 e le modifiche devono ricercare la più ampia convergenza di opinioni tra le forze politiche.

La Costituzione non si modifica a colpi di maggioranza. La riforma della Costituzione dovrebbe fiorire da un dibattito collettivo, ad impulso esclusivo del Parlamento, senza intromissione alcuna del Governo.

Queste sono le caratteristiche di una Costituzione e questi sono i criteri per modificarla.

Ed invece:

La nuova formulazione della Costituzione è stata approvata alla Camera dalla sola maggioranza, con 360 voti su 630 deputati: alla Costituente il testo fu approvato da 458 parlamentari con soli 62 voti contrari.

Il linguaggio usato è prolisso, controverso, ai limiti della incomprensibilità.

Non è vero che sia stato soppresso il bicameralismo perfetto; semplicemente, esso è stato trasformato in un bicameralismo confuso, perché la permanenza del Senato e i nuovi percorsi di formazione delle leggi, nonostante le minori competenze dello stesso Senato, renderanno confuso e ugualmente complesso il percorso di approvazione di una legge, con il rischio di una moltiplicazione dei ricorsi alla Corte Costituzionale per conflitti tra le due Camere.

Non è vero che il bicameralismo perfetto abbia prodotto tempi di approvazione delle leggi superiori alla media dei paesi democratici europei, così come non è vero che sia così diffuso il fenomeno della cosiddetta “navetta” delle leggi tra le due Camere, fenomeno che, in realtà, risulta limitato al 3% delle leggi varate.

La scelta di non far eleggere i senatori dai cittadini incrina il concetto di rappresentatività dei cittadini stessi, sostituendolo con una nomina di natura politica, che nasce all’interno dei gruppi dei Consigli regionali.

La nuova norma costituzionale rischia di escludere la rappresentanza delle Regioni a Statuto Speciale che prevedono l’incompatibilità tra il ruolo di consigliere regionale e quello di senatore, obbligando, pertanto, l’eletto in Senato a rassegnare le sue dimissioni dal Consiglio Regionale e restando, così, privo di qualsiasi compenso per la sua attività.

Non è vero che le modifiche alla seconda parte della Costituzione, relativa all’organizzazione della Repubblica, non abbiano incidenza sulla prima parte, che stabilisce i principi fondanti dello Stato e della convivenza civile.

La nuova Costituzione introduce una progressiva sopravalutazione del potere esecutivo nei confronti di quello legislativo, istituendo una sorta di democrazia esecutiva.

La nuova Costituzione istituisce un ridimensionamento del ruolo della Camera anche in tema di ordine dei lavori, consentendo al Governo di imporre alla Camera di esaminare le leggi ritenute essenziali per il programma governativo entro 70 giorni: è un’umiliazione del ruolo del Parlamento mai visto dall’epoca fascista.

Non è vero che non esista uno stretto rapporto tra riforma costituzionale e legge elettorale: l’Italicum garantisce al partito vincitore delle elezioni al ballottaggio, magari anche solo con una percentuale del 25%, l’attribuzione del 55% dei seggi della Camera con la riduzione delle opposizioni ad un ruolo di mera, impotente tribuna: si pensi solo alla dichiarazione dello stato di guerra, deliberato dalla maggioranza, precostituita ed immodificabile, della sola Camera. Stante, dunque, la rilevanza della legge elettorale ai fini della valutazione dell’impatto della riforma costituzionale sugli assetti istituzionali, sarebbe stato assai utile che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimità o meno di quella legge; incomprensibile appare il rinvio a data da destinarsi di quel giudizio.

La volontà della maggioranza di ridurre il ruolo delle opposizioni è emblematicamente rappresentato dall’introduzione all’art. 64 di uno Statuto delle Opposizioni, il cui regolamento sarà deciso dalla maggioranza, in salda mano del partito vincitore delle elezioni, della Camera.

Il quesito referendario appare formulato in maniera manipolatoria e tale, dunque, dall’invitare i cittadini all’approvazione della legge; in particolare, il riferimento alla riduzione dei costi della politica non rientra direttamente tra le modifiche costituzionali, ma ne potrebbe essere esclusivamente una indiretta conseguenza.

Queste sono solo alcune delle criticità della riforma costituzionale; in alcuni casi si tratta di questioni molto tecniche sulle quali, ovviamente, il cittadino medio non è in grado di esprimere un’opinione fondata su un’effettiva conoscenza del problema; fondamentale, comunque, è cercare di fare un’operazione quanto più completa possibile di informazione, ma ciò che soprattutto deve essere chiaro è che i cittadini devono essere ben consci dell’importanza della loro scelta ed ergersi a difensori di quel ruolo di unione del popolo italiano che la Carta Costituzionale ha pienamente rappresentato in questi 70 anni.

OCCORRE, DUNQUE, VOTARE NO NEL REFERENDUM DEL 4 DICEMBRE.

Come giuristi, da sempre impegnati nella difesa dei diritti dei cittadini, in particolare di quelli meno tutelati, sentiamo il dovere di dare il nostro contributo di informazione ai cittadini, nella convinzione profonda che in gioco non ci sia né un maggior efficientismo dello Stato, né la battaglia politica tra centrosinistra renziano e centrodestra, ma l’assetto istituzionale della nostra Repubblica e, dunque, in definitiva, il rispetto di quella corretta ripartizione dei poteri dello Stato che hanno consentito lo svolgimento di una civile convivenza, pur tra posizioni politiche ed ideologiche divergenti.

Marcello, l’amico degli eroi, sempre lui: quattro anni per frode fiscale

(il mio libro su Marcello Dell’Utri lo potete acquistare nella nostra piccola libreria qui)

Nuova condanna per Marcello Dell’Utri, l’ex senatore del Pdl che sta scontando una pena definitiva di 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Il gup di Milano Maria Carla Sacco lo ha condannato a 4 anni di reclusione in rito abbreviato per una presunta frode Iva da circa 43 milioni di euro, nell’ambito di una compravendita di spazi pubblicitari televisivi.

Dell’Utri era accusato  di aver frodato l’erario per quella cifra nel periodo 2005-2011. Secondo la ricostruzione della Procura, Dell’Utri avrebbe frodato l’erario per non aver versato l’Iva pari a una cifra di oltre 43 milioni di euro nel periodo 2005-2011. Frode realizzata attraverso gli spazi commerciali venduti dalle concessionarie (non indagate) Publitalia 80 per le reti Mediaset e da Sipra per le reti Rai, con l’interposizione di società “cartiere” (Ics), e tramite fatture inesistenti per circa 258 milioni.

Oltre ad aver accolto due patteggiamenti, il gup ha mandato a processo l’altro protagonista della vicenda e cioè Giuseppe Donaldo Nicosia, latitante e amico di lunga data e socio di Dell’Utri, coinvolto nella vicenda dei Panama Papers. Nicosia è socio nella spagnola Tome Advertising, società che con Ics (poi fallita) e Tome Italia è finita al centro della vicenda. Per lui e per una seconda persona il dibattimento si aprirà il prossimo 22 febbraio davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Milano.

Il gup Sacco, che ha assolto Dell’Utri dall’accusa di bancarotta documentale e ha dichiarato per lui e per i suoi coimputati la prescrizione dei reati commessi prima del 2008, ha inflitto i tutto 4 condanne, a pene che vanno dai 2 anni e mezzo ai 3 anni e mezzo. Inoltre il giudice ha disposto l’interdizione dai pubblici uffici e dagli incarichi direttivi in società e imprese commerciali per 10 anni e confische di beni mobili e immobili per cifre che vanno dai 238 mila euro a oltre 2 milioni di euro.

Il pm Sergio Spadaro, titolare dell’indagine, per l’ex senatore aveva chiesto 5 anni di reclusione e per gli altri imputati condanne comprese tra i 4 e i 3 anni, ipotizzando a vario titolo accuse che andavano dalla frode fiscale alla omessa dichiarazione dei redditi, dalla bancarotta fraudolenta alla appropriazione indebita.

(fonte)